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Inchiesta esclusiva sulla ricezione della letteratura romena in Italia (I)
La nostra rivista ha avviato, in esclusiva, un'ampia indagine sulla ricezione della letteratura romena in Italia tra decine di critici e scrittori italiani, nell’ambito delle serie Incontri critici e Scrittori per lo Strega, di cui proponiamo qui le prime articolate risultanze, divise in due dense pagine: parte prima e parte seconda. L'inchiesta a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone è accompagnata da una serie di incontri con noti romenisti e traduttori.
Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato alla ricezione della letteratura romena in Italia, consultabile qui.
In questa prima parte della nostra inchiesta riuniamo, in 19 interviste, i critici italiani che si sono dedicati alla letteratura romena con vari articoli e recensioni: Giovanni Bitetto, Donato di Poce, Gianfranco Franchi, Filippo La Porta, Paolo Landi, Franco Manzoni, Daniela Marcheschi, Vanni Santoni. Vi sono inoltre altri critici e studiosi che ci danno testimonianza del loro interesse per la cultura e la letteratura romena: Claudia Boscolo, Rosaria Catanoso, Davide Brullo, Andrea Caterini, Fabio Francione, Stefano Jossa, Ignazio Licata, Matteo Marchesini, Massimiliano Parente, Giacomo Raccis, Alessandro Raveggi.
Il quadro complessivo che ne emerge evidenzia una ventina di nomi rappresentativi della letteratura e della cultura romena. In testa c'è l’immancabile Emil Cioran (1911-1995), che «fa parte integrante del bagaglio di ogni lettore colto» (Claudia Boscolo). E ancora: «Uno scrittore come Cioran, che è diventato ormai un classico, ha contribuito a far conoscere la letteratura, la filosofia romena» (Paolo Landi). La nostra rivista gli ha peraltro dedicato l'apposito Spazio Cioran, sin dalla sua fondazione.
Possiamo poi notare che la letteratura romena dei nostri giorni, compresa quella della diaspora, si fa conoscere per i suoi esponenti più emblematici e anche più presenti in traduzione italiana, quali Mircea Cărtărescu (n. 1956), Ana Blandiana (n. 1942), Norman Manea (n. 1936), Matei Vişniec (n. 1956) e il Premio Nobel Herta Müller (n. 1953). Non mancano neanche Andrei Pleşu (n. 1948), Valeriu Butulescu (n. 1953), Gheorghe Vidican (n. 1953), Varujan Vosganian (n. 1958) e Vasile Ernu (n. 1971).
Particolari apprezzamenti vanno ad Ana Blandiana che, secondo Daniela Marcheschi, «meriterebbe il premio Nobel (mi auguro che gli intellettuali e le istituzioni romene sollecitino l’Accademia di Svezia in tal senso)», come anche a Herta Müller e Mircea Cărtărescu, che «per la natura della loro opera e per l’ampiezza dell’immaginario a cui attingono e che riflettono nei loro lavori, sono percepiti piuttosto come 'europei', secondo un’etichetta che trascende l’appartenenza nazionale, ma che forse rende loro il giusto rilievo» (Giacomo Raccis). E ancora: «Credo che il tratto chiave della scrittura di Cărtărescu, o almeno quello che lo rende un autore unico al mondo, sia lo sviluppo di una sua specifica grammatica della visione, che va oltre le singole scene per abbracciare anche la struttura stessa di romanzi come Abbacinante o Solenoide», come sostiene Vanni Santoni.
Nelle risposte dei nostri interlocutori, il Novecento romeno si fa rappresentare da alcuni dei suoi nomi più importanti: Lucian Blaga (1895-1961), Tristan Tzara (1896-1963), Benjamin Fondane (1898-1944), Mircea Eliade (1907-1986), Constantin Noica (1909-1987), Eugène Ionesco (1909-1994), Paul Celan (1920-1970), Nina Cassian (1924-2014), Nichita Stănescu (1933-1983), Matei Călinescu (1934-2009), Ioan Petru Culianu (1950-1991).
Tra i classici della letteratura romena viene nominato Mihai Eminescu, il poeta nazionale romeno.
Due le riflessioni più immediate: i più conosciuti sono gli scrittori romeni del Novecento e, in particolar modo, gli autori che hanno vissuto in esilio e si sono affermati al di fuori dei confini nazionali della Romania, come Cioran, Eugène Ionesco, Paul Celan, Benjamin Fondane e Matei Vişniec (in Francia) oppure Eliade, Norman Manea e Nina Cassian (in America).
La seconda riguarda il fatto che sono poco noti gli scrittori attuali delle generazioni più giovani che andrebbero promossi molto di più, anche attraverso la loro presenza alle fiere e a eventi letterari in Italia.
Dalla serie INCONTRI CRITICI
GIOVANNI BITETTO (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
La letteratura in generale, soprattutto quella contemporanea, non è conosciuta dai non addetti ai lavori. Di conseguenza quella romena ancora meno. Per anni abbiamo subito l'egemonia della letteratura americana postmoderna, che pure ci ha regalato ottimi titoli, nella prima decade del nuovo millennio invece andava di moda la riscoperta dei sudamericani. Negli ultimi anni lo sguardo degli addetti ai lavori è tornato a focalizzarsi sull'Europa, principalmente sui paesi ex-sovietici, chissà che da questa rinnovata attenzione non possa uscirne qualcosa di buono per la letteratura romena.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Come è noto, la mia predilezione va a Mircea Cărtărescu, che considero uno dei massimi esponenti della letteratura contemporanea mondiale. Ho letto di recente Solenoide e non mi ha lasciato insoddisfatto, lo considero il gemello onirico e disturbato dell'immaginifica trilogia di Abbaccinante. Un altro libro che mi è capitato per le mani è Sindrome da panico nella Città dei Lumi di Matei Vișniec, edito per Voland, una commedia disperata e divertente dal sapore mitteleuropeo.
CLAUDIA BOSCOLO (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
La letteratura romena sta conoscendo un momento di particolare fortuna in Italia. Senz’altro, Mircea Cărtărescu è attualmente uno degli autori stranieri di punta per il suo voluminoso romanzo Solenoide, molto amato soprattutto da un certo tipo di pubblico colto e informato, ma conosciuto anche da lettori più generalisti. Emil Cioran fa parte integrante del bagaglio di ogni lettore colto, mentre purtroppo su Mircea Eliade pesa ancora un sospetto legato alla sua appartenenza politica, nonostante i suoi studi siano ritenuti all’unanimità dalla comunità scientifica importanti per la storia delle religioni e del mito. Questi sono di sicuro gli intellettuali romeni noti a chiunque si dedichi alla lettura colta, ma anche ai non addetti ai lavori. Per quanto riguarda i numerosi autori presenti nel database della vostra rivista, devo dire che non mi sono noti, ma penso che ciò accada più o meno per tutte le letterature nazionali: si tende a interessarsi di un autore o autrice stranieri quando raggiungono una fama legata a premi oppure a un’opera di promozione massiccia, alla traduzione da parte dei colossi editoriali, e all’amicizia personale con intellettuali famosi. Anche degli autori italiani si sa poco all’estero e si tende a leggere solo ciò che è tradotto, quindi una parte irrisoria della effettiva produzione narrativa italiana.
Accanto a Mircea Cărtărescu, Emil Cioran e Mircea Eliade, potremmo aggiungere anche Ana Blandiana, Herta Müller oppure Norman Manea. Le sono noti e hanno attirato la sua attenzione?
Con l’eccezione di Ana Blandiana, gli altri non solo mi sono noti, ma sono autori che amo e la cui lettura consiglio. Herta Müller conobbe un momento di grande popolarità dopo l’assegnazione del Nobel nel 2009. Un aneddoto molto grazioso mi è stato raccontato dal suo editore italiano, Keller, e riguarda lo shock di avere in catalogo l’autrice a cui era stato assegnato il massimo riconoscimento internazionale, la fretta di mandare in ristampa il libro e il prestigio che l’autrice ha apportato al catalogo dell’editore, che di fatto è uno dei migliori nel panorama italiano, per la ricerca e la cura dedicata alla narrativa straniera, soprattutto dell’Europa orientale.
DAVIDE BRULLO (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Fui a Bucarest nel 1992, era da poco caduto – e morto – Nicolae Ceaușescu. Ne riporto la sensazione di una città splendida perché pericolosa, pericolante, falcidiata dal comunismo, piena di spie e di povera gente. Ero un ragazzino, capitato lì, dopo un viaggio lunare, segugio di uno zio. Aveva da fare con un senatore, ricordo, che viveva in un appartamento dal sentore di zuppa; in sala, i figli guardavano Pretty Woman, in lingua originale; per strada, alcuni zingari suonavano una musica struggente, che penetrava nelle mie ossa di latte. Ricordo una sapienza della disperazione, uno scetticismo barocco, l’ortodossia degli scaltri; ovunque, qualsiasi cosa poteva azzannarti alla gola. Qualche anno fa ho chiacchierato con Mircea Cărtărescu, un importante scrittore romeno; tra le altre cose, mi ha detto: «La realtà non è più reale del sogno. Soltanto la sofferenza rende la realtà evidente, aguzza. Se non soffri, fluttui nella vita come in un sogno». Mi pare una bella frase. Quanto al resto, in Italia sono pressoché sconosciuti gli scrittori italiani, figuriamoci gli altri, restiamo servili dell’impero anglofono, degli epigoni, calchi di calchi.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Da ragazzo, ho amato la poesia di Nichita Stănescu, ricordo un’antologia edita da Le Lettere, La guerra delle parole, ne ho impresso un verso, questo: «D’un tratto al Polo sono stato orso». E un distico, questo: «Si mostrava fulmineamente un mondo / più veloce del tempo della lettera A». Il che significa: una lettera ha l’autonomia schiacciante di un mondo.
Oggi amo i libri di Benjamin Fondane, nato a Iași, cresciuto a Parigi, discepolo di Lev Šestov, pioniere di un pensare che percuote. Emil Cioran lo descrive così, dal picco di una amicizia che pare rara: «Tutti sapevano che Benjamin Fondane era qualcuno, uno spirito avvincente, maestro nell’arte di animare le idee. Era più di un filosofo: più profondo, più sensibile, nel suo intimo era al di là della filosofia. Davvero, se ci sono persone nobili in questo mondo… beh, lui faceva parte di questa categoria di uomini che superano se stessi». Ha scritto libri penetranti, redatti sul quarzo, intorno a Rimbaud e Baudelaire, la sua postura nel pensare sapeva sedurre; Victoria Ocampo, ad esempio, che si vantava di dialogare con Virginia Woolf, di aver scoperto Jorge Luis Borges e di essere adulata da Drieu La Rochelle, lo convinse a collaborare con la sua rivista, «Sur», ma non riuscì mai a incantarlo, a incatenarlo. L’ho conosciuto grazie a Luca Orlandini, che in Italia ha curato le opere più grandi di Fondane, e me ne ha raccontato la parabola tragica così: «Seduce l’innata nobiltà di questo poeta. Il nitore del suo orgoglio. L’ostinazione a camminare per le strade di Parigi privo della stella di Davide appuntata sul petto. Lo scrittore proscritto dalle leggi antisemite di Vichy arrestato insieme all’adorata sorella Line, che ci tocca, quando rifiuta di abbandonarla alla sua sorte e di accettare la liberazione che alcuni amici erano riusciti a ottenere solo per lui. Deportato a Drancy, e infine ad Auschwitz, nel ’44 è inghiottito dalla voragine Olocausto. Da uno sbadiglio della Storia. Proprio così, come si conclude l’avventura di una vita, ruotando la mano e chiudendo le dita in un movimento di mezzo vortice, rapido, come un ventaglio che si chiude di colpo, una stretta, una ruga – i vapori della camera a gas». Mi sorprende sempre che per descriverne la personalità, il genio, il verbo, David Gascoyne, il radioso, appartato poeta inglese, sconvolto dall’incontro con Fondane, specifichi che «Era un vogatore assai vigoroso». Vogare, in effetti, è la vera dote del pensiero.
DONATO DI POCE (intervista integrale qui)
In Una virgola per pensare dedica a Cioran: «La poesia canta la vita / Accumuli di polvere sfuggita / Al respiro dei poeti». Ebbene, in qual misura Emil Cioran ha influenzato la sua formazione culturale?
Moltissimo credo, Squartamento fu un libro straordinario che mi aprì il cuore, il corpo e la mente a un altro modo di essere e di pensare. Ogni suo libro è stato fondamentale e la sua rinnovata fortuna critica mi allarga il cuore. Le riporto cosa ho scritto in una recente recensione di Sillogismi dell’amarezza: «Dopo la lettura di Cioran si esce frastornati e liberati, attoniti ed esaltati, dalla grandezza di questo apolide metafisico impazzito. Cioran, intossicato dal male di vivere (e dalla colpa di sopravvivere), sputa veleno salvifico sulla società e l’uomo per liberarlo. Cioran risponde con la flagellazione della scrittura al tritacarne dell’essere come in Italia forse solo Carmelo Bene aveva saputo fare con la parola, i falsi idoli e le maschere dell’uomo contemporaneo, arrivando a de-pensare persino sé stesso. Il pessimismo di cui è permeata la vita e quindi l’opera di Cioran è assoluto, ma liberatorio e salvifico…»
Cioran insieme ad Alda Merini (cui devo la mia iniziazione all’aforisma), a Lec, Kraus, Ceronetti e Flaiano, sono le mie stelle polari per la scrittura aforistica, frammentaria, minima, libera, irriverente, essenziale.
La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Mircea Eliade e il nostro Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
La vostra rivista sta svolgendo in merito un lavoro eccezionale, un ponte culturale di memoria e promozione di altissimo livello. Dagli interscambi culturali se ne esce tutti più ricchi e consapevoli di una comune socialità e umanità spezzata e da ricostruire. Personalmente conoscevo il lavoro di Ionesco, Mircea Eliade, Cioran, Celan, e degli autori contemporanei Valeriu Butulescu e Gheorghe Vidican. Quanto al Nobel Herta Müller, devo ringraziare l’opera meritoria di Sellerio e Feltrinelli che ci hanno fatto conoscere questa grande autrice dissidente e cosmopolita.
ROSARIA CATANOSO (intervista integrale qui)
In riferimento alla filosofia e alla cultura romena in generale, quali nomi hanno attirato la sua attenzione?
La cultura ha una storia di esili e di disperazioni. In terra romena sono nati i Tristia, invettiva sconsolata di un poeta in esilio dalla civiltà. Questo fatto accidentale, questo destino individuale ha segnato l’umore di un’intera stirpe di intellettuali. L’inconscio collettivo di una nazione in esilio, anche, da se stessa. A Roma ancora si stende la Colonna Traiana, dove spirali di bassorilievi raccontano l’asservimento dei Daci, gli antichi barbari di quelle terre danubiane. Chissà se Constantin Brâncuşi, scultore romeno, abbia pensato all’antica colonna quando creò la Colonna Infinita nel 1937?
Emil Cioran, Paul Celan, Costantin Noica, Nina Cassian, Mircea Eliade sono gli intellettuali che maggiormente hanno attirato la mia attenzione. Poeti e filosofi in esilio in Francia (Cioran e Celan) e negli Stati Uniti (Cassian, Eliade). A chi è rimasto in patria, come Noica, non è stata risparmiata la condanna a un esilio domestico, fra le mura di una prigione o nella propria abitazione. Il filosofo ha scontato, infatti, sei anni di lavori forzati negli anni Sessanta. Il destino di un popolo di schiavi, avrebbe detto Cioran. La storia di una schiavitù, ma anche di una disperata ricerca spirituale, di una filosofia votata alla trascendenza, di filosofi ossessionati dalla metafisica.
Il breviario dei vinti di Cioran, scritto a Parigi tra il 1941-1944, è la storia di una filosofia sconfitta dall’ottimismo della metafisica tradizionale, che ha messo al bando la disperazione, il dubbio, la fermezza di un popolo quali punti fermi fondanti della riflessione e del pensiero. La filosofia di un popolo di sconfitti e di vinti. Le parole di Cioran sono emblema di dolore e tenacia: «era scritto che noi, discendenti dei Daci e di altre popolazioni incerte, non consolidassimo alcun pensiero di felicità e che le gocce del nostro sangue formassero un rosario di dispiaceri ereditati da generazioni di vinti. Il sospiro e la maledizione furono la nostra strategia di pastori strappati a qualche stella moribonda, destinati a a scendere al cielo e a svilirsi invece nel tempo». A Parigi Cioran è assediato dalla noia. Le notti parigine di Cioran, tormentate dall’insonnia, gli hanno consentito una lucidità ossessiva. Il non-essere, la notte del pensiero e della storia è elevata alla positività dell’essere e da una metafisica sui generis. L’assurdo e il paradosso, la libertà totale dell’espressione sfiora l’insensatezza che ci conduce dritto all’opera diritto all’opera di un altro romeno illustre, ancora un franco-romeno, penso a Eugène Ionesco e al suo teatro dell’assurdo.
Schiavitù e libertà. L’originalità della filosofia romena consiste in quell’estrema libertà di pensiero dell’uomo in esilio, di chi è nato ai margini dell’Europa, di chi non è in debito con nessuno. E cerca un posto nel mondo. L’anima romena è un’anima in esilio, la figura del desiderio alla ricerca della rimozione originaria. L’irrequietezza di un popolo è affidata all’individualità di grandi intellettuali costretti ad affrontare il deserto della storia.
Per Noica, i grandi autori del canone occidentale sprigionano una verità fuori dal tempo, finalmente liberati dal peso della tradizione storica e storicistica. Finalmente non devono dar conto a nessuno.
A Chicago ha insegnato Mircea Eliade, storico delle religioni, antropologo, filosofo. A New York si è rifugiata, invece, Nina Cassian, poetessa. Entrambi minacciati dalla dittatura di Ceauşescu, che ha messo al bando le opere degli esuli. Cassian è nota per i suoi versi duri e al tempo stesso fiabeschi, pur rifiutando un’unica visione del mondo. Rigettare ogni sistematicità è un tratto distintivo di tutti gli esuli romeni. Per lo storico Eliade il rifiuto del sistema si articola nell’analisi dei riti e costumi dei popoli primitivi. In La nascita mistica del 1958 studia le tribù australiane, gli sciamani siberiani, i riti di iniziazione greci e indiani. Il suo è uno sguardo che si disperde nella pluralità dei miti e delle religioni, ma che ricerca l’origine e la genesi di un unico fenomeno, con l’autentico e malcelato anelito che soltanto un esule può dimostrare. Filosofi e poeti soli davanti alla propria condizione umana e ebri di malinconia e vita.
ANDREA CATERINI (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Viviamo in un mondo globalizzato. L’effetto della globalizzazione è prima di tutto la sottrazione, o la disgregazione, delle differenze e anche delle identità. La letteratura non è estranea a questa condizione. Leggiamo tutto in traduzione e uno scrittore americano, o francese o romeno, ci sembra un vicino di casa. Sappiamo che non è così, ne siamo coscienti, così come siamo coscienti che la terra in cui viviamo determina anche il nostro modo di stare al mondo. Ma non possiamo fare a meno di avere questa sensazione di globalità in cui ogni differenza – le nostre stesse radici – si dissipa. È un problema di cui non conosciamo ancora totalmente le conseguenze, che non posso fare a meno di immaginare spiacevoli.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Due nomi su tutti: Emil Cioran e Mircea Eliade. Li ho amati moltissimo. Di Cioran mi ha sempre colpito il modo in cui, scrivendo, sembrava alimentare il suo stesso pensiero, sempre a un momento dall’incendiarsi. Un incendio che dava vita a un’estasi stilistica. Di Eliade, invece, ho amato i suoi studi sul sacro, il suo lavoro antropologico.
GIANFRANCO FRANCHI (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
Cioran è parte integrante del mio bagaglio culturale; è un Adelphi e negli anni sono tornato più volte sui suoi testi, considerandoli a volte oracolari, a volte semplicemente molto consolatori, altre volte (che paradosso) quasi un «antidoto alla depressione». Ho particolarmente apprezzato due lavori di Vasile Ernu, destinati a raccontare la sua giovinezza moldava sotto imperialismo sovietico, soprattutto Nato in URSS tradotto dalla brava Anita Natascia Bernacchia; ho letto Eliade, naturalmente, e più ancora mi sono nutrito, almeno tre volte, di scritti di Ioan Petru Culianu (sono stato uno dei primi a scrivere del Rotolo diafano quando Simone Caltabellota lo ha fatto pubblicare dalla Elliot; credo che la fortuna del povero Culianu, qui in Italia, debba ancora iniziare).
Considero Varujan Vosganian padre di uno dei massimi esiti della letteratura romena contemporanea: il suo Libro dei sussurri è destinato a restare nel tempo. La Müller mi aveva esteticamente deluso, invece; comprendo bene le ragioni politiche del riconoscimento che ha ricevuto, in compenso, e fraternizzo, profondamente. Cărtărescu... mmm. Ha iniziato ad avere fortuna, qui in Italia, negli ultimi anni, quando io mi sono dedicato a letture diverse dalla narrativa. So che è molto amato da tutta una serie di lettori forti e di letterati che conosco e apprezzo. Mi dà un po' fastidio che sia diventato quasi di moda, nel circuito diciamo «alternativo». Quando tornerò a leggere narrativa andrò a cercare almeno uno o due dei suoi lavori. Non conosco ancora, invece, le poesie della Blandiana: raccontami, raccontatemi bene, a pelle mi sta decisamente simpatica...
FABIO FRANCIONE (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista “Orizzonti culturali italo-romeni” ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Confesso che conosco qualche autore, non li conosco tutti, però, a parte il fattore linguistico, molti docenti, professori, intellettuali italiani frequentavano la Romania, pensa solamente a Petronio, mi sembra che insegnasse a Iași. Non so risponderti, però le letterature europee sono, come dire, lente e vengono diffuse, naturalmente la diffusione per voi è ben diversa da quella che posso avere io. Una cosa importante, per dirti, piuttosto che la letteratura, è il cinema romeno. Il cinema romeno ha una grande forza evocativa.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Tutti quelli che mi hai citato li ho letti, li ho letti come si legge curiosamente la letteratura che è al di fuori dell’Italia, dopo trovi delle affinità e trovi delle cose che invece non ti appartengono, però tu hai citato degli autori che affrontano temi universali e dunque inattuali, di certo la Romania non ha vissuto periodi, come dire, felici nel ’900, però adesso credo che sia consolidata, un po’ come avvenuto per gli albanesi e le comunità arrivate in Italia negli anni 90 del ’900.
STEFANO JOSSA (intervista integrale qui)
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Eliade è nella mia formazione di classicista, storico, antropologo, critico letterario e storico della cultura (senza con ciò intendere che io sia tutte queste cose, ma solo che mi piace esplorare e sperimentare): l’ambizione a rintracciare i precedenti, fino all’archetipo junghiano, ritrovando da dove siamo partiti, archeologicamente, e come siamo arrivati, genealogicamente, la riconduco alla sua lezione (ibridata e contaminata con Nietzsche, Foucault e Agamben, ma certo tanti altri ancora di cui neppure sono consapevole, fino a tradirlo, eppur sempre in dialogo). Cioran mi ha dato strumenti di analisi del presente e dei testi da cui non posso più prescindere: la vita come dolorosa imposizione, eppur necessaria per provare quello stesso dolore sentito come imposizione, costringe a guardare tutto di sbieco, pensando che al centro c’è solo ciò che è più visibile perché conta meno. Mi sorprende l’assenza, in questo canone romeno, di Tzara e Ionesco: rivolgersi a loro per immaginare nuove forme di libro, sfidare il linguaggio e riflettere sul potere è secondo me ancora indispensabile.
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia?
Credo che l’orizzonte nazionale vada superato a favore di una prospettiva globale, come si fa ora con la World Literature,che a differenza della letteratura comparata non ricorre a temi da confrontare, storicizzandoli ma assolutizzandoli, bensì punta a capire la circolazione, valorizzando la dialettica tra originale e traduzione. Resta tuttavia fondamentale la coscienza della lingua, che porta con sé un’appartenenza culturale (oltre che percorsi di vita e formazione) che dalla nazione non possono prescindere. Proprio Eliade e Cioran, tra gli altri, hanno mostrato quanto sia produttivo lo scontro tra il confine e lo slancio, senza il quale si perderebbe lo stimolo della tensione come strumento esistenziale e artistico. Probabilmente l’Europa potrà essere un’occasione perché le culture si confrontino e mescolino di più e con più consapevolezza. Per ora, purtroppo, della letteratura rumena io incontro solo quello che emerge nel mainstream italiano, che è selezionato per lo più a fini commerciali ed è comunque sempre troppo poco. Se romeno dovesse diventare europeo, e poi mondiale, ed essere quanto più possibile in dialogo con polacco, ungherese, italiano, francese, tedesco, ecc., ma anche, se possibile, indiano, arabo, cinese, brasiliano, ecc., la letteratura avrebbe fatto un grande passo.
FILIPPO LA PORTA (intervista integrale qui)
«Credo che per capire la letteratura italiana è utile confrontarla con altre letterature», diceva in un suo intervento all’Accademia di Romania in Roma, e le proporrei di iniziare il nostro dialogo dalla letteratura romena. Lei è un buon conoscitore dell’opera di Mircea Cărtărescu, dal suo primo romanzo tradotto in italiano, Travesti, al giorno d’oggi. Quali sono, per lei, i tratti definitori della scrittura di Cărtărescu e a quale scrittore italiano lo vedrebbe più vicino?
A proposito di Levante, occorre interrogarsi su certi sviluppi per noi quasi ‘esotici’ del postmoderno (la Romania per gli italiani è un paese sconosciuto, perfino misterioso). Nel nostro immaginario più razzista, i migranti romeni hanno per un periodo sostituto gli albanesi come paradigma negativo. Dunque, autore postmoderno ed esplicitamente borgesiano – citazionismo, riciclaggio delle tradizioni, collage, e anche la modalità calviniana di rivolgersi direttamente al lettore – però al tempo stesso si sottrae al postmoderno perché la parola letteraria non riassorbe in sé l’intera realtà, anche se sembrerebbe il contrario: letteralmente le pagine del romanzo si distendono su una pianura vuota. In Levante,accanto a metafore che deflagrano e a preziosismi stilistici e al grande teatro della prosa che pure vi allestisce, c’è un profondo sentimento di tristezza e di smarrimento (un po’ accade anche con Roberto Bolaño). Cărtărescu si mantiene fedele al tragico, anche se scrive e fa letteratura come un epigono. Si può certo degustare come un autore barocco e immaginifico, che vampireggia l’intera letteratura mondiale (perdonatemi la battuta corriva). Il cuore della sua opera non è un cuore di carta e rivela non tanto una estenuazione letteraria quanto una estenuazione dell’anima.
Quali sono gli altri scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Be', a parte alcune grandi figure intellettuali del ’900, che ormai appartengono al patrimonio di ogni persona colta, come Eliade e Cioran, ho conosciuto e apprezzo molto Norman Manea, che vive in America (come lo stratega di origine romena Luttwak, con cui non sono mai d’accordo politicamente ma di cui riconosco l’acume...), poi trovo straordinaria Ana Blandiana, perseguitata dal regime di Ceausescu (Manea fu perseguitato sia dai nazisti che da Ceasescu!). Una poesia insieme civile e diaristica, in un certo senso la apparento alla Szymborska pur con le loro differenze. Poi ho letto saggi originali e acuti di studiosi dantisti e, andando a Cluj per fare delle conferenze, ho scoperto varie figure di saggisti, purtroppo non tradotti, che mi interessano molto. Sfogliandolo in libreria mi è sembrato notevole il filosofo e critico d’arte Andrei Pleşu, vorrei farlo tradurre e curarlo ma ho visto che ci sono difficoltà.
La rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» registra le pubblicazioni di letteratura romena in traduzione italiana nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Direi, purtroppo, in misura minima.
PAOLO LANDI (intervista integrale qui)
Lei è un buon conoscitore della scrittura di Mircea Cărtărescu e ha scritto un’ampia recensione al suo romanzo Solenoide, pubblicata su «Doppiozero». Quali sono, per lei, i tratti definitori della scrittura di Cărtărescu e a quale scrittore italiano lo vedrebbe più vicino?
Sono rimasto affascinato da Solenoide che è il primo libro che ho letto di Mircea Cărtărescu. Non posso, quindi, dire di essere un buon conoscitore della sua opera. Ma questo libro è stato per me una lettura importante con le 937 pagine dell'edizione italiana. L'ho letto in quattro giorni, non riuscivo a staccarmi. È un libro che ti costringe a ingaggiare una lotta con lui, perché alcune parti sono ostiche, respingenti. Ma, come accade nella letteratura migliore, poi tutto si ricompone nella mente del lettore che trova significato anche in ciò che lo aveva disturbato, o che gli era sembrato superfluo. È un libro che accosterei ai grandi classici della letteratura italiana, per la sapienza della costruzione, i rimandi letterari, la stratificazione del racconto, i molti personaggi.
Quali sono gli altri scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Ho letto Cioran e ho visto a teatro alcune pièce di Eugène Ionesco.
La rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» registra le pubblicazioni di letteratura romena in traduzione italiana nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Credo che ci sia molto lavoro da fare per far arrivare la letteratura romena al grande pubblico. Anche il romanzo di Cărtărescu lo definirei molto élitario, nonostante abbia avuto un'ottima accoglienza in Italia, insieme agli altri suoi romanzi. Cărtărescu è sicuramente un ottimo ambasciatore in questo senso. Uno scrittore come Cioran, che è diventato ormai un classico, ha contribuito a far conoscere la letteratura, la filosofia romena, che però meriterebbe un ascolto maggiore, data anche la vicinanza tra i nostri due popoli, gli italiani e i romeni.
IGNAZIO LICATA (intervista integrale qui)
In riferimento alla cultura romena, quali nomi hanno attirato la sua attenzione?
Il mio incontro con la Romania passa attraverso una serie di nomi nei quali mi sono imbattuto direi casualmente e negli ultimi anni si sono rivelati fortemente connessi, dandomi una visione forte e unitaria di una grande storia culturale. Inizierei da Imre Toth, un filosofo della matematica le cui analisi hanno mostrato come le conquiste razionali sono sempre innestate su un mare magnum in cui filosofia, arte, immaginazione ed emozione si fondono in maniera essenziale per la produzione di pensiero, cosa che sarebbe piaciuta a C. G. Jung e Mircea Eliade. Gli appassionati di musica italiani della mia generazione sono stati segnati dalle attività di Roman Vlad e dal suo celebre libro su Stravinskij, come dallo straordinario pianismo di Radu Lupu. Amore recente è Mircea Cărtărescu, sicuramente il più grande scrittore contemporaneo, l’autore che regala i sogni romeni per nutrire un’Europa che ancora non c’è. Un fenomeno simile si manifesta nel nuovo cinema rumeno, che in modo non ideologico sta indagando quelle situazioni in bilico che caratterizzano il nostro oggi, come nel cinema di Mungiu o di Porumboiu, quest’ultimo con la raffinata analisi dei linguaggi in forma di noir de La Gomera.
FRANCO MANZONI (intervista integrale qui)
Lei ci ha raccontato che negli anni ’80 presentò al circolo culturale romeno di Milano sue traduzioni da Eminescu, realizzate a quattro mani con la prof.ssa Stefanescu della Statale. Come è stata per lei quella esperienza e quali le sue considerazioni sull’opera del poeta nazionale romeno?
È stata un’esperienza insolita ed eccitante. Logicamente si entra nelle liriche di Eminescu con la stessa soggezione di quando si legge Leopardi. Tuttavia, tradurre significa necessariamente tradire l’originale, essere infedeli e cercare di offrire al pubblico un testo «forte» da un punto di vista del lessico contemporaneo, tentando di non violentare la musicalità dell’originale. Inoltre, come per noi Dante, la difficoltà consisteva proprio nel fatto che Eminescu è il padre fondatore della moderna lingua romena. Massima considerazione per me verso Eminescu e i suoi poemi. Lo stesso direbbe un traduttore romeno nel momento di affrontare la versione dei testi di Leopardi oppure Dante.
La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
Purtroppo in Italia, diversamente da altri Paesi, la poesia in generale non è letta e di conseguenza le sillogi vengono comperate da un pubblico sempre molto esiguo. Pur tradotti in lingua italiana questi grandi autori romeni dal Novecento a oggi non sono perlopiù conosciuti se non in una percentuale assai minima. Meritoria l’attività del sito succitato, che permette agli appassionati di attingere a questi autori in traduzione italiana. Personalmente sono stato impressionato dall’intensità e della forza del linguaggio di Emil Cioran, che non a caso si definiva fratello di Leopardi.
DANIELA MARCHESCHI (intervista integrale qui)
Se parliamo della letteratura romena, quali poeti e prosatori hanno attirato la sua attenzione?
Alcuni che hanno scritto in romeno e altri anche in lingue diverse: Mihai Eminescu, Lucian Blaga, a cui si devono pure saggi importantissimi sull’arte (Orizzonte e stile), Paul Celan, Ana Blandiana che meriterebbe il premio Nobel (mi auguro che gli intellettuali e le istituzioni romene sollecitino l’Accademia di Svezia in tal senso) e che ho il piacere di conoscere anche personalmente. Ma posso nominare pure Tristan Tzara, il teatro di Ionesco e pensatori come Mircea Eliade ed Emil Cioran. Soprattutto, però, devo ricordare l’incontro decisivo con le opere intense, originali, di Constantin Noica: un grande pensatore, che vorrei fosse più internazionalmente conosciuto per la sua lucidità nell’individuare le «sei malattie dello spirito contemporaneo» e aiutarci a non cadere nella tentazione del nichilismo; in ogni caso nelle braccia degli assoluti di ogni genere senza essere relativisti.
La rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» registra le pubblicazioni di letteratura romena in traduzione italiana nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Mircea Eliade ed Emil Cioran sono conosciuti dal largo pubblico colto. Tzara, Celan, Ionesco lo stesso. Blaga e Noica, del quale alcuni saggi sono stati tradotti negli ultimi trenta anni, mi sembrano ancora autori di nicchia, ed è un vero peccato, perché il loro pensiero aiuta a uscire dalle secche di tanta cultura, purtroppo stantìa, ripetitiva, di quello che preferisco chiamare il secolo lungo (e gli ultimi fatti ce lo dimostrano): il Novecento.
MATTEO MARCHESINI (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
Anni fa lessi Manea, e ne fui impressionato. Cărtărescu l’ho soltanto ‘annusato’, in attesa di avere, o meglio di darmi tempo: forse è la retorica lirico-monumentale da cui è circondato che per ora mi tiene a distanza. Quanto a Eliade e Cioran, classici di lungo corso anche in Italia, il discorso è diverso. Purtroppo Cioran è diventato la bandiera dei nichilisti a buon mercato, sprezzanti, estetizzanti e snob. La colpa è un po’ sua: sul tema consiglio un saggio di Alfonso Berardinelli che si trova in Stili dell’estremismo.
MASSIMILIANO PARENTE (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Pochissimo, a eccezione di Emil Cioran e forse Herta Müller, per via del Nobel.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Mi spiace ma di quelli citati ho letto solo tutto Cioran, che mi sembrava colui che toccava temi più assoluti. Guardi caso un espatriato, uno che voleva che il suo nome e cognome fossero pronunciati con la pronuncia francese. Io stesso non mi sento italiano, non mi interessa l’Italia, fatico anche a sentirmi perfino appartenente a questo orribile pianeta in questo terrificante universo, ma ho affrontato a modo mio, scrivendo, proprio per citare Cioran, l’inconveniente di essere nati.
GIACOMO RACCIS (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Anche in questo caso, ahimè, non so rispondere; in primis perché si tratta di un fenomeno che conosco poco o nulla io per primo (fatti salvi i grandissimi nomi di Cioran e più recentemente Müller e Cărtărescu). Non so se io possa considerarmi un lettore medio (forse rientro nella categoria degli addetti ai lavori), ma mi auguro che chi lo è scelga le proprie letture con maggior libertà e anche con un pizzico improvvisazione che io non mi concedo e possa quindi capitare – magari anche involontariamente – sulla produzione di autrici e autori romeni e da lì in poi andare alla scoperta.
Accanto a Emil Cioran, Herta Müller e Mircea Mircea Cărtărescu, potremmo aggiungere anche Ana Blandiana oppure Norman Manea. Per quali aspetti hanno attirato la sua attenzione?
Come ho scritto sopra: alcuni di questi autori mi sono noti e noto con piacere che, proprio in virtù della bontà della loro opera (non cioè per dinamiche extraletterarie), sono stati negli ultimi anni anche al centro del dibattito letterario italiano (penso proprio a Müller e Cărtărescu). Non so se possano però fare da apripista per un’attenzione maggiore nei confronti della letteratura romena. Ho l’impressione che in questi casi, anche per la natura della loro opera e per l’ampiezza dell’immaginario a cui attingono e che riflettono nei loro lavori, questi autori siano percepiti piuttosto come «europei», secondo un’etichetta che trascende l’appartenenza nazionale, ma che forse rende loro il giusto rilievo.
ALESSANDRO RAVEGGI (intervista integrale qui)
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Sicuramente grazie al lavoro di piccoli e grandi editori, penso a Bompiani, al Saggiatore, a Voland, che pubblicano e seguono gli autori più importanti.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Mircea Cartarescu è uno degli autori più innovativi degli ultimi anni, e uno di quelli che leggo con più attenzione, benché il suo tipo di letteratura non sia proprio una novità ed ha una radice, stravolta, novecentesca con influenze da un lato americano e dall’altro dall’est, da certa visionarietà della letteratura russa o anche dell’Europa centrale. Lui è quello che conosco di più. Ma sto cercando di farlo diventare la via per leggere nuovi voci, specie di scrittrici. Non mi interessa sicuramente il racconto realistico, quanto quello ricco di visioni, surreale, da realismo magico spostato a Est, come nella Bucarest narrata da Solenoid oppure Orbitor.
VANNI SANTONI (intervista integrale qui)
Lei è un buon conoscitore dell’opera di Mircea Cărtărescu. Quali sono i tratti definitori della sua scrittura e a quale scrittore italiano lo vedrebbe più vicino?
Credo che il tratto chiave della scrittura di Cărtărescu, o almeno quello che lo rende un autore unico al mondo, sia lo sviluppo di una sua specifica grammatica della visione, che va oltre le singole scene per abbracciare anche la struttura stessa di romanzi come Abbacinante o Solenoide. Non mi sembra che in Italia ci siano autori a lui vicini, per quanto negli anni scorsi si sia visto un aumento di approcci metafisici e visionari alla narrativa, per quanto poi rientrato: Cărtărescu, al di là dell’influenza della tradizione fantastica romena, è piuttosto imparentato con altri «grandi metafisici» dell’Europa centrale e orientale, come la succitata Tokarczuk, il bulgaro Gospodinov, l’ungherese Krasznahorkai, autori in cui si ravvisa, parimenti a quanto avviene con Cărtărescu, una piena digestione e originale rielaborazione della lezione di Kafka e di quella di Borges, con un tocco di realismo magico alla Márquez. Un altro autore che, per ragioni più legate all’approccio metafisico, può essere accostato, pur nelle sue differenze, a Cărtărescu, è il francese di origine russa Antoine Volodine.
Quali sono gli altri scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Sono da sempre lettore di Eliade e Cioran. Recentemente ho letto con piacere Sindrome da panico nella Città dei Lumi di Matei Vișniec, pubblicato dalla stessa casa editrice italiana di Cărtărescu, Voland, nonché Vita e opinioni di Zaharia Lichter di Matei Călinescu (Spider&Fish) e La sottomissione di Eugen Uricaru (Mimesis).
La rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» registra le pubblicazioni di letteratura romena in traduzione italiana nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
Credo che sia molto poco conosciuta, del resto anche lo stesso Cărtărescu lo era fino alla pubblicazione del secondo volume di Abbacinante. Buona occasione per diffonderlo.
La seconda parte della nostra inchiesta è consultabile qui.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2022, anno XII)
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