Donato Di Poce: «Per lasciare il segno nella storia della letteratura, ai poeti basta una virgola»

Continua la nostra inchiesta, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, nel campo della critica letteraria, con diversi argomenti di attualità e un'ampia indagine sulla ricezione della letteratura romena in Italia, un tema di particolare interesse per noi.
Ospite dei nostri Incontri critici, Donato Di Poce ama definirsi un ex poeta che gioca a scacchi per spaventare i critici. Nato a Sora (FR) nel 1958, residente dal 1982 a Milano. Poeta, critico d’arte, scrittore di poesismi, fotografo, studioso del Rinascimento, artista poliedrico, innovativo e ironico, dotato di grande umanità, e CreAttività. Ha al suo attivo 43 libri (tradotti anche in inglese, arabo, romeno, esperanto e spagnolo), 20 e-book e 40 libri d’arte Pulcinoelefante. Dal 1998 è teorico, promotore e collezionista di Taccuini d’Artista. Ha realizzato ©L’Archivio Internazionale di Taccuini d’Artista e Poetry Box di Donato Di Poce, progetto espositivo itinerante.
Una virgola per pensare (Quaderni del Bardo Edizioni, 2022) è il suo nuovo libro di aforismi.

«Ci sono scrittori che scrivono senza punteggiatura
Per lasciare il segno, nella storia della letteratura
Ai poeti basta una virgola»
Donato Di Poce


Lei è un poeta, uno scrittore, un fotografo, un c
ritico d’arte, uno scrittore di poesismi e tanto altro d’affascinante e sontuosamente leonardesco; poliedrico e tentacolare nell’esternazione dei suoi interessi: quanto crede nel sincretismo culturale, nella contaminazione di mondi apparentemente da intendersi come monadi?

In maniera assoluta. In questa società di iperspecializzazioni, di birilli ammaestrati, di cervelli monocentrici e unidirezionali, ho sempre amato le voci fuori dal coro, gli eretici, gli irregolari e sperimentatori, le contaminazioni di linguaggi, strutture, emozioni. Sono stato affascinato culturalmente da personaggi rinascimentali come Giordano Bruno (su cui ho scritto un saggio, Un poeta al rogo, Eretica Edizioni), Alberti, Vasari, Pico della Mirandola e Leonardo da Vinci. In anni più recenti ho adorato il lavoro di Munari, di Le Corbusier, Pignotti, tutti maestri di contaminazione e di sperimentazione di linguaggi tra Arte, poesia e scrittura e mi ha affascinato un grande filologo e studioso russo, Juri Lotman, che ha scritto, tra gli altri, un saggio interessantissimo, La danza delle muse, in cui analizza l’interdipendenza e la contaminazione delle arti (musica, letteratura, pittura, ecc.).


Idea ormai radicata è che l’Arte e la Letteratura nello specifico debbano uscire dai cenacoli accademici per essere vissuti nella pratica quotidiana, così da produrre un’eredità concreta e tradursi in un’azione culturale efficace. Quanto la sua opera integra la tradizione a ricerche espressive innovative?

Attualmente sto lavorando a un libro sul Rinascimento dal titolo La danza delle idee, con l’intento proprio di mettere in luce quanto sia stato importante all’epoca per gli artisti, poeti e filosofi, incontrarsi tra di loro, interessarsi contemporaneamente di filosofia, arte, poesia, architettura ecc.
Tutto il lavoro delle avanguardie artistiche del ’900 è permeato di contaminazione e innovazione. Tra i risultati più belli trovo l’affermazione di genere artistici quali la poesia visiva, i libri d’artista e i taccuini d’artista di cui io stesso sono un collezionista e studioso (vedi il mio sito www.taccuinidartista.it).


Taluni reputano che la Letteratura non prescinda dal tempo per interpretare semplicemente lo spirito della Storia universale e che, ciononostante, essa sia congiunta alla finalità delle mode e a qualsivoglia ambito del gusto. Quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo.

Scrivo per legittima difesa e per non morire e come ho scritto nella mia biografia «sono un ex poeta che gioca a scacchi per spaventare i critici…». Non sono un teorico della scrittura né un critico letterario. Mi interessa approfondire alcuni autori che sento vicini (Artaud, Bruno, Pasolini, Cioran, Flaiano, Ceronetti ecc.), sperimentare linguaggi e scrivere aforismi (poesismi) per essere più vicino alla mia anima e togliermi qualche sassolino dalle scarpe. A livello internazionale constato che continuiamo a subire una certa americanizzazione della cultura a scapito di tante realtà europee e arabe e asiatiche.


In Una virgola per pensare dedica a Cioran: «La poesia canta la vita / Accumuli di polvere sfuggita / Al respiro dei poeti». Ebbene, in qual misura Emil Cioran ha influenzato la sua formazione culturale?

Moltissimo credo, Squartamento fu un libro straordinario che mi aprì il cuore, il corpo e la mente a un altro modo di essere e di pensare. Ogni suo libro è stato fondamentale e la sua rinnovata fortuna critica mi allarga il cuore. Le riporto cosa ho scritto in una recente recensione di Sillogismi dell’amarezza: «Dopo la lettura di Cioran si esce frastornati e liberati, attoniti ed esaltati, dalla grandezza di questo apolide metafisico impazzito. Cioran, intossicato dal male di vivere (e dalla colpa di sopravvivere), sputa veleno salvifico sulla società e l’uomo per liberarlo. Cioran risponde con la flagellazione della scrittura al tritacarne dell’essere come in Italia forse solo Carmelo Bene aveva saputo fare con la parola, i falsi idoli e le maschere dell’uomo contemporaneo, arrivando a de-pensare persino sé stesso. Il pessimismo di cui è permeata la vita e quindi l’opera di Cioran è assoluto, ma liberatorio e salvifico…»
Cioran insieme ad Alda Merini (cui devo la mia iniziazione all’aforisma), a Lec, Kraus, Ceronetti e Flaiano, sono le mie stelle polari per la scrittura aforistica, frammentaria, minima, libera, irriverente, essenziale.


Nel suo libro
Una virgola per pensare ci sono molti aforismi dedicati alla scrittura e alla poesia tra cui questi:

Le parole sono vasi comunicanti

Onde gravitazionali che smuovono
Abissi di bellezza nascosta.
***
Scrivo poesie sui muri
Perché i libri sono occupati dalla prosa.
***
Tutti si credono poeti
Tranne i poeti.

Ci può dire qualcosa in merito?

La riflessione sulla scrittura e poesia è, in effetti, un tema costante della mia produzione aforistica fino quasi a diventare metapoetica. Credo semplicemente che questo aiuti a fare chiarezza sul perché e cosa cerco di fare e di essere in poesia e nella vita, anche rispetto a troppi invasati con l’aureola sulla testa solo perché gestiscono un blog o hanno pubblicato un libro.


Qual è, nella sua scrittura, il nesso tra aforisma e poesia?

I miei aforismi sono stati definiti dalla critica (Petta, Caramagna, Elefanti, Barrios) aforismi poetici, «poesismi» proprio perché fondono insieme ironia (tipica dell’aforisma) e liricità (tipica della poesia), filosofia e vita quotidiana. Alda amava il modo in cui riuscivo sinteticamente a esprime un concetto poetico con brevità ironia e sentimento, una sorta di umanesimo ironico e spesso autoironico («Sono un poeta fallito», «Cretini non invidiatemi/Sono uno di voi»). Credo che la forza dell’aforisma stia nella capacità di creare un cortocircuito emozionale, linguistico, esistenziale. Colpisce per la sua brevità e intensità.


Abbiamo parlato di Cioran. Soventemente, si finisce per identificare l’aforisma con La Rochefoucauld o Lichtenberg o Oscar Wilde o Karl Kraus o, ancora, Ceronetti. Può definirne le peculiarità, considerata anche la velocità del web?

Gli autori da lei citati hanno la caratteristica comune di aver fustigato i vizi della propria epoca in maniera brillante. Faccio notare che Oscar Wilde in vita sua non ha scritto mai nemmeno un aforisma. Tutti quelli pubblicati postumi sono stati estrapolati dai suoi libri, romanzi e commedie, che La Rochefoucauld e Lichtenberg sono conosciuti solo da pochi studiosi e addetti ai lavori e che Ceronetti e Flaiano sono grandissimi e attualissimi autori poco conosciuti dal grande pubblico ma che avranno un’importanza futura innegabile e crescente.


Del suo lavoro aforistico tra gli altri si sono occupati poeti e studiosi di aforismi del calibro di Adriano Petta, Anna Antolisei, Fabrizio Caramagna, Stefano Elefanti, Gino Ruozzi, Nicola Vacca, Antonio Castronuovo e Hiram Barrios. Quali delle loro riflessioni ritiene più importanti per il suo lavoro?

Sono grato a tutti questi cari autori e amici che si sono occupati del mio lavoro aforistico. Ognuno di loro ha detto e scritto parole e riflessioni importanti sui miei aforismi di cui sono grato, ma tutti hanno posto l’accento sulla contaminazione tra filosofia e poesia, ironia ed esistenzialismo. Una particolare amicizia e collaborazione si è sviluppata con Hiram Barrios, autore e traduttore messicano con cui è nato prima un feeling poetico e poi una vera collaborazione avendo realizzato insieme due antologie bilingui italiano-spagnolo: Silenzi Scritti e poi Clandestini/Clandestinos entrambi editi da I Quaderni del Bardo, Lecce.


Da anni molti si battono a favore del riconoscimento della
«bibliodiversità» della letteratura contro l’eccessiva predominanza della narrativa: ce ne spiega le ragioni, considerata la scelta dell’aforisma?

L’industria culturale ha creato gravi problemi e danni alla letteratura (come il mio maestro Roberto Roversi e Pasolini avevano previsto), imponendo nomi, stili, temi, scuole e generi. Quindi ha drogato il mercato con romanzi insulsi e romanticherie da baci perigina, imposto autori teleguidati e pompati dal marketig, autorevolizzati e spesso aureolizzati immeritatamente. In giro troppi, mafiologi, poetologi, vaticanologi, virologi, troppi tuttologi del nulla e dell’effimero. Poi, il colpo di grazia lo hanno dato i critici letterari che fanno troppo spesso giornalismo letterario di bassa lega e legato a interessi editoriali specifici. Di conseguenza, sono state penalizzate la poesia, l’aforisma e la saggistica e molti bravi autori resi irrilevanti o invisibili. Dobbiamo essere grati al lavoro della piccola e microeditoria che fanno scouting e valorizzazione di generi poco reclamizzati (poesia, critica letteraria, libri per l’infanzia ecc.) e al lavoro di poeti e scrittori che lavorano onestamente nell’ombra, nella clandestinità e invisibilità dei media.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione.
Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Da anni sono un convinto sostenitore della specificità e qualità artistiche e poetiche delle Donne (vedi i miei libri: Rompete le righe, Campanotto Editore, e Donne per l’Arte, I Quaderni del Bardo Edizioni). Sono altrettanto convinto che le Donne non hanno bisogno di fans e di garanti, ma solo di opportunità e di spazi per la loro creatività. Ho conosciuto una grande Donna come Alda Merini, che ha trovato spazio e fortuna solo dopo la spettacolarizzazione della TV, e Maria Pia Fanna Roncoroni, grandissima Artista che non ha avuto il riconoscimento che meritava. Conosco molte Artiste contemporanee (Anna Boschi, Aurora Maletik, Carmela Corsitto, Maria Micozzi, Tiziana Cera Rosco e Poetesse contemporanee (Fernanda Ferraresso, Antonella Anedda, Anna Lauria, Anna Maria Farabbi, Gabriela Fantato, Mariella De Santis) di grande valore e che faranno molto parlare di sé.
In generale, vedo un panorama ricco e vitale per le Donne in ogni campo della cultura, non solo della letteratura, dal giornalismo alla filosofia, dalla scienza all’aeronautica etc., ripeto, basta solo dare loro spazi e opportunità.

La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni oralità/scrittura e poesia/prosa, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo della critica è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?

Sono due media con potenzialità diverse e pubblici diversi, credo entrambe utili e indispensabili alla promozione della cultura. Il libro cartaceo non morirà mai, ma la diffusione e socializzazione passa anche attraverso internet e i social. Lo stesso dicasi per le presunte opposizioni oralità/scrittura e poesia/prosa. Sempre più autori sperimentano entrambe le forme d’espressione e spesso contaminandole tra loro. Io, ad esempio, ho inserito spesso nei miei saggi di critica d’arte vere e proprie poesie, e nelle poesie immagini che solo un amante dell’arte poteva scrivere. In futuro vedremo giovani autori che inventeranno sicuramente qualcosa di nuovo e attuale che saprà tenere insieme tradizione e sperimentazione, arte, poesia, musica, teatro, scrittura e silenzio nell’ottica di una POESIA TOTALE.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Mircea Eliade e il nostro Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database
Scrittori romeni in italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

La vostra rivista sta svolgendo in merito un lavoro eccezionale, un ponte culturale di memoria e promozione di altissimo livello. Dagli interscambi culturali se ne esce tutti più ricchi e consapevoli di una comune socialità e umanità spezzata e da ricostruire. Personalmente conoscevo il lavoro di Ionesco, Mircea Eliade, Cioran, Celan, e degli autori contemporanei Valeriu Butulescu e Gheorghe Vidican. Quanto al Nobel Herta Müller, devo ringraziare l’opera meritoria di Sellerio e Feltrinelli che ci hanno fatto conoscere questa grande autrice dissidente e cosmopolita.





A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2022, anno XII)