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Gianfranco Franchi: «Cioran è parte integrante del mio bagaglio culturale»
Continua la nostra inchiesta, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, nel campo della critica letteraria, con diversi argomenti di attualità e un'ampia indagine sulla ricezione della letteratura romena in Italia, un tema di particolare interesse per noi.
Ospite dei nostri Incontri critici, il letterato Gianfranco Franchi (Trieste, 1978), autore di una vasta produzione editoriale. Ha fondato e coordinato il sito letterario Lankelot (2003-2013) e ha pubblicato numerossime recensioni, saggi brevi e interviste. È stato nella giuria del Premio Campiello Giovani dal 2012 al 2022. Attualmente è addetto ai social dell'Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata (IRCI).
Si è interessato anche alla letteratura romena e, in particolar modo, all’opera di Emil Cioran, Herta Müller, Ioan Petru Culianu, Varujan Vosganian, Vasile Ernu e anche allo scrittore albanese-romeno Ardian-Christian Kycyku.
Lei ha narrato la musica, il calcio, il precariato, gli amori spezzettati, ovvero la contemporaneità più stringente. Ebbene, quale valore tributa ai padri, alla memoria, alla tradizione, alla «contemporaneità di tutte le epoche», citando Pound?
Sono un figlio del Liceo Classico, mi sono formato studiando letteratura italiana, letteratura inglese, letteratura latina e letteratura greca antica; ho amato Orazio, Catullo e Seneca quanto Ungaretti, Italo Svevo e Dino Campana, certi momenti di Callimaco o di Sofocle pesavano quanto le ballate di Coleridge o le poesie di Keats, Omero quanto Torquato Tasso. Prima ancora del Liceo, quando ero più piccolo... ero un bambino cresciuto leggendo tanta mitologia (greca, etrusca, romana, egizia, germanica, norrena) e tante pagine del ciclo bretone.
Da un certo punto di vista, è un paradosso che mi sia infine laureato in Lettere Moderne. Come tutti i letterati italiani, sento la responsabilità di una cultura antichissima addosso. È come se mi fossi reincarnato già tante volte, e di tante vite e certe culture mi fossero rimasti intensi e forse incancellabili ricordi. Qualcosa del genere.
Lei ha assunto il ruolo di coordinatore di Lankelot.com, portale di informazione e critica letteraria, fondandolo e animandolo fino al giugno 2013. In qual misura la produzione letteraria, oggi, è pilotata dall’assecondare gusti e obiettivi di giurie al soldo del mercato?
La letteratura italiana è diversa dall'editoria italiana; dovremmo fare discorsi ben distinti. Se il mio giudizio sull'editoria italiana contemporanea è piuttosto catastrofico, per tutta una serie di ragioni (produzione abnorme e irragionevole di materiale irrichiesto, uniformazione dell'estetica, tendenza all'editing macellaio, distribuzione viziata da meccanismi tossici, debito irrecuperabile, ecc.), devo dire che invece sono e rimango estremamente orgoglioso della letteratura italiana. Ho avuto l'onore e la fortuna di vivere in un'epoca in cui i migliori narratori si chiamavano Filippo Tuena, Tommaso Pincio, Daniele Del Giudice; c'erano critici come Andrea Cortellessa, come Claudio Magris e come Arturo Mazzarella; c'erano direttori editoriali come Roberto Calasso, Simone Barillari e Simone Caltabellota, c'era un art director come Maurizio Ceccato. La fregatura è stata la stupidità, la mediocrità, la vanità... e il disinteresse di troppi. La letteratura italiana è chiaramente tornata a essere una questione elitaria. I nomi che ho appena speso rimarranno. Potrei farne altri. Dovrei. Magari ne riparliamo meglio.
Lei si è laureato con una tesi il cui titolo reca La menzogna nella letteratura del Novecento. La ‘fine’ della politica come ampio racconto ha portato, secondo alcuni, all’ineffettualità dell’intellettuale. C’è un legame tra la fine delle grandi ideologie novecentesche e la crisi in cui versa la figura del letterato?
La politica è stata, almeno qui in Italia, davvero una sorta di «ascensore sociale»; questo valeva per tutti i partiti di massa. La situazione è mutata dopo la progressiva sparizione dei partiti di massa, dagli anni Novanta in avanti. Non so dirti se la sparizione dei partiti di massa coincida con la fine delle ideologie novecentesche; penso siano scomparsi prima i partiti che certe ideologie. Qui in Italia i nazionalisti, i cattolici, i rari anarchici e i tanti socialisti (o socialdemocratici) sono ancora estremamente riconoscibili; orfani del partito, questo sì. Tutti.
La crisi dei letterati è dovuta, credo, alla sparizione di un ruolo che per un secolo e mezzo abbondante abbiamo avuto; è dovuta al crollo dell'industria del libro e al collasso dell'informazione cartacea, quotidiana e periodica; è dovuta alla nostra «restituzione al recinto dell'insegnamento», perché questo grosso modo fanno i letterati, qui nel Belpaese; campano insegnando, tendenzialmente nelle scuole e molto raramente nelle università. Campano insegnando o facendo le guide (qualche poliglotta guadagna qualcosa lavorando da interprete o da «dragomanno»). Coi giornali non campa più nessuno, da un bel pezzo. Per tornare proprio alle origini dovremmo tornare anche a vivere nei monasteri e nelle abbazie. Non ti nascondo che se non avessi avuto moglie e figli mi sarei ritirato, già da diversi anni, magari in Umbria.
La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni ‘oralità’/‘scrittura’ e ‘poesia’/‘prosa’, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo della critica è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?
Personalmente, considero l'ebook una tecnologia mediocre e inadeguata; il libro cartaceo è una tecnologia che ha raggiunto, dopo secoli, un certo livello di esattezza e direi di perfezione; l'ebook è una tecnologia bambina con tutta una serie di limiti, di opacità e di fragilità che andranno corrette nelle generazioni a venire. Ad oggi, l'ebook è una scorciatoia per quei (pochi) giornalisti culturali superstiti o per quei (tanti) «lettori chiacchieroni» di internet che devono o vogliono leggere una quantità abnorme, irragionevole e sconsiderata di narrativa, per lo più di genere, tendenzialmente di una mediocrità sconsolante e di una ripetitività nauseabonda. Da quel punto di vista, l'ebook risolve il problema dello spazio e dello sperpero della carta. È qualcosa. A Roma diremmo «consolamose co' l'ajetto».
Idea ormai radicata è che la Letteratura nello specifico debba uscire dai cenacoli accademici per essere vissuta nella pratica quotidiana, così da produrre un’eredità concreta e tradursi in un’azione culturale efficace. Quanto la sua opera editoriale integra la tradizione a ricerche espressive innovative?
Risposta difficile. Io consideravo l'Università un tempio – qualcosa di sacro. Tuttavia, quando è stato il momento, post lauream... tutti i miei professori romani mi hanno sconsigliato di entrare in questo tempio, considerandomi «troppo libero» o, se preferisci, «troppo complicato da integrare» in un contesto gerarchico del genere, per varie ragioni che forse puoi immaginare. Non so se hanno avuto ragione o meno: questa strada che mi sono ritrovato, poi, a vivere (o mi sono scelto, o mi è stata riservata: scegli tu) è stata una strada a volte di estrema solitudine e a volte di terribile tristezza. Adesso che ho 44 anni e sono vecchio abbastanza da poter giudicare certe dinamiche «a distanza», con maggiore freddezza, credo di poterti dire che avrei potuto essere tanto «uno da cenacolo accademico» quanto «uno da piazza, da caffè e da strada», come forse sono stato, negli anni, sin qua. I miei maestri hanno sbagliato giudizio, dovevano lasciarmi entrare nel tempio. Pazienza.
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto ad innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
Non ho mai fatto distinzione tra maschi e femmine se non a letto, perché io sono etero e ho sempre preferito le femmine, sin dall'adolescenza. La risposta che ti do è questa: per me la letteratura è una. E la letteratura non è una questione femmina o maschio o transessuale o gay o lesbica o quel che sia. La letteratura è letteratura e basta. Mi spiace, ma considero certe posizioni veterofemministe profondamente condizionate da un'ideologia sbagliata e facilmente riconoscibile, ormai mi annoiano tantissimo e anzi: mi imbarazzano. L'Europa è una confederazione di popoli più o meno antichi, liberi e democratici e abbiamo ben altri disastri da affrontare (impuniti tiranni asiatici alle porte, imperialismo cinese, turco e russo, varie «quinte colonne» sul territorio nazionale, ecc.).
Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?
Un giorno, il Dalai Lama ha detto: «We have the power of truth. Chinese communists have the power of gun. In the long run, power of truth is much stronger than power of gun». Ecco: ti ho risposto. Poi c'è chi gioca a fare scrittura di intrattenimento, da salotto, da giardino, da centro sociale, da cameretta, da operetta, da propaganda ecc. Non ho niente contro di loro, ma ho una visione diversa da loro. Non sono come loro.
La letteratura romena è costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
Cioran è parte integrante del mio bagaglio culturale; è un Adelphi e negli anni sono tornato più volte sui suoi testi, considerandoli a volte oracolari, a volte semplicemente molto consolatori, altre volte (che paradosso) quasi un «antidoto alla depressione». Ho particolarmente apprezzato due lavori di Vasile Ernu, destinati a raccontare la sua giovinezza moldava sotto imperialismo sovietico, soprattutto Nato in URSS tradotto dalla brava Anita Natascia Bernacchia; ho letto Eliade, naturalmente, e più ancora mi sono nutrito, almeno tre volte, di scritti di Ioan Petru Culianu (sono stato uno dei primi a scrivere del Rotolo diafano quando Simone Caltabellota lo ha fatto pubblicare dalla Elliot; credo che la fortuna del povero Culianu, qui in Italia, debba ancora iniziare).
Considero Varujan Vosganian padre di uno dei massimi esiti della letteratura romena contemporanea: il suo Libro dei sussurri è destinato a restare nel tempo. La Müller mi aveva esteticamente deluso, invece; comprendo bene le ragioni politiche del riconoscimento che ha ricevuto, in compenso, e fraternizzo, profondamente. Cărtărescu... mmm. Ha iniziato ad avere fortuna, qui in Italia, negli ultimi anni, quando io mi sono dedicato a letture diverse dalla narrativa. So che è molto amato da tutta una serie di lettori forti e di letterati che conosco e apprezzo. Mi dà un po' fastidio che sia diventato quasi di moda, nel circuito diciamo «alternativo». Quando tornerò a leggere narrativa andrò a cercare almeno uno o due dei suoi lavori. Non conosco ancora, invece, le poesie della Blandiana: raccontami, raccontatemi bene, a pelle mi sta decisamente simpatica...
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 4, aprile 2022, anno XII)
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