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Giovanni Bitetto: «La critica culturale non esiste, è solo un ramo del marketing»
La nostra rivista inizia una nuova inchiesta a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, questa volta nel campo della critica letteraria, con diversi argomenti di attualità e un'ampia indagine sulla ricezione della letteratura romena in Italia, un tema di grande interesse per noi.
Nell’ambito dei nostri Incontri critici, interviene qui Giovanni Bitetto (n. 1992), che scrive di letteratura e società per varie testate cartacee e web, fra le quali «The Vision», «Flanerì», «Il Tascabile», «L'Indiscreto». Ha partecipato alle antologie Odi. Quindici declinazioni di un sentimento (effequ, 2017) e L'ultimo sesso al tempo della peste (Neo, 2020). Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo Scavare (Italo Svevo Edizioni). Si è interessato anche alla letteratura romena e, in particolar modo, all’opera di Mircea Cărtărescu. La sua recensione La letteratura è una farfalla: sull’opera abbacinante di Mircea Cărtărescu si può leggere su Ultima Pagina.
In Scavare il romanziere si adopera a contraddire la parola non romanzesca del suo antagonista, riconoscendo nondimeno che il proprio lavoro narrativo origini dalla compromissione con motivazioni, soventemente, legate ai gusti e alle tendenze del momento che semplicemente aderenti al merito. Quanto la critica letteraria è scevra da compromessi con la storia dei tempi?
Nulla è alienato dal proprio tempo, anche perché non sarebbe giusto così. Tuttavia al giorno d'oggi alcuni rapporti di forza sono alterati: la critica culturale non esiste, è solo un ramo del marketing, un modo per dare etichette all'ennesimo prodotto di mercato. Quando si parla di un libro lo si fa solo in termini encomiastici, spiegando perché lo si dovrebbe comprare, è raro che questo venga sviscerato nel profondo, che lo si inserisca in un discorso più ampio, che lo si valuti come un segmento di un più complesso affresco culturale.
Lei ha rappresentato ampiamente il Meridione, terra da cui proviene. È stato influenzato e in qual misura dal suo luogo natìo?
Ovviamente ne sono stato influenzato, come tutti sono influenzati dal proprio luogo di provenienza. Mi pare che fu Philip Roth a dire che, per uno scrittore, il luogo di nascita è una terra da cui si passa tutta la vita a scappare e, allo stesso modo, tutta la vita a ricordare. Per anni mi sono impegnato nella fuga, ora credo di avere uno sguardo più equilibrato, per questo posso soppesare con maggior acume pregi e brutture del contesto meridionale.
Oggi, in tantissimi scrivono romanzi e tantissimi sono gli esordienti. È altresì innegabile la crisi in cui versa il mercato editoriale. Quali parole sente di rivolgere a chi coltiva il sogno e la speranza della pubblicazione della propria opera?
Data l'abbondanza di realtà variopinte, di nicchie e nicchiette, pubblicare non è così difficile. La vera sfida è rimanere. Il mercato è un buco nero, i libri durano sugli scaffali delle librerie non più di qualche settimana. Le case editrici puntano a vendere poche copie di molti libri, perché i costi di stampa sono inferiori rispetto al passato e perché gli stipendi della filiera editoriale rasentano un livello imbarazzante. Non ci sono ricette per pubblicare, l'unica regola nella scrittura è la tenacia e la costanza, ma soprattutto la consapevolezza di approcciarsi a un settore pieno di contraddizioni.
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l'attuale status della letteratura esperìta da donne?
Di scrittrici brave ce ne sono un numero esorbitante, al giorno d'oggi possono parlare più liberamente perché il mercato editoriale riflette i cambiamenti in atto nella società. Tuttavia c'è ancora molto da fare: gli organigrammi delle case editrici sono ancora a prevalenza maschile, ma soprattutto gli uomini occupano ancora i ruoli apicali delle stesse.
Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?
La letteratura al giorno d'oggi vive un'esistenza clandestina. Non ha un vero impatto nella società, è uno strambo hobby per iniziati, come la numismatica o la costruzione di navi in bottiglia. Ciò che c'era di buono nella letteratura è stato sacrificato in nome dello storytelling, quell'algebra di narratologia a buon mercato che standardizza ogni prodotto culturale: un libro di successo non è diverso da una puntata di Masterchef o dal finale di stagione della serie tv di grido. Chi ha a cuore un certo tipo di letteratura non può far altro che mantenere vivo il fuoco, battere strade laterali, nella speranza che scavando nel vicolo cieco un giorno si sbocchi nuovamente sulla via principale.
La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni «oralità»/«scrittura» e «poesia»/«prosa», ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo della critica è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?
Non ravviso differenze fra cartaceo e digitale, si tratta solo di supporti. Piuttosto la letteratura deve vedersela con mutamenti epocali di altro ordine: il dominio della sfera informazionale, la colonizzazione dell'immaginario da parte di altri media, la svalutazione di un certo patrimonio simbolico, le richieste di un mercato sempre più bulimico e in affanno. Sono problematiche strutturali, ben più profonde della stanca diatriba fra i difensori della carta stampata e gli entusiasti dei supporti digitali.
La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?
La letteratura in generale, soprattutto quella contemporanea, non è conosciuta dai non addetti ai lavori. Di conseguenza quella romena ancora meno. Per anni abbiamo subito l'egemonia della letteratura americana postmoderna, che pure ci ha regalato ottimi titoli, nella prima decade del nuovo millennio invece andava di moda la riscoperta dei sudamericani. Negli ultimi anni lo sguardo degli addetti ai lavori è tornato a focalizzarsi sull'Europa, principalmente sui paesi ex-sovietici, chissà che da questa rinnovata attenzione non possa uscirne qualcosa di buono per la letteratura romena.
Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?
Come è noto, la mia predilezione va a Mircea Cărtărescu, che considero uno dei massimi esponenti della letteratura contemporanea mondiale. Ho letto di recente Solenoide e non mi ha lasciato insoddisfatto, lo considero il gemello onirico e disturbato dell'immaginifica trilogia di Abbaccinante. Un altro libro che mi è capitato per le mani è Sindrome da panico nella Città dei Lumi di Matei Vișniec, edito per Voland, una commedia disperata e divertente dal sapore mitteleuropeo.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 3, marzo 2022, anno XII)
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