Angela Marinescu: una retrospettiva (IV). Dal 2003 al 2009

La quarta parte della retrospettiva dedicata ad Angela Marinescu include poesie provenienti da alcune raccolte pubblicate tra il 2003 e il 2009: Mangio i miei versi (2003), Silenzio sessuale (2003), Accadimenti derisori della fine (2006) e Problemi personali (2009).
Riguardo a questa penultima fase della poesia di Angela Marinescu, Ruxandra Cesereanu scrive: «Le poesie di Accadimenti derisori della fine sono frammentarie, come se fossero intenzionalmente incompiute, per conservare la dimensione della naturalezza; sono composte da versi brevi, scritti in un getto cinico che non ha per forza una qualche finalità. È una poesia je m’en fichiste. […] La poesia approfondisce lo scisma tra tra la maturità e la senilità, mirando ad un’indifferenza relativamente disperata, proponendo come unica soluzione l’autorigenerazione nel bozzolo della creazione (attraverso l’incomunicabilità e l’incompatibilità con gli altri). […] Angela Marinescu non cambia i temi dei volumi precedenti che l’anno consacrata per due o tre decenni (da questo punto di vista, la sua poesia ha una visione omogenea e unitaria), ma li ridiscute dalla prospettiva di un’età differente. […] Ciò che mantiene fresco il tono della poesia nera di Angela Marinescu è l’estremismo, il libertinismo lirico, mai inibito, privo di tabù e pregiudizi, un lirismo che affronta la vita in un modo virile, senza mettere in pericolo la femminilità così speciale della poetessa. […] Col volume Problemi personali (del 2009), il radicalismo e il non conformismo di Angela Marinescu conoscono una semplificazione dimostrativa e insidiosa che se da un lato infonde alla poesia una forma di narratività (ogni testo narra un racconto interiore acuto o una tensione costante con il mondo e nel mondo), dall’altro lato concentra una violenza scismatica».
Alla Fiera del Libro Gaudeamus 2023 di Bucarest, l’Istituto Culturale Romeno ha dedicato uno speciale evento omaggiale alla poetessa Angela Marinescu, dopo la sua scomparsa.



Da Mangio i miei versi  (2003)

Sull’immagine

Penso soltanto ricordo soltanto
l’amore più profondo che ha cambiato
il posto dei miei organi vitali tanto che, adesso,
il dio è sceso con una pigrizia immensa verso l’interno
disciplinato di se stesso ed è diventato qualcos’altro, un pugno
di semi colorati che ruotano come i motociclisti
sul muro della morte e allora, al posto del dio, è sgorgata l’ossessione,
crudele, sono rimasta davanti a lei così come la pelle della testa
nasconde l’immagine brutale di dio


Parto in guerra

A Claudiu

In questa notte leggermente schiusa, come una porta stretta,
verso la morte, in cui solo il filo tenuto nelle mani, maschile,
ritrova la sua vocazione per la poesia splendida
abbandono la mia rivolta che mi ha mangiato il corpo
come un corvo impaurito

non posso essere posseduta non posso possedere nessuno e allora
sputo sangue rosso e parto in guerra
sul campo di battaglia del silenzio là dove le mani e i piedi

non hanno più nessun valore e dove
il poeta più povero riacquista il suo rango

alla finestra spalancata della storia riecheggiano i suoni
del potere lontano come cani scorticati vivi
per annunciare la rinuncia alla pelle e alla forma come una più antica
strategia della poesia.

a volte la mia patria è soggiogata dall’impotenza di appoggiare
sul suo petto sporco che si alza sfinito la bandiera impudente 
dell’ingenuità, lo sbandieramento come trionfo di un rigore più profondo
come la freddezza dei miei occhi.

allora introduco la mia mano sotto le sue vesti sociali
finché m’intimorisco

allora, nel mio ordine sociale si vedono soltanto
le mie cosce chiudersi nel buio

solo questo; a volte, a tarda sera, dai rami
di un albero altissimo,
gli scoiattoli giocosi
si lanciano nel vuoto

 


Da Silenzio sessuale (2003)

***

Sono entrata in te come un ariete
gli ho detto non sono capace di una strategia semplice
mi piacciono le guerre terrestri corpo a corpo
con carri armati con cingolati e fucili primitivi
le guerre fredde sono per i poeti
più intelligenti della nazione
da lontano riconosco solo l’immenso sole rosso che tramonta
sulla mia testa fatta a pezzi
mi piace il sole perché ho una struttura
da tossicomane e mi ricorda di mio padre morto
decomposto e del suo fallo floscio sulle cosce
lui non mi riconosceva più diceva che non ero sua figlia
scrivo perché mi sento colpevole
ho nascosto le sue medicine come fiori
che spargevano un profumo velenoso
ho fumato con sergiu pazzia
accanto al suo corpo martoriato



Da accadimenti derisori della fine (2006)

Una donna è solo il canto di un cigno

Una donna è solo il canto di un cigno
una donna è solo spazzatura fosforescente
che si masturba
un pezzo di carne
rossa magra
buona sana
fibra merce
che deve essere stuprata
da un cervello estraneo
io sono nata
già stuprata
dal
mio
cervello

 

Da questo coltello scorre metallo

da questo coltello scorre metallo
quando ti amo
dall’albero immobile scorre legno
quando ti amo
dall’asfalto scorrono puttane
quando ti amo
dall’acqua scorre fango
quando ti amo
e ti amo perché non sai che ti amo
perché non sai ciò che mi piace di te
perché non puoi immaginarti
ciò che m’immagino quando ti guardo
verde in volto come un nemico
perché è difficile non toccarti
ma non ti toccherò mai
nemmeno all’inferno e nemmeno qui
sulla strada per te così nota
tanto da impazzirne
perché tu sei
appena all’inizio
io sono
appena
alla fine.

 

la cera della mia esperienza satura della comprensione del buio

la cera della mia esperienza satura
della comprensione del buio
si è piantata nella parete
come un chiodo da cui pende
un quadro nero
e colui che verrà intorno a me
vedrà solo il quadro
e colui che verrà intorno al quadro
sentirà solo un suono viscerale
come quello di un libro indifferente
che ci alienerà tutti.

 

Non voglio che seppelliate voi me

non voglio che seppelliate voi me,
ma che seppellisca io voi.
l’erba cresce direttamente dalla testa.
il gatto miagola qualcosa di difficilmente decifrabile.
non credo che sia più necessario sapere che cosa sia
aldilà dell’obliquità perfetta, cioè inesistente.
dei suoi occhi.
è come se dicesse: strappagli l’erba dalla testa.
non si può, l’erba cresce direttamente dalla testa.
è solo nella testa,
per questo non si può,
allora strappagli gli occhi dalla testa,
contro la superficie
tesa e rasata della testa.

 

Parlavo con qualcuno della nebbia

parlavo con qualcuno della nebbia
e la discussione era diventata di un’intensità
inverosimile
e proprio allora quando credevo che sarei morta
seppellita in gocce d’acqua
così piccole
da sembrare un vapore che avvolgeva da sempre
il mondo
si è alzata la nebbia
come una lapide
e il mio sguardo limpido
non ha più visto Lazzaro
avvolto nel lenzuolo trapassato
dal buio della notte cristiana
solo la luce fredda come ghiaccio
di un giorno
infinito
di tardo
autunno.

 

Da Problemi personali (2009)

Paesaggio d’inverno

ho bisogno d’aria
aria senza mani e
senza piedi,
senza scarpe
né vestiti,
non importa quanto siano grigi
aria che entra nelle narici
con forza
e le dilata
che trafigge distanze
infime
opache
piene di sangue
aria
che sta per
riversarsi
come la neve
sulla
montagna.

 

Gioco di laboratorio

tendi le tue mani in aria come uccelli di laboratorio
e poi lasciale andare,
osservale con gli occhi socchiusi
mentre precipitano come il piombo
su tavoli lunghi e tecnici
e si uniscono tra loro, nella caduta,
come un fratello e una sorella,
incestuosi,
e col sesso capovolto,
come un guanto soft,
sfilato dalla mano sinistra
di Putin.

 

XXX

canta il gallo
ma solo
nella mia immaginazione
malata
di una malattia
che
non conosco
e il gallo
è
la morte.

 

Ricordo di una studentessa di medicina

alle autopsie a cui ho partecipato
vulnerabile al freddo
con le finestre spalancate in ogni stagione
nel corso degli anni
come studentessa di medicina
con la formalina rimestata dalle nostre
mani inette
e precise
come ogni strumento tecnico
applicato direttamente sul morto
nessun cadavere è stato
più vicino alla perfezione
alla rivolta cinerea e livida
e all’oscenità ultima
quella che ti tiene ancora in vita
alla fine della vita
come la poesia.




Retrospettiva parte prima, parte seconda, parte terza.

A cura di Giovanni Magliocco
(n. 9, settembre 2024, anno XIV)