Angela Marinescu: una retrospettiva (II). Da «Blindajul final» (1981) a «Var» (1989)
La seconda parte della retrospettiva dedicata alla memoria di Angela Marinescu include poesie provenienti dalle due raccolte pubblicate negli anni ’80: La blindatura finale (1981) e Var (1989). Si tratta di due momenti focali nel percorso poetico ed esistenziale di Angela Marinescu poiché aprono e chiudono un lungo periodo in cui si abbatte sull’autrice la censura del regime comunista ed il divieto totale di pubblicazione in rivista ed in volume. Se La blindatura finale è l’ultimo baluardo di fronte al deserto del silenzio che verrà, Var è una riaffermazione potente della (propria) parola poetica aldilà di questo silenzio, trattandosi della prima antologia pubblicata dalla poetessa, arricchita da una corposa sezione di inediti che continuano, con grande omogeneità linguistica, stilistica e tematica, la strada intrapresa ne La blindatura finale. In queste due raccolte si consolida e radicalizza la tendenza inaugurata in una serie di brevi poesie incluse nel volume del 1979, La struttura della notte(Structura nopții), una tendenza che conduce alla massima concentrazione e astrazione, al minimalismo di una parola che a tratti si fa ellittica e quasi ermetica, vera e propria fase nigredo nella poetica dell’autrice, dove alla nerezza del piombo (alchemico) si sostituisce quella del ferro. Queste brevi poesie, scandite in modo quasi rituale, rivelano sotto i neri riverberi della loro ripetitiva essenzialità, i due poli entro cui si fluttua l’esperienza poetica dell’autrice: la cerebralità più fredda e la visceralità più violenta, polarizzate da una costellazione di immagini perturbanti e angoscianti che ruotano intorno alla quaternità: Ferro-Sangue-Cervello-Cenere.
Giovanni Magliocco
La sintassi asfissiata delle «poesie di ferro», che costituiscono una delle sezioni de La struttura della notte (1979), rivelerà la sua incisività visionaria ne La blindatura finale (1981), volume per il quale «le poesie di ferro» non sono state che un preludio […] La febbrilità della dizione poetica e la trascrizione brutale dei tremori dell’immaginazione, accanto alla brutalità ostentativa delle annotazioni, sono sul punto di gettare sulla pagina, senza intermediari, «le viscere» contratte di una psiche turbata, mentre la poesia diventa una pura scrittura spasmodica. L’orrore e il terrore sono i circuiti esistenziali su cui si muove, in repliche esasperate, la poesia, dominata in primo luogo dalla precisione dell’incubo, dal cospetto scrupoloso del supplizio. Il terrore che respirano le poesie ha portato anche la sintassi verso un cataclisma che ha distrutto tutta la sua struttura, polverizzandola in atomi irradianti. Lo stesso lessico della poetessa si contrae in modo pericoloso, toccando un livello rischioso di ridondanza. […] Gli inediti dell’antologia Var (1989) sono la terza emissione dell’angoscia irrimediabile che si instaura nella visione della poetessa. […] Il sangue e il ferro sono le materie, quasi esclusive, di questo mondo che è pronunciato in impetuosità drammatiche, vivendo la febbre nera dell’annientamento in una sintassi angosciata e con una lucidità che contrae nel reale il chimerico. Le poesie de La blindatura finale (che si estendono con alcuni inediti di Var) sono, per il loro pathos demonico, una specie di poesie suicide. Più che un volume di poesie si tratta di un seppuku, di una confessione-harakiri.
Al. Cistelecan
Da La blindatura finale (1981)
***
Questo campo di ferro blu è il cielo.
stelle fredde mi entrano nella carne accecandola.
il loro nucleo disloca tutto ciò che non ha anima.
abbraccio, all’interno, la loro materia bruciata.
solitudine, bacio metafisico
la mia bontà mi spaventa come un istinto
credo nella felicità, nulla può fermarmi.
né la fiamma del male, né la morte.
***
Le mani con cui amo
sono mani di boia o di chirurgo.
con loro innalzo un inno alla distruzione.
al peccato innestato sulla lacerante menzogna.
sono mani che trasformo
in strumenti di massima precisione.
mani sul cervello.
***
Senza vita. i sentimenti non hanno vita
nucleo di cenere, violento.
le mie mani sono piene di cenere.
la fine, faro che illumina, voi, piccole onde
piene d’impotenza.
vi infrangete sul mio cervello assetato di sole.
getta la cenere, la cenere di ciò che tu stessa sei.
la cenere è la morte.
solo la morte ha vita.
tu stessa gettata nella luce della morte.
luce fredda. febbrilità.
una sola stella conosco.
il suo sangue ghiacciato mi riempie le vene.
inghiotto il mio stesso sangue.
gusto di cenere. violento.
la poesia è l’approssimarsi della morte.
è il cammino solitario e sconosciuto.
tu, stella. mi tendi la tua mano irreale.
nave bruciata.
cenere innalzata al cielo.
cielo fatto cenere.
***
Noia e istinto. creatura
immobile in mezzo al silenzio.
quanto veleno nel sangue, altrettanta pazzia.
fantasmi. allucinazioni d’argento.
voci, monastero soffocato di voci.
il fiume sotterraneo del sangue inonda il monastero.
disordine. disordine. Pipistrelli che si scontrano.
ardono le celle. ci sono fiamme
che non puoi toccare.
così tanta sete fa male.
tra me e me una voce slava
spegne le sue vibrazioni precise
segnali freddi e magnetici come ossa vecchie
piantate nel deserto.
non puoi più ridarmi la pace.
nel cervello sta per implodere l’alba
fluttuando sulla schiuma scura dell’orizzonte
una folla, compatta, che si inginocchia
meschina, davanti alla porpora di sangue.
una folla stremata.
la lotta è in me, nulla fuori.
solo la terra e il fuoco, e il sole.
dio vivo. il desiderio della comunione.
l’estasi lacera la carne.
***
Avvelenati da cerchi di acciaio, gli stessi avvelenati
eventi. si ripete, si confonde
il cammino univoco dall’amore alla morte, riflesso
concentrato.
la luce costruisce il suo cammino tra
erbacce di metallo. Quanto vorrei spaccarmi in due
corpo e cervello!
contro l’evidenza, il nulla. contro
la vita e la sua luce che penetra tra cellule
e tessuti compatti, il sangue.
sulla punta dello stiletto, IL CIELO.
***
sui macellai radunati
all’angolo buio della strada, volano farfalle.
non ho mai visto agitarsi
così tante farfalle.
aquile d’oro bevono a sorsi occhi che non sono fatti per vedere
ma per tagliare.
oh la la!
gruppo immobile, schizoide, che urla nel vuoto, verso se stesso.
tra i fili dell’alta tensione che abbracciano
il campo, passano le loro mani scure.
per il campo che gorgoglia di sangue volano puzzole putride.
tra i macellai che gorgogliano di sangue si trascinano
farfalle.
voglio bere un vino di macellai.
i macellai urlano. Verso il silenzio nella coppa della morte.
***
la ferita aperta come una vasca
in cui sono impiantati elettrodi
per l’istaurazione dell’inesorabile ordine.
ho paura di me stessa.
un teschio di diavolo confitto
nel mio cervello infermo che non concepisce il male.
a volte, metalli mi fissano negli occhi.
come se fossi fatta di metalli.
dal sangue e dai capelli fino
all’anima e alla volontà.
solo la speranza del tentacolo cosmico
che in uno sfolgorio rosso chiude ogni bocca.
dovrei provare vergogna? darei qualsiasi cosa per una buona vendetta.
cobalto e uranio irradiano i miei occhi.
sono tossica a me stessa come una goccia di cianuro.
qualsiasi cosa io tocchi in cenere mi tramuto.
e il filo spinato che mi circonda è mortale.
io sono il filo spinato.
***
Una mano potente
nera
stretta sul cervello
pugnale nel pugnale:
amaro come il vuoto.
***
Il mio cervello nel
tuo cervello
avvinto
squartati nel sangue delle parole
la mia sola preghiera è l’atto sessuale
appassisce la morte
volano i fiori
porti tremando l’inquietudine
la decisione santa
lo strangolamento metafisico
***
La tua fronte la brace
chiodo che sento vibrare
solo all’approssimarsi della morte
nei fiotti dello specchio si solidifica
ciò che non può essere nominato
altro volto nella notte rovente
resto tremante con le braccia che sorreggono l’impotenza
e il senso
grate di ferro sulla volta celeste
la pazzia sempre mi inghiotte
e io inghiotto lei bianca come la calce
***
Leucemie nere si sfaldano
accanto allo stiletto nel cielo di cobalto
il midollo osseo
cresce sulla vena svuotata
nelle fiamme il chiodo macerato disloca
il vuoto
nel sesso del cervello cresce un fiore abissale.
Bevi piano. Bevi piano.
quanto devi essere silenzioso per sentire
il silenzio.
macinato in bocca il mormorio marcisce
rosso come il sangue
sconfitto.
***
Liberazione dalla forma e dalla vita
sotto il sole del nulla
col cervello scoperto
concentrato nell’istinto
del disinteresse assoluto
quanti di vita
e larghe onde nere vuote
tremante e perduta
sotto la precisione sessuale
della volta stellata.
***
polvere di sangue
concentrato
sangue svelato
la solitudine brutale
della libertà
in agguato l’occhio
tagliato in due metà uguali
il terrore
del buio
che trasfigura
la luce
Da Var (1989)
***
noia fino all’istinto della morte
sintetizzatori di sangue imputridiscono irreali nel cervello.
ombre di ferro.
ombre sulle mani. scende sull’ombra del mio sangue
l’ombra del mio cervello.
bruciate dal metallo
il metallo monotono fatto a pezzi sul petto,
lo specchio della Struttura sul Volto Informe.
nella comprensione profonda del mondo
la pace di metallo della parola.
sono cieca ed estraniata. in questo
paesaggio Ti sento guardare
il metallo freddo nelle mani della cieca.
***
il ferro inonda lo spazio
parole spezzate dal sangue roteano
su orbite invisibili
mi riempio la bocca di parole
mi riempio i polmoni di parole
non sento le parole
la sofferenza bianca come la calce
non sento la materia.
le mani bruciate dal sole
non sento l’amore
il veleno, come un santo, mostra il suo sangue
la materia brucia. le parole bruciano.
estranea schianto la mia fronte sul sangue.
le parole toccano la pupilla estraniata
della cieca.
***
spaccatura di sangue sul cielo
si piega il ferro sul ferro. stretto
nelle mani fino alla macerazione.
la metafisica del ferro: sangue.
la malinconia meccanica della morte.
la legge di ferro delle mie mani
mani bruciate dall’istinto.
l’abisso delle mani nel cervello.
una parola come una mano
la mano bianca come la calce
incollata alle pareti nude della sera
con il pensiero a te
m’inginocchio
nell’abisso
fino al sangue.
***
il cervello della cieca attratto dal campo di forza
cervello diviso definitivamente,
che fluttua sull’orbita fredda. lesione profonda
del nucleo. irreversibile.
nello spazio elettroni perduti
parole colme di sangue
con le mani del rifiuto sul cielo.
strisce nere, strisce nere
Il ferro mi copre il volto
***
su questo cammino di nessuno
con la disperazione nelle mani
davanti a me, sdoppiato
un granchio di metallo
cammina sempre verso se stesso.
le tenaglie di ghiaccio
vibrano nel vuoto
Ferro tra le Mani
l’espressione ultima
della Razza di Metallo
***
il dolore dentro la felicità più profonda.
tramonto preciso della materia.
con le dita nere comprimo
il mio petto. precipitata in me
senza ritorno. il ferro irreale. luce di ferro.
nella vena la parola si disfa fino al
silenzio.
si lacerano ombre sui muri. un sole bianco
sfigurato nel cervello. fiamme su fiamme
nel cerchio di ferro.
catene su grate.
il mio nutrimento è nero.
***
angusta l’aria solidificata che mi circonda
io stretta e distrutta da una materia nera
al posto del cervello, la stella nera – la lebbra metallica.
l’ablazione del reale.
eccessiva la libertà interiore
mi divido da me stessa con una forza uguale
a quella del metallo nero.
l’azione dell’intelletto lacerata – schiantata contro il muro.
la materia dura come il cielo. sul muro di ferro
la cieca
profonda
si bagna nella luce.
Ferro. Sangue.
***
La disperazione della famiglia
macerata nel cranio
la duplicità consuma sangue
parenti di ferro
bruciati
fluttuano in cielo
sul cielo nero
un altro cielo stellato.
l’indifferenza nera del cervello
lo sguardo della solitudine
***
precipitata nel mio pensiero nero
fino alla parola.
sfigurata
i raggi mistici dell’amore
distrutti sul volto
brucio in piedi
scossa
dalla forza della solitudine.
***
le tue mani bianche mi toccano i polmoni.
sul volto la polvere e il terrore fisico.
tutto ciò che mi è rimasto: l’abisso dell’atto,
la divinità, il rifiuto, il ferro, le parole.
le mani implodono.
La prima parte della retrospettiva è accessibile qui.
A cura di Giovanni Magliocco
(n. 6, giugno 2024, anno XIV) |