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Inchiesta esclusiva. 20 nuove testimonianze sull’attuale condizione dell’artista donna in Italia (I)
Continua il nostro ampio progetto-inchiesta sull’attuale condizione dell'artista donna in Italia, iniziato ad aprile con la pubblicazione dei primi eclatanti risultati, con le testimonianze di 33 artiste, curatrici, galleriste, storiche, critiche d’arte, collezioniste, appartenenti a generazioni diverse e provenienti da differenti centri culturali e accademici della Penisola (parte prima, parte seconda).
La prospettiva italiana ci offre punti di incontro con la percezione romena espressa nell’inchiesta esclusiva le cui prime risultanze sono state pubblicate nel numero di marzo 2021, con 29 voci rappresentative dell’arte romena contemporanea alle quali si aggiungono a maggio altre 10 voci. I contributi finora raccolti sono accessibili nell'apposita sezione dell'edizione romena.
Nel format che vi proponiamo, la riflessione scaturita dallo scambio di idee e punti di vista è accompagnata da una ricca galleria di opere che va dalla pittura alla scultura e alle installazioni, dalla rilettura della tradizione alle contaminazioni e al dialogo con il fumetto e l’illustrazione.
(Nell’immagine, Laura Cionci, Todo lo que yo digo se hace realidad)
In questa pagina intervengono Michela Alfè, Elena Bellantoni, Primarosa Cesarini Sforza, Laura Cionci, Manuela De Leonardis, Elena Dell’Andrea, Laura Vdb Facchini, Cristiana Fasano, Tamara Ferioli e Loredana Galante.
Un'altra pagina ospita gli interventi di Arianna Giorgi, Silvia Infranco, Silvia Inselvini, Roberta Maola, Patrizia Molinari, Lulù Nuti, Laura Renna, Ivana Spinelli, Francesca Tulli e Lucia Veronesi.
Il progetto, a cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin, andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.
Michela Alfè (artista e ricercatrice dell’Istituto di Ricerche sulla Combustione - IRCCNR, Napoli)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
L’invisibilità e in generale la continenza della figura femminile è sempre stata conseguenza di una impostazione sociale di tipo patriarcale. La libertà espressiva e di posizione di cui godiamo ora è il risultato delle conquiste sociali del secolo scorso ed è cosa relativamente recente, dovremmo sempre averlo presente. Oggi mi pare ci sia più attenzione nei confronti dell’arte prodotta da donne, anche perché, dopo aver scardinato alcuni pregiudizi, l’arte declinata al femminile ha smesso nella maggior parte dei casi la sua (seppur necessaria) veste militante concentrandosi sulla circostanza prettamente artistica, svincolandola da qualsivoglia funzione o funzionalità. Credo, infatti, che qualsiasi cosa ingabbi e circoscriva l’atto creativo assoggettandolo a una funzione, finisca con l’impoverirlo.
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Sì, probabilmente esiste uno specifico femminile. Inevitabilmente mi sono trovata ad ammettere che molti processi mentali femminili seguono percorsi articolati in modo diverso rispetto a quelli maschili: queste differenze, complesse e interessanti da comprendere, emergono nella produzione artistica e sono state spesso semplificate in dannosi stereotipi di genere. La mia ricerca artistica è anche volta alla comprensione di queste diversità percettive soprattutto come dovere verso me stessa in quanto artista-donna immersa in uno spazio di stimoli e informazioni.
Riguardo ai modi di espressione del femminile, mi sembra quanto mai calzante un aneddoto. Tullia Matania, artista partenopea cui sono molto legata, mi ha sempre invitato alla sobrietà dell’espressione artistica. Ha sempre sostenuto che, metaforicamente, non è necessario che un’opera sia forgiata in oro e argento perché sia preziosa, così come la natura efferata del dramma nelle tragedie greche è sempre celato allo sguardo ma resta sempre presente sulla scena. Allo stesso modo ritengo che in una artista-donna lo specifico femminile inevitabilmente emerga anche se celato da forme non esplicite, anche apparentemente discromiche. L’occhio affamato del fruitore d’arte è chiamato a colmare questa discromia creando il caratteristico legame biunivoco con l’opera che in questi casi non è solo un emettitore di significati ma un tramite per corrispondenze profonde. Penso, ad esempio, a gran parte della produzione artistica di Louise Bourgeois che, a dispetto dell’aggressività e lucidità formale, non potrebbero essere altro che concepite da una donna.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Non esiste un network esplicito e strutturato ma piuttosto un articolato sistema multidisciplinare che lega sensibilità affini che, episodicamente, potrebbero avere prevalenza femminile. Non potrebbe essere altrimenti perché la creazione artistica attraverso le infinite forme in cui si può esprimere e la fruizione della stessa che passa attraverso il lavoro di collezionisti, critici, curatori è una complessa rete di corrispondenze che trae forza dalla diversità di vedute e di genere. Rinchiuderla in una gabbia di genere significherebbe il suo impoverimento e limitazione. Personalmente ho sempre rifuggito o guardato con sospetto network esplicitamente ʽfemminili’ o almeno consessi che presupponevano una qualche forma aggregativa intorno a un ipotetico o supposto universo femminile. Non credo che il femminile sia un punto di partenza ma piuttosto un mistero da accogliere e dipanare nella sua complessità.
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Michela Alfè, Votum Gea, dettaglio, 2016
O-Ring Art Studio
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Michela Alfè, Across the borders, Fermenti, 2013
O-Ring Art Studio
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Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Mi reputo una persona fortunata a non aver subito discriminazioni di genere nei campi dove opero e cioè l’arte e la scienza. Questo è stato possibile solamente grazie alla caparbietà delle donne che una manciata di anni prima di me hanno lottato per conquistare e difendere il terreno che ora posso calpestare.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Nella mia ricerca artistica lavoro prevalentemente all’interno del collettivo O-ring Art Studio, circostanza che mi invita a un continuo confronto su temi sia espressivi che formali. All’interno di questa esperienza ci confrontiamo con delle urgenze creative per le quali di volta in volta cerchiamo ʽla giusta forma’ per avvolgere una idea: un processo a volte lentissimo e a volte fulmineo. Per fare questo utilizziamo tutto quello che è funzionale allo scopo (fotografia, pittura, antiche tecniche di stampa, incisioni, video, installazioni) perché nel nostro linguaggio lo specifico tecnico è asservito all’idea. Stiamo ad esempio strutturando, mediante l’utilizzo di diversi linguaggi espressivi, da almeno un lustro, un complesso percorso sulla maternità di cui rilasciamo di volta in volta frammenti (come teoforo, 2019 e mater spinosa, 2020) destinati a comporre un articolato mosaico. Per questo e per altri progetti, il mio bagaglio di esperienze squisitamente femminili necessariamente emerge nel confronto dialettico. Questo costante confronto mi ha persuasa che anche episodi che hanno un punto di vista elitariamente femminile come ad esempio la maternità, ma anche l’idea della cavità, il concetto di penetrazione, rappresentano solo uno dei possibili punti di osservazione che devono essere accolti e integrati nella resa artistica per restituirne nella maniera più precisa tutta la complessità e ricchezza. Nel mio linguaggio il femminile è quindi necessariamente rappresentato in quanto parte della ʽsostanza messa in scena’ ma esperito, digerito, elaborato e distillato nelle giuste forme.
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Michela Alfè, Teoforo, 2019
O-Ring Art Studio |
Michela Alfè, Mater spinosa, 2020
O-Ring Art Studio
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Elena Bellantoni (artista visiva e docente all'Accademia di Belle Arti di Roma)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Essere artista e donna in Italia oggi è sicuramente più semplice rispetto al passato, lo vedo anche con i miei studenti dell’Accademia: le classi per lo più sono composte da ragazze, che lavorano sodo e si danno molto da fare al pari, ovviamente, dei colleghi uomini. Le ragioni che hanno sottratto la donna al mondo dell’arte sono varie e complesse – inutile stare qui a elencarle tutte – non parlerei di invisibilità quanto di assenza e di impossibilità. Le poche donne che c’erano hanno, dal mio punto di vista, lasciato un segno, una traccia invece molto evidente sia nell’arte che nella letteratura. Quando mi sono affacciata io al mondo dell’arte, i miei referenti erano per lo più appartenenti al mondo maschile, oggi non è più così e questo credo sia già un grosso passo in avanti.
On the breadline, coro Atene, 2019, courtesy dell'artista
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Non amo parlare di arte declinata al femminile, ci sono delle urgenze che appartengono al ʽgenere umano’ che prendono forma in vari modi e assumono voci differenti. Ritengo inoltre che anche un artista uomo possa trattare e attraversare temi ʽfemminili’, non amo in generale le etichette né nel mio lavoro né per l’arte. Esiste una sensibilità, un discorso che negli anni necessariamente è stato preso in mano dalle artiste donne poiché era necessario prendere delle posizioni anche politiche e sociali, al di là della pratica stessa per incidere e modificare la realtà. Credo che sia importante oggi non chiudersi in ʽghetti’ o trincerarsi dietro confini o definizioni nette, ma rendere queste barriere sempre più porose per essere più efficaci e costruire nuove alleanze.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Esiste la frammentarietà, la pluralità dei discorsi non ci sono delle ʽcoalizioni’ precise o network prestabiliti. Ognuno semina come può: ci sono gruppi di studio, mostre che nascono, curatrici che collaborano, artiste che s’incontrano e si confrontano, per tentare di riformulare un nuovo paradigma e nuove narrazioni.
The Highlither di Elena Bellantoni, courtesy dell'artista
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che dagli anni sessanta a oggi la donna abbia lottato per la sua emancipazione, intraprendendo battaglie dall’aborto, al divorzio, alla parità dei diritti. Non dimentichiamoci che negli anni ’60 esisteva ancora il delitto d’onore, che è stato abrogato solo nel 1981. Tutti questi passaggi sono stati ʽtradotti’ dalle artiste, e tali discorsi non potevano non incidersi sul corpo e segnarlo anche in modo violento. Sono stati atti ʽliberatori’, di rivendicazione, di presa di posizione rispetto a un mondo dell’arte che faceva fatica a riconoscere l’operato delle artiste. Il corpo dell’arte, dalla tela, è passato su quello della donna, non più isolata e dipendente dal maschio ma cosciente e consapevole del proprio ruolo politico e sociale.
Il processo di liberazione della nostra fisicità è stato molto lungo e complesso – nella danza dalla leggerezza delle punte classiche si è passati alla gravità di Martha Graham – negli stessi anni veniva inventata la pillola anticoncezionale – nel 1955 – e Mary Queen proponeva la minigonna, mentre il libero amore prendeva forma sotto il cielo di Woodstock.
Negli anni Ottanta hanno iniziato a comparire le prime protesi tecnologiche: dai computer ai dispositivi medici… insomma il confine tra il nostro corpo e i corpi estranei è mutato. Come dicevo, prima c’era un’urgenza molto forte, a oggi molte cose sembrano cambiate ma, in realtà, dopo 20 anni di Berlusconi la figura della donna, purtroppo in Italia, ha trovato nuove definizioni che la ritraggono sempre di più al servizio di un desiderio maschilista.
Nel tempo siamo andati costantemente verso una società dove, secondo il filosofo Michel Foucault, il potere è diventato il biopotere: il dominio quindi sui corpi che vengono spremuti, consumati come forza lavoro e diventano vittime di violenza.
Nel mondo dell’arte da Elina Chauvet artista messicana con le sue scarpette rosse, a Teresa Margolles a Regina José Galindo a Shirin Neshat – solo per citarne alcune – continua a essere molto forte la denuncia di violenze legate alle donne che dal Sud America, passando per i Paesi Arabi e arrivando nella vecchia Europa. Non parlerei quindi solo di sperequazione di genere, ma anche di violenza di genere.
The Highlither di Elena Bellantoni, courtesy dell'artista
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
La questione ʽfemminile’ la attraverso e la analizzo nella mia pratica artistica da diversi punti di vista, che non sono sempre necessariamente espliciti, ma rientrato in un discorso complesso e stratificato. Ho lavorato un anno a un progetto On The Breadline, vincitore della IV edizione dell’Italian Council, con ben cento donne di quattro paesi differenti: Serbia, Grecia, Turchia e Italia. Ho scelto di lavorare con dei corpi femminili proprio per dare voce e per rendere queste donne protagoniste di un processo di riflessione e di cambiamento. Sono andata alla ricerca della breadline, la linea del pane ma anche la linea di povertà in questi territori. Il punto di partenza è stato un canto di protesta Bread & Roses (il pane e le rose) degli anni dieci del Novecento. Il testo è il frutto di un discorso di una leader femminista socialista, Rose Schneiderman, di origine polacca immigrata negli USA, considerata una delle più grandi sindacaliste della storia, durante uno sciopero di lavoratrici di un’industria tessile a Lawrence nel 1912: «ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose…» Questa riflessione era già in qualche modo presente in un'altra produzione, La lucidatrice, prodotta per il Museo Pietro Canonica di Roma a cura di Claudio Libero Pisano, in cui ho coinvolto un gruppo di 15 donne per una performance collettiva sul lavoro dell’artista.
L’educazione patriarcale e la sua violenza sul corpo ma anche psichica emerge con Frustr|azione, un lavoro presentato all’interno di Magma Body and Words a cura di Benedetta Carpi de Resmini all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. Ho utilizzato 25 cinture (che ho realizzato con le dimensioni dei componenti della mia famiglia) per compiere un’azione violenta, quella del frustare, riprendendo qui simbolicamente l’uso del nervo e della cinta da parte del maschio per l’educazione dei figli. L’azione è stata smorzata e alleggerita con la partecipazione del pubblico e l’uso del linguaggio, rispetto alla mia domanda iniziale: cosa ti frustra? Le cinte sono diminuite, man mano, fino ad annullare il gesto violento. Forse il lavoro che evidenzia la mia riflessione sul corpo della donna è The Highlighter, un’opera sul linguaggio sessista – contro le donne – utilizzato in diverse campagne pubblicitarie in Italia e all’estero negli ultimi settanta anni.
Ho iniziato a collezionare e archiviare fotografie di queste pubblicità, scaricando materiale dal web e camminando in diverse città, raccogliendo più di 200 pubblicità dagli anni sessanta a oggi che ho deciso di rielaborare mettendone in evidenza degli aspetti sia linguistici che visivi.
Ho deciso di usare due colori evidenziatori, il giallo e il fucsia, per ʽmettere in luce’ e sottolineare l’ambiguità e la violenza di queste pubblicità che ormai sono entrare nel nostro immaginario collettivo. Lo sguardo è come diventato anestetizzato e inconsciamente il lessico sessista è entrato nella vita di tutti i giorni.
Il mio lavoro è fortemente processuale, interagisce con i territori che attraverso, si lascia modificare dalle persone che incontro e prende forma nello spazio pubblico come centro di osservazione.
Ogni dinamica politico-sociale indagata trova infine nel corpo – corpo altro, corpo femminile, corpo di artista – un privilegiato mezzo di sintesi. Forse l’unico, universale, strumento che può comunicare, in quanto corpo umano, mediante ʽprove di sopportazione’. Il mio corpo scrive quindi l’opera diventando un possibile luogo di risoluzione dei conflitti.
La poesia visiva – praticata da molte artiste dagli anni ’70 – diventa performativa. La poesia e la performance hanno, per me, un linguaggio molto simile; lavorano su una narrazione asciutta efficace che fluisce per immagini. La performance ha un enunciato secco, lavora e de-scrive immagini chiare, esattamente come fa un certo tipo di poesia a me molto cara: la parola diventa incarnata.
Credo che nel momento in cui decido di utilizzare il mio corpo come strumento di indagine, come segno nello spazio, non ci sia bisogno di fare uno statement o definirlo necessariamente. Il corpo di un’artista donna in uno spazio pubblico è già di per sé un luogo resistente.
Frustr|azione, performance partecipata, 2018, courtesy dell'artista
Primarosa Cesarini Sforza (artista visiva, Roma)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Sicuramente le donne hanno sempre espresso la loro creatività attraverso i secoli. Ancora oggi in molte civiltà è la donna che decora le pareti della casa e a volte anche l'esterno, senza dimenticare il lavoro di cucito e ricamo che presso varie popolazioni simboleggia il luogo e l'etnia di appartenenza. Sottrarsi all'invisibilità è sempre stata una questione di educazione scolastica. Solo con l'educazione si acquista la conoscenza e la sicurezza di noi stesse e di quello che vogliamo. Nei secoli passati le donne intellettuali si rifugiavano nei conventi per poter studiare, approfondire e praticare la conoscenza della musica, della poesia e degli studi teologici e filosofici.
La condizione della donna artista oggi è sicuramente migliorata dai tempi delle nostre madri e da quelli della mia stessa generazione, anche se ancora le incombenze relative alla gestione della casa e dell'educazione dei figli pesano per la maggior parte sulle donne. Tuttavia nella coscienza contemporanea è sempre più radicata la convinzione che avere una famiglia non sia più un dovere sociale, e dunque oggi le giovani artiste possono vivere la libertà di dedicarsi esclusivamente al loro lavoro, senza essere giudicate.
Allestimento a Parigi, 2015
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Non penso a me stessa come a un'«artista-donna», ho sempre pensato di essere semplicemente un'artista. Credo che siano gli stessi elementi – i sentimenti, le emozioni, lo spirito di ricerca – a mettere in moto il processo creativo sia nella donna che nell'uomo. È poi nello sviluppo del processo che si affermano specificità che sono a mio avviso assai più individuali che di genere.
Sono convinta che molto spesso si consideri come un fil rouge che identifica un'«arte declinata al femminile», qualcosa che ha a che fare più con l'ideologia che con l'estetica.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Non vedo una grande collaborazione interfemminile che possa far pensare a un network vero e proprio. Non esiste una «lobby femminile», almeno in Italia.
Innesto, 2021
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Non ho esperienze personali in questo senso, non ho mai incontrato particolari ostacoli in quanto donna, perlomeno non più di quanto ci si possa aspettare in una realtà a dominante maschile. Più che sperequazioni di genere oggi vincono le leggi del mercato.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Non penso di celare o travestire qualcosa nel mio linguaggio espressivo. Nel mio lavoro artistico credo risulti ingannevole rintracciare elementi tipici di genere in certe figurazioni ricorrenti: che sono la silhouette di bambina, la casa, i fiori ai quali mi dedico intensamente in quest'ultimo periodo. Non c'è in essi alcuna intenzione di rappresentare una «visione al femminile». Il mio approccio all'arte è diretto, come essere umano prima che come donna.
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Primarosa Cesarini Sforza, 2017 |
Primarosa Cesarini Sforza, lavoro su carta, 2019
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Laura Cionci (artista visiva, fotografa, ballerina, performer, Montegemoli, Pisa)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
La prima immagine che mi viene alla mente sono le impronte di decine di mani ne La cueva de las manos in Argentina, la recente scoperta in Indonesia di pittura rupestre, che pare sia la più antica mai scoperta, di 45.000 anni fa, Lascaux in Francia, i fantastici affreschi di Chiribiquete in Colombia, meravigliosamente conservati. Pensando alla nascita dell’arte, la prima azione ʽinutile’, ci troviamo davanti a piccole impronte che i ricercatori di sempre sostengono essere realizzate da bambini o cacciatori. Mentre è probabile che quelle mani siano soprattutto femminili. Mentre l’uomo era intento alla caccia, la donna che si occupava della prole e quindi era statica, scopriva la funzione del seme (l’agricoltura) ed è potenzialmente probabile che sempre lei decorasse le pareti delle caverne abitate. E ancora, le origini del tamburo: creduto strumento prettamente maschile, invece recentemente riportato nelle mani femminili che dalla notte dei tempi lo utilizzavano, elemento richiamante il battito cardiaco, il ventre materno, basti pensare alla dea Cibele.
Il mondo femminile è stato soppresso a causa di un atto fondamentale esclusivo della donna: la creazione. Forma che metteva (possiamo usare il passato?) la parte maschile in una situazione di mancanza, di depotenziamento. E ancora, il ciclo mestruale. Importante ricambio energetico legato alle fasi lunari e quindi in armonia con lo spazio che circonda il corpo, al contrario del flusso sanguinino maschile in un circuito chiuso, dove la fuoriuscita è solo causata meccanicamente (necessità di violenza). Potremmo partire da qui per parlare della nostra invisibilità.
Oggi c’è un’apertura collettiva, uno sguardo mediatico rivolto alla condizione della donna, anche nel mondo dell’arte che ha una forma verticale e nasce come un sistema patriarcale. Non penso ci sia bisogno di entrare nel sistema, ma di costruirne un altro. Per quanto possiamo, si può essere più preparate, più coscienti e libere. PRESENTI. Evitando, vi prego, il pinkwashing.
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Mi sembra abbastanza evidente che una sensibilità femminile si noti e si interconnetti con le altre grazie al modus operandi oppure al risultato finale che senza dubbio evidenzierà nell’opera come nel suo processo, una forma orizzontale e contenitiva. In una visione ampia vedo questo fil rouge, ma ancora siamo legati ad aspetti troppo fallici e i risultati artistici preminenti, quelli che si sposano bene con l’andamento di questa società e quindi del sistema dell’arte ancora machista, a mio avviso perdono di delicatezza, si spogliano della morbidezza per entrare nel sistema. Il risultato stride con la restante connessione femminile. Non per colpa nostra ma perché siamo costrette, per inserirci nel contesto in cui viviamo, a tradurre il pensiero, a ʽsistemarlo’ perché sia accettato.
Laura Cionci, State of Grace, performance, Melbourne, 2020
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Torna e ritorna. Questo network è sempre stato in essere in uno spazio intimo, familiare, dove lo stampo matriarcale ha portato avanti generazioni. Anche fintanto che abbiamo potuto godere di un tempo sostenibile, di uno spazio dove le tradizioni come i riti coalizzavano e rendevano pulsante la collettività, le figure femminili si raccoglievano, si riunivano in questo tempo dilatato così prezioso e fertile, generatore di storie e radici. Nei decenni la frenesia come lo stile di vita odierno ha spazzato via queste dimensioni, lasciandoci sole nei nostri appartamenti, i bambini crescono fuori da una comunità. La donna si reinserisce in un sistema lavorativo verticale ma nello stesso tempo deve portare avanti una vita intima complessa. È costretta nei dogmi dello sviluppo sociale, si destreggia tra ciò che le viene imposto come figura femminile e i desideri personali, i percorsi professionali che finalmente si iniziano ad aprire. Ecco, questo nuovo network ʽout’ di cui mi chiedete è in essere. Prende corpo fra le trame sociali già esistenti. Attenzione, la sua lentezza nella formazione è indice di forza e durevolezza dunque è bene che non ci sia una netta e repentina connessione legata soprattutto ai media. Sapersi inserire e collaborare, ma soprattutto avere quella visione femminina anche in questo ʽout’.
«La coalizione ci unisce nel riconoscimento che dobbiamo cambiare le cose o morire. Tutte noi. Dobbiamo tutte cambiare le cose che ormai sono fottute, e il cambiamento non può venire nella forma che noi pensiamo come “rivoluzionaria” – come impeto mascolino o uno scontro armato. La rivoluzione arriverà in una forma che non possiamo ancora immaginare». Estratto da Undercommons. Pianificazione fuggitiva e studio nero.
È necessario riuscire a creare un network sempre più fitto e forte, ma anche rieducare, abbandonando i vecchi stereotipi dello ʽstare fuori’ sotto spoglie maschili. Soprattutto senza frammentazioni nella rete, nella comprensione di gruppi, sottogruppi e minoranze.
Laura Cionci, Incorpora mi Taita, CORPO, SPIRITO E ANIMA
legno, oro, piume, Galeria Sextante, Bogotà, Colombia, 2018
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Assolutamente sì. Mi sento a cavallo di una trasformazione/rivelazione del tempo in cui vivo, e lo dobbiamo al grandissimo lavoro svolto dalle compagne negli anni ’60, ma ora stiamo andando finalmente anche oltre alla limitata differenza dei due generi, entriamo nell’era dell’indefinito, strappiamo le griglie, gli schemi che ci incasellano. Il movimento femminista lavora sul potere dell’indefinito e quindi sull’accettazione dell’unicità. Vivere potendo esprimere ciò che siamo senza sentirci in difetto. Questo è quello che mi succedeva fino a neanche troppi anni addietro essendo io donna, le spalle scoperte, con pochi strumenti per sostenere attacchi selvaggi di stampo machista. Ho iniziato a lavorare a 18 anni e sono sempre stata nel campo dell’arte e della cultura. Dovendomi sostentare e volendo entrare nel mondo del lavoro, quando ero molto giovane, credevo che certi atteggiamenti violenti su di me dovessero servirmi alla crescita, molto spesso me ne addossavo la colpa. Per il carattere che ho, tutte queste esperienze di impronta machista, indipendentemente dal genere biologico con cui mi confrontavo, hanno generato in me una consapevolezza sulla violenza e sull’ingiustizia. Grazie alla condivisione profonda con tante compagne, amiche e personaggi ho compreso che superando la barriera del potere sociale si vive dell’estrema delicatezza dell’accoglienza e della comprensione. Oggi dubito sempre meno del mio istinto. Questo istinto porta fuori dagli schemi e fa fare cose straordinarie. L’empatia con gli altri, la lettura grazie all’apertura, provoca una libertà che a volte mi sorprendo sentire inaspettata.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Potreste, secondo voi, fare la stessa domanda rivolta a un uomo? Quali sono gli ingredienti del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽmaschile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Innanzitutto credo che gli ʽingredienti’ di cui parlate non sono legati solo al genere femminile ma possono far parte anche di altri generi. Soprattutto con l’arte il femminino si palesa. Nel nostro tempo c’è una sorta di sovrapproduzione creativa, artistica, segno che c’è una forte necessità di espressione personale che faccia respirare l’unicità di ognuno di noi fuori dal quotidiano ordinario che viene imposto. Sento questa espressione come una voce femminile, una vibrazione che viaggia sopra le nostre teste e non tra di noi proprio per questa impostazione sociale patriarcale. Con la tecnologia abbiamo mezzi creativi a cui tutti possono accedere, creando un’offerta infinita, quantità di dati, immagini che però per la maggior parte si perde, è in esubero e non viene utilizzata per migliorare la nostra vita. Con questo intendo un potenziale scartato insistente e massiccio ma non assimilato e superficializzato. Il mio lavoro ha assorbito nella sua radice anche questa visione. Noi siamo in possesso di simboli che ci rappresentano, di immagini ʽsacre’ che ci legano ai luoghi e tra di noi, ma è come se nella velocità in cui ci troviamo, ci sfuggissero in continuazione. Sono parte della nostra storia e se riusciamo a codificarle e a viverle per assimilarle, ci soddisfano, ci appagano e riescono a farci evolvere. Se non entriamo nell’esperienza, che implica spazio e tempo dedicato, le immagini, i simboli personali non utilizzati vengono dimenticati. È un processo di cura autoindotta del proprio femminino. Io provo a inserirmi fra queste trame che ritengo necessarie e fondamentali.
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Laura Cionci, hbrhcdbrh, White Night, Melbourne, Australia, 2017
Foto
Daria Paladino
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Todo lo que yo digo se hace realidad, CORPO, SPIRITO E ANIMA, 2018, disegno e stampa a secco su carta, Galeria Sextante, Bogotà
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Manuela De Leonardis (storica dell'arte, giornalista e curatrice indipendente, Roma)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Partiamo da una considerazione piuttosto significativa che riguarda in generale tutte le donne italiane, non solo le artiste: solo dal 1946 le donne hanno avuto diritto al voto. Un paragrafo piuttosto recente, quindi, di una storia che se in altri contesti geografici era ‘solo’ una conseguenza dell’atavica struttura patriarcale della società, in Italia ha avuto come ‘aggravante’ le pressioni e i condizionamenti penalizzanti della religione cattolica. Questo è il contesto con cui le donne artiste, nel tempo, hanno dovuto fare i conti. Con la militanza femminista c’è stato di fatto l’affrancamento da un ruolo subordinato con una progressiva visibilità all’interno della scena artistica. Siamo all’inizio degli anni Settanta. Naturalmente penso a Carla Lonzi e a Rivolta Femminile, ma anche tra i vari movimenti femministi alla Cooperativa del Beato Angelico nata a Roma nel 1976 intorno a un gruppo di artiste e intellettuali, tra loro Carla Accardi, Anna Maria Colucci (Samagra), Nedda Guidi, Eva Menzio e Suzanne Santoro, che decidono di dedicare la loro prima mostra-manifesto ad Artemisia Gentileschi. Oggi, paradossalmente, credo che la questione non sia meno complessa. Nel senso che effettivamente c’è un’attenzione al lavoro delle artiste – come non pensare alla genialità e perseveranza di Maria Grazia Chiuri nel presentare le collezioni di moda di Christian Dior in associazione al lavoro di artiste straordinarie come Tomaso Binga o Silvia Giambrone? – ma la criticità investe più in generale la carenza di supporti istituzionali che non permettono un’adeguata crescita professionale delle artiste e degli artisti, spesso tagliandoli fuori completamente dal mercato dell’arte nazionale e internazionale.
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Stile e linguaggio/linguaggi sono il frutto della combinazione di diversi elementi, tra cui formazione, esercizio creativo, indole personale, nonché condizionamento dell’ambiente circostante. Non credo che sia declinabile una specifica arte al femminile. Tuttavia le donne, a ogni latitudine e longitudine del globo terrestre, hanno più spesso degli uomini messo a nudo la propria interiorità, il vissuto, ricorrendo anche all’arte visiva come presa di coscienza e, allo stesso tempo, forma taumaturgica. Il cucito e il ricamo, del resto, appartengono al linguaggio femminile fin da quando venivano considerati «arte applicata». Storicamente negli Stati Uniti erano le donne a realizzare i «quilt», le coperte cucite con la tecnica patchwork che, come sottolinea Franca Zoccoli nel libro Dall’ago al pennello. Storia delle artiste americane (1987), proprio per la libertà compositiva che le caratterizza sono state considerate tra le prime forme espressive dell’arte delle donne.
La mano di Isabella Ducrot con il libro Il sangue delle donne, Roma, gennaio 2019
(ph Manuela De Leonardis)
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Torno a citare Carla Lonzi. A partire dagli anni ’80, poi, un importante lavoro di mappatura e presentazione critica delle artiste che ha permesso loro di avere visibilità è stato fatto da Mirella Bentivoglio, impegnata parallelamente nel ruolo di critica e curatrice ma anche di artista. Tra le rassegne, la Biennale Donna di Ferrara inaugurata nel 1984 e organizzata da Lola Bonora con l’UDI – Unione Donne Italiane, è stata una delle prime collettive istituzionali al femminile. In ambito più contemporaneo ecco due esempi significativi di associazionismo e collezionismo: il primo fa capo all’Associazione Donne Fotografe che promuove la fotografia delle Donne in Italia e nel mondo, quanto al secondo è ammirevole la serietà e la costanza di Donata Pizzi che con uno sguardo trasversale sulla fotografia contemporanea italiana sta implementando la sua collezione con il lavoro di numerosissime e talentuose fotografe che ha presentato in contesti differenti, tra cui anche il MAXXI di Roma e il festival Si Fest di Savignano sul Rubicone. Di recente creazione, infine, l’archivio W.A.D. & community (Women Visual Art Database) ad opera dell’artista Laura Vdb Facchini, fondatrice dell’Associazione WindMill ART POWER PLANT.
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Personalmente non posso dire che mi sia mai capitato, ma come giornalista e curatrice da quasi trent’anni do voce alle artiste che sollevano questo tipo di problematica, soprattutto quando la sperequazione di genere scivola in ambiti più drammatici come il sopruso, la violenza e, purtroppo, il femminicidio che vediamo, ad esempio, nel lavoro delle argentine Silvia Levenson e Natalia Saurin di cui ho curato la mostra Ni una menos alla Casa Argentina di Roma (ottobre 2020). Entrambe le artiste fanno dell’arte uno strumento di denuncia sociale attraverso un potentissimo linguaggio che intercetta anche ambiguità, doppio senso e ironia.
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Deborah WILLIS, It's good to have a candy man, 2018,
courtesy of the artist
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Durante l'allestimento della mostra Ni una menos, Casa Argentina, Roma ottobre 2020 (ph Marco Del Comune)
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Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Affido al mio progetto curatoriale Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (accompagnato dal libro edito da Postmedia, 2019) il compito di veicolare il mio «codice comunicativo» rispetto al femminile. Il progetto che si è sviluppato a partire dal 2015 verte sulla riflessione intorno a un argomento che tutt’oggi è tabù, sia in occidente che in oriente: il sangue mestruale. In realtà, l’oggetto «pannolino», il tessuto usato fino a due generazioni fa per tamponare il sangue mestruale, non è che il contenitore dell’espressione artistica con cui 68 artiste internazionali di diverse generazioni (tra loro Manal AlDowayan, Lea Contestabile, Isabella Ducrot, Silvia Giambrone, Maïmouna Guerresi, Patrizia Molinari, Ana Maria Negară, Ketty Tagliatti e Deborah Willis) hanno affrontato aspetti diversi del loro essere donne: dalla nascita alla sessualità, dalla verginità alla violenza, dalla menopausa al femminicidio. Un progetto che grazie al team di coordinamento (Annalisa Zito, project manager della Fondazione Pasquale Battista che ha supportato la pubblicazione del libro e l’organizzazione espositiva, Dino Lorusso e Ninni Castrovilli) ʽinvaderà’, in collaborazione con La Fondazione Filiberto e Bianca Menna, l’intero Palazzo Fruscione a Salerno (settembre/ottobre 2021).
Manuela De Leonardis, Auditorium Vallisa, Bari, settembre 2019
Elena Dell’Andrea (artista visiva, Venezia)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Vorrei trattare questo argomento citando Hannah Arendt, filosofa, della quale condivido il pensiero: «FAMA, la dea tanto desiderata, ha molti volti, e la fama si presenta nelle forme e misure più diverse: dalla notorietà regalata da una storia di copertina che dura l’arco di una settimana allo splendore di un nome eterno. Genere più raro e tra i meno ambiti di FAMA è la fama postuma, per quanto essa sia meno capricciosa e spesso più solida di quelle d’altro tipo, poiché solo raramente concessa a vile mercanzia. Colui che dovrebbe trarne maggior vantaggio è morto e dunque essa non è in vendita».
Credo che il contributo delle artiste dalla fine dell’epoca classica sino al XVI secolo sia rimasto scarsamente visibile in quanto poco noto al pubblico generico della Società dello Spettacolo, interessata più ai 15 minuti di celebrità e alle copertine patinate, che alla ricerca di genere. I motivi sono sociali e radicati nel patriarcato, inteso nel senso più ampio del termine, che ha cominciato a vacillare definitivamente dagli anni Sessanta. La capacità della donna di coltivare il proprio hortus conclusus ha permesso che il tributo dato all’arte, durante questi periodi ritirati, venisse documentato nei monasteri e nelle corti più illuminate. La riscoperta di questo patrimonio dipende da noi. Elisabetta Bodini nelle sue ricerche riporta alla luce splendide miniature di Claricia, Ildegarda di Bingen, Herrada di Landsberg, Bourgot Le Noir, la miniatrice Guda ‘peccatrice’, Christine de Pizan; affreschi di Teresa Díez e dipinti di Caterina de’ Vigri (conosciuta anche come Caterina da Bologna). Queste donne non sono le uniche ad aver apportato contributi significativi nelle epoche che crediamo prive di documentazione, per questo motivo invito a proseguire le ricerche di genere negli Archivi di Stato e nelle Biblioteche, e a muoversi per la salvaguardia dei Beni Culturali.
La condizione dell’artista-donna in Italia oggi è fortemente influenzata dalla Società dello Spettacolo, la stessa parola artista è stata fortemente condizionata dai modelli sociali attuali. È sempre arduo sottrarsi all’invisibilità in una società prevaricatrice e violenta, ma riprendendo Hannah Arendt, dipende da cosa cerchiamo: notorietà o fama postuma?
La Stella di Poveglia, installazione relazionale sassi, conchiglie, legno, 5 m,
documentazione video e fotografia (ph. Dell'Andrea), 2015
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
L’esistenza di un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile è cosa viva e reale. Se penso per esempio alle opere di Maria Lai, Renata Boero, Nancy Genn, esiste una delicatezza esclusivamente femminile che sottende queste opere. E, incredibilmente, la stessa sensibilità si può riscontrare anche in lavori molto diversi, come in quelli di Mariella Bettineschi, Rebecca Horn, Monica Bonvicini e Marina Abramović. La percezione sensibile, quindi, non dipende dal medium utilizzato, ma è intrinseca all’opera femminile. Un’altra caratteristica è l’arguzia, l’intelletto fine, che annoda e disfa al momento giusto, come Penelope, o Arianna, che permette a Teseo di sconfiggere il Minotauro. La vera artefice del fil rouge è donna.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
L’unione tra modelli teorici e prassi artistiche femminili è data dalla sensibilità, come ho già detto, alla quale aggiungerei anche inclusione e solidarietà. Le pratiche inclusive e solidali nel mondo femminile vanno a definire un network di figure che condividono e cooperano insieme nell’arte. Per quanto riguarda la mia esperienza diretta, le recenti collaborazioni con figure femminili quali la curatrice Francesca Valente e l’artista californiana Nancy Genn, non solo mi hanno arricchito intellettualmente e culturalmente, ma anche dal lato artistico hanno accresciuto la mia esperienza. La condivisione diventa pratica artistica essenziale, come avviene nei salotti artistico letterari dell’artista libanese Laure Keyrouz e nelle più recenti occasioni performative ed espositive. Seguono momenti di riflessione, forse più intimi, che fanno maturare nuove consapevolezze, che, dopo essere venute alla luce, hanno bisogno di essere condivise nuovamente. La complessità della società liquida, descritta da Bauman, per essere affrontata necessita di qualità inclusive e solidali tipicamente femminili, creare un network di professionalità artistiche è un modo per superare l’incertezza di oggi. Certamente, il costante dialogo, il confronto, la pratica e le contaminazioni consentono di creare le basi per nuovi sviluppi futuri di arte universale e sostenibile.
Venezia e i suoi Ponti, serie Ponti e AttraversaMenti, serigrafia, 50x35 cm, 2017 (ph. Dell'Andrea)
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Dagli anni ’60 il corpo delle donne diviene interprete della discussione politica, tuttavia il dibattito è ancora attuale se pensiamo al collettivo Femen o al movimento #Me Too. Anzi emergono con ancora più forza le violenze e i soprusi che alcune donne hanno subito a livello fisico. Non solo, emerge la violenza psicologica del potere di stampo patriarcale. Ammetto che il confronto con pratiche lavorative prettamente maschili, non ancora del tutto sdoganate dal mondo femminile, mi ha creato qualche ostacolo, soprattutto in relazione al mio aspetto esteriore. Pertanto, in certi contesti, ho cominciato a coprire e nascondere. Proprio questo atteggiamento rinunciatario ha però fatto emergere con forza riflessioni artistiche sul corpo della donna.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Ci sono alcuni lavori come La Stella di Poveglia (2015) e Venezia e i suoi Ponti (2017) che celano un lato femminile fatto di accoglienza e inclusività, protendono verso l’altro, allacciano relazioni e creano armonia e unione. In particolare La Stella di Poveglia è un’opera d’arte relazionale che chiede al pubblico di farsi creatore dell’opera stessa, contribuendo alla sua costruzione con sassi, conchiglie, cocci, la realizzazione è stata contestuale all’evento site specific. E Venezia e i suoi Ponti, con i suoi ghirigori, che allacciano, intrecciano, annodano e uniscono.
Di altro genere sono le opere che più palesano un linguaggio comunicativo al femminile, come Distopia (2021) e Gioco al Mas-Sacro (2015). Distopia, in un’atmosfera completamente sospesa, mette in luce la sofferenza del corpo femminile, quasi una supplica, rappresentazione di un futuro indesiderabile. Gioco al Mas-Sacro si riferisce al conflitto tra corpo femminile e mondo contemporaneo; tra spiritualità e materialismo. Il corpo Sacro della donna è usato come una scacchiera su cui giocare. Inoltre, mi sono occupata di rappresentare il femminile mutilato, massacrato, sfruttato, anche con altri medium quali performance: Rebirthing square (2016) e Con-Sacro (2020). In queste opere l’intenzione è quella di dare una valenza positiva e trasformativa agli eventi negativi. Cioè trasmettere che, dalle ʽsconfitte’, dagli abusi, dalle situazioni di manipolazione, ci si può sempre rialzare ri-trovando l’energia del Sacro. In Kintsugi (2020) il titolo della scultura richiama la tecnica giapponese di riparare con l’oro, il corpo femminile martoriato è capace di rimarginare le sue ferite trasformandosi in oro.
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Gioco al Mas-Sacro, stampa su d-bond 40x105 cm, 2015
(ph. Dell'Andrea)
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Ponte, olio su tela, 100x100 cm, 2018
(ph. Micleusanu)
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Laura Vdb Facchini (artista visiva, ideatrice del progetto Women Visual Artists database, Prato)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile.Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Il sistema patriarcale nei secoli si è strutturato per cancellare la presenza femminile. Questo era basilare perché potesse continuare a esercitare il suo potere e impedire ogni cambiamento. Il sistema patriarcale è tuttora ben radicato antropologicamente nella nostra società, nonostante le grandi lotte dei movimenti femministi negli ultimi due secoli abbiano ottenuto grandi rivoluzioni culturali. In Italia, la donna è stata protagonista di profondi cambiamenti per la propria emancipazione. Essa è maturata, è consapevole di sé stessa, ma l'ambiente che la circonda arranca, è in grande difficoltà. Un mondo fatto, da una parte, di uomini che non sanno, ma soprattutto non vogliono, relazionarsi con la donna matura e indipendente, uomini che anche in buona fede, rimangono invischiati in comportamenti sessisti, uomini che non sono educati alla parità di genere, uomini che semplicemente hanno paura di perdere i propri privilegi di maschi. Dall'altra, donne che per educazione non sanno concepirsi come persone autonome, responsabili di sé stesse. Sono profondamente disorientate dal cambiamento dei modelli, hanno paura di perdere quella ʽprotezione’ sociale del loro ruolo. Ruolo enfatizzato dalla religione e dalla società giudicante in modo severo ogni deroga nei comportamenti difformi. La donna artista, che osava invadere i campi culturali, espressione della superiorità maschile e testimonianza tangibile delle loro capacità intellettiva, veniva dimenticata, mai menzionata nei libri e si lasciava che il tempo la cancellasse. La Storia è in mano al sistema patriarcale, che elimina dalla memoria le figure delle donne artiste, come rappresentassero un pericolo di destabilizzazione del proprio potere. Per fare un esempio, nel quarto volume di Storie dell'Arte di Giulio Carlo Argan dove tratta del periodo 1770-1970, sono menzionate, se non mi sbaglio, solo 8 artiste: Louise Nevelson, Sonia Delaunay, Natal'ja Sergeevna Gončarova, Antonietta Raphaël, Bridget Louise Riley, Germaine Richier, Berthe Morisot, Carla Badiali. Ovviamente le donne artiste erano ben presenti e attive. Le loro opere erano di grande qualità e spesso più innovative dei loro colleghi uomini, hanno lavorato a costo di grandi sacrifici, ma l'oblio sistematico del sistema dell'arte e del mercato ha spento la luce su di loro. L'artista italiana oggi è ancora ostacolata dall'ambiente culturale patriarcale, che si sta evolvendo lentamente, il mercato dell'arte italiano è saldamente in mano maschile. Fortunatamente la rivoluzione digitale ha ampliato lo spazio di diffusione e conoscenza dell'arte che le artiste devono saper cogliere.
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Lo sguardo femminile nell'arte penso doni una grande ricchezza, una originalità fresca, un pensiero inatteso. Quando guardo una opera di un’artista spesso ho una sensazione di appartenenza, mi riconosco nelle emozioni che suscita, è lo stesso mio sguardo! Il mio occhio vede nella stessa direzione: questo è il file rouge. Riconoscere l'arte di una donna mi gratifica. Ovviamente parlo di arte di qualità. Sono felice di poter dire oggi che sono tante le artiste che amo.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Per me non si può ancora parlare di sistema o network. Penso che questa sia la strada da percorrere, stanno nascendo iniziative, ma le donne devono imparare a fare un lavoro di squadra, a collaborare, a volte nascono sinergie per progetti specifici, nella mia esperienza sono state positive. Ho sperimentato una grande partecipazione, aiuto e sorellanza per il progetto del Women Visual Artists Database (W.A.D. & Community) che porto avanti con l’Associazione Wind Mill. Una iniziativa che vuole mettere in evidenza le artiste ma anche creare un contatto fra di loro, dare loro visibilità e opportunità di conoscenza per curatori, storici, collezionisti.
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Laura VdB Facchini, Matrice, 2002
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Laura VdB Facchini, Matrice, scultura, 2004
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Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Mi sorprende sempre, quando una donna afferma che non ha mai sperimentato sulla sua pelle il pregiudizio e le difficoltà che comporta la disparità di genere. Io sono nata nel 1962, ho cominciato la mia attività di designer nel campo del tessile abbigliamento, a 18 anni come freelance, avevo aperto la mia p. iva e un mio studio.
È proprio sul corpo delle donne che si compiono le prevaricazioni: i responsabili delle aziende per i quali lavoravo spesso erano maschi, molti erano convinti che la mia professione così ʽartistica’ li autorizzasse a molestarmi, a non corrispondermi l’onorario pattuito, altre volte i colleghi contestavano, in quanto donna, la mia competenza, per assumere determinate responsabilità nell’azienda.
La mia professione di designer mi ha permesso di essere una artista indipendente e libera, di avere una autonomia di gestione della mia vita e del mio tempo. Certo si tratta di vivere senza grandi sicurezze.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Diventare una donna consapevole è un cammino che non finisce mai ed è un viaggiare a passo di donna. Per me è iniziato con la trasformazione del mio corpo con la pubertà, trasformazione che comportava per me, dall'età di 12 anni, mestruazioni eccezionalmente dolorose e invalidanti. Nonostante la mia giovanissima età, partecipare alle discussioni sul corpo femminile del movimento femminista degli anni ’70 è stato fondamentale per il mio diventare femmina. È stato attraverso il mio corpo, il viaggio del mio sangue, che anni dopo sono riuscita con la mia ricerca artistica a creare il mio archetipo, la Matrice, una forma poetica del sacro femminile. Le mie opere Matrici si dispiegano nell'arco di più di trenta anni. Matrici che incarnano di volta in volta le profondità, le speranze, il coraggio e la denuncia, il mistero e la gioia dell'essere donna. Queste opere sono state oggetto di censura, imbarazzo, vergogna, per me sono bellezza.
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Laura VdB Facchini, Matrice, 2007 |
Laura VdB Facchini, Matrice - Goccia, 2002
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Cristiana Fasano (artista visiva, Roma)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile.Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
A esser sincera, io stessa ho realizzato tardi la reale assenza delle donne nel mondo dell’arte. Le donne, in quanto soggetti delle opere, sono sempre state presenti e questo ci ha fatto credere che lo fossero, ma basta sfogliare un libro di storia dell’arte per accorgersi che le artiste nominate sono in netta minoranza rispetto agli artisti e il più delle volte sono nominate in brevi trafiletti dal titolo l’apporto femminile…, o nominate perché mogli, amanti o madri.
Purtroppo per le donne era impossibile rendersi visibili perché costrette a vivere nell’ombra, schiacciate dal peso di una società che aveva deciso che la donna dovesse essere relegata al solo ruolo di moglie e madre, impedendole l’accesso all’istruzione, l’indipendenza economica e la partecipazione alla vita politica. Coloro che erano riuscite a ritagliarsi un loro posto erano sempre associate a un uomo oppure veniva data loro poco credibilità. Grazie alla presa di coscienza del proprio valore, non con poche difficoltà, le donne si sono mostrate e hanno iniziato a far sentire la propria voce e a reclamare il loro diritto a essere trattate da ʽessere umani pensanti’.
Nonostante siano passati tanti anni da allora e siano stati fatti grandi passi avanti, credo che il cammino sia ancora lungo perché nella nostra società determinati pensieri sono ancora fortemente radicati. Ancora adesso ci ritroviamo a combattere per le stesse cose conquistate il secolo scorso.
Per quanto riguarda la condizione attuale delle artiste in Italia, c’è sicuramente una maggiore attenzione, che sta portando a un incremento di visibilità, basti pensare al lavoro che sta facendo Cristiana Collu a La Galleria Nazionale di Roma, con mostre, eventi e discussioni focalizzate sulle artiste, ma è ancora troppo poco. Basta spostare lo sguardo su altre situazioni artistiche, anche non istituzionali, in cui le artiste non vengono proprio prese in considerazione. Ci sono ancora troppe mostre in cui la presenza delle artiste è bassa o ve n’è una totale assenza. Ci sono anche mostre in cui le artiste predominano, ma ciò succede perché vi è la presenza di curatrici/galleriste o perché vi è il dichiarato intento di mostrare ʽl’arte al femminile’.
Ben vengano situazioni in cui il valore delle artiste sia preso più in considerazione, ma ho il timore che in questa esclusività di genere, si rischi di discriminarsi ancora di più. O peggio. Per combattere tanti anni di invisibilità, ci si comporta esattamente come hanno fatto gli uomini per secoli, creando circoli chiusi, in cui è ammesso un solo tipo di genere. Io credo che l’unico modo per poter cambiare realmente le cose sia la totale cooperazione tra donne e uomini e, fino a quando non ci sarà questo, le donne saranno purtroppo sempre dei piccoli numeri. Bisogna fare in modo che i valori di uguaglianza, rispetto e libertà per l’essere umano diventino davvero reali e non solo concetti astratti da sbandierare all’occasione; inoltre l’Arte è Arte: il valore di un’opera è l’opera stessa, indipendentemente da chi l’ha realizzata.
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Sicuramente ci saranno degli elementi comuni nel lavoro delle artiste, ma il voler trovare un fil rouge che accomuni l’arte al femminile rischia di discriminare ancora di più le donne, volendole inquadrare in una specificità prettamente femminile. L’utilizzo di determinati soggetti, tecniche o materiali, dipende dal sentire proprio dell’artista, dalla sua esperienza ma anche dalle circostanze o dalla sperimentazione e, il più delle volte, non necessariamente dipendenti dal suo genere.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Sì, da qualche anno a questa parte, sto assistendo alla creazione di diverse reti di collezioniste, critiche, curatrici e artiste, con l’intento di raccogliere, diffondere e incentivare il lavoro delle artiste. Purtroppo, allo stato attuale dell’Arte in Italia, sarebbe necessaria una revisione e un miglioramento di tutto il sistema artistico e non solo per quanto riguarda le artiste, ma anche gli artisti. Credo nel potere dell’unione di donne e uomini; si dovrebbe, infatti, creare insieme una rete di cooperazione affinché l’Arte ritorni ad avere più valore in Italia.
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E sono più leggeri di qualsiasi cosa, 2013, ricamo a mano su tessuto, pagine di dizionario, 50x64x5 cm
(Ph. Francesco Amorosino)
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Do you believe in what you see?, 2015, ricamo a mano su tessuto, specchi, legno, acrilico, luci led, 33,5x34,5x34 cm
(Ph. Francesco Amorosino)
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Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Per quanto mi riguarda, mi reputo fortunata perché, in nessun campo, ho mai subito discriminazioni per il mio essere donna. Ho da sempre coltivato amicizie maschili e, in campo lavorativo, ho collaborato e tutt’ora collaboro con uomini che non hanno mai messo in discussione il valore del mio operato perché donna.
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Ho mosso i miei primi passi artistici nella performance art, utilizzando ciò che mi era più familiare per potermi esprimere: il mio corpo. Dopodiché ho iniziato a utilizzare il ricamo e i tessuti, che sono sì riconducibili alla donna ma, sinceramente, è una cosa che gli altri mi hanno fatto notare, perché il fatto che io li utilizzi non dipende da questo. Mi sono approcciata al ricamo e ai tessuti d’istinto perché, lavorando come costumista, era ciò che sentivo più vicino. Prima di realizzare un’opera ricamata, non avevo mai ricamato prima e la mia mano ha fatto tutto da sola, a digiuno di qualsiasi tecnica. Una volta conclusa l’opera, ho sentito quel ʽquid’ dentro di me e lì ho capito che avrei dovuto continuare su quella strada, così ho sperimentato il ricamo e i tessuti con altri materiali, anche con sculture, nel tentativo di renderli tridimensionali o infiniti.
Punto dopo punto, il ricamo si è trasformato in una meditazione e la realizzazione di un’opera d’arte è diventata per me un lavoro introspettivo, alla ricerca di me stessa, in quanto essere umano, in relazione con gli altri e con la Natura. E non solo.
Ciò che a me interessa, per quanto in ogni mia opera sia racchiusa una parte di me, è l’universalità, il poter arrivare a tutti. Mi interessa, nell’utilizzo di un particolare soggetto, tecnica o materiale, che risponda a quello che sento e che voglio esprimere, che sia in sintonia con il mio essere, indipendentemente dal fatto che io sia donna. Che poi il mio linguaggio venga associato dagli altri al mio genere, non è una cosa che sicuramente dipende da me.
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H, 2018, tessuto finto camoscio, gommapiuma, ovatta,
11x9x17 cm (Ph. Francesco Amorosino)
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I cried all my eyes, 2018, ricamo a mano su tessuto, terracotta bianca, filo di cotone, 21x80x34 cm (Ph. Francesco Amorosino)
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Tamara Ferioli (artista visiva, Milano)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Linda Nochlin nel suo celebre saggio Why have there been no great women artist? che sarebbe da citare tutto, scrisse: «Non vi sono state grandi artiste, per quanto ne siano esistite di molte interessanti e capaci, non abbastanza studiate e apprezzate, così come non vi sono grandi pianisti jazz lituani o grandi tennisti esquimesi, e la situazione, ora come una volta, – e nelle arti come in un centinaio di altri campi –, è sfavorevole, pesante e scoraggiante per chiunque non abbia avuto la fortuna di nascere maschio, di razza bianca, preferibilmente dal ceto medio in su». Un’affermazione molto attuale nonostante sia stata scritta nel 1971. Non si può essere grandi, avere visibilità, dunque essere riconosciute, se l’ambiente sociale non lo permette. Finché ci sarà bisogno di quote rosa o ʽmostre al femminile’ per dar visibilità e possibilità alle donne, è sintomo che qualcosa non stia andando nel verso giusto.
Disappear before appear, 2018, matite e capelli su carta velina e tela, 190x200 cm
photo credit: Marco Mignani
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
A mio avviso, in senso metaforico ma a volte non solo, il fil rouge è proprio il filo, la cucitura, il ricamo: la cura.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Come in tutte le professioni, ma anche nella vita, contaminazioni e collaborazioni sono stimolanti e importanti come completamento e ampliamento della propria visione. Questi network li immagino come tanti piccoli puzzle a volte uniti tra loro, altre incompleti o con pezzi errati forzatamente incastrati.
Disappear before appear, dettaglio, photo credit: Marco Mignani
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Sono nata negli anni ’80 tra la seconda e la terza ondata femminista. Il primo maschilista che ho incontrato è stato mio nonno materno. Ha sempre pensato che non meritassi giochi o attenzioni solo per il fatto che fossi femmina, me l’aveva detto chiaramente ma non riuscivo proprio a capirlo. Nella vita da adulta invece, è sempre stato tutto molto celato e mai esplicito, soprattutto per quanto riguarda l’ambito professionale.
Heimaey, 2014, ossi di seppia, legno, sonoro, site specific
photo credit: Marco Mignani
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Difficile dirlo. Esploro soggetti universali: materia, natura, silenzio, ma anche solitudine, amore e precarietà delle cose. Suoni, rocce, oceano, vulcani, flora e fauna: uso questi elementi come punto di partenza per studiare, contemplare e pianificare composizioni, cercando connessioni tra elementi naturali e animo umano.
I capelli che inserisco nei disegni, come fossero tratti di matita, potrebbero superficialmente richiamare la femminilità ma in realtà non hanno nulla a che vedere con il femminile. Rappresentano l’identità, di qualunque genere.
The wide sea comes each morning (installation view), 2016-2017-2018 (serie composta da 69 pezzi unici),
ossa di pesce selvatico pescato nel Nord Atlantico dimensioni variabili, photo credit: Marco Mignani
Loredana Galante (artista visiva, Milano)
Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?
Sono motivi prettamente legati a una condizione storica e culturale del ruolo della donna. Per fortuna, attualmente, la situazione è notevolmente cambiata. Mi dispiace molto fare divisioni di genere se l’intenzione è quella di recriminare, lamentare, porre l’accento sulle ʽcarenze’. Mi entusiasmo e appassiono, invece, se posso provare a esprimere la grandissima fascinazione, l’interesse e l’insondabile mistero che mi scaturiscono dall’osservazione dell’universo femminile.
Sono moltissime le artiste donne con una ricerca SENSIBILE e interessante in Italia. A capo chino si assumono oneri e doveri di una professione così difficile come quella dell’artista.
Blue, 2013, acrilico su tela e stoffa, 300x200 cm
Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?
Ci sono ricerche affini che riguardano anche i materiali o le tecniche usate. Io stessa ʽmi ritrovo’ nel lavoro di alcune colleghe ma sono gruppi e i gruppi sono numerosi. Ci sono intenzioni diversificate, argomenti, ricerche, a volte ʽmissioni’ di svariati ambiti e appartenenze.
Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?
Se esiste un contesto sinergico così strutturato purtroppo non ne sono a conoscenza e non ne faccio parte. Sicuramente ci sono Relazioni d’intesa, frequenze compatibili che sfociano in collaborazioni, affiancamenti, verifiche. Da queste nascono sostegno reciproco, nei casi più fortunati amicizie. Queste Relazioni per me sono braccia tese nei momenti in cui vacilla la motivazione, in cui i dubbi tolgono le forze. Tutte le volte che una redazione, una curatrice, un artista ecc. si ricordano di te e del tuo lavoro, ti accoccoli e ti fai un riposino proprio in quella mano a forma di conchiglia. Poi, spero di peccare il meno possibile d’ingratitudine e di mancanza di reciprocità. L’Amica Artista che mi ha regalato a sorpresa il logo del To Be Kind si chiama Vania Elettra Tam.
Altre modalità sono la partecipazione a un lavoro corale, la fiducia senza se e senza ma (esperienza rara), quell’osservarsi e scoprirsi conosciute fra di noi, conosciute di una conoscenza che è comprensione. E poi c’è la stima e quel coraggio che ti passano le/gli altre/i ma anche se non sono femmine… Quella tensione a fare meglio. E nella sfera del sentire ci sono anche quei momenti in cui ti sentivi più libera e leggera quando ti relazionavi meno.
Sono comunque decenni che, anche se in modalità eterogenea, sono affiancata da altre Donne. Spero si leggano fra le righe anche se non posso elencarle tutte. Vorrei citare alcuni tra i progetti ʽa sensibilità femminile’ a cui ho preso parte e che consiglio di approfondire: Lo sguardo sul mondo, secondo atto della rassegna Femminile, plurale, a cura di Alessandra Redaelli - Biffi Arte, Piacenza 2014; Dalla parte delle donne Tra azione e partecipazione, a cura di Federica Bianconi e Chiara Canali Fotografia Europea 012, 2012, Galleria Parmeggiani, Reggio Emilia; Sebben che siano donne, Palazzo Libera, Villa Lagarina, Trento; a cura di Angela Madesani, 2011.
Inclinazione domestica, installazione
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
No. Se ci sono stati, non me ne sono accorta. Ho la perversa attitudine a sentirmi la diretta responsabile di ogni difficoltà che incontro.
A due generazioni di distanza e Sottana madre, 2017
Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?
Mi trovo spesso combattuta tra il fatto che mi piaccia che il mio lavoro sia ʽfemminile’ e il fastidio o il sospetto che lo sia troppo. Quel troppo determinerebbe, forse, il rischio di non parlare a tutti con un linguaggio neutro ma questo, alla fine, riguarda i lavori di ognuno di ʽnoi’. Non si può parlare a tutti. Mi sforzo almeno di essere semplice e accessibile. M’interessa andare incontro, accorciare le distanze. «Ti ci porto pure in braccio nella mia Pausa del cuore». Le installazioni e gli oggetti che costruisco sono banche dati analogiche di memorie e suggestioni. Sono una Sottana Madre, vestiti giganti che contengono le Storie vere di paese, Cappelli da signora, Guardaroba in miniatura, Livres di stoffa, Cornucopia con il pane, Flusso Fiume di oggetti, feticci sentimentali, reliquie del quotidiano. Ed è la Gentilezza che assurgo a missione. Cercherò di dare un’esaustività alla mia risposta attraverso alcuni lavori e qualche parola in rigoroso disordine.
A due generazioni di distanza: toujours la même feuille:
raccolgo, indago cerco di capire
Cresco e aiuto a crescere nell’avvicendarsi dei fatti
irrigando, irrorando di azioni, a volte di lacrime
la crescita: figlie e madri e sorelle in ruoli interscambiabili
alcune immagini supportano e confortano
prima mi figuravo il diritto e il rovescio e ora li cerco, a volte li vedo, simultaneamente
il tempo che attenua i ricordi, rinforza l'appartenenza....
lo stesso modo di spiegarsi, le stesse parole, gli stessi ricorsi e rincorse.
«...Toujours la même feuille, toujours la même mode de dépliement, et la même limite, toujours des feuille symétriques à elles mêmes, symétriquement suspendues!...»
«sempre la stessa foglia, sempre lo stesso modo di spiegarsi, e lo stesso limite, sempre foglie simmetriche a sé stesse, simmetricamente sospese!...» (il partito preso delle cose, Francis Ponge)
Ogni fatto raccoglie la storia universale e la concatenazione di tutti i fatti: se potessimo capire il mistero dietro a un oggetto o a una parola, forse potremmo comprendere chi siamo e cos'è il mondo, intero in ogni rappresentazione, intero nella sua concatenazione di cause ed effetti. In questo lavoro metto in relazione le foglie con i ruoli femminili all’interno della famiglia. Figlia, madre, sorella…che nel tempo si scambiano e si ripetono. La lunga calza ospita nella zona pubica una pianta, che cresce nel tempo, viva e in movimento. Come le relazioni occorre prendersene cura, ascoltandone i bisogni. La zona pubica è l’infinito potenziale generativo.
Inclinazione domestica, installazione
Il mio è un lavoro sulla memoria personale, che poi si fa collettiva. Il centro in Inclinazione Domestica è la famiglia con le sue dinamiche, con i suoi rituali, restituiti in maniera anticonformista e partecipata come nel mio stile di vita e di ricerca. Inclinazione domestica sono Strofinacci con ricami di scene di vita e mansioni, ricordi, evocazioni, amenità, grammatiche cifrate di un vocabolario condiviso. Il ricamo come tradizione e ricerca di un tempo lento, consapevole, in ascolto, un tempo di assimilazione e riformulazione costruttiva. Il lavoro tramandato come valore, il riparo nella semplicità e la consistenza dei gesti, delle abitudini, la conferma insita nella ripetizione L’installazione è intesa come una banca dati analogica di memorie e linee guida di un’etica tramandata e l’audio descrive con la mia voce la mia personale fenomenologia sentimentale.
Sottana Madre è lunghissima, composta con stoffa e sottane di recupero. Uova di plastica, ricoperte in parte da pizzo e centrini sono appese alla Sottana o sono appoggiati sotto la sua protezione su un tappeto. Un video Simile a me, lo correda. Descrive l’importanza di tener presente che nelle nostre diversità ci sono delle necessità e delle richieste implicite che accomunano tutti.
Il mio essere artista femmina lo coniugo cercando di essere un membro attivo in famiglia come nella società, dispiegare le mie risorse, coltivare le attitudini che prediligo, galantizzare gli spazi. Lavoro con l’istallazione, la performance, la pittura, i laboratori. Concentrata sui rituali di socializzazione e interazione, affronto i temi centrali dell’umano; l’amore, la famiglia, la dipendenza emotiva, l’abbandono. L’attenzione alle fasce deboli: bambini, anziani, detenuti si traducono in progetti. Raccolgo scritti, foto, tessuti, frammenti materici. La Memoria e la Cura sono i motori azionati per collezionare, cucire, catalogare ricordi ed emozioni. Un viaggio alle radici delle inquietudini e necessità, affrontando i nemici comuni dell’isolamento e della solitudine. Un lavoro sul risarcimento e riparazione, Gentilezza come Rivoluzione. Sotto la pressione esercitata dalla precarietà trovo riparo nel Sweetly Ordinary. Qui Vi aspetto.
Umarmung, 2017-2019,
stampa fotografica e ragni tessitori stampa fotografica, centrini, bottoni, imbottitura, 70x100x8 cm circa
A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 5, maggio 2021, anno XI)
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