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Inchiesta esclusiva. 33 testimonianze sull’attuale condizione dell’artista donna in Italia (I)
La nostra rivista ha avviato un’inchiesta esclusiva sull’attuale condizione dell'artista donna in Italia che raccoglie qui le testimonianze di 33 artiste, curatrici, galleriste, storiche, critiche d’arte, collezioniste, appartenenti a generazioni diverse e provenienti da differenti centri culturali e accademici della Penisola. Il progetto andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.
In questa pagina
intervengono Alessandra Angelini, Lucilla Catania, Lea Contestabile, Simonetta Ferrante, Serena Fineschi, Rosanna Gangemi, Silvia Giambrone, Veronica Longo, Beatrice Meoni, Veronica Montanino, Francesca Pasquali, Luana Wojaczek Perilli, Eugenia Serafini, Luminiţa Ţăranu, Paola Romoli Venturi.
(Nell’immagine, Alessandra Angelini, Transizione, acquarello su carta cotone 300 gr., 2020)
Un'altra pagina ospita gli interventi di Susanna Janina Baumgartner, Maria Gloria Conti Bicocchi, Silvia Bottani, Federica Càfaro, Paola Capriotti, Margherita Fergnachino, Nicca Iovinella, Mila Maraniello, Cecilia Martinelli, Emanuela Mastria, Concetta Modica, Marina Novelli, Anna Paolini, Francesca Pirozzi / Ellen G., Franca Pisani, Rosy Rox, Marzia Spatafora, Sabrina Ventrella.
Nel format che vi proponiamo, la riflessione scaturita dallo scambio di idee e punti di vista è accompagnata da una ricca galleria di opere che va dalla pittura alla scultura e alle installazioni, dalla rilettura della tradizione alle contaminazioni e al dialogo con il fumetto e l’illustrazione.
La prospettiva italiana ci offre punti di incontro con la percezione romena espressa nell’inchiesta esclusiva che abbiamo pubblicato nel numero di marzo 2021, con 29 voci rappresentative dell’arte romena contemporanea.
Alessandra Angelini (artista e docente all’Accademia di Belle Arti di Brera)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Valerie Solanas ha avuto un'infanzia segnata da profondi drammi, in parte, come racconta la sua storia, provocati dai comportamenti del padre. Questi fatti possono causare traumi profondi. Non è difficile immaginare come la sua vita sia stata segnata dalla paura e dell'orrore nei confronti di chi l'ha aggredita e umiliata in tenera età, nella fattispecie trattandosi di un maschio, il padre.
Non posso dire di aver avuto le stesse esperienze. La mia vita è stata segnata da incontri con persone, appartenenti al genere maschile, intelligenti e rispettose nei confronti della donna, delle sue attività, del suo ruolo nel mondo. Il nonno materno mi ha allevato all'arte e alla stima di me e così ha fatto mio padre, e gli uomini con cui ho avuto rapporti di affetto e di amore. Queste persone hanno creduto in me e conseguenzialmente anche nelle mie capacità artistiche. Per questo sono cresciuta con la convinzione radicata e profonda che scegliersi la propria vita ed esigere rispetto e parità sia per una donna un presupposto indispensabile, insostituibile, neppure da mettersi in discussione. Come donna non mi sono mai sentita inferiore, eventualmente ho trovato persone che trattavano da inferiori le donne. E dunque, quando mi è capitato di incontrare, ed è avvenuto più volte, ambienti maschilisti, la mia reazione è stata durissima e senza mezzi termini. Dal mio punto di vista non sono concepibili differenze di valutazione e trattamenti tra i sessi. Ritengo il mondo bellissimo perché composto da esseri diversi tra loro, con caratteristiche diverse, fisiche, psicologiche, spirituali. Ma proprio per questo tutti dotati delle stesse opportunità e diritti. Accadono momenti, talvolta frequenti, in cui è necessario, da parte della donna, reagire con forza e con durezza e questo ognuna di noi deve imparare a farlo. Ma non sono d'accordo nel vedere nell'uomo il nemico per eccellenza. L'uomo è l'altra metà del creato, e la donna è l'altra metà del cielo, come ricorda il pensiero cinese. Dobbiamo credere in questo unicum, come luogo metaforico della completezza, pienezza, armonia, e fare in modo di costruirlo nel corso della nostra vita assieme agli uomini e a tutti gli esseri diversi da noi. Pertanto per rispondere alla domanda, possono verificarsi momenti in cui la donna deve avere un punto di vista esclusivamente muliebre per affermarsi, anche attraverso l'arte. Talvolta deve diventare come e più aggressiva del maschio, per ribellarsi a situazioni ingiuste, per farsi sentire, ma una volta raggiunto l'obiettivo di autonomia e rispetto, allora la strada è quella della libertà e della parità... In definitiva credo in un'arte che non vuole essere necessariamente femminile o maschile; piuttosto credo nelle donne che hanno in sé molte parti maschili e negli uomini che conservano e possiedono molte parti femminili...
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Il concetto di sensibilità rientra in un'idea universale: essere sensibili significa, dal mio punto di vista, al di là delle contingenze, saper cogliere l'essenza nell'insieme e nei particolari e ovviamente in quello che di drammatico e gioioso la vita ci riserva quotidianamente. E saper navigare nei grigi della noia... per ritrovare il proprio tempo e la propria pelle. Le frontiere estetiche sono in continuo divenire e la ricerca è la linfa della nostra esistenza.
Amo l'arte gestuale, che si dichiara apertamente attraverso il segno e la luce e amo le carezze e i contrasti di delicato e forte; mi piace riprodurre, attraverso il mio immaginario, sogni che si liberano nell'aria e che a volte acquistano vigore attraverso tecniche e tecnologie quasi aggressive, come l'incisione e la lavorazione del legno; altre volte amo la delicatezza dell'acquarello, del colore che si dissolve nel nulla e poi improvvisamente risorge nella sua estrema vivacità... interpreto così la pelle dell'artista: un viaggio tra materiali e segni alla ricerca di spazi nuovi per la mente e per le mani.
Alessandra Angelini, Evolution, 2007,
legno multilaminare su design dell'artista, lavorato a scalpello e flessibile
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Ho rapporti belli e significativi con diverse artiste, mie colleghe o mie allieve, e con donne che si occupano di arte in generale, curatela, critica, collezioniste ma anche con donne imprenditrici che amano la scienza dei materiali, per esempio. Con loro si instaura un dialogo molto forte perché anch'io amo i materiali, li vedo da un punto di vista ʽartistico’, mi emozionano e su questo si crea un dialogo comune. Per quanto riguarda la pratica artistica e i cosiddetti paradigmi teorici, è bellissimo pensare che l'artista è libero di creare ciò che desidera e come lo desidera ed è bello che altri si interessino a queste azioni, che le studino e le analizzino; è assai bello inoltre quando due menti entrano in condivisione senza preconcetti.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
L'arte è un settore dell'attività e del pensiero umano assai poco riconosciuta. In occasione di questa pandemia si è parlato di categorie che hanno sofferto esclusione e privazioni. Tra i diversi settori che sono stati via via citati e indicato come sofferenti si è parlato della Cultura, per esempio, ma nessuno ha parlato degli artisti visivi, perché in realtà non esistiamo come categoria nel mondo del lavoro e della produzione... siamo astratti e incorporei come l'aria... questo è un grande problema per gli artisti tutti, al femminile come al maschile. Ma talvolta ʽnon esistere’ può essere anche una grande garanzia di libertà. Permette di sfuggire all'omologazione intellettuale e commerciale... ma resistere in questo caso è una piccola rivoluzione che ogni artista compie nel suo personale...
Posso poi aggiungere una nota di positività: in Italia si sono fatti grandi passi per l'emancipazione della donna artista. Attualmente le nuove generazioni non vivono più queste differenze; i vecchi ʽpatriarchi’ si stanno via via esaurendo. Oggi la donna si presenta come artista e come tale viene riconosciuta e apprezzata. Vedo questo anche tra gli studenti dell'Accademia di Brera dove insegno. Abbiamo molte donne iscritte e sono estremamente libere e creative; e si istaura una buona collaborazione con i loro compagni.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Non saprei cosa dire a proposito del «femminile» proprio per i concetti che ho espresso prima... Non ho mai vissuto me stessa e la mia realtà come femminile o maschile, ma semplicemente come realtà... Amo i momenti variabili non la continuità, non amo troppo le distinzioni di parte, le categorie...
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Alessandra Angelini, La mia ombra|My shadow,
acrilico su tela, 2020
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Alessandra Angelini, Lui, incisione al carborundum stampata dall'artista su carta di cotone Hahnemühle 300 gr., 2017
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Lucilla Catania (scultrice, fondatrice di Sculture in campo, Parco di Scultura Contemporanea)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
L’asserzione della Solanas è intelligente e sottilmente provocatoria ma, purtroppo, resta un’affermazione puramente teorica. La realtà storica del nostro paese ribalta completamente questa affermazione, quasi come se essere donna rappresenti un vero e proprio handicap al fare arte. In Italia la pratica artistica è stata costantemente e subdolamente sottratta alle donne. Negli anni ’80 ero una giovane artista, una scultrice, vivevo a Roma. Città roccaforte sia del potere politico che di quello religioso. Difficilissimo per una giovane artista inserirsi nel contesto artistico romano.
Solo recentemente, a partire dalla metà degli anni 2000, le artiste hanno sfondato il muro di gomma che le imprigionava e si sono finalmente imposte nel sistema dell’arte del nostro paese e anche al livello internazionale.
Recentemente mi è capitato di imbattermi in una mostra di soli uomini. In una nota galleria romana un secolo e mezzo di ricerca plastica italiana rappresentata esclusivamente da dieci figure maschili… beh, mi è sembrato di ritornare al medioevo!
Mi rendo conto come oggi non sia più possibile praticare questa modalità, il messaggio maschilista è ormai irricevibile. La storia ha cambiato il tavolo dei giochi, le donne sono al centro di questa rivoluzione, sono loro le nuove protagoniste, le artefici del futuro. Certo, la battaglia è ancora lunga ma il terreno fertile del cambiamento è stato seminato, sta a noi raccoglierne i frutti.
Veduta panoramica Sculture In Campo, Parco di Scultura Bassano in Teverina (VT)
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
La ricerca non si conclude mai veramente! Approfondirei certamente quello che chiamate intelligenza manuale, il fare materialmente arte. Dimenticare questo aspetto porta da un lato a un’eccessiva concettualizzazione dell’opera, dall’altro alla perdita di un aspetto che ritengo molto importante: il talento e cioè la capacità dell’artista di trasformare, attraverso il suo intervento, la materia da inerte a sensibile, vitale, esistente.
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
In passato, la rete di raccordo di cui voi parlate non esisteva, anzi esisteva forse il contrario. Ho conosciuto collezioniste, critiche e curatrici che, vivendo un rapporto di dipendenza e di sudditanza dalla figura maschile, si schieravano consapevolmente contro le artiste. La ricerca dell’approvazione maschile era determinante per essere, a loro volta, accettate dal sistema dell’arte. Quasi come se sostenere le donne fosse una vergogna o una diminuzione del loro ruolo. Poca importanza aveva essere artiste talentuose, affidabili, serie; eri una donna e il sistema, all’epoca, voleva solo uomini. Le donne erano fuori, punto e basta!
Negli ultimi anni, diciamo del 2005 in poi, l’impero maschile ha iniziato a sgretolarsi. Un numero elevatissimo di giovani artiste, uscite dalle Accademie e dai licei artistici, ha invaso il mondo dell’arte, reclamando con determinazione il proprio posto. La quantità è diventata qualità!
Piedi, 2018, Sculture In Campo, Parco di Scultura Bassano in Teverina (VT)
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Assolutamente sì! Il patriarcato, nel nostro paese, ha condizionato e pesantemente compromesso ogni aspetto della vita delle donne. Anche le artiste, in particolare fino alla fine degli anni ’90, hanno dovuto pagare un prezzo altissimo al maschilismo imperante. Gli uomini italiani dovrebbero vergognarsi per le discriminazioni, le ingiustizie e le cattiverie che hanno inflitto alle donne.
I conti non potranno pareggiare mai! Anche adesso, che i rapporti di forza sembra stiano cambiando a favore delle donne, non dobbiamo mai abbassare la guardia. Detto questo e nonostante questo, oggi è necessario lavorare per la costruzione di un mondo dove il Femminile e il Maschile concorrano in egual modo alla definizione di un progetto sociale e culturale paritario, inclusivo e solidale… se vogliamo che un mondo esista ancora!
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Mi è difficile rispondere a questo quesito. L’Arte non ha sesso, non ha tempo e non ha spazio ma transita all’interno di continuum spazio/temporale circolare. Passato, presente e futuro sono dimensioni interagenti e interscambiabili.
Certo ci sono gli artisti e le artiste, quindi la questione sessuale si pone sul piano socio-culturale che certamente agisce anche sul piano creativo ma è estremamente complesso capire in che modo il femminile intervenga nell’ espressione artistica.
Però, e lo dico in modo assolutamente intuitivo, degli elementi peculiari esistono anche nella mia espressione artistica. Purtroppo non so spiegare quali siano. Direi più semplicemente che la struttura bio-chimica della donna è diversa da quella dell’uomo. Questa diversità agisce a tutti i livelli: concettuali, psicologici e creativi. Agisce nella vita privata e pubblica, nelle nostre azioni quotidiane e ovviamente anche nella ricerca artistica.
Lucilla Catania, Frangiflutti, 2017
Lea Contestabile (artista, docente all'Accademia di Belle Arti dell'Aquila)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
L’affermazione di Valerie Solanas si inserisce in un contesto, quello statunitense degli anni ’70, in cui la rivoluzione di genere è al centro del dibattito non solo artistico. In quegli anni, in ogni Paese, le donne si interrogano su cosa significhi essere donna e riflettono collettivamente sulle aspettative, sui modelli proposti e soprattutto sui ruoli imposti dalla società.
La ricerca di autonomia da modelli interiorizzati e imposti da una visione del mondo costruita dall’uomo, il bisogno della costruzione di una società condivisa da donne non mediata dallo sguardo maschile hanno portato Valerie Solanas a proporre attraverso il suo manifesto SCUM un feroce, rivoluzionario attacco alla cultura patriarcale e a proporre addirittura «l'eliminazione del maschio e del sesso maschile». Anche l’affermazione «a male artist is a contradiction in therms» rientra perciò nella visione critica della società che ha relegato da sempre le donne, e in particolare le artiste, in una condizione di subalternità.
L’affermazione va perciò inserita in quel contesto. Il termine artista è un termine neutro: l’arte non ha genere. La creatività, termine femminile, appartiene al genere umano; semmai sono l’immaginario femminile e la visione del mondo a essere diversi da quelli degli uomini; differenti sono anche la condizione e le opportunità, ieri come oggi, che il sistema impone all’artista-uomo e all’artista-donna. Gli anni settanta hanno messo in atto una svolta decisiva alla «questione femminile», che è diventata a tutti gli effetti «questione politica». Anche in Italia, grazie a personalità politiche e culturali, il dibattito si è arricchito offrendo spunti di riflessione anche ad artisti, critici, galleristi. Sono gli anni della contestazione, della ribellione e del rifiuto del modello di donna subalterna e sottomessa al potere maschile. Carla Lonzi, convinta femminista, con il suo Manifesto di Rivolta Femminile, nel 1970, ispira i primi gruppi femministi italiani che, con l’autocoscienza, mettono in questione il sistema patriarcale. Critica, scrittrice, femminista, Carla Lonzi dialoga continuamente con gli artisti e le artiste, in primis con Carla Accardi, arrivando a mettere in discussione addirittura il ruolo del critico a favore dell’autenticità dell’esperienza artistica. Dell’arte infatti le interessa non l’opera, ma il manifestarsi dell’autenticità dell’artista. È questo il filo comune nel suo lavoro di critica, di scrittrice, di femminista. Nel suo Autoritratto dà voce direttamente agli artisti, convinta dell’importanza dell’autenticità nell’atto creativo. L’autenticità è alla base anche della Body Art, fenomeno artistico che rivoluziona il mondo dell’arte. L’ARTE è VITA e la VITA è ARTE. In particolare la Body art mette al centro della ricerca «il corpo come linguaggio». Finalmente il corpo risulta protagonista assoluto, forma espressiva per eccellenza. Gli artisti esibiscono il corpo-opera, che diventa strumento di provocazione capace di scuotere le convinzioni del sistema dell’arte. Lea Vergine è la prima in Italia a interessarsi del fenomeno e a cercare di indagare sulle motivazioni più profonde che spingono gli artisti a mettersi così a nudo. Alla base, scriveva, c’è una fame d’amore e il bisogno di conoscersi e riconoscersi nell’altro. Molte donne diventano allora protagoniste del mondo artistico, si riappropriano del proprio vissuto attraverso il corpo per riconoscersi e legittimare la propria sessualità; con le loro performance, a volte crude e blasfeme, si riappropriano del loro immaginario e denunciano pubblicamente le concezioni antiquate maschiliste.
«Ciò che ha caratterizzato il femminismo degli anni ’70 è stato il tentativo di disseppellire una materia “oscura” di esperienza, che la politica ha sempre considerato “altro da sé”: corpo, sessualità, sentimenti, sogni. Ciò che non ha potuto entrare nella polis è il corpo pensante, sessuato. La politica parla tuttora al neutro. Rossana Rossanda riconobbe allora che il femminismo si era inoltrato in quelle “acque profonde e insondate della persona”, che la politica si era lasciata dietro, una “materia segreta”, imparentata con l’inconscio. Tutte le parole della politica – libertà, uguaglianza, democrazia, ecc. – erano rivisitate e ridefinite nel momento in cui erano riportate alla persona nella sua interezza e non alla figura astratta del “cittadino”. Era la messa in discussione di una forma della politica che si è costruita nell’assenza delle donne».
ed io avrò CURA di te… KINTSUGI o la tecnica di valorizzazione della crepa
(materiali vari, dimensione variabile, 2016, ph Archivio Contestabile)
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Il mio lavoro d’artista ha subito una decisa svolta formale e contenutistica nel 1995. Ho ripetuto in tante occasioni come i momenti cruciali della mia vita si siano intrecciati, per forza di cose, con il mio impegno artistico. La perdita di mio padre nel 1995 e la scoperta, per ben due volte, di un indesiderato e pericoloso ospite nel mio corpo, hanno modificato il mio atteggiamento nei confronti della vita e inevitabilmente nei confronti dell’arte. L’incontro con la morte ha mutato irrimediabilmente il mio modo di pensare e di percepire la realtà, ha cambiato i miei punti di vista spostando nella scala dei valori le chiavi di lettura che usavo per comprendere me stessa, il mondo, gli altri; mi ha costretto a farmi domande sul senso della vita.
La paura della morte come assenza, come silenzio e perdita del tempo ha influito tutto il mio percorso artistico dai primi anni novanta e mi ha messo di fronte alla seria eventualità di perdere tutto. «È subentrata allora la voglia di ancorare la mia ricerca alla vita, al vissuto per affondare sempre di più i piedi nella terra, nelle tradizioni della mia cultura contadina. Sentivo il bisogno di raccontare la mia storia e quella della mia gente, soprattutto delle donne che hanno fatto parte della mia formazione. Da ragazza non vedevo l’ora di affrancarmi da quel mondo. Il paese con le sue tradizioni, i suoi rituali mi stava stretto. Oggi il mio desiderio è quello di mettere al sicuro ciò che detestavo riportando in vita un mondo che si sta dimenticando e che ho paura di perdere. Con il mio lavoro cerco di aver cura di oggetti, foto, tessuti e ricami del passato e di tutto quello che mi riporta agli affetti e ai ricordi di un tempo. Devo molto anche al mio impegno di docente di Anatomia Artistica presso l'Accademia di Belle Arti che mi ha portato a confrontarmi con fenomeni di arte contemporanea come la Body Art. Gina Pane, Louise Bourgeois, Sophie Calle e altre mi hanno trasmesso e fatto amare tematiche e modalità artistiche che richiedono la sfida di mettersi in gioco con il proprio vissuto. Così, con il tempo, la dimensione femminile è diventata sempre più centrale e il mio sguardo si è focalizzato sulle pratiche espressive e comunicative, anche di quelle artigianali (cucito, crochet, uncinetto, ricamo), delle donne. Ed io avrò CURA di te… KINTSUGI o la tecnica di valorizzazione della crepa è il titolo di una serie di lavori del 2017 incentrata sul corpo nelle varie accezioni.
La ricerca è nata dal desiderio di esorcizzare in qualche modo la paura della malattia e di raccontare come la ferita possa diventare strumento di rinascita e di ricostruzione. Concepito non solo in senso fisico, il corpo, fulcro dei processi di costruzione dell’identità femminile personale e collettiva, si è rivelato territorio privilegiato su cui le cicatrici scavano nel profondo creando l’opportunità di sperimentare la sofferenza come dono per meglio conoscersi; il dolore riporta alla realtà il proprio sé, diventa testimonianza di un vero vissuto, e l’arte si fa tramite per raccontare e meglio definire l'immagine di questa sofferenza. Il corpo, memoria e custode personale, è anche forza simbolica e rituale collettivo per eccellenza, veicolo di tradizioni, di rapporti sociali, di convenzioni.
La fragilità emotiva delle opere e la solidale complicità con il mondo femminile ha trovato una corrispondenza nella scelta dei materiali utilizzati e nelle tecniche di realizzazione: fili, cuciti, plastiche trasparenti, teli tessuti da donne del paese, garze, cerotti… Le opere polimateriche, istallazioni, sculture e pitture, scatole votive si presentano come una sorta di invenzioni ʽsacre’, oggetti creativi con funzione apotropaica. L’installazione diventa una specie di un unico grande ex-voto, un insieme di composizioni a loro volta risultate dall’unione di elementi diversi. Il desiderio è stato quello di tradurre in positivo, attraverso le metafore dell’arte, le mie esperienze per condividerle con gli altri, in particolare con le altre donne».
Sono nata in un piccolo paese di contadini, Ortucchio, in provincia dell’Aquila. La mia è stata un’infanzia serena con tre sorelle con cui spesso, come è normale, ero in conflitto. Il paese mi stava stretto. Non vedevo l’ora di uscire e vivere in una grande città. Ho vissuto l’Università a Roma e l’Accademia all’Aquila come occasioni di libertà e di allontanamento dai campi e dalla fatica che verificavo ogni giorno e sperimentavo anch’io con le mie sorelle quando ero portata in campagna. Ero un po' insofferente e ribelle. Volevo sentirmi ragazza emancipata, anche se mi rendevo conto di essere timida e con tante fragilità dovute all’età ma anche all’ambiente in cui mi andavo formando (il paese, il collegio, una famiglia molto cattolica…). Mi ribellavo spesso a mia madre, anche quando mi spingeva ad andare dalle suore per imparare a ricamare il corredo. Mia madre è stata una figura importantissima nella mia vita. Spesso in conflitto con tante mie scelte che non accettava; mi ha amato più delle altre figlie (dico ciò che le mie sorelle sanno bene e che mi hanno sempre rimproverato diventando, a volte, motivo di scontro). Contadina, ma di una grande intelligenza pratica, mi ha sostenuto nella mia passione per l’arte e mi ha spinto a coltivare l’amore per lo studio. Con orgoglio mi ha assecondato, contro le critiche dei ben pensanti del paese e contro le invettive di uno dei miei zii sacerdoti, anche quando, prima ragazza di Ortucchio, ho indossato un paio di pantaloni modello capri che avevo tanto desiderato e che lei stessa mi aveva comprato.
Oggi vivo e lavoro all’Aquila, una città di provincia, che mi ha accolto dagli anni dell’Accademia. Una città molto attenta alla cultura che ha vissuto momenti drammatici a causa del terremoto. Lavorare in Provincia comporta diversi aspetti. Da un lato, lontani dal rumore, dalla concitazione della grande città si può creare in tranquillità nel rispetto di ritmi lenti e naturali, dall’altro ci si sente un po' esclusi dalla vita artistica dei grandi eventi e impossibilitati a frequentare altri artisti e operatori per condividere idee e progetti.
Il lavoro artistico presuppone una ricerca continua finalizzata a un linguaggio nuovo che non ripeta codici e modalità già sperimentate e per questo assimilate dai più. Questo comporta un’onestà intellettuale, un’aderenza al proprio mondo, una coerenza etica rispetto al proprio lavoro, che porta ahimè anche, molto spesso, a una resistenza (maggiormente avvertita in provincia) ad accettare e comprendere la proposta artistica da parte del fruitore poco educato all’arte. Questa incomprensione si traduce ovviamente in ostacolo alla commercializzazione. Ciò comporta una buona dose di frustrazione. Lo studio resta così ingombro di opere che occupano fin troppo spazio.
Anche se ho due studi abbastanza grandi che si aprono all’esterno del giardino (cosa che mi permette di lavorare in estate all’esterno), lo spazio mi pare sempre insufficiente per cui sono portata a impadronirmi anche delle altre stanze della casa. Avere l’atelier presso l’abitazione mi aiuta però a far convivere facilmente la donna e l’artista, la famiglia e l’arte.
Mi accorgo che il mio lavoro è sempre più impregnato di me, della mia vita, di chi sono stata e di chi vorrei essere. Inevitabilmente si intreccia con le continue sollecitazioni che mi giungono dalla realtà esterna che spesso non mi piace e in cui non mi riconosco. Per questo la mia ricerca non può non continuare sulla strada intrapresa, approfondendo sempre più i temi e le pratiche espressive fin qui affrontati.
mamma, vecchio lenzuolo di canapa, fili, spille da balia, 2016
(ph archivio Contestabile)
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Ho iniziato la mia attività artistica negli anni settanta. Amavo l’arte astratta (i miei Maestri di Pittura sono stati Piero Sadun, Antonio Scordia e Guido Strazza); ho discusso una tesi su Paul Klee, l’artista a cui mi ispiravo. Il mio lavoro era apprezzato dai miei Maestri e dai miei compagni di studio che mi hanno sempre dimostrato stima e accolta come una di loro e, per dimostrarmi la loro stima, mi indicavano come un bravissimo pittore. Ero fiera di essere chiamata con termini maschili perché mi sembrava un riconoscimento e un apprezzamento come artista. Solo con il tempo, crescendo, lavorando e studiando, ho acquisito una autocoscienza che mi ha aiutato a riconoscermi artista/donna di cui essere orgogliosa. Anche il mio lavoro nel tempo è cambiato. La vita, come dicevo, impone prove che cambiano totalmente lo sguardo di fronte alla realtà e la ricerca non può non risentirne. Prima di essere un’artista sono una donna. Ho capito che il mio modo di fare arte aveva bisogno di una svolta. È subentrato il desiderio di ancorare la mia ricerca alla vita per riappropriarmi sempre di più della mia storia, delle tradizioni della mia cultura contadina. Il bisogno di raccontarmi si è tradotto in un bisogno di AUTENTICITÀ e di NARRAZIONE che hanno imposto ovviamente la ricerca di nuove modalità espressive.
La memoria è diventata tema centrale di tutto il mio lavoro; amo capire chi sono, da dove vengo e che cosa voglio trasmettere. E il bisogno di narrazione mi porta a costruire tante piccole storie, con le «mie» silhouette, da ricucire in un universo personale.
Il mio lavoro è una sorta di Nostos; viaggio per riaprire «la porta di casa», per scandagliare quel labirinto tortuoso che è la memoria e carpirne segreti e magie. Non è la nostalgia a condurmi in questo ritorno quanto l'esigenza di riportare alla luce una realtà da indagare e capire. «Il mio lavoro è autobiografico, è un continuo “Esercizio di memoria” con cui cucio e scucio un puzzle per far riaffiorare ri-narrando leggende, emozioni e brani della mia infanzia; recupero frammenti di tempo per riacquistare il loro senso, risemantizzare il mio Sé e costruire il tempo futuro. Tema ricorrente è il giardino, un hortus conclusus in cui poter viaggiare nel profondo della mia interiorità e riflettere per costruire uno spazio intimo “tutto per me”, dove ritrovare i miei pensieri, i miei sogni, i miei affetti, le mie fantasie e, perché no, anche i miei incubi da esorcizzare e tradurre in positivo. Il mio giardino può essere di carta, di ceramica, di stoffa e ricami, di cuciti grossolani e preziosi; convivono in un apparente disordine oggetti di ogni genere, animali domestici, figure fantastiche e figure della mia storia personale riprese da foto della mia famiglia, il più delle volte scattate da mio padre e ristampate e rielaborate da me. È una sorta di “alfabeto simbolico”, una personale scrittura dove i segni e le immagini si ripetono disegnando e organizzando racconti sempre diversi che aprono pertugi verso casa, verso quella civiltà contadina delle leggende narrate davanti al camino durante le lunghe sere d’inverno. È un “giardino delle delizie”, “locus amoenus”, luogo della sperimentazione e del gioco, dove mettersi alla prova per riconnettere parti di sé dimenticate, dove cercare l’armonia attraverso la gioia del “fare” e del manipolare materiali diversi. È lo spazio dell’ascolto introspettivo in cui cogliere le risonanze interiori e perdersi attraverso l’incanto e, in una sorta di prodigio, ritrovarsi. Come Alice mi piace immaginare un mondo surreale e magico, fantastico e reale nello stesso tempo dove possano convivere passato presente e futuro. Nell’orto del mio cuore (titolo di un’opera dedicata ad Ortucchio-hortus aquarum) ricucio momenti della mia infanzia, i giochi, i luoghi, i ricordi delle persone che mi hanno amato e che mi hanno aiutato a crescere e a diventare quella che sono. Tessera dopo tessera, come una sorta di mosaico, cerco di rimettere insieme i pezzi dei miei ricordi trapuntati e riannodati con fiori, uccelli, farfalle, cuori e qualche mazzamurello, personaggio spaventoso che rendeva però i nostri giorni di bimbi misteriosi e magici. Spazi ben delineati si alternano a spazi vuoti rendendo le mie opere luoghi in cui muoversi, fermarsi, viaggiare in lungo e in largo per ritrovare qualcosa di dimenticato o qualcosa di nuovo che faccia riflettere dando la possibilità di raccontarsi un po’. Stoffe, carta, velluto, rete, nastri, fili si alternano nella costruzione del mio puzzle. La tarlatana dipinta di nero, materiale che ho tanto usato in calcografia, mi aiuta a creare lo schermo giusto per velare e nascondere solo in apparenza le figure sottostanti. È la memoria che fa vedere e non vedere e che, a volte, riporta alla mente avvenimenti mai realmente accaduti, ma sognati e/o sperati».
Le fotografie di mio padre contadino mi ispirano e mi guidano nel «ritorno a casa» restituendomi legami per me importantissimi che cerco di far rivivere insieme a quel mondo semplice di campagna, fatto di piccole cose che ho apprezzato solo con il tempo. Con le foto dei matrimoni del dopoguerra ho realizzato l’opera mio padre fissò un’emozione io vorrei restituirvi un sorriso dedicata alle spose che nelle foto non accennano a sorrisi ma solo sguardi spaesati e in qualche caso spaventati. Nell’installazione ricostruisco una sorta di «paese» al femminile dove le spose sono ripresentate abbellite e impreziosite da ricami e ornamenti. È il mio semplice omaggio a donne straordinarie la cui dedizione per la famiglia, la casa, il lavoro mi commuove.
In alcuni lavori ho usato lenzuola di canapa, coltivata e tessuta da mia madre o da altre donne del paese come nell’installazione il luogo, la mappa, le famiglie in cui ricostruisco la rete dei legami tra le famiglie ricamando i cognomi più significativi del paese. Così nell’opera mamma ho recuperato un vecchio lenzuolo rammendato, non so quante volte, (un Burri inconsapevole) dove ho inserito in una tasca quattro bamboline (noi figlie).
Ispirata dal progetto il sangue delle donne – tracce di rosso su panno bianco, ideato da Manuela De Leonardis, ho realizzato una serie di opere dedicate a tematiche femminili sui pannolini del corredo, che si usavano prima dell’avvento degli assorbenti.
Negli ultimi anni ho dedicato molte opere e installazioni al tema sulla violenza alle donne, ai bambini e alle bambine spose, un tema che sento molto e che mi provoca un grande dolore: La casa capovolta, Volevo una bambola, Basta…, son morto che ero bambino. Molti di questi lavori sono realizzati con fili, lane, stoffe, anche di recupero.
Il filo realizza legami, nodi, reti, trame. Risulta per questo lo strumento più appropriato per «tessere» o «ritessere» rapporti, affetti, emozioni, livelli psicologici diversi (inconscio, conscio, subconscio). Filare, tessere, ricamare, cucire rappresentano un atto creativo che riunisce i diversi momenti della vita e per questo tra le varie possibilità tecniche scelte (collage, foto, ceramica…) ho incluso il cucito. Il filo, per sua natura, è metafora della vita stessa. Il filo del destino è ciò che unisce i diversi momenti dell’esistenza.
la casa capovolta, rete, fili, stoffe, tarlatana, carte…, 2016
(ph archivio Contestabile)
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
La storia dell’arte, scritta da uomini, ha sistematicamente da sempre escluso le donne. A noi sono arrivati solo pochi nomi di artiste, alcune delle quali inserite solo perché protagoniste di fatti di cronaca e non perché bravissime artiste, Artemisia Gentileschi, tanto per fare un nome.
L’esclusione è stata praticata anche nella gerarchizzazione dei materiali, degli stili. Secondo una mentalità sessista sono state classificate diversamente come arti praticate dagli uomini, la pittura, la scultura, e quelle usate dalle donne come la tessitura o la decorazione, che vengono così messe in fondo alla scala dei valori. La lotta che le artiste hanno dovuto operare ha riguardato quindi non solo le immagini, ma anche le modalità espressive nonché le pratiche per far conoscere il proprio lavoro.
Le cose, per fortuna, nel tempo sono cambiate. Si è via via costruita una rete di solidarietà composta da giornali, gallerie e associazioni dirette da donne che promuovono e facilitano la produzione femminile. Basti pensare ai testi della già citata Lea Vergine e alla sua splendida mostra L’altra metà dell’Avanguardia del 1980.
Nella mia esperienza, ho provato molte forme di collaborazione nel mondo dell’arte. Ho partecipato a esperienze artistiche con uomini con cui non ho mai avuto problemi, ma negli ultimi anni ho trovato molto naturale condividere idee, progetti, esperienze soprattutto con le donne, colleghe del mondo accademico, artiste, galleriste, giornaliste, curatrici. Spesso ho ideato e realizzato mostre in coppia con altre artiste e curatrici con cui ho rapporti di stima e amicizia e ho sentito con loro una grande sintonia e complicità che ha semplificato e facilitato la collaborazione.
Sono stata invitata a esposizioni di solo artiste. Mi piace ricordare Tutte a cura di Valeria Tassinari al Museo Bargellini di Cento, nel 2017; Una stanza tutta per sé a cura di Eloisa Saldari, alle Scuderie Aldobrandini, Frascati, nel 2018; Il sangue delle donne – tracce rosso su panno bianco a cura di Manuela De Leonardis, una mostra itinerante all’Aquila, Roma, Bari. Con Manuela ho trovato un’amica e una complice ideale nell’elaborazione di nuovi percorsi d’arte. Insieme abbiamo ideato progetti, di cui le sono molto grata, tra cui Lea Contestabile – Elementi di cosmografia amorosa, presentato alla Casa della Storia e della Memoria di Roma nel 2019 e all’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria nel 2020.
Ho rilasciato diverse interviste sul mio lavoro e non è un caso che le richieste e le proposte siano arrivate sempre da donne. Purtroppo avverto ancora una certa resistenza da parte di importanti Istituzioni a scommettere su artiste che non sono ancora storicizzate.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Mi sono formata negli anni settanta quando la rivoluzione femminista influenzava, anche senza volerlo, noi ragazze in cerca di affermazione e di emancipazione. Ho partecipato convinta a tutte le battaglie per i diritti: divorzio, aborto, riforma del diritto di famiglia, leggi sulla violenza contro le donne, nascita dei consultori. È passata molta acqua sotto i ponti, le ragazze di allora sono diventate adulte, anzi anziane.
«Il femminismo non è semplicemente un movimento del secolo scorso, ma un contenuto politico e relazionale tuttora molto importante giacché la presenza delle donne nella vita produttiva, culturale e politica è fondamentale per costruire un paese che risponda delle esigenze e dei diritti di tutti i cittadini, qualunque sia il genere, la razza o la religione. Oggi il movimento delle donne di nuovo scende in piazza contro la violenza, così come per dire no ai muri e alle barriere contro gli immigrati» (Lia Migale, Piccola storia del femminismo, Empiria ed.). Per quanto possibile, continuo a partecipare a iniziative, a manifestazioni a favore dei diritti dei più deboli e in particolare delle donne a volte proposte dai Centri Antiviolenza, dalle Case delle donne, dal Soroptimist International d’Italia, di cui sono stata Presidente del Club aquilano e con il quale ho promosso il progetto Codice Rosa, una stanza di prima accoglienza in ospedale per le donne che hanno subito violenza.
Il mio impegno sociale si è concretizzato anche nella realizzazione del Villaggio d’arte dei Bambini che ho costruito a Fossa (AQ) dopo il terremoto del 2009; il Villaggio accoglie la sede del MuBAq-Museo dei Bambini da me fondato come prolungamento dell’Accademia di Belle Arti sul territorio con l’intento di formare le giovani generazioni attraverso l’arte, offrire occasioni di lavoro ad alcune ex studentesse dell’Accademia e creare opportunità di crescita per la collettività.
Anche il mio lavoro artistico è concepito come impegno politico che si declina in diversi modi. Punto fondamentale è la rappresentazione dell’immaginario femminile personale e collettivo che esprimo anche con materiali e tecniche da sempre utilizzate dalle donne. La mia è un’arte che racconta idee, desideri, sogni e affetti personali, ma denuncia anche la violenza, la mancanza di libertà, i diritti violati. Libertà, uguaglianza, democrazia sono alla base della mia visione di società e di conseguenza del mio lavoro artistico. Invitata alla Biennale di Bodrum nel 2017 ho sentito, come impegno morale, ricordare Aylan, il bambino trovato morto proprio sulla spiaggia di Bodrum.
Credo fortemente nella capacità delle donne di creare bellezza, armonia e pace tra gli uomini. Amo il bello ma credo in un’arte che non sia semplicemente decorativa con funzione consolatoria; l’arte può essere provocazione, strumento critico e incentivo alla riflessione; può creare mondi fantastici e di sogno capaci di rendere visibile l’invisibile, come diceva Paul Klee; può essere specchio e labirinto dove ritrovare realtà inconsce, dimenticate o rimosse. La bellezza salverà il mondo, scriveva Dostoevskij. Non credo che l’arte possa salvare il mondo ma sono sicura che possa renderlo migliore e aiutarci a vivere meglio.
Le donne hanno l’intelligenza e la forza di trasformare realmente il mondo. Purtroppo la storia ci ha insegnato che il genere femminile spaventa e per questo va tenuto sotto controllo.
Negli ultimi tempi avverto, con grande apprensione, una sorta di ritorno indietro rispetto alle battaglie e alle conquiste ottenute negli anni settanta. C’è anche una sorta di fastidio alla parola femminismo, e alla rivendicazione di un linguaggio non sessista soprattutto da parte delle più giovani, anche talentuose. Si danno per acquisite e scontate le conquiste del femminismo e invece la situazione politica e culturale impedisce una vera parità di genere a tutti i livelli. Basti pensare che oggi si deve ricorrere alle «quote rosa» per poter garantire la rappresentatività femminile in ogni settore della società. Al contrario, trovo che il sistema dell’arte, che ha sempre oscurato e ignorato le artiste, ha oggi un’attenzione particolare verso il mondo femminile e guarda con grande interesse il lavoro delle artiste. Questo fa ben sperare per il futuro per tutti noi.
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volevo una bambola, vecchio lenzuolo di canapa, filo, garze, vecchi pizzi di abito nuziale, bambola, spille, 2019 (ph archivio Contestabile)
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Piccola coperta
(lana, cm 110x160 circa, 2005, ph Boys)
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Simonetta Ferrante (artista, fondatrice del Centro dell'Immagine e dell'Espressione Milano)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Tenendo conto che stiamo parlando di una pubblicazione che risale agli anni ’60 del secolo scorso che nelle sue violente enunciazioni istiga alla guerra tra i sessi per colpire una certa idea di femminilità, forse un po’ datata, e dipinge il maschio come un degenerato che può solo produrre 'arte' degenerata, fatico non poco a commentare la condizione attuale dell'artista donna usando queso filtro. Il mio punto di vista non prevede, né lo ha mai previsto, la distruzione del sesso maschile. La lotta sì, quella l'ho sempre combattuta, muovendomi in tutta la mia carriera professionale e artistica in ambiti prettamente maschili. Io appartengo al periodo pre-femminista e già intorno agli anni ’50 mi sono mossa per emergere dal mondo maschilista e da una educazione di patriarcato repressivo cercando di evadere dal mio mondo milanese anche come preparazione e studi. I tempi attuali sono molti diversi da quelli in cui ho mosso i primi passi e anche da quelli successivi. Le donne artiste oggi si muovono nel sistema dell'arte con molta più autonomia di pensiero e, in buona parte, anche di azione.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
La ricerca non si conclude mai, non è possibile. Ogni aspetto citato nella domanda sarebbe da approfondire, la scelta alla sensibilità dell'artista. La mia ricerca si è sviluppata nel tempo tramite lo studio della calligrafia occidentale, ma anche grazie al percorso meditativo orientale e si evolve ogni giorno, arricchita da nuove esperienze e trasformata da nuove intuizioni.
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Simonetta Ferrante, La fiera dei miracoli, 2001,
maniera a zucchero acquatinta Carta Graphia, lastra e carta cm70x50
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Simonetta Ferrante, Senza titolo, 2015,
inchiostro su carta, cm58x42
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L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Dal secolo scorso sono sempre più numerose le donne che ricoprono ruoli importanti all'interno del sistema dell'arte. Penso ad artiste, collezioniste che agiscono autonomamente, direttrici di importanti musei internazionali e di istituzioni espositive come la Biennale di Venezia o Documenta di Kassel, storiche e critiche dell'arte, operatrici culturali che popolano e influenzano il mondo dell'arte. Non parlerei di una rete di raccordo tra le specifiche professionalità femminili nel campo dell'arte, forse più di una sorta di azione solidale che spinge a ʽunire le forze’ producendo spesso ottimi risultati.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Se l'arte nel passato poteva ritenersi vittima di coercizioni maschiliste e la donna artista viveva quasi sempre all'ombra di un uomo sacrificando spesso il proprio talento per non oscurare quello dell'uomo – padre, marito/compagno, fratello – che aveva accanto, attualmente ritengo che, in quasi tutti i paesi occidentali, a partire dal secolo scorso ci sia piena libertà di espressione e i dati che abbiamo fanno pensare a una parità ormai raggiunta (nelle scuole d’arte, per esempio, il numero delle ragazze sta superando quello degli allievi maschi) per un progressivo avanzare delle donne sia sul fronte del riconoscimento critico sia su quello, in ogni caso più difficoltoso, del riconoscimento economico. Soprattutto a partire dagli anni ’90 sono state presentate numerose mostre sulla relazione tra i sessi e, per arrivare all'attualità, diverse sono le esposizioni in corso che vedono l'esclusiva partecipazione di donne, sovvertendo una concezione dell’arte femminile come irriducibile alla grammatica dell’arte maschile.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Non mi sono mai posta la questione in questi termini. Nella mia lunga carriera, come grafica sino alla fine degli anni ’70 e quindi come artista, mi sono sempre espressa come ʽindividuo’, femmina ovviamente, difendendo le mie scelte ma senza allusioni, nelle tecniche nei materiali e nelle tematiche, legate al genere, esplicite o velate.
Il segno calligrafico è l'indiscusso protagonista del mio lavoro che elaboro cercando un equilibrio tra i segni e il colore in una produzione che conta varie tipologie di artefatti: dal disegno all'olio, dal monotipo all'incisione, dall'acquerello al collage sino al libro d'artista.
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Simonetta Ferrante, Piedras ablandose, 2016,
acquarello su carta, cm38x28
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Simonetta Ferrante, Messaggi dalla notte, 2014,
collage di frammenti su tela, cm 40x40
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Serena Fineschi (artista, Siena, cofondatrice del progetto Grand Hotel e dell'asbl Modo Bruxelles)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
È così ovvio che un cattivo artista sia una contraddizione in termini? Viviamo un’epoca che favorisce la predominante etero patriarcale, questo è evidente in ogni disciplina e professione, e questa attitudine sociale e culturale sembra non scalfirsi.
A mio avviso, l’affermazione di Valerie Solanas nel suo SCUM, senza esaminare il tema della «parità nella differenza», affronta una questione al di là del genere nella quale ci troviamo costretti a riflettere sulla definizione di artista e su quella di identità. Siamo fin troppo abituati in questo tempo decadente e superficiale ad autodefinirci, ad attribuirci professionalità che non possediamo, a essere ciò che non siamo e di conseguenza ad avere scarsa comprensione del concetto di identità. Ecco, dunque, che l’affermazione «a male artisti is a contradiction in terms» diviene un vortice di controsenso nel momento in cui accettiamo passivamente la possibilità che esistano cattivi artisti.
Gli artisti sono necessari alla sopravvivenza e all’evoluzione dell’umanità, inclini e costantemente impegnati a riflettere sulla condizione umana, alle sue qualità e ai suoi limiti. Un’attitudine non prossima, talvolta aliena, alla vita ordinaria e all’intrattenimento che non ha il compito di interessarsi alle convenzioni correnti. Se oggi ci troviamo in una condizione nella quale spesso – a causa di una superficialità e incompetenza diffuse – non siamo più in grado di definire e riconoscere un’artista, quale futuro attende l’umanità?
Ritengo che in Italia ci siano numerose artiste di grande qualità, spesso sottovalutate in favore di colleghi uomini, ma questa obliquità non è parte del solo mondo dell’arte. Un atteggiamento tossico e dominante divenuto consuetudine perché di natura culturale, storica e sociale. Ma non esiste solo una condizione dell’artista-donna nel nostro Paese, esiste una condizione di artista per la quale è necessario battersi. C’è ancora molto da fare per avvicinarsi anche solo alla comprensione del concetto di parità della differenza.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Non so se ho ben compreso la domanda ma gli artisti non cessano mai di cercare, qualsiasi siano i campi di ricerca e non ritengo che le riflessioni possano esaurirsi ma – al contrario – siano dotate della capacità di svelare e restituire rinnovate prospettive nelle quali si creano luoghi di transito tra le libertà di movimento in cui è possibile intravedere le proprietà del difetto, del tempo, del pensiero e della materialità del corpo.
Credo fortemente che per fare arte non sia necessario cercare lontano, quello di cui abbiamo bisogno è nella confidenza dei nostri corpi e nella prossimità delle cose. È tutto qui, già presente nello spazio che occupiamo, basta aprire lo sguardo e il mondo di cui parlare, su cui riflettere, è già in questo luogo e ha il potere di trasformarsi di continuo.
In realtà è sempre stato così, ma siamo lentamente diventati ciechi nell’imminenza, per favorire degli orizzonti lontani e seducenti. Tuttavia, queste fascinazioni sono apparenti, mancano di autenticità e sono insostenibili nel tempo. Decidere di esaminare, fronteggiare, discutere il proprio corpo in relazione al valore, lento e imperfetto delle piccole cose può apparire certamente un’inclinazione obsoleta rispetto alla velocità con cui la società degli eventi e del gigantismo ha deciso di procedere ma che – con evidenza attuale – non ha significato avanzare.
Siamo presenti al mondo solo tramite il nostro corpo e «… il mondo è intessuto della contiguità di tutti i corpi...».
Oggi più di sempre, ritengo che questa affermazione sintetizzi l’importanza di recuperare le architetture relazionali in rapporto al nostro corpo e allo spazio che abitiamo. Uno spazio, una distanza colma di confidenza, dove il corpo è, esiste nella sua complessità, nella sua precarietà e fallibilità, decisivo per la nostra sopravvivenza e per la creazione di nuove prospettive.
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Ingannare l'Attesa (Rosso Tiziano), Trash Series, 2019,
penna Bic Cristal su carta, Group show, Stanze,
Marignana Arte, Venezia (collezione privata)
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Ingannare l'Attesa (Verde Veronese), Trash Series, 2019,
penna Bic Cristal su carta, Group show, Stanze,
Marignana Arte, Venezia (collezione privata)
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L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Durante questi anni ho incontrato donne meravigliose, di intelletto acuto e smisurata sensibilità. Artiste, curatrici, storiche, critiche, collezioniste con le quali ho avuto l’onore e il piacere di condividere mostre, idee e progetti. Senz’altro la reciproca capacità delle donne – contrariamente al pensiero comune – di supportarsi senza il mirino fallico della competizione è un’attitudine che ho misurato con frequenza e che trasferisce il valore del lavoro sull’importanza dei contenuti e dell’umanità.
Nel 1946 Simone De Beauvoir scriveva: «Donne non si nasce, si diventa…» e le donne con le quali ho avuto il piacere di lavorare non sono vittima di alcuna fatalità e stanno al mondo con fierezza, professionalità e consapevolezza. Pur non avendo una collocazione degna nel patto sociale, lavorano per tenerci ancora vivi nell’accettazione delle nostre debolezze, alimentando i nostri sentimenti e desideri più profondi.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Di certo esiste un enorme problema legato a molte istituzioni, il cui funzionamento è ancora di matrice patriarcale dove si continua ad agire come custodi di eredità razziste e coloniali.
Personalmente non ho mai considerato l’arte come mezzo specificatamente mirato a una militanza attiva, ma è certo che abbia un ruolo nel momento in cui crea nuove sensibilità. L’artista svolge più o meno consapevolmente un’opera concreta di lotta quotidiana – con il suo lavoro e le sue urgenze – evidenziando contraddizioni, smascherando modelli culturali errati, creando continuamente cortocircuiti disturbanti, dunque, l’unica cosa che possiamo fare è continuare a lavorare per opporci al modello unico di riferimento. Il dissidente è «colui che discorda», colui che è distante dal pensiero e dal linguaggio comune.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Ho sempre ritenuto che l’opera (benché femminile per sua stessa definizione) non debba appartenere ad alcun genere. L’opera esiste per sé stessa, per stare al mondo con la dignità che le compete. Nel mio lavoro non esiste alcun elemento consapevole di appartenenza al femminile, la mia sensibilità è quella dell’artista. Ognuno di noi è uomo e donna allo stesso tempo e si è artisti ancor prima di conoscere e scoprire il proprio orientamento sessuale.
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The Primitives (Trash Series), 2018, chewing-gum and saliva on cardboard, photo credit studio Petro-Gilberti (private collection)
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Viva Questo Mondo di Merda, 2012-2018, red neon lamp, exhibition view solo show After the Party, 2018, Montoro12 contemporary art, Brussels (private collection),
photo credit Geert De Taeye
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Rosanna Gangemi (filosofa e critica d’arte, Université libre de Bruxelles)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Il manifesto poetico-politico SCUM si diffonde e in qualche modo evapora insieme con il tentato omicidio da parte di Solanas di Andy Warhol. Quel che mi sembra interessante sottolineare rispetto a un progetto per certi versi pericolosamente essenzialista è la carica recriminatoria e propositiva rispetto all'urgenza non solo per le donne ma certo a favore di queste, come di altre categorie, interrelate o no con la dimensione di genere (pensiamo al peso di status, etnia, appartenenza religiosa, età, ecc.), di una liberazione dalla subalternità e la discriminazione, a favore di nuovi modi, collettivamente intesi, di assumere i sentimenti, le emozioni, il desiderio, il potere, il danaro, il lavoro, l'alterità, la vita. Vi è una grande attualità in queste posture.
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Le reti che mi appartengono e mi legano ad altre donne che hanno fatto dell'arte un oggetto di investigazione e messa in discussione del reale e una costante possibilità dell'esperienza della bellezza sono sottili, resistenti, trasparenti. Le ʽsorellanze’ fanno parte di un modo precipuo alla donna di cercare conforto e confronto in dimensioni comunitarie dove può riconoscersi e sentire di poter avanzare nelle proprie sfide. Chiaramente l'arte è un collante grandioso, perché il fare e il pensare individuale e collettivo insieme promettono una ricaduta benefica che supera i confini del cenacolo al femminile. Penso al lavoro febbrile e gioioso che porta avanti da anni la gallerista e saggista Barbara Polla. Oggi, assumere ʽanche’ una prospettiva di genere è quasi un automatismo nel ʽleggere’ criticamente un'opera, godendo della potenziale facilità di confronto con l'autrice della stessa, facilitata dai dispositivi comunicativi a nostra disposizione.
In termini di sorellanze storiche, emblematico il contributo dell'artista verbovisiva Mirella Bentivoglio, infaticabile organizzatrice di progetti espositivi con artiste donne, che darà vita, in particolare, alla mostra apripista Materializzazione del linguaggio, alla Biennale di Venezia, poi approdata a New York. Una donna a cui inoltre dobbiamo un prezioso archivio artistico al femminile. È anche grazie al coraggio delle sue scelte scomode e della sua tenacia, se oggi molte di quelle artiste fanno parte di collezioni pubbliche e private, anche di donne, il cui potere d'acquisto nel tempo è aumentato, e oggi sono sempre più numerose a collezionare arte, a sostenere le giovani e i giovani, a contribuire a un circolo virtuoso sempre meno settario. Va detto che chiaramente dal 1978 a oggi molte cose sono cambiate, a cominciare dalla presenza crescente nelle mostre di rilevanza nazionale e internazionale di artiste donne, urgenza evocata, sempre per restare in laguna, dai manifesti irridenti delle Guerrilla Girls nel 2005. Ma dovremo attendere il 2019, con la mostra May you live in interesting times, facendo proprio la conta, per vedere un numero di donne invitate a esporre superiore a quello degli uomini. Anche se poi, a meditare sui temi affrontati nella stessa, si gioisce a metà: l'arte mostrata, accanto a riflessioni sul bello, era vigilante e interpellante, implicando temi forti e questioni irrisolte rispetto alla condizione delle donne nel nostro mondo.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Certamente, spesso indiscutibile, talvolta invisibile e perciò inafferrabile. Anche nell'arte, le visioni essenzialiste, pregiudiziali e stereotipiche sono alla base di un potere di scelta che si fa ancora fatica a condividere con la donna. Ma, se è ancora vero, come ha scritto Starhawk, che il fumo dei roghi è ancora nelle nostre narici, i riposizionamenti continuano la loro corsa vitale, in un incedere dialettico, con tanti inciampi, anche dolorosi, che però rimodella, di generazione in generazione, il comune intendere, attraversando, e trasformando, luoghi del senso materiali e immateriali.
Quali sono gli elementi della sua riflessione artistica rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Sono incline all'interstiziale, il carattere liminale e poroso delle cose, il senso della soglia, il marginale, il sincretico, la potenzialità dell'ombra, l'inudibile, lo sfocato, le palingenesi, le rivendicazioni per il pane e per le rose. Pertanto la questione femminile mi interpella anche intellettualmente, non solo in quanto donna, figlia, nipote, sorella, madre di una piccola donna, amica e collega di donne, attiva in un mondo del lavoro prevalentemente coordinato da uomini (quante poche filosofe a gestire centri di ricerca, ad intervenire ai festival…).
Ho lavorato a lungo per la promozione della ricerca di artiste donne, prima come giornalista e critica d'arte, poi alla codirezione di DROME e in qualità di curatrice. Poi sono andata in qualche modo storicizzandomi. Il mio percorso di ricerca, fatto di momenti anche molto diversi, parte da un'interrogazione della nozione di «genere» (Led, 2004) per approdare a uno studio su Margaret Mead che convocava Judith Butler, e incrociare poi l'eredità di artiste impegnate a scardinare gli automatismi del linguaggio, anche come strumento di dominazione patriarcale, praticando la poesia visiva e concreta. Ho poi affrontato un'immensa traversata, al timone con Paola Del Zoppo, sull'esilio e il confino nella letteratura scritta da donne nel Novecento (Aracne, 2020). Ora, corentemente con un tempo pandemico di mobilità interrotta e di forzata, e rinnovata, relazione con gli spazi domestici, lavoro sull'opera pregnante e misconosciuta di Marlen Haushofer. Un'opera ʽtransfrontaliera’, perché come moglie e madre nella provincia austriaca del dopoguerra, l'autrice era costretta a scrivere la notte e al mattino quando tutti dormivano e a lottare per un qualche equilibrio tra la vocazione artistica e l'acquiescenza sociale. Un'opera composta da vibranti ritratti intimi di donne in interni, con la parziale eccezione del romanzo post-apocalittico La Parete: ecofemminista ante litteram, pubblicato nel 1963, dove, ben prima di SCUM, l'unico uomo sopravvissuto attenta alla vita dell'ultima donna e degli animali con cui si era dimostrata capace di abitare la fine. Da ordinare d'urgenza presso il vostro librario di fiducia. Ah, al momento rifletto anche sull'indispensabile inutilità della poesia.
Silvia Giambrone (artista e performer, Londra)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Si discute molto degli aspetti ‘puramente’ femminili messi in campo nell’arte oggi e bisogna ammettere che per diversi ordini di ragioni restringere il campo all’arte ‘femminile’ diventa sempre più difficile, un po’ perché, come diceva Virginia Woolf, nell’artista è molto difficile separare il femminile dal maschile in tutte le sue pertinenze, e un po’ perché con le sempre più incalzanti prospettive del gender fluid di questo si sente sempre meno l’esigenza. Per quanto mi riguarda, credo che quello che stia accadendo oggi riguardi soprattutto la riscrittura dei miti che per lungo tempo hanno dominato nell’immaginario e nell’arte: il mito dell’artista genio o quello dell’artista maledetto o ancora tanti altri che definivano implicitamente cosa fosse l’artista ontologicamente. Oggi possiamo dire che quei miti appartenevano all’artista uomo, non all’artista in quanto tale, e l’avanzare delle artiste donne trasforma quei miti e quando si trasformano i miti, i greci lo sapevano e lo sappiamo anche noi ancora oggi, si trasforma l'intera società.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Affatto. La dimensione del femminile nel mio lavoro appartiene al fatto che io sono una donna e faccio esperienza del mio corpo di donna. C’è molta autobiografia nel mio lavoro. Sul corpo e le sue pertinenze ho sempre scritto la storia della mia vita e così, credo, sarà ancora. Adesso sono anche attratta dalla dimensione più espressamente erotica dei corpi e mi piacerebbe andare anche in quella direzione ma non so ancora dire come.
Silvia Giambrone, Vertigo, 2015, oggetti scannerizzati stampati su carta da pacco
Courtesy dell’artista e di Richard Saltoun Gallery
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Sono sempre più numerose le associazioni di advocacy per le artiste e le professioniste donne, quindi sono contenta di poter dire che qualcosa si muove in questa direzione. Non conosco però alcuna di queste associazioni in Italia, d’altra parte posso dire che principi di sorellanza nel mondo dell’arte e non soltanto sembrano diventare sempre più diffusi e di questo possiamo essere molto felici e orgogliose. Io lavoro con moltissime donne e sono tutte donne che amano lavorare con altre donne e sono contente di farlo non per principi di quote rosa, che comunque a mio avviso non vanno demonizzate, ma per il valore aggiunto che si riconosce nel lavorare con e tra donne. Non siamo una associazione comunale o regionale o nazionale con una missione specifica ma stiamo costruendo lentamente una rete che diventa a poco a poco una cultura, una sensibilità. Naturalmente lo hanno fatto per decenni altre donne prima di noi e noi stiamo portando avanti un lavoro che ha radici nel secolo passato, ma che ora richiede nuova organizzazione e nuove sfide.
Silvia Giambrone, Nobody’s room, 2015, Performance
Courtesy dell’artista e di Galleria Marcolini
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Carla Lonzi dice in Sputiamo su Hegel, con una certa delusione, che nell’università la donna non solo non trova la sua emancipazione, ma il perfezionamento della propria subordinazione. Questo può dirsi in parte anche dell’arte. L’arte non è solo vittima, l’arte è anche complice del patriarcato, nella misura in cui lo è tutta la cultura, perché il patriarcato è innanzitutto una cultura, un insieme di pratiche quotidiane apparentemente immuni da violenza e lo è stato per moltissimo tempo e anche l’arte, per quanto sovversiva e intrinsecamente politica, non si è sottratta al patriarcato e in larga parte lo ha anzi incarnato, per molto tempo.
L’opera d’arte offre da sempre degli spiragli di resistenza semplicemente perché non appartiene mai del tutto neppure all’artista che la produce, l’opera d’arte quando è potente tradisce sempre anche l’artista, e in questo tradimento offre sempre un potenziale rivoluzionario. Ci sono artisti patriarcali che hanno prodotto opere rivoluzionarie e artisti sedicenti o incoronati dalla storia come rivoluzionari che hanno prodotto opere patriarcali, l’opera d’arte è sempre in parte un mistero.
Oggi abbiamo molti strumenti per individuare le istanze patriarcali che innervano i discorsi dominanti e abbiamo più chances di sottrarci a un ordine di regole e pratiche che non ci rappresentano e non condividiamo, ma non siamo al riparo dalla nostra storia patriarcale, non ne siamo immuni in quanto artisti, saremo immuni se avremo la forza e la volontà di tenere la guardia alta. A volte, come Ulisse, dovremo costringerci a non prestare orecchio alle più antiche tentazioni.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Colletti di macramé, opere fatte all’uncinetto, vita domestica, specchi e decorazioni, sono solo alcuni dei miei oggetti di interesse e sono tutte pertinenze ‘tradizionalmente’ femminili. Mi interessa molto l’eredità culturale testimoniata da questi ‘oggetti’ che raccontano la nostra vita e attraversano ancora la contemporaneità. Mi interessa scoprirne il patto di segretezza che abbiamo stipulato con loro e con esso il potenziale violento, l’aspetto sinistro, il grado di connivenza che noi esercitiamo con questa cultura fatta di segni silenziosi e apparentemente innocui che, se ascoltati, raccontano storie di assoggettamento, subordinazione, violenza. Nietzsche diceva: «Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro». Non c’è, a mio avviso, battaglia più pericolosa e logorante di quella che non si ha coscienza di combattere. Tante di queste battaglie avvengono nell’ambiente domestico.
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Silvia Giambrone, Cutlery, 2016,
Posate d’argento, catene di acciaio ancorate a parete185x10x2 cm,
Courtesy dell’artista e di Studio Stefania Miscetti
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Silvia Giambrone, Mirror n.1, 2018,
ottone, resina, cera, acacia spinosa,
100×65, Courtesy della collezionista
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Veronica Longo (incisore, curatrice, gallerista, docente al Liceo Artistico Boccioni-Palizzi Napoli)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
In verità, non saprei se un artista uomo sia effettivamente una contraddizione in termini, in quanto l’arte per me non ha genere o colore: un’opera d’arte, se lo è davvero, resta tale indipendentemente dalla mano di chi l’ha creata. Piuttosto, potrei dire che la storia ha sempre portato alla luce grandi geni (maschili): Leonardo, Michelangelo, Caravaggio (giusto per citare nomi a tutti noti) e ricorda le donne solo come subalterne all’ombra di altri protagonisti o se vincolate a storie personali tragiche di violenza o soprusi (anche qui cito due casi celebri: Artemisia Gentileschi e Frida Kalo).
Personalmente, sono un incisore, svolgo quindi un lavoro tipicamente maschile (non esiste neppure il femminile del nome!), fisicamente impegnativo e che vede le sue origini negli armaioli. Conosco tantissime artiste incisori e per evidenziare l’attività di molte di loro, presenti in tutto il mondo, ho organizzato varie edizioni della Biennale Incisioni al femminile. Tutte queste donne si dedicano con passione alla grafica d’arte, hanno spesso le mani sporche e le unghie spezzate poiché gli inchiostri o i metalli da lucidare, granire ecc. sono poco compatibili con l’estetica! Sono artiste a cui rende più felici un chiodo da utilizzare come puntasecca, piuttosto di un fiore reciso!
Dal punto di vista professionale, devo purtroppo segnalare che, in determinati ambiti, soprattutto quelli universitari o delle Accademie di Belle Arti, pochissime sono le donne a cui sono affidati gli incarichi di docenza e, le poche che li rivestono, li hanno guadagnati con grande fatica, accettando per anni il compromesso di essere scavalcate da altri nelle graduatorie oppure hanno avuto la fortuna di essere amiche, mogli, parenti di qualche uomo ai piani alti… Nei vari ambienti con cui ho avuto contatti, pure all’estero (soprattutto Europa e America Latina, mentre è totalmente diversa la situazione in Giappone, dove hanno un senso della giustizia elevatissimo), ho potuto tristemente riscontrare che la situazione è la medesima. Io stessa ho visto affidare l’incarico di Tecniche per l’incisione (per il quale ho tutti i titoli) a un uomo che nella sua vita non ha mai inciso una lastra, bensì, si è sempre occupato di grafica 3D e multimediale, ambito totalmente diverso rispetto all’insegnamento richiesto! Tuttavia, lui era il figlio di un artista noto a livello locale, amico di un gruppo ristretto di uomini del dipartimento di grafica (in sintesi, lì prima di me non c’era mai stata una docente d’incisione e, io stessa, sono stata chiamata perché i 3 maschi che mi precedevano nella graduatoria quell’anno non potevano ricoprire il posto!). Credo che questo la dica lunga sui compiti che ci vengono affidati nei posti di rilievo, d’altronde, non sarà certo un caso che, in Italia, una delle nazioni più corrotte che ci siano, non abbiamo mai avuto una Presidente della Repubblica!
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Penso che la ricerca non si concluda mai perché l’arte stessa, come la vita, è in continua evoluzione… Stiamo percorrendo un periodo storico particolarmente critico, negli affetti, valori, ma persino in cose che prima davamo per scontate, come il poter respirare liberamente per strada, incontrare e abbracciare un amico, cose semplici, eppure essenziali, per lo spirito e la libertà di espressione di un artista. Pertanto, mai come adesso credo che reazione e resistenza siano sentimenti forti nelle persone e che, gli artisti in particolare, che non possono più nutrirsi del mondo circostante, di eventi, mostre, incontri, scambi proficui con il pubblico o addetti al settore, debbano sviluppare una grande resilienza, affinché il loro animo non ne esca sconfitto.
Per quanto mi riguarda, l’aspetto tecnico, così come quello manuale, sono fattori importanti, che contribuiscono alla riuscita dell’opera: un buon incisore sa bene che basta un solo passaggio trascurato, per perdere tutto il lavoro svolto anche per mesi. D’altro canto, non è pensabile incidere come nel Quattrocento, senza tener conto dell’evoluzione dell’arte contemporanea, del suo essere spesso effimera o della nuova sensibilità ad esempio per l’ambiente o per le metodologie atossiche, aspetti sempre più sentiti pure nell’ambito delle tecniche sperimentali, che tendono sempre più ad avvicinare il segno inciso alla pittura, dando più rilievo alla bellezza e talvolta, all’unicità della stampa, a dispetto della sua riproducibilità.
Resteranno solo bolle..., trittico, 2019
ceramolle, acquaforte e puntasecca su zinco
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Senza dubbio esiste un raccordo delle specifiche professionalità, io stessa ne sono la prova! Svolgo, contemporaneamente, il ruolo di incisore, ma anche quello di gallerista, critica, curatrice e designer dei vari cataloghi (questo grazie a una formazione culturale poliedrica, iniziata con un diploma in Grafica pubblicitaria, proseguita con una laurea in Lettere a indirizzo storico-artistico presso l’Università Federico II, un biennio specialistico in Grafica d’Arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove mi sono pure abilitata all’insegnamento dell’Arte della Fotografia e della Grafica pubblicitaria). L’incisione, per i vari premi ricevuti o le mostre a cui ho aderito, mi ha portato in giro per il mondo, dove ho potuto conoscere tantissimi esperti del settore e confrontarmi con loro: comprendo così le problematiche dell’artista, ma anche di chi si trova dall’altra parte della ʽbarricata’. Ciò che spesso non è chiaro a molti è che tutte le professionalità sono utili e concorrono alla fortuna delle altre: non possono esistere collezionisti o galleristi senza artisti, così come artisti senza curatori, critici o addetti stampa che li pubblicizzino adeguatamente. Ciò di cui c’è grande penuria, di questi tempi, sono le collezioniste, donne sapienti e mecenati dell’arte come ad esempio Peggy Guggenheim, che strinse amicizie con i primi artisti dell'avanguardia europea, alcuni dei quali emigrati americani, promuovendo così nuovi musei e portando avanti cultura e tendenze, di cui ancora oggi possiamo piacevolmente godere.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Anche se non ci soffermiamo mai su questo aspetto, il termine Arte, derivante dal latino ars, artis, è un sostantivo femminile, dunque, potremmo asserire che l’arte, in senso lato, è donna. Le parole qui riportate: resistenza, rivolta, rivoluzione, cura e responsabilità, sono peculiarità di molte donne, così come la capacità di agire e di (ri)produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche. A tutto ciò, aggiungerei il coraggio, la tenacia e la pazienza che caratterizza tutte quelle eroine che non hanno il timore di mostrarsi per ciò che sono! Eppure, per quanto femminile nella sua natura intrinseca, l’arte da sempre è vittima della coercizione del potere maschile: ne sono prova le numerose interpreti che non riescono ad affermarsi o sono all’ombra di personaggi più famosi, tantissimi i casi sia delle pittrici così come delle scrittrici (alcune delle quali in passato hanno adottato pseudonimi maschili, come ad esempio George Sand). Se facessimo una disamina delle protagoniste, potremmo facilmente notare che la percentuale di autrici famose, e riconosciute per la loro genialità, è nettamente inferiore a quella degli uomini (scommetterei, ad esempio, che Tamara de Lempicka, per chi la conosce, viene ricordata perché associata a D’Annunzio più che per la sua originalità!); d’altronde, come potrebbe essere diverso se loro stessi detengono il monopolio? Quanti Lucio Amelio, Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Achille Bonito Oliva, figure di spicco dell’arte contemporanea, rammentate in gonnella? Possibile che non ci siano mai state donne, in qualità di storiche o critiche, che abbiano creato tendenze o nuovi movimenti?! Purtroppo, la storia ci insegna che spesso restano nella memoria non i più meritevoli, ma coloro che sono riportati dai biografi di turno… E, persino lì, il celebre scrittore de Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, guarda caso, si chiamava Giorgio Vasari e non certo Sofonisba Anguissola. Questa pittrice, figura di spicco nelle corti italiane, con competenze letterarie e musicali, ebbe una fitta corrispondenza con i più famosi artisti del suo tempo, ma fu citata dal Vasari solo grazie a Michelangelo, il quale sosteneva che la giovane fanciulla avesse talento; Buonarroti stesso vide la produzione dell’artista perché il padre aveva provveduto a spedirgli i disegni… Insomma, ben due uomini sono dovuti intercedere affinché un terzo potesse notarla e menzionarla! Tutto ciò accadeva nel 1550-68 (I e II edizione delle Vite), ma oggi, nel 2021, nonostante mezzi prima impensabili (internet, email, siti web, social network e tanto altro), non mi sembra che la situazione sia tanto diversa. La verità, probabilmente, è che il talento, l’indipendenza di pensiero, espressione e azione femminile spaventano perché la maggior parte delle donne, di fronte a ostacoli e avversità, come delle flebili ma resistenti canne, si flettono, ma non si piegano!
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
L’utilizzo di una sorta di segni che formano dei vortici, la minuzia dei dettagli in alcuni lavori o la ricerca dell’introspezione personale sono alcuni tratti peculiari della mia produzione. Senza dubbio, penso che la modalità con cui presento le mie opere, il tipo di disegno o gestualità, rivelino una spiccata femminilità: non so ben spiegare la motivazione ma, a ben vedere, si distingue sempre una mano maschile da una femminile. Per alcuni anni ho rappresentato le bolle di sapone (talvolta colme di sogni e oggetti), come metafora della vita, effimera e giocosa… qualcuno vedeva in esse un ventre gravido e il desiderio di maternità, ma per me mai asserzione è stata più lontana dalla realtà come se, per sentirmi donna, dovessi necessariamente essere madre! Ovviamente, ciò non significa che non possegga una forza creatrice: ho semplicemente scelto di destinarla alle mie opere, alla galleria Controsegno (di cui sono la promotrice), piuttosto che a una prole. Spesso mi sono sentita giudicare come ʽstrana’, penso, piuttosto, di essere semplicemente diversa! Probabilmente, la femminilità della mia produzione si riflette nella scelta dei soggetti e nella sensibilità che a essi offro: sono molto attratta sia dal mondo dell’infanzia sia da quello senile: i primi per la tenerezza e l’ingenuità, i secondi per la storia che si nasconde dietro a ogni piega della pelle; in entrambi i casi, sono persone fragili, che necessitano di cure e protezione.
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Vulnerabilità, 2013, puntasecca e acrilico
su plexiglas con inchiostro a base d'acqua
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Infanzia strappata, 2016, puntasecca stampata su carta applicata su tavola e cucita
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L'amico fedele, 2021, puntasecca e tecniche sperimentali su cartone cuoio
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Beatrice Meoni (scenografa e artista visiva, Sarzana, La Spezia)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Non credo in questa asserzione della Solanas, anche se penso che la radicalità del pensiero fosse in quel momento necessaria alla rivolta contro l'indiscutibile monopolio del pensiero patriarcale dominante. In Italia Lonzi si separa dal sistema dell'arte con un atto di radicalità per dedicarsi unicamente al pensiero femminista e l’estremizzazione del gesto le è necessaria per portare avanti il femminismo della differenza.
Ritengo che il posizionamento dell’artista sia nel suo pensiero e nella sua opera, penso a Carla Accardi, Maria Lai, Marion Baruch, ma anche a Marisa Merz e Renata Boero, per parlare di artiste che intersecano con le loro opere il nostro tempo e che sono fonte di pensiero e di ispirazione costante per l’utilizzo di pratiche legate al pensiero femminista della differenza. Certo il panorama in cui si sono mosse e in cui ci muoviamo adesso è ancora inglobato dal sistema capitalistico neoliberale, neocoloniale e tutt’oggi fortemente ancorato al predominio maschile, ma lo scardinamento del monopolio a favore della differenza risulta più facile adesso, anche se in un territorio non privo di trappole.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Mi piace pensare che la ricerca non sia mai conclusa, ma «in progress» perché si basa su una relazione, prevede quindi sempre un costante assestamento, cambiamento. La ricerca è trasformativa e generativa e non si può prescindere da questo suo aspetto. Cercare di essere consapevoli partendo da sé e dalla condivisione del proprio lavoro e del proprio desiderio insieme ad altre donne e uomini è un atto politico importante e necessario per decifrare gli aspetti dell'arte e della realtà, è un lavoro costantemente da approfondire.
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Beatrice Meoni, Caduta, 2019,
olio su tavola 100x80
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Beatrice Meoni, Piede, 2019,
olio su tavola, 41x33
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L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Anche se negli anni ’70 esistevano luoghi importanti in cui la pratica artistica femminista si mescolava alla pratica di pensiero, penso alla Cooperativa di via Beato Angelico a Roma, o al lavoro della gallerista Romana Loda a Brescia, non esisteva per quanto mi risulta un raccordo tra collezionismo (affiorato in maniera evidente, solo in anni recenti) critica e curatrici.
Lonzi con la registrazione di Autoritratto trasforma i canoni della critica e riporta al centro la creatività della pratica di relazione. In seguito, la germinazione di spazi «no profit» rispetto al passato in cui pratiche di pensiero incontrano pratiche artistiche, ha reso più vicino questo raccordo anche se la rete è ancora piuttosto fragile e in certi casi dispersiva.
Il lavoro per rafforzare questo connubio fatto recentemente da alcune istituzioni ha inaugurato una nuova stagione di mostre e di dibattiti aprendosi a incontri tra la pluralità delle pratiche artistiche femministe e pensiero, mi riferisco ad esempio a: Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e femminismo in Italia, Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell'arte italiana contemporanea, ma anche al progetto Women Up della Galleria Nazionale di Arte moderna e contemporanea e alla mostra in corso in quella sede, Io dico Io, curata da Cecilia Canziani, Lara Conte, Paola Ugolini.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
L'arte non è certo immune dal potere ancora presente in certe forme di patriarcato e dall'imitazione di queste anche al femminile, come non è immune dal linguaggio politically correct di cui adotta spesso modelli e nomi. Lo smantellamento di certe formule linguistiche è oggi fortemente necessario, a mio avviso, per riportare l'accento sull'autenticità e sulla profondità di un certo approccio.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Il femminile che rappresento è in continuo mutamento come me, come le donne che conosco. La trasformazione è il lato a cui sono più interessata e che cerco di ritrarre. L'aggettivo velato non corrisponde a questa necessità di ritrarre quello che si muove interiormente, e che avviene per frammenti, per attimi in cui si rivela il nesso tra il quotidiano e l'interiorità, tra gesto e pensiero.
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Beatrice Meoni, Restless - le ore, 2020,
olio su tavola, 120x100
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Beatrice Meoni, Caduta, 2019,
olio su tavola, 152x120
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Veronica Montanino (artista e docente presso l'Accademia di Belle Arti di Catanzaro)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Penso vadano distinti due piani. In Italia il mercato e l'intero sistema culturale ed economico sono tragicamente deboli e non si dimostrano in grado di sostenere, alimentare e promuovere l'arte contemporanea italiana. Sappiamo che la struttura sociale stessa, conservatrice in Italia, penalizza le donne in ogni ambito lavorativo e l'unica possibilità per una donna artista è quella di avere intorno persone che, a partire dalla propria famiglia, la appoggino e, di concerto, ne favoriscano le condizioni. Mi riferisco anzitutto alla necessità di essere liberate dal modello classico della relazione, che prevede la cura, l'abnegazione ecc., e che non lascia spazio e tempo sufficienti per un lavoro impegnativo e, direi, quasi fagocitante, come il nostro.
Tutt'altra questione è commentare la celebre frase citata. Certamente legare l'arte al maschile è una contraddizione in termini, ma vale solo se non si parla di genere sessuale, cioè se si parla di maschile e non di maschi. L'arte, come è ovvio, non ha genere, ma il principio della creatività è evidentemente femminile, perché femminile è la facoltà di generare e lo è il processo che precede la nascita. Il filosofo Emanuele Coccia descrive la difficoltà di parlare della nascita che, nella nostra cultura, è un grande tabù come è evidente dal fatto che c'è un enorme numero di rappresentazioni – dalla filosofia alla letteratura al cinema – che hanno come soggetto la morte, ma così non è sul tema della nascita. La ragione, ci spiega con grande chiarezza e lucidità il filosofo, è che «veniamo da una civiltà costruita da maschi per maschi, ovvero da corpi incapaci di far nascere e, quindi, ossessionati dalla morte». La molteplicità e la pluralità delle forme, che si tratti di natura o di artificio, ha a che fare con la vita, con la nascita, con la metamorfosi... dunque con il femminile. La maggior parte degli artisti (perlomeno quelli che dal mio punto di vista possono essere definiti profondamente tali) incarnano il femminile.
La bella stagione, dimensioni ambiente, 2013
Intervento permanente per la Casa dell'Architettura di Roma
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
È una ricerca così complessa che forse siamo appena agli inizi, per come la vedo io. Per svolgerla è necessario un cambio di paradigma, una svolta del pensiero, e alcuni studiosi e scienziati, come il filosofo di cui sopra, stanno andando proprio in quella direzione mi pare. La chiave è il superamento della logica binaria che mette da una parte l'estetica dall'altra l'esistenza: l'arte e la vita, lo ʽspirito’ e la materia, la mente e il corpo. La cultura della scissione che considera la pelle un fatto di superficie (e dichiara la superficie decorativa e inessenziale per definizione), mentre la profondità, la sostanza, il contenuto si troverebbero altrove. «Intelligenza manuale», che avete ripreso nella domanda, è una bellissima espressione utilizzata da Anna Maria Panzera, compagna della ricerca sulla eventualità femminile dell'arte, che ha dato luogo ad incontri, convegni e alla fine anche a un libro, coinvolgendo una settantina tra artiste e studiose. Sembra un paradosso, ma le mani possono essere concepite come intelligenti se si smette di pensare in termini dualistici e si supera l'idea che l'intelligenza sia quella logico-matematica. L'arte è lo stimolo a concepire un'altra forma di intelligenza.
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Si tratta di una rete, come tutti i sistemi vitali. Una struttura reticolare che deve lavorare insieme e in modo possibilmente non verticistico, ma più orizzontale in un'ottica di cooperazione delle parti. Se ognuno fa il suo, le cose possono funzionare. Farcela da soli è impossibile nel mondo dell'arte, la riuscita di un artista è un'impresa e come tale deve essere sposata da molte e diverse competenze, energie, risorse. Quello intorno all'artista e alla sua arte si chiama sistema, appunto, che di per sé non è una brutta parola, anzi. Il problema sorge quando questo sistema si identifica con il modello competitivo, agonistico e antagonista che è quello maschile e allora tutto diventa più asfittico e meno vitale. Non voglio idealizzare le donne che riescono, quando assumono questo modello, a essere persino più feroci degli uomini, però a me è capitato, ad esempio nella mia ultima mostra presso i Musei di Villa Torlonia, di lavorare con straordinaria sintonia e sinergia con un team quasi tutto al femminile, dalla curatrice alla direttrice del museo alle critiche e autrici dei testi in catalogo.
La stanza dei giochi, dimensione ambiente, 2012-13,
Maam Museo dell'Altro e dell'Altrove di Metropoliz, Roma
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Certamente sì. È una lotta all'ultimo sangue quella tra l'artista e la società intorno a lui e il motivo è semplice: l'artista sconferma la normalità. Quello che mostra è che esiste un altro modo di essere al mondo e di pensare che non si cura dei valori e dei dettami che tutti devono ubbidientemente osservare. Che tipo di rapporto può fare la politica con l'arte, se non cercare di strumentalizzarla e metterla al suo servizio? Il tentativo di coercizzarla è l'unico rapporto possibile probabilmente, e il più coercizzante è proprio quello più istituzionale. Ho sentito una volta Kosuth a una conferenza che diceva che l'artista rischia la morte quando viene istituzionalizzato, ed è ovvio che sia così.
Anche dargli un enorme valore economico, come avviene per alcune star, significa proclamarli idoli contemporanei, divinizzarli e fare della loro arte una nuova forma di religione. L'arte è potente e si presta a essere utilizzata come strumento di potere da tutte le forme del patriarcato. Questo non significa che la libertà degli artisti venga neutralizzata, credo anzi che continui a debordare nonostante tutte le gabbie, più o meno dorate, che le vengono costruite intorno.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
L'aspetto femminile del mio lavoro credo risieda nella proliferazione e nell'andamento germogliante. In scena è proprio quella forza generativa, inarrestabile, che scaturisce dalla trasformazione degli elementi che si moltiplicano con andamento potenzialmente infinito. Nel mio lavoro il femminile è non cercare un centro e avviluppare oggetti, pareti, soffitti o pavimenti mediante un processo germinativo che non contempla gerarchie, non misura e non calcola, ma abita istintivamente lo spazio. Uno spazio che accoglie e contempla l'altro e che non esiste per essere contemplato. Non è prevista la sacralità, e anche questo credo si possa definire un tratto femminile. Inoltre c'è la questione della seduzione: i colori e le forme sinuose con la loro sensualità, che mirano a coinvolgere la mente colpendo la sensibilità del corpo.
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Correre in un mondo, installazione ambientale site specific per il Casino Nobile dei Musei di Villa Torlonia, 2020
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Rompete le righe!, 2019,
tecnica mista su tela, cm180x135
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Francesca Pasquali (artista, Francesca Pasquali Archive, Bologna)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Il tema va affrontato da un punto di vista più generale, senza distinzioni di genere né sesso. In Italia essere artisti è senza dubbio una condizione molto complessa. Non è semplice poter vivere esclusivamente del proprio lavoro, perché ritengo non esista ancora un sistema ben strutturato a sostegno della nostra categoria. Inoltre, e lo esprimo con il pieno amore e rispetto verso la grande arte italiana della storia, il nostro Paese vive in una sorta di perenne centralità data al passato, non dedicando la giusta considerazione all’arte contemporanea e soprattutto non investendo in un sostegno costruttivo nei confronti della produzione artistica del nostro tempo.
Quando, a ben pensarci, quello dell’artista è un vero e proprio mestiere da tutelare e proteggere, perché offre alla comunità educazione al bello e stimola alla riflessione. Pertanto una classificazione di genere è, a mio dire, una sorta di corollario rispetto alla più generale problematica della condizione dell’artista italiano e alla relativa complessità dell'essere considerati artisti.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Una ricerca non può mai considerarsi conclusa, se non nel momento in cui doni il tuo lavoro al pubblico il quale, in realtà, interagendo con l’opera e stimolato a reagire, intervenire, dialogare con essa e con l’ambiente in cui si trova, non solo ne fruisce, ma contribuisce ad aggiornare e arricchire la ricerca costantemente, senza soluzione di continuità. La maggior parte delle volte ripenso un'opera, la adatto e la ricostruisco con il costante bisogno di rivederla e rigenerarla, perché ogni spazio richiede un dialogo unico e simbiotico con essa che non potrà mai essere uguale al precedente.
Straws Wall, 2019, un milione di cannucce colorate, installazione site-specific per Saraghina Eyewear, MIDO Eyewear Fair, Milano
Fotografia di Fabio Mantovani, Courtesy Francesca Pasquali Archive
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Percepisco senza dubbio che tra colleghe e professioniste del campo ci sia una forte connessione. Visto che mi fa riflettere, posso rispondere che effettivamente riscontro una maggiore disponibilità alla collaborazione e allo scambio con artiste che con artisti. Tra donne non avverto quella immotivata sensazione di sfida, chiamiamola così, che invece mi è capitato di percepire quando mi sono trovata a dialogare con artisti uomini. Ammetto che il mio team di lavoro è composto prevalentemente da donne che, oltre a essere colleghe, sono senza dubbio amiche e compagne di avventura. Per la verità mi avvalgo anche della professionalità di collaboratori uomini con i quali è normale che ci sia un rapporto dissimile.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
L'arte è super partes, quando diventa costrizione perde completamente la sua ragion d'essere e si tramuta in illusione. Non amo la propaganda, né le sedizioni. Preferisco il dialogo e lo scambio. Per questo considero l'arte come una ragione di vita, come una responsabilità e una cura che l’artista deve avere innanzitutto per sé, poi per la società: persone e ambiente.
Origami, 2019, scarti di lastre di PVC e poliuretano, fili da cucito cangianti, spilli da sarta,
installazione site-specific, MACRO ASILO, a cura di Giorgio De Finis, residenza e mostra personale dell’artista.
Courtesy Francesca Pasquali Archive e MACRO-Museo d’Arte Contemporanea di Roma
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Le mie opere, seppur costruite con una materia ʽdura’ e sintetica, parlano della sfera femminile per le tecniche utilizzate. I materiali plastici, che siano oggetti d'uso del quotidiano oppure industriali, sono lavorati con gestualità e modalità antiche quanto l'uomo: intreccio, accumulo, assemblaggio.
Peculiarità familiare alla sfera femminile, piuttosto che a quella maschile (anche se in molte culture questa distinzione non è così ripartita). Le fasi di realizzazione, per le dimensioni ambientali che spesso i miei progetti affrontano, implicano indiscutibilmente il coinvolgimento e la collaborazione di soggetti diversi, solitamente donne, che con un lento ricamo tessono la banalità del quotidiano fatta di oggetti ordinari e di materie più specifiche. Nel mio lavoro l'aspetto femminile non è esplicitamente dichiarato, bensì ritengo che si possa fortemente desumere dalla complessità delle strutture scultoree tessute, che raccontano il lungo e paziente lavoro di mani sapienti e rispettose che intrecciano materia, pensieri e sensazioni.
Labirinto, 2020, setole di PVC, vegetazione, strutture metalliche di supporto
Installazione ambientale, dimensioni variabili, CUBO-Museo d’Impresa del Gruppo Unipol
Fotografia di Fabio Mantovani. Courtesy Francesca Pasquali Archive e CUBO-Museo d’Impresa del Gruppo Unipol
Luana Wojaczek Perilli (artista e docente all'Accademia di Belle Arti di Roma)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Credo che la potenza generativa femminile per quanto riguarda l'immaginario e la realtà sia un dato di fatto. Viviamo su un pianeta con caratteristiche femminili marcatissime. La realtà è femminile a mio avviso. il linguaggio è invece uno stratagemma di adattamento di tipo maschile. Ho realizzato molte opere con le formiche che sono probabilmente le società meglio adattate al pianeta e per un progetto genetico di generosità radicale sono comunità di sorelle, collettività femminili in cui i maschi sono fuchi generati annualmente per la riproduzione a cui la natura dà un cervello programmato per l'accoppiamento ma non per l'orientamento. I fuchi sono destinati a perdersi dopo il volo nuziale e a non fare mai più ritorno alla comunità del formicaio. Questa è la realtà di adattamento al pianeta più cinicamente, violentemente e materialmente radicale. Cosa succede nei linguaggi dell'arte e le loro specificità professionali mi sembra solo il corollario di un assioma naturale ben più significativo e immanente.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
In modo strutturale le donne non possono essere valorizzate in percorsi di carriera a cui si richiede un'ascesa lineare e continua, un discorso blandamente rassicurante che grammaticalmente inizia con A e finisce con Z senza circolarità o sorprese, senza cambi di passo. Nei vari sistemi carrieristici il narcisismo è spesso un titolo di garanzia sull'affidabilità e la costanza scambiata spesso per coerenza. Nel culto del personaggio e della personalità Narciso è maschio e inizia giovane a guardarsi con amore. In questo investimento sul patologico ma rassicurante e lineare è ovvio che le donne rappresentano delle grandi irregolari spesso più dedite alla cura che alla ferita, più legate al cambiamento che alla cristallizzazione del linguaggio nello stile. Non è facendosi contagiare dal modello maschile che si porta a mio avviso il valore femminile e né trincerandosi nell’«altro da» nello sguardo ulteriore, nella rassegna o la quota in rosa. Bisogna rivedere il concetto di progresso in senso non lineare, non dialettico, non di avanzamento, ma promuovere le circolarità, le ricerche, le pause, e le cure. Banalmente prima che domandare esternamente si dovrebbe accettare una specificità diversa che non è riconosciuta in quello che è stato descritto come «successo» e darle il peso che merita scardinando le consumate logiche del traguardo dopo traguardo. Sulla retta si può solo morire mentre la curva, la spirale è eterna. Chiediamoci se l'arte sia celebrazione funebre e monumentale o processo vivo.
Silviculture, 2013, due formicai artificiali di formiche schiaviste e schiave, mixed media
veduta dell'installazione Medium galerie Bratislava SK
sulla parete: Dividual superorganism (human scale constrain proportion), stampe su cartacotone
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Ho avuto eccellenti esperienze sia con professionisti uomini che donne. A volte è un'ancora importante rivolgersi a una persona di sesso opposto e crescere nella diversa modalità di reazione e relazione con le cose. Devo ammettere però che ho avuto molti importanti e profondi dialoghi con donne che collezionavano, che erano mecenati, che erano critiche, curatrici, docenti, artiste, intellettuali e quei discorsi insieme a tutti i discorsi con le donne che hanno fatto un tratto di strada con me forse mi hanno formata in modo molto più intimo e radicale. Dello scambio con le donne, delle nostre ʽvisitazioni’ conservo migliaia di Magnificat. L'amore sororale tra le generazioni è un fondamento di civiltà e politica incredibile. La cultura che viene dallo scambio di saperi tra donne è preziosissima.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Ovunque la riduzione al linguaggio, al simbolo, al sistema, al programma supera la realtà e viene creduto paradigma e discriminante, lì c'è il patriarcato, lì c'è il primato del logos sulla realtà che non è strutturata in quel senso ma procede per salti e per altre vie meno classificabili e controllabili. Credo che si tratti di un problema grave e reale ma che dall'altro lato, essendo un problema che parte dal linguaggio, lo si possa affrontare non tanto utilizzando discorsi, cifre e simboli ma utilizzando la costanza, la forza e la resistenza della realtà, della materia, dei fatti come potenza del femminile e come sua affermazione naturale. È la liturgia e la canonizzazione contro la mistica, una vecchia storia. Non ho bisogno di spiegare perché sia fondamentale essere parte di un discorso politico e culturale come donna, io sono una donna, esprimo la radice profonda del reale, sono nel mio elemento, conosco la natura oltre il discorso intorno alla natura e da lì scaturisce ogni azione anche politica che sia veramente e genuinamente reale. La mia è una militanza che si esprime anche solo col fatto di essere e di esserci e di avere una mia dimensione autonoma, per questo che non soffre di complessi. Esisto come esiste un albero, non ho bisogno di spiegare perché sia fondamentale il mio contributo. Il sistema patriarcale esiste fintanto che se ne legittima l'autorità assoluta con il discorso. Non è negandolo in senso dialettico o creando una divisione che se ne può uscire. Non è spingendolo fuori con gli slogan ma assorbendolo e ridimensionandolo da struttura portante a mera reazione laterale e solo parziale del reale. Abbiamo storicamente continuato a parlare latino per secoli generando poesia e prosa nata morta. A volte basta solo invertire un po' il punto di vista sulle cose per fare una rivoluzione. Bisogna chiedersi dove sia il peso della realtà e dove invece la sovrastruttura e lì il Re è sempre nudo.
Otto, videoinstallazione 3 canali, veduta dell'installazione presso Auditorium Roma,
foto credit Musacchio e Ianniello, 2018
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Io sono una donna che viene da una famiglia estremamente strutturata sulla forza e la solidarietà delle donne. Il mio modo di esprimermi è sempre stato legato a questa formidabile rete di conoscenze muliebri, di narrazioni sororali. Sono in grado per storia e struttura personale di riconoscere l'autorità materiale e spirituale nelle donne.
Una delle mie prime opere, Pastiera per sei persone, è un ritratto di mia nonna nella sua innocenza, forza e semplicità del preparare e dare un dolce. Non ho mai ammirato qualcuno né credo ammirerò mai qualcuno come mia nonna. Il rapporto col fare artigianale, la ceramica che è mezzo femminile per antonomasia in quanto terra e vaso, il riferimento alla natura, alle comunità di insetti eusociali basati sulla sorellanza, i lavori sul linguaggio come terra creola, morbida, ibrida... tutto ciò che faccio esprime in qualche modo la mia fede nel Femminino Sacro e profano, naturale e artificiale. Ho una visione non duale della realtà, il mio vedere da un punto di vista femminile non esclude né vuole mortificare aspetti maschili, non nega né esternamente né internamente la polarità complementare e inversa, ma sicuramente il mio lavoro in modo implicito ed esplicito celebra questa fondamentale narrazione femminile che mi ha formata e che continua a fare da sostegno alla mia esistenza.
Song of Olympia, video still da performative lecture, 2016
Eugenia Serafini (artista e scrittrice, performer, docente universitaria, giornalista, Roma)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Bella domanda! Mi fa piacere citare una espressione di Silvana Mazzotto, «…la parola Uomo comprende anche le donne, mentre la parola Donna esclude l’uomo», (la Repubblica, 1giugno 2018, Quelle donne nel Sessantotto, rigenerate nel femminismo), ecco in questa ottica il Manifesto SCUM di Valerie Solinas trova la sua giustificazione storica e sociologica, ma anche esistenziale. Eva nasce da una costola di Adamo per volontà del Dio creatore: cosa vogliamo dire ancora? Io non ho mai visto un uomo partorire da una costola, invece ho partorito, come tutte le donne, dalla vagina e, salvo i parti cesarei, non mi sembra che ancora esistano eccezioni.
La provocazione di Valerie nel 1967 corrispose allo scoppio di un uragano, almeno nell’ambiente culturale americano, ma non solo, e se nel 1968 in Italia prende forma il Movimento femminista, lo dobbiamo anche a lei. Io stessa, giovane studentessa universitaria della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, proprio dal 1968 cominciai a prendere coscienza reale delle problematiche e delle difficoltà legate alla condizione di essere DONNA nella società internazionale.
Non posso però parlare della condizione delle donne artiste in Italia, senza considerare la realtà dell’altra metà del cielo nel suo complesso esistenziale, sociale ed economico. Una artista, infatti, non credo possa estraniarsi da quelle problematiche e realizzare un’arte avulsa dal contesto storico nel quale vive e che vuole migliorare, almeno per me è sempre stato così!
Nella mia famiglia esisteva una condizione culturale ottimale e mi fa piacere in questa occasione ricordare che il mio bisnonno paterno, Luigi Giacobbe Serafini (nato a Rimini), possedeva il primo Vocabolario della Lingua Italiana stampato nell’Ottocento del quale era stato orgogliosissimo e infatti aveva combattuto, neanche diciottenne, con Giuseppe Garibaldi e i suoi figli, Menotti e Ricciotti, a Bezzecca, nel 1866, per l’Unità d’Italia ricevendo anche una menzione d’onore per atti di eroismo, cosa che gli procurò «l’esilio» dalla famiglia di origine, perché «rivoluzionario», come del resto voleva la buona società dell’epoca!
Dunque non credo sia stato un caso che lui si fosse arruolato con Garibaldi e che poi sia le donne che gli uomini della sua famiglia fossero educati proseguendo la sua tradizione di studio, sentimento della Libertà e rispetto della donna: non dimentichiamo, infatti, che Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio conosciuta come Anita Garibaldi, fu un ESEMPIO DI DONNA indomita che seguì il marito dal Brasile fino a Roma per combattere al suo fianco come prima aveva combattuto, anche indipendentemente da lui, per la libertà del Brasile.
Pensate che io per lei, in occasione del Giubileo romano del 2000 indetto da papa Giovanni Paolo II, ho scritto un racconto breve su invito dell’archeologo epigrafista prof. Nicolò Giuseppe Brancato e del fotografo d’arte Gianni Lo Perfido che stavano realizzando un bellissimo libro: Roma: iscrizioni dal Medioevo al Duemila. La storia di Roma raccontata sui muri (Ediz. Il Gabbiano, Roma, 1999), tra l’altro il libro ebbe la prefazione del famoso prof. Mario Verdone e del Sindaco di Roma Mario Rutelli, che lo apprezzarono moltissimo. A me fu richiesto di scegliere sei iscrizioni tra quelle trattate nel libro e scriverci su una storia, dal momento che sono sia artista visiva che scrittrice e poeta performer; ovviamente la mia narrazione si strutturò fra storia e immaginazione attraverso la mia «aerolirica», come la definì con grande acutezza il prof. Verdone, nel gioco delle parole che si aprono e si scompongono in una grafica visuale molto personale e caratteristica del mio modo di fare scrittura visuale.
Anita e il Cocchiere
« - CoCChiere! portatemi da mio marito.
- No, Signora. A via delle CaRRozze al 59.
- È un ordine di Garibaldi o una vostra iniziativa? Avanti! alle baRRicate, a San Pancrazio!
La carrozza avanza. Scende per via del Corso caracollando.
- CoRRete! non sono arrivata fino a Roma per andare a passeggio.
- Signora, vostro marito vi raccomanda di essere calma. Di pensare alla creatura che portate in grembo. Ascoltatemi, io vi porto a via delle CaRRozze e voi l’aspettate lì buOna buOna. E poi le donne la guerra non la sanno fare. E non la devono fare!
... Ma ditemi un po’, signora Anita, è proprio vero che cavalcate come gli uomini e tirate di fucile? non ci posso credere che una signora come voi, mamma di tre figli, ha fatto la guerra con Garibaldi. E… dicono che sapete cAricAre pure i canNOni! ma io non ci credo, evvero Signora? ma dove siete. Signora!?
AdDio! È scappata a piedi a San Pancrazio».
Anche da parte della famiglia mia madre, nata in Toscana, non ci furono preclusioni allo studio delle figlie, tanto che sia mamma che zia si laurearono entro il primo ventennio del 1900 e mia madre in particolare amava e frequentava tutte le arti, in fondo credo di avere ereditato molto da lei in questo senso.
Tuttavia questa non era la condizione generalizzata delle donne in Italia né alla sua epoca, né durante la mia infanzia: io mi rendevo conto sin da bambina negli anni ’50, della diversa impostazione mentale e comportamentale dei miei genitori rispetto ai genitori delle altre bambine. Ho vissuto fino all’adolescenza in un piccolo e bellissimo borgo etrusco, Tolfa, a pochi chilometri da Roma e la presenza di una civiltà quasi esclusivamente rurale e pastorale mi faceva toccare con mano diversità di comportamento e di prospettiva professionale tra maschi e femmine delle altre famiglie. Negli anni ’50 e ’60 nessuna bambina di un paese italiano avrebbe potuto immaginare di intraprendere una carriera artistica, io però la sognavo già da allora e ne ero certa, tuttavia mio padre mi chiese di terminare la Laurea in Lettere Classiche prima di prendere una decisione definitiva e io lo accontentai.
Il momento della consapevolezza vera e propria delle problematiche femminili a livello mondiale e di una esigenza esistenziale più marcatamente libertaria e partecipativa all’interno dei ruoli sociali e pubblici arrivò con i collettivi del ’68 alla Sapienza e poi proseguì con la mia adesione al Femminismo negli anni ’70: «Io sono mia!» e «Tremate, tremate, le streghe son tornate!» ripetevamo con forza durante le numerose manifestazioni e le riunioni nella sede di Via del Governo Vecchio a Roma.
Allora fu necessario marcare il territorio femminista, perché i ragazzi e gli uomini si rendessero conto di ciò che chiedevamo noi donne, ma soprattutto NOI GIOVANI DONNE!
Mi resi conto ben presto che la nostra società discriminava veramente il lavoro femminile, preferendo quello maschile per tutti i ruoli dirigenziali e non solo, quando una donna veniva e viene tutt’oggi assunta si vede costretta a firmare una carta senza data con le dimissioni volontarie «Caso mai restasse incinta…» e questo purtroppo accade non solo nel privato ma anche in ambienti professionali altamente qualificati e ʽsemi pubblici’. Una donna incinta fa tante assenze sul lavoro, e poi chissà quanti figli farà… allatta, ha diritto alle ferie prima e dopo il parto, ci sono pochissimi asili nido e quelli privati costano troppo, può assentarsi ancora per malattia del bambino e se per caso il marito si propone al suo posto, beh, la ditta gliela farà pagare con umiliazioni e stop alla carriera. Questo è solo uno degli aspetti negativi che ricadono sulla donna e anche sulla sua famiglia. Sono passati più di 50 anni, ma non è cambiato nulla!
Ricordo che in numerose manifestazioni portavo con me le mie bambine: Valeria di neanche 2 anni, in carrozzina, Giovanna di pochi mesi nel ʽmarsupio’, che era una fascia jeans indossata a tracolla che mi permetteva di accoglierla sul seno.
Eugenia Serafini con le figlie bambine, Valeria e Giovanna a Tolfa, 1996
In un certo senso sono nata in una famiglia che ha educato me e mia sorella senza steccati, ma l’inserimento paritario con gli uomini nella società italiana e internazionale me lo sono dovuto conquistare nel campo artistico: mi ha aiutato l’enorme energia che l’arte ha sempre generato dentro di me e ho voluto e dovuto dichiararlo non solo alle mie figlie, ma a tutti i miei numerosi studenti: fossero delle Accademie di Belle Arti o dell’Università della Calabria, dove sono stata docente per 13 anni, perché capissero e sapessero reagire.
In quanto al fatto che un uomo non possa essere un artista… nel ’68 era una stupenda provocazione! Non si parlava affatto di donne artiste, se non in merito ad alcune Futuriste o artiste del secondo ’900, considerate sempre provocatrici o quantomeno strambe e tra l’altro faticavano a farsi strada e non erano apprezzate economicamente in modo adeguato.
Ricordo in particolare negli anni ’60/’70 Carla Accardi che faceva parte del Movimento Femminista, una delle pochissime entrata nel mercato dell’arte, Paola Levi Montalcini che legava il suo nome a quello della sorella gemella Paola, Premio Nobel per la Medicina, la brava Anna Salvatore, pittrice e protagonista notissima dei salotti romani: storico il suo volume fotografico del 1966, intitolato Subliminal Anna, dove la pittrice fu fotografata in tutta la sua bellezza nuda da Franco Fedeli e che dedicò al suo compagno di quegli anni Gualtiero Harrison, divenuto poi Docente di Antropologia Culturale e uno dei fondatori dell’Università della Calabria, divenuto molto più tardi mio collega e carissimo amico che conserva preziosamente ancora oggi il libro con dedica autografa della sua Anna! Entrambi, amici di Federico Fellini che li ospitava frequentemente nel Grand Hotel di Rimini, ebbero nel 1960 una parte nel film La dolce vita. Oggi tuttavia il nome di Anna Salvatore è praticamente scomparso dal panorama artistico moderno.
L’affermazione di Valerie Solanas «a male artist is a contradiction in terms» fu e resta una dichiarazione brutale, ruvida, di rottura degli schemi imposti dalla società maschile in tutto il mondo; anche se sono state studiate da antropologi e sociologi alcune società matriarcali in piccole popolazioni, esse sono realtà talmente minime da non incidere sull’intero globo e da destare meraviglia! Ecco questo chiarisce tutto.
E del resto la «magna mater» raffigurata sin dai tempi antichissimi in statuine con i suoi attributi femminili esageratamente enfatizzati, rafforza il ruolo della donna legato alla procreazione, alla perpetuazione della specie. È stato studiato e appurato uno strisciante controllo dell’economia famigliare da parte della donna ma non ufficialmente riconosciuto in ruoli specifici della politica e dell’economia. Anche negli altri ruoli che l’uomo ha ricoperto tradizionalmente, sul lavoro o negli studi, negli scambi delle mercanzie, nelle relazioni culturali la donna, se ha agito, lo ha dovuto fare con grande discrezione, segretamente, sempre con il rischio di essere temuta, messa al margine della società o anche pubblicamente giustiziata: si pensi alle donne pratiche di erbe e medicamenti definite streghe che in Italia furono perseguitate e bruciate dalle terribili inchieste della Santa Inquisizione!
Ad alcune donne la società greca riconosceva capacità divinatorie, come la Pizia di Delfi e notissima è la poeta Saffo… abbiamo dovuto scavare tanto per sapere di più.
Negli ultimi decenni grazie proprio agli studi affrontati dal rinnovato interesse sull’argomento DONNA e alle numerose laureate si stanno conducendo ricerche mirate su artiste, donne mediche, scienziate, diplomatiche in Italia e all’estero e la storia ci rivela quante ve ne siano state, cinicamente ricacciate nell’ombra e nella perdita della memoria storica.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Oh! Quando l’Università della Calabria mi chiamò come artista di Chiara fama nell’Anno Accademico 1999/2000, a insegnare Disegno nell’Area Estetica-espressiva del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, mi sentii subito e mi dichiarai una artista prestata all’Università. Non potevo e non volevo fare a meno di essere artista, sebbene docente in una Università: restare tale senza venire meno all’impegno di Docente non è stato facile, ma paradossalmente proprio questa mia condizione mi ha consentito indagare e di aprire sempre nuovi capitoli su quella che lei chiama «La pelle dell’artista».
Il mio «fare arte», fossero arti visive o scritture, è nato sempre da una forte commozione, legata a situazioni umane e sociali di sofferenza, alla necessità di affermare e cercare l’uguaglianza e la libertà per tutti, al rispetto della natura e dell’ambiente, di tutti gli esseri viventi, anche degli animali in anni nei quali c’era poco interesse per queste tematiche.
Del resto per ben 16 anni (anni ’75/’90) da Roma, dove ero sia artista che docente di storia dell’Arte, sono tornata a vivere nel mio paese natale con mio marito, archeologo, e le piccole figlie e lì abbiamo creato una azienda agricola biologica ante litteram, sentendo la NECESSITÀ di tornare al contatto vero e diretto con una realtà, quella agricola, che ci riportasse alle origini esistenziali, quelle forti e faticose che insegnano la durezza del vivere ma anche la straordinaria bellezza dell’ESISTERE NELLA NATURA, dell’essere veri e vivi, non vuoti concettuali!
Sono passati 16 anni e poi siamo tornati a Roma, a fare ciascuno ciò che stava tornando con prepotenza e verità profondamente motivata: lui l’archeologo epigrafista, io l’artista e poeta/performer.
Quando fui chiamata all’Università della Calabria, nel 1999, avevo già maturato tanti anni di arte e docenza in Accademie di Belle Arti ma l’andare a insegnare DISEGNO in Università a studenti di Scienze della Formazione Primaria, che sarebbero diventati a loro volta insegnanti, mi pose di fronte alla domanda: «Che senso deve avere l’insegnamento di DISEGNO in questo Corso di laurea, devo dare solo l’apprendimento di alcune tecniche artistiche ai miei studenti o qualcosa di diverso, di più?» Questo insegnamento non avrebbe avuto senso impostarlo come se fossimo stati in una Accademia di Belle Arti. Dunque, dovevo riflettere per comprendere la mia missione professionale.
Questo Corso di laurea era quasi sperimentale, poiché per la prima volta in Italia si richiedeva che gli insegnanti della Scuola Primaria e dell’Infanzia non fossero solo diplomati, bensì conseguissero un titolo di Laurea specifico e l’UNICAL fu la sola a programmare al suo interno, con straordinaria genialità, una area estetica-espressiva con docenti rigorosamente scelti tra artisti.
Pensai a Munari, alla Montessori, alle sorelle Agazzi, a mia madre Paola che fu tra le realizzatrici per il Ministero della Pubblica Istruzione del «Metodo Globale», a Gianni Rodari e ai miei scritti, fiabe e filastrocche interpretate in performance così tante volte! E allora, con la grande libertà che mi fu concessa (era l’a.a. 1999/2000 e vi sono rimasta a insegnare ininterrottamente fino all’a.a. 2012/2013), strutturai una serie di progetti educativi che si potessero applicare attraverso le arti alle scuole dei bambini, equilibrati sugli anni: dai 3 agli 11 anni, basati sul concetto che l’arte e le tecniche artistiche dovessero essere uno strumento per arrivare alla conoscenza, alla ricerca: la creatività al servizio del sapere e viceversa.
Tutti i miei programmi di DISEGNO per le studentesse e gli studenti del Corso di Laurea all’Università in Scienze della Formazione Primaria dell’UNICAL hanno affrontato queste problematiche: la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza, tematiche che sembrerebbero esclusive dell’essere artisti e si rivelavano invece esistenziali e sociali. Era necessario affrontarle, discuterne, chiarirle se possibile o quantomeno porle all’attenzione di futuri docenti, nella speranza di creare una società più consapevole, libertaria, umanamente e socialmente paritaria. Una volta laureate/ti, volevo che sapessero tramandare i loro nuovi saperi, conquistati con il confronto aperto tra me e loro, la pratica delle arti e la insospettata capacità delle stesse, di produrre saperi negli studenti che avrebbero a loro volta formato la società.
Una UTOPIA? Non so, io ci ho creduto e ci credo ancora. Io questo mio nuovo metodo/percorso l’ho chiamato coì: Il Teatro in Scatola: teoria e tecnica di Autoeducazione creativa, Roma 2000. «Reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» sono tutte tematiche che portano ad affrontare lo sviluppo non solo dell’artista, ma del bambino nel suo crescere, la potenza della intelligenza manuale, l’apparire sensibile e la restituzione cromatica e segnica da parte del bambino che formula una visione tanto diversa da quella dell’adulto nei confronti della realtà tanto degli oggetti materiali che delle relazioni tra spazio e tempo, la forza e l’indipendenza nell’uso delle forme e dei colori, la necessità di salvaguardare la libertà espressiva dei piccoli a ogni costo, senza intervenire con osservazioni del tipo «Guarda come hai disegnato questa mela! È quadrata, invece che rotonda! E perché hai fatto la mamma grande come una casa?...» Non posso fare a meno di pensare a Picasso quando affermò: «ho impiegato una vita per tornare a disegnare come un bambino!» Ecco: avevo trovato il fil rouge tra bambino e artista e quel filo non doveva essere mai tagliato! Il mio primo Corso di Disegno lo intitolai La mamma è verde, la rana è rosa!
E comunque la ricerca non può mai esaurirsi o finisce l’arte e la civiltà. È stato quello un lungo periodo della mia vita di artista, ben 13 anni nei quali sono mutata io stessa, da un lato di fronte all’applicazione con l’ottica della didattica in un progetto ben preciso di problematiche che altrimenti una artista vive sulla ʽsua pelle’, ma che rischiano di restare fumose o retoriche o falsamente concettuali, dall’altro confrontandomi con un ambiente molto stimolante ed altamente qualificato, quello della docenza universitaria, dei convegni, degli scambi con Docenti a livello mondiale e soprattutto con la profonda amicizia stretta con alcuni dei docenti di Antropologia Culturale del mio Corso, da Lombardi Satriani a Gualtiero Harrison a Cesare Pitto.
Eugenia Serafini, Installazione GiralUne
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Personalmente mi sono sempre battuta apertamente nell’arte come in ogni altro campo che abbia affrontato, perché le DONNE avessero gli stessi diritti riconosciuti agli UOMINI e anche perché fossero riconosciute protagoniste pur nella loro apparente fragilità e sofferenza, e ho creato Installazioni performative (così ho denominato il mio modo di fare Arte totale) ispirate a questi ideali, sostenuta dai critici in Italia e all’estero e dal confronto con gli amici/colleghi antropologi, invitata a partecipare con la mia arte nei numerosi Convegni organizzati dall’UNICAL, soprattutto in merito all’emigrazione e ai diritti umani. Così ho realizzato ¿Dónde están?, testo poetico e installazione dedicata alle donne dei desaparecidos, Il Pescatore di Sogni, viaggio immaginario ma non troppo di una giovane calabrese verso l’America in cerca della propria realizzazione, Donne di cuOri, per il Convegno dell’UNICAL Il corpo delle donne, Canto per Angelina Mauro, su richiesta del collega antropologo prof. Cesare Pitto, nel ricordo dell’eccidio di Mèlissa, in contrada Fragalà (oggi Provincia di Krotone), di una giovane calabrese (e di due giovani, Nigro e Zito), in occasione delle manifestazioni per l’attribuzione delle terre ai contadini nel 1949, La vera storia di Carlo Magno, dedicata all’emigrazione italiana del primo ’900 e al disperato amore di mia nonna Eugenia e del nonno Carlo Magno emigrato e morto in Australia, e ancora Il Cavaliere della lUna roSSa, canto d’amore e fiaba ispirata alla tradizione del Cavaliere Saraceno che si innamora e rapisce la Principessa calabrese.
Ma ancora Antonietta Campilongo mi ha stimolato invitandomi il 20 Novembre 2019 a Palazzo Merulana, splendida sede dell’arte nella Capitale, all’Evento Apolidi/ Identità non disperse, promosso dall’Associazione Neworld, Nwart, con il patrocinio di MigrArti, nel quale ho affrontato un tema a me molto caro, quello delle DONNE MIGRANTI.
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Eugenia Serafini, Haiku su riproduzione fotografica dell’opera Donne 2019, acrilico e collage su tela, cm. 50x50, 2019
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Eugenia Serafini, Solo lui, il Mare, acrilici e collage, tela cm. 50x50. Mostra Apolidi/Identità non disperse, Palazzo Merulana 2019
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L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Per la mia esperienza personale ho avuto ottimi rapporti sia con donne che curano e creano eventi artistici, ma anche con donne che operano nel campo della cultura più in generale, sia in Italia che all’estero, da Mirella Chiesa negli anni ’90, a Angela Noya Villa, Liliana Ugolini, Marisa Settembrini, Vera Ciulakoschi, Doina Derer, Eleonora Cărcăleanu, Luminița Țăranu, Antonietta Campilongo.
La prima, critica d’arte e gallerista, scrisse per me una bellissima presentazione alla Installazione Le vie del sacro, che presentai negli anni ’90 a Vecchiano di Pisa con un commento musicale e l’interpretazione di testi che andavano da frammenti della poesia di Saffo in lingua greca da me letta, ad altri testi in greco antico interpretati da Nicolò Giuseppe Brancato, per finire con una poesia originale scritta e letta da un amico poeta palestinese in quella occasione. La stessa Installazione presentai poi nella Galleria Studio D’ARS a Milano, di cui era responsabile il critico internazionale Pierre Restany, completandola con luci rosse e blu: il rosso a significare Dioniso, il blu la razionalità arricchita poi da altri interventi miei con il nome Chiamata alle donne per la pace.
Con Angela Noya Villa, venti anni più di me, ho condiviso tante significative esperienze: intanto lei curava il mio ufficio stampa, poi ci confrontavamo sui luoghi, gli spazzi, le persone da coinvolgere. Ha scritto anche interessanti note di presentazione per le mie performance che la coinvolgevano pienamente e che stimava tra le migliori del panorama internazionale contemporaneo.
La poeta Liliana Ugolini, fiorentina, che ha curato anche numerose Rassegne multimediali al famoso caffè «Le giubbe Rosse» di Firenze, mi ha invitata a presentare in performance i miei libri di scrittura visuale, da I racconti del LaUrentino 38”, Roma 1998, a Canti di CantaStorie - Il mio Teatro di Performance, Roma 2008, sempre mostrandomi grande apprezzamento che io ho ricambiato per i suoi scritti di teatro e per la sua collaborazione che aveva con la sorella Giovanna, pittrice significativa, invitandola nella Rassegna Internazionale Multimediale di Arti e Scrittura L’Albero delle nostre Parole, che ho ideato e curo da 14 anni a Roma, con il Patrocinio dell’Accademia in Europa di Studi Superiori ARTECOM-onlus.
Eugenia Serafini, Le vie del sacro
In occasione di una mia grande Mostra personale a Firenze, a cura del critico prof. Caro Franza, invitai lei e sua sorella e ricevetti poi questa graditissima lettera di apprezzamento da parte sua:
«Cara Eugenia Serafini, Innanzi tutto ti ringrazio insieme a mia sorella per l’ospitalità durante il breve soggiorno a Firenze in occasione della tua mostra/installazione/video all’Otelristotheatre, a cura del critico prof. Carlo Franza.
Ho apprezzato le tue opere stimolanti nella bellezza del loro esprimere mentre le trasformazioni aprono a orizzonti di speranza con positiva ironia. Complimenti anche per i video finalmente goduti nella loro freschezza ed eleganza con la opportuna dimensione. È stata per me un’esperienza molto interessante che ti devo per la grande libertà mentale delle tue opere mista alla capacità di metamorfosi che l’ambiente ci ha offerto durante la serata. Grazie anche per la generosità delle presentazioni che portano auspici. Sono stata, come sempre, affascinata dalla tua intelligenza umana che si riflette anche nella tua arte e del bel rapporto con tuo marito che ci compensa di tante esperienze che ci attorniano. Ti sono gratissima della serata (ne ho parlato anche con Gianni Broi che dovrebbe scriverti o telefonarti), dell’accadimento, della conversazione. Spero rivederti presto e con questo augurio ti saluto con affetto, stima e amicizia. Liliana Ugolini»
Alcuni incontri sono stati casuali eppure hanno prodotto risultati eccellenti, sia dal punto di vista professionale che umano: Vera Ciulakoschi, Doina Derer e Eleonora Cărcăleanu, ciascuna di loro mi ha inoltrato in nazioni estere che non avevo mai praticato, invitandomi a portare la mia arte.
Vera Ciulakoschi, moglie del Presidente del Sindacato artisti Macedoni, nel 1997 vide una mia mostra personale a Roma, allestita nell’American Palace Hotel e si mise subito in contatto telefonico con me, chiedendomi se volessi partecipare alla 41st International Colony of Art di Prilep, in Macedonia. Fu così che in agosto partii con mio marito per una terra sconosciuta fisicamente ma molto amata per la mia formazione classica: la Macedonia, la patria del favoloso Alessandro! Che posso dirvi? Una esperienza stupenda, tanti artisti da vari paesi del mondo, una suite a disposizione per un mese e un atelier dove dipingere e poi visite nei luoghi «sacri della Macedonia», dagli eremi affrescati ai boschi, alle chiese, ai musei. Dipinsi due grandi tele e furono acquisite dal Museo di Arte Contemporanea di Prilep.
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Il prof. Silviu Sanie, la prof.ssa Eleonora Cărcăleanu, Eugenia Serafini e il prof. Nicolò Giuseppe Brancato
Qualcosa di simile avvenne con la Romania: il pittore e Maestro Horea Cucerzan, purtroppo scomparso il 1° marzo di questo anno, stava fondando il Museo Internazionale d’Arte Micu Klein nella sua cittadina natale di Blaj, Transilvania, e io e mio marito fummo invitati con altri artisti e storici dell’Arte a partecipare: la bellezza delle foreste transilvane, dei monasteri affrescati, dei musei e delle cittadine di quelle zone romene mi conquistò assolutamente, tanto più che mio marito coltivava una profonda e antica amicizia con il collega archeologo prof. Silviu Sanie, Direttore del Dipartimento di Archeologia e Scienze dell’Antichità dell’Università di Iași, e avemmo modo di visitarlo e tenere una Lectio Magistralis in quella Università.
E poco prima la prof. Doina Derer, Direttore e Docente del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bucarest, mi aveva invitato aprendomi le porte della sua aula per una Lectio alle studentesse del Dipartimento che io coinvolsi nella mia performance Il Cavaliere della lUna RoSSa, infatti mentre interpretavo il testo poetico le studentesse si muovevano liberamente nell’aula facendo oscillare le mie GiralUne: l’atmosfera magica si creò come ogni volta in queste occasioni che hanno sempre avuto un sapore alchemico nel mio rapporto profondo con la Romania.
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Eugenia Serafini al centro, le prof. sse Smaranda Elian e Doina Derer, il pittore Horea Cucerzan
e le studentesse di Italianistica dell’Università di Bucarest, 2002
Fu in quelle occasioni che la prof.ssa Elenora Cărcăleanu di Iași si interessò alle mie poesie e volle tradurne numerose pubblicandole sulla rivista dell’Università, per invitarmi più tardi a un vero e proprio stage con gli studenti del suo Dipartimento e il prof. Silviu Sanie aprì le porte dell’Aula Magna a tutti gli studenti, affinché assistessero e partecipassero, su mio coinvolgimento, alle installazioni performative Il Cavaliere della lUna roSSa e ¿Dónde están?
Eugenia Serafini, studentesse e studenti dell’Università di Iaşi, preparano la Performance GiralUne, 2003
Marisa Settembrini, amica, eccellente artista e docente di Brera a Milano, mi ha coinvolto numerose volte in mostre sia collettive che Personali all’Accademia di Belle Arti di Brera e nell’ArteStudio 26 di Milano e con l’architetta Antonietta Campilongo ho stabilito una bella collaborazione: mi ha invitata al MACRO ASILO di Roma per i tre giorni del Festival delle Arti Domino-Dominio 2019, al quale ho partecipato portando in evidenza la tematica dell’ecosistema, la protezione della natura espresse attraverso una serie di ambientazioni di teleri e nuvole di cartone dipinte sulle quali in performance con «l’Ensemble Eugenia Serafini e i Poeti dell’Onda» andavamo gettando oggetti di plastica, bottiglie, giocattoli, in breve tutti quei «fossili di petrolio» che gli archeologi di un mondo a venire troveranno quali reperti della nostra epoca che ha cristallizzato il Pianeta Terra e gli oceani in un globo di plastica!
E ancora un bellissimo rapporto artistico e umano mi lega da tanti anni all’artista Luminița Țăranu che, tra le tante collaborazioni, ha tradotto in lingua romena numerose mie poesie e brani dal libro Il Pescatore di Sogni. Ricordi dalla Romania, Roma 2013, e mi ha voluta nell’Evento a Palazzo WeGill di Roma: 1918-2018. Cento anni, la Romania si racconta. E in quella occasione ciascuna di noi ha portato la propria interpretazione di questi 100 anni di storia e cultura romena: Luminița una grande installazione a parete dedicata agli storici rapporti tra Roma e la Romania, con quel suo fare arte contemporanea così originale e ricco di citazioni dalla colonna Traiana, mentre io ho realizzato una Installazione Site Specific Drum Bun - Buon Viaggio Romania, dedicata sia al percorso storico dei 100 anni di unità romena, al poeta Eminescu e ai numerosi viaggi artistici e culturali che mi hanno portata in Romania e mi legano a questa amata terra. Una ultima notazione: la maggior parte delle donne con le quali e per le quali a mia volta ho realizzato eventi, sono poi divenute amiche carissime.
Trovo invece una grande diffidenza nei confronti di tutte le artiste contemporanee da parte delle collezioniste che privilegiano ancora l’arte maschile e si concedono tutt’al più ad alcune opere di artiste del lontano passato, sempre che abbiano raggiunto una fama mondiale (mi raccomando!) nonostante siamo nel primo ventennio del 2000 e nonostante tutti i discorsi sventagliati nelle interviste televisive e giornalistiche. Alla solidarietà femminile!
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Il Prof. Nicolò G. Brancato, Luminița Țăranu e Eugenia Serafini con le rispettive Installazioni a Palazzo WeGill, 1918-2018. Cento anni, la Romania si racconta
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Eugenia Serafini, Installazione Site Specific Drum Bun - Buon Viaggio Romania, Palazzo WeGill, Roma,
1918-2018. Cento anni, la Romania si racconta
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«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Ma questo è evidente per chiunque! Non mi sembra ci possano essere dubbi: il patriarcato impera ovunque, in tutti i campi e in tutto il globo. «Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità», DIRITTI dei quali si appropriano GLI UOMINI per appropriarsi del potere e del dominio sulla donna e le istituzioni di ogni genere; quando poi le rivolgono nei confronti delle DONNE, allora diventano DOVERI. Voglio ricordare che tra gli anni ’70 e gli anni ’80 noi femministe rivendicavamo l’espressione LIBERAZIONE delle donne contro quella corrente di EMANCIPAZIONE delle donne: la differenza è evidente!
Ho già parlato a lungo delle mie posizioni ideali, utopiche e anche ideologiche, se vogliamo usare una espressione obsoleta ma che ha avuto profondi significati, perciò mi soffermo soltanto su alcune riflessioni.
Si è inaugurata a Palazzo Reale di Milano, virtualmente a causa della pandemia Covid 19, la Mostra Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ’500 e ’600, 130 opere di 34 ARTISTE. Una grande mostra della quale senza dubbio sono più che felice, delle opere di DONNE vissute tra il 1500 e il 1600, perché c’è speranza che fra 500 anni qualcuno si ricordi che anche il 1900 e il 2000 hanno partorito SIGNORE DELL’ARTE!
Tuttavia una lancia in favore di uomini speciali devo spezzarla: a mio marito, Nicolò Giuseppe Brancato, che da giovane è stato lui stesso un eccellente artista ma ha poi optato per l’Archeologia e l’Epigrafia Latina del Periodo Imperiale, riconosco l’amore fedele e costante per me e la famiglia e anche il sostegno morale, ma non posso tacere degli amici antropologi dell’UNICAL, da Lombardi Satriani a Gualtiero Harrison a Cesare Pitto, che sono stati fondamentali per il mio impegno sociale nell’Arte e non hanno avuto alcun pregiudizio, anzi!, nell’invitarmi in mostre, installazioni e performance sia in università che in convegni internazionali, in musei e città in Calabria e in tutta Italia.
Ma ancora il mio caro amico dai tempi dell’università, il critico prof. Carlo Franza, mi segue nel percorso artistico da tanto tempo e con lui, tra le numerose mostre e ambientazioni, ho potuto realizzare ben 3 Mostre personali al Palazzo Plus Berlin di Berlino, nel 2013, 2015 e 2018 e attualmente dal 16 Ottobre 2020 la Mostra personale Sguardo a Oriente, nel bellissimo Circolo degli Esteri della Farnesina di Roma, e durante l’inaugurazione, l’ambasciatore UmbertoVattani, Presidente della Venice International University, fondatore con il fratello Alessandro della famosa Collezione Farnesina, ha avuto per la mia arte parole che mi hanno profondamente commosso:
«Pensi, cara Serafini, che dal 1936, data di nascita di questo Circolo, fino ad allora si era prevalentemente trattato di ospitare attività sportive e sociali attività che anzi, grazie al presidente Vignali, hanno visto una ulteriore espansione, ma l’arte e la cultura un laboratorio per conoscere, incontrarsi, dialogare con quello che ci sta davanti e che noi percepiamo solo nelle grandi linee è dovuto essenzialmente a Alessandro Vattani.
Ebbene mio fratello abitava a Trastevere e fu lui a dirmi: Ma lo sai che a Ponte Sisto c’è una artista che ha presentato con del cartone ondulato delle nuvole? Io non lo avevo visto, ma lui ci passava davanti tutti i giorni e mi disse: Lo sai che a Forte S. Angelo c’è una grandiosa installazione di tanti metri ispirata alle Ali degli Angeli e aggiunse: Nulla potrebbe farmi sognare più di queste installazioni!
Ma non conosceva Eugenia, ed è per questo che, se avesse visto qua, lei e le sue opere le avrebbe accolte veramente con molta, molta commozione! Io per parte mia mi accorgo che aveva ragione».
E così Carlo Franza conclude la sua presentazione:
«La realtà scompare per farsi natura o sentimento del tempo. La Serafini si è lasciata guidare in questo capitolo da un’istintività cólta, per nulla lasciata al caso, perfezionata dalla conoscenza della tecnica, nell’uso di una texture estremamente raffinata, capace di veicolare una liricità musicale, la stessa che pervade molte opere e molta arte della contemporaneità.
Milano, 27 aprile 2020 Carlo Franza»
Vi chiederete: dopo tante proteste contro gli uomini chiudi proprio lodandoli? Ebbene sì! Non dimostra forse più coraggio una donna nel riconoscere a un uomo che può avere qualità!?
Inaugurazione della Mostra di Eugenia Serafini Sguardo a Oriente,
16 Ottobre 2020, Circolo degli Esteri della Farnesina, Roma
Da sinistra, prof. Carlo Franza, Ministro Luigi Maria Vignali, Eugenia Serafini,
Ambasciatore Umberto Vattani, Ambasciatore Gaetano Cortese
Luminița Țăranu (artista visiva, Roma)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
Per cogliere il significato radicale dell’affermazione «a male artist is a contradiction in terms», così come Valerie Solanas l’ha inteso nel suo SCUM, inizialmente Manifesto per l’eliminazione dei maschi, dobbiamo contestualizzarla nel 1967, mentre la scrittrice e l’attivista statunitense lo distribuiva per strada, a 25 cent alle donne e a 50 cent agli uomini, comunicando che non c’è posto per la tolleranza, non si desidera l’uguaglianza, ma lo sterminio del sesso maschile, cominciando con la sostituzione della parola uomo con donna, la mascolinità con femminilità… e con la finalità di istaurare la ʽdonna’ come unico genere umano dominante.
Valerie chiede la distruzione, il suo manifesto è la ʽpunta’ radicale, il ʽgrido’ tagliente del dolore che ripugna qualsiasi forma di convivenza con il maschio, odia persino le sue simili nel genere, quelle considerate da lei «…garbate figlie di papà, passive, accomodanti, ‘colte’, gentili, dignitose, sottomesse, dipendenti, timorose, mentecatte, insicure, avide di approvazione, incapaci di sporgersi verso l’ignoto…», ma anche la politica che governa, il sistema monetario, la società in cui lei vive, in cui l’arte e la cultura diventano inutili, anzi, inesistenti, infatti, lei frequenta i circoli anticulturali. Ma per capire ciò che ha generato il Manifesto di Valerie bisogna senz’altro conoscere la sua vita, così cruda da inibire qualsiasi desiderio da raggiungere, la sua interiorità duramente infranta, prima di iniziare, dagli eventi terrificanti della sua infanzia, e come lei tante donne nella geografia del mondo. Traumi difficilmente da risolvere, che portano in modo naturale all’odio verso il genere che li ha provocati. E come reazione radicale, negare con veemenza tutto ciò che, in linguaggio umano, significhi gioia, bellezza, tenerezza, dolcezza, poesia, la sublimazione che avviene attraverso l’arte.
Scrive Valerie: «Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata». Questa frase declama la depressione di una vita vissuta non nella prospettiva di un arrivo, ma nella disperazione compressa nel limite, che la nega fino ad annullarla. Come forma di ribellione, il desiderio di annientare ciò che viene individuato come bersaglio, in modo animalesco, fisicamente, ma anche psichicamente. Bisogna capire Valerie, ma non si potrà mai accettare in fatto che il bersaglio che lei ha scelto per far diventare noto il suo Manifesto è stato proprio Andy Warhol. Tentato assassinio del 3 giugno 1968, che ha ferito gravemente e traumatizzato per sempre uno tra i più grandi artisti del XX secolo, icona della pop art ma prima di tutto artista concettuale; e insieme a lui il critico d’arte Mario Amaya e il manager Fred Hughes. E qui la sinusoide della ribellione di Valerie Solanas comincia a scendere, l’apice è stato raggiunto, l’effetto mediatico a catena rende famoso lo SCUM – feccia, ma, dal punto di vista dell’azione, non c’è differenza tra Valerie Solanas e l’assassino di John Lennon e gli altri assassini di personalità che hanno rappresentato linfa vitale per la società moderna. Agganciarsi a persone e situazioni ʽfamose’ è la strada più facile per affermarsi. E qui ci affidiamo alla morale, alla coscienzasecondo la quale affermare il proprio modo di pensare e il proprio mondo si dovrebbe fare con le proprie forze, senza calpestare o arrampicarsi sugli altri, distruggere ciò che loro hanno costruito con le proprie fatiche.
L’eco dello SCUM Manifesto ha trovato molte interpretazioni nel mondo del cinema, del teatro, della musica. Ma l’interpretazione che diamo oggi all’affermazione di Valerie e che porta a contraddistinguere la donna dall’uomo si riferisce al doppio ruolo della donna che, oltre al dono della procreazione che la natura le ha dato, possiede la capacità creativa intellettiva. La società deve creare le condizioni che permettono alla donna di affermare le sue capacità. Secondo A. M. Mozzoni (1864-1920), la donna deve essere considerata nel suo rapporto con la società e non soltanto con la famiglia. Nelle società basate sulla forza fisica, la donna continua ad avere solo doveri, viene sfruttata, senza essere protetta. Tuttavia, una società con una struttura democratica riconosce i diritti delle donne come uguali a quelli degli uomini. Ciò che oggi chiamiamo «pari opportunità» è direttamente correlato all'affermazione della democrazia, che è una conquista storica raggiunta con enormi sacrifici, che deve essere difesa e sostenuta.
È stato il movimento femminista che ha chiarito le rivendicazioni millenarie della donna, portando alla conquista della parità dei diritti con l’uomo, espressa nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali. Come diceva il pensatore J. S. Mill in On the Subjection of Woman (1969), il grado di elevazione delle donne è sintomo della civiltà di una nazione. Le radici del femminismo risalgono al tardo Illuminismo e alla Rivoluzione francese, «il movimento, ampio e articolato, che tende a porre l'accento sull'antagonismo donna/uomo, nel sociale come nel privato, e a realizzare una profonda trasformazione culturale e politica, riscoprendo valori e ruoli femminili in senso antitradizionale». La storia dell’arte e della letteratura, della ricerca scientifica, conserva moltissime figure di donne il cui contributo è stato determinante, sia per il valore intrinseco, sia per il modello di incoraggiamento che loro trasmettono alle donne di oggi e del futuro.
In Italia, la donna artista viene riconosciuta e sostenuta, la liberta di studiare arte delle ragazze è uguale a quella dei ragazzi. Storia recente, ogni decennio che passa segna nuovi traguardi raggiunti. La libertà di pensiero ha portato sempre di più la donna artista a esprimere, a manifestare le sue idee e quindi ad affermare la sua personalità, fino a riuscire a creare un suo mondo, riconoscibile. L’arte contemporanea accoglie a braccia aperte e riconosce il forte desiderio della donna di affermarsi, non come rivendicazione millenaria, ma come protagonista. Ricordando Gina Pane, basta pensare a Maria Lai, Carol Rama, Dadamaino, Carla Accardi, Chiara Fumai, Margherita Manzelli, Vanessa Beecroft, Francesca Romana Pinzari.
Oggi, la donna artista è competitiva e meritocratica, ma deve lavorare molto di più per affermarsi, in confronto all’artista uomo e, purtroppo, la percentuale delle donne artiste nel mercato dell’arte è molto bassa in confronto alla presenza degli uomini; c’è ancora molto da fare per allontanare questo ʽdubbio’ che traspare nel collezionismo, è come se la donna avesse bisogno di più garanzie da offrire all’acquirente, per questo c’è bisogno di molta determinazione e tenacia, della pazienza che Penelope ci ha insegnato.
C’è stato un visibile andamento in progressione: al dualismo sessuale su cui si fondano gli stati moderni si è aggiunto il genere «queer», passo successivo della critica femminista, che riconosce la diversità come uno stato naturale. Se il femminismo ha lottato per l’uguaglianza dei diritti tra l’uomo e la donna, il nuovo traguardo e quello di rispettare e riconoscere la libertà e i diritti di tutte le persone, indifferentemente dell’orientamento sessuale e nello stesso tempo della loro fragilità.
Personalmente considero che ogni donna, come ogni uomo, e come ogni essere umano, rappresenti un mondo a sé, con differenze e particolarità caratterizzanti, uniche. Il riconoscimento per il quale si lotta oggi è il rispetto dell’identità di ognuno. In questo senso, l’arte ha il privilegio di essere quel territorio sconfinato dove qualsiasi tipo di barriera viene prima o poi abbattuta.
Considero l’infanzia come un forte indicatore del bagaglio affettivo; secondo come viene vissuta, può diventare la preziosa ʽcorazza’ che ci difende per la vita. La mia infanzia solare mi porta a considerare la vita come un ‘dono’. Per me, il sentimento della bellezza è il nutrimento essenziale, indispensabile.
L’uguaglianza significa pace. Considero che ogni essere umano sia un prototipo sacro che la natura ha ʽmodellato’, e quindi è naturale accettare lo stato di essere donna, uomo… Sono proprio le diversità che la natura ci ha donato ad arricchire le nostre manifestazioni espressive. Per me, essere madre è meraviglioso e crescere mio figlio mi ha donato momenti bellissimi nella mia vita, arricchendomi spiritualmente, maturando il mio pensare artistico. Il mio essere donna è sempre stato un motivo per lottare di più, per sentirmi più responsabile e più consapevole, un problema di coscienza.
Vorrei citare uno tra i più grandi critici di arte contemporanea, Achille Bonito Oliva, in riferimento al testo scritto nel catalogo della mostra ARTAE, Collettiva Internazionale di Arte Contemporanea al femminile del 1991, alla quale sono stata invitata, che si è svolta a Ferrara - Zona Congressi, poi a Milano - Chiesa sconsacrata di S. Carpoforo e a Roma - Circolo degli Artisti: «L’opera d’arte non ha sesso. Nemmeno gli angeli, sempre, ce l’hanno».«Nella società di massa attuale i soggetti creativi, specificatamente legati alla produzione artistica, sono intercambiabili tra maschile e femminile. Solo la differenza linguistica stabilisce la qualità». (pubblicato da Prearo Editore).
Luminiţa Ţăranu, Columna mutãtio - LA SPIRALE, Installazione monumentale,
12,50 m x 1,40 m, Mercati di Traiano, Museo dei Fori Imperiali, Roma, 2017-2018
Foto: Sebastiano Luciano
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
Considero la ricerca come necessaria, essenziale per ogni percorso artistico. Per me rappresenta il ʽmotore’ che lo genera, assicurandogli la continuità. Il mio pensare artistico è nato dalla ricerca, invece la sperimentazione rappresenta il mezzo che mi porta a trovare ogni volta la ʽchiave’. Intendo la ricerca sia al livello intellettuale, di conoscenza e approfondimento spirituale, che al livello materico; due aspetti in stretta correlazione che diventano l’anima dell’opera. La ricerca significa indagine, analisi, sintesi. L’esempio più clamoroso nella storia dell’arte è Leonardo Da Vinci. Tutte le sue forme di geniale creazione, dai disegni all’affresco, alla pittura murale, alla pittura su tela, alla scultura, sono il frutto della sua mente indagatrice e della sua grande intelligenza e sensibilità. La sua affermazione «La pittura è una cosa mentale» si allarga oggi a tute le forme di arti visive, quindi: l’arte è una cosa mentale. Da cui anche le basi dell’arte concettuale.
Per me, lo stretto rapporto tra l’indagine intellettuale e la scelta delle materie è iniziato nel 1985, nell’ultimo anno di Accademia, a Bucarest, quando lo studio figurativo, l’analisi del corpo umano, degli animali come la mucca – mia prediletta, il cavallo, il cinghiale, mi ha indotto a fare i disegni colorati con le prime metamorfosi e mutazioni: il salto di qualità nel mio modo di pensare artistico.
Più tardi, nei due anni di lavoro intenso al Laboratorio di incisione dell’Unione degli Artisti Plastici della Romania, ho avuto l’occasione di sperimentare le tecniche di incisione tradizionali apprese all’Accademia. Per me la litografia non ha mai significato soltanto una tecnica per creare il multiplo; la pietra litografica, con la sua durezza nitida, con la sua fredda sensualità, questa materia cosi pesante in volumetria e leggera e morbida in superficie mi ha dato delle emozioni nuove, difficili da ritrovare lavorando su altri materiali. La libertà di utilizzare in contemporanea, come nel disegno sulla carta, il pennino, la matita, il pennello, le sovrapposizioni, i lavaggi e le stratificazioni, le impronte di piccoli oggetti, mi ha stimolato a vivere felici momenti intuitivi, che mi hanno portato a forme ed espressioni, a nuovi stati d’animo. Per arrivare poi, prima della stampa, alla particolare tecnica di incidere la pietra con acido nitrico e gomma di malaysia – sapere acquisito dal mio maestro, il grande artista Octav Grigorescu. Questa fusione tra il pensiero, la materia e il gesto ha prodotto le mie metamorfosi, che più tardi, in Italia, il critico di arte moderna e contemporanea Giorgio Di Genova le ha nominate Tavole anatomiche.
Seguendo il filo della metamorfosi, la mia ricerca ha continuato su vari concetti come quello sulla percezione del tempo obiettivo – i megaoggetti: la MEGABOX OVAJAIAIAIII… Entendez-vous/Je vous dis quelque chose e le SUPERSLIDES; i dipinti Immagine recedente l’immagine nei quali, simulando una premeditata ʽdistruzione’, recuperata attraverso l’inserimento del restauro pittorico, attribuisco alle mie opere, che hanno soltanto la dimensione dello ʽspazio’ in quanto ʽcontemporanee’, la dimensione del tempo; l’Installazione pittorica sul corpo umano visto non dal punto di vista anatomico, ma dal punto di vista dell’opera d’arte, centrando il concetto postclassico; la serie delle evo-cazioni mentali e materiche; L’installazione STRUTTURE, per arrivare alle opere sulla percezione del tempo obiettivo – tempo culturale, storico, artistico, architettonico, mirando alla connessione tra l’antico e il contemporaneo attraverso l’interpretazione della memoria archeologica – come l’installazione monumentale Columna mutãtio - LA SPIRALE, esposta ai Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali, Roma (28/novembre/2017 - 18/novembre/2018) e la più recente serie, le PICTA. In tutte queste opere ho utilizzato, in varie forme, una particolare tecnica pittorica, frutto della mia sperimentazione, che parte dalla serigrafia, tecnica che amo; anche se inizialmente, nel 1988, l’ho appresa creando dei multipli, dal 1991 la utilizzo per creare opere uniche. Ho dipinto ‘a strati’ il supporto di carta, tela o metallo, attraverso la stampa artistica serigrafica a mano, utilizzando telai incisi che riportano i disegni preparatori. Manipolando la tela serigrafica come se fosse un ‘pennello’, una ‘matita’ o un ‘ago da incisione’, e quindi lavorando con ʽgruppi di segni’ che si sovrappongono, mi permette di creare un’immagine netta, di impatto cromatico forte e pulito, che supporta la materialità dei colori, ma nello stesso tempo risulta curata nel dettaglio.
Le opere che ho creato per le due mostre sulla Divina Commedia, curate da Giorgio Di Genova e organizzate dalla Fondazione Casa di Dante in Abruzzo al Palazzo Aurum di Pescara, Dante e le donne del Paradiso del 2013 e Dante e l’Antica Roma nella Divina Commedia del 2017, così come le installazioni ispirate alla Colonna di Traiano: Columna mutãtio - Itineraria picta (2013-2014) e Columna mutãtio - LA SPIRALE (2017-2018) ai Mercati di Traiano, Roma, sono frutto della mia ricerca che parte sempre da una «full immersion» nella documentazione visiva, storica, letteraria, fino alla scelta accurata dei materiali e delle tecniche di lavoro. In conclusione, la ricerca artistica rappresenta per me il metodo unico, oggetto di innumerevoli approfondimenti.
Luminiţa Ţăranu, Metamorfosi
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici.Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Senz’altro, il ʽfare artistico’ e lavorare in modo progettuale da parte dell’artista coinvolge oggi anche la sempre più frequente figura della donna curatrice, della critica d’arte, colta e attenta, della collezionista, intelligente e raffinata. La cosa più importante è riuscire a fare rete. Questo significa costruire una struttura in cui ogni figura diventa professionale e ha il suo ruolo, lavorando in squadra per poter trovare la modalità migliore di far arrivare al pubblico il messaggio delle opere e della mostra. Per esempio, ci sono argomenti importantissimi, tra i più attuali, l’inquinamento; attraverso l’arte il messaggio viene recepito in modo sensibile, parlare all’emotività delle persone significa far arrivare l’idea, il contenuto, in modo diretto e incondizionato. Ogni aspetto di una mostra è importantissimo. La scelta dello spazio adatto e soprattutto l’allestimento delle opere, che richiede il coinvolgimento di un’altra figura professionale, quella dell’architetto. Oggi, sempre più architette prendono incarichi per allestire mostre.
Personalmente collaboro da più di trent’anni con la figura dell’architetto sempre presente nei miei progetti di allestimento di tutte le mie mostre personali e di tutte le mie opere monumentali.
Luminiţa Ţăranu, MEGABOX OVAJAIAIAIII… Entendez-vous/Je vous dis quelque chose
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre.Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Nel percorso storico, la donna, soprattutto colta e ricca, ha avuto spesso un ruolo importante nell’accentrare l’aspetto culturale visivo, letterario, musicale, coinvolgendo artisti, letterati, musicisti, scienziati, filosofi, stimolandoli e mettendoli nelle condizioni di produrre. Donne collezioniste, tra le più famose: Peggy Guggenheim (1989-1979), nipote di Solomon R. Guggenheim, la fondatrice del Museo Guggenheim a Venezia, che ospita la sua nota collezione di arte moderna raccolta in Europa e in America, e Ileana Sonnabend (1914-2007) – «The Queen of Art» – la più grande collezionista del dopoguerra, hanno creato un’importante connessione intercontinentale nell’arte del XX secolo.
In condizioni privilegiate, la donna è stata visionaria e rivoluzionaria, e loro sono grandi esempi. Ma il processo di emancipazione delle donne ha una storia recente, concomitante con il riconoscimento dei suoi diritti fuori della famiglia, e come in tutti i campi di attività, l'accesso nel campo artistico, qualsiasi fosse il suo ruolo, è in divenire. Non in tutti i paesi europei l’affermazione professionale della donna nell’arte è sostenuta, prevale la presenza maschile. Ma la donna di oggi è competitiva, attiva, determinata a continuare la lotta per avere il riconoscimento delle sue capacità, di prendersi cura, di caricarsi di responsabilità. Il fatto che nel mercato dell’arte non le venga attribuito lo stesso interesse e la stessa credibilità come all’artista uomo è un motivo concreto per resistere e rappresenta una giusta causa da risolvere, riguarda proprio il mondo del lavoro, quello istituzionalizzato. Apparentemente fragili, le donne sono allenate oramai a organizzare il loro lavoro, con audacia e consapevolezza.
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Come principio vorrei nuovamente citare Achille Bonito Oliva, nel suo scritto per il catalogo della mostra ARTAE: «In realtà l’arte non è maschile o femminile, in quanto il suo prodotto appartiene a quella zona di androgina indeterminazione giocata sull’elaborazione storica del linguaggio della forma».
Io sento fortemente la validità di quest’affermazione, non penso che ci siano differenze tra l’uomo e la donna, ci sono soltanto modi di pensare: «L’opera soltanto stabilisce per qualità interna la sopravvivenza a prescindere della biografia del suo produttore.» (Achille Bonito Oliva)
Il dialogo è aperto, sia l’uomo che la donna hanno i propri requisiti per poter ʽdire la verità’, basta mettere in gioco la forza dell’intelligenza e della sensibilità. L’unica forza che riconosco. La ʽrivendicazione millenaria’ che, sento, sia arrivata anche a me, si manifesta forse nel mio desiderio di affrontare progetti impegnativi, che portino il nuovo fino al visionario; ma sempre come conseguenza, mai come bandiera e neanche come sfida, ma come puro obiettivo. In pittura preferisco le grandi dimensioni, in cui ʽentro’, stabilendo un rapporto fisico con le mie opere, in cui ʽaffondo’ per tirare fuori l’energia. Il rapporto gestuale, dinamico, mi ha ʽspinto’ fuori dal quadro, estendendomi nello spazio esterno, attraverso sculture installate e installazioni, in cui le contaminazioni di generi artistici mi hanno permesso di scegliere la tecnica adeguata di un linguaggio rigoroso per esprimere il mio messaggio, dal disegno, alla litografia, dalla serigrafia, alla pittura, installazione, opere digitali. Il movimento ha sempre avuto il suo ruolo, anni fa mettevo tutto su ruote. Come nella MEGABOX OVAJAIAIAIII…Entendez-vous/Je vous dis quelque chose.
Rimangono molto importanti l’analisi introspettiva prima di definire l’idea e il controllo, che fa parte del mio essere. Si tratta anche dell’aggressività, ma quella istintivamente incanalata, compresa nella creazione.
La maternità è stata importante per me, mi ha salvato dall’area arida, accentuando quel senso di vitale umanità che si trasmette poi nella qualità pittorica. Crescere mio figlio, Lorenzo, è stato il periodo più bello della mia vita, che, oltre al mio senso di responsabilità, mi ha dato coraggio e gioia.
Luminiţa Ţăranu, Columna mutãtio - Itineraria Picta (2013-2014)
Paola Romoli Venturi (costumista, artista visiva, Roma)
Valerie Solanas in SCUM, manifesto del 1967, affermava che «a male artist is a contradiction in terms». Può commentare questa asserzione in riferimento alla condizione dell’artista-donna in Italia e all’eventuale specificità d’un punto di vista esclusivamente muliebre?
«A male artist is a contradiction in terms», questa affermazione ha un valore storico indubbio che ben rappresenta un sentimento, estremizzandolo; ma la storia dell’arte italiana e mondiale – innegabilmente decurtate, nel corso dei secoli, dalla presenza delle artiste che vi hanno operato – mostra artisti maschi che producono opere che non lasciano spazio al loro essere ‘una contraddizione in termini’. Indubbiamente gli storici dell’arte hanno occultato l’artista donna non scrivendone. Ma oggi in Italia c’è una tendenza a valorizzare, storicizzare e far emergere le artiste donne del passato e del contemporaneo, attivando anche reti di sorellanza tra storiche dell’arte e artiste. Come ad esempio: la mostra Io sono Io – I say I a cura di Cecilia Canziani, Lara Conte e Paola Ugolini alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Il progetto di mappatura ‘FEMM[E]’ documentato nel volume FEMM[E] arte [eventualmente] femminile a cura di Veronica Montanino e Anna Maria Panzera (Bordeaux edizioni) e il progetto di una banca dati digitale: ‘W.A.D. & community – Women Visual Art Database’ ideato da Laura VdB Facchini. Sono fiduciosa che questa tendenza a storicizzare farà emergere il lavoro delle artiste.
«La pelle dell’artista, reazione e resistenza, la materia tra apparire sensibile e intelligenza manuale, lo spazio, estetica ed esistenza» [1]. La ricerca si può dichiarare conclusa o ravvede tratti da approfondire?
‘Conclusa’ è una parola che non amo affiancare alla parola ‘ricerca'. Credo che arrivare a delle conclusioni sia un gesto non definitivo e che la ricerca di per sé è continuamente soggetta a essere riaperta e aggiornata; anche semplicemente per limare le aberrazioni che contraddistinguono il vedere degli esseri umani, che quando sono dentro le cose le vedono in modo diverso da quando il tempo le allontana da loro. La possibilità di approfondire, alimenta la ricerca creativa.
Paola Romoli Venturi, frame, video WE, 2016
L’arte non è fatta esclusivamente da artiste ma anche da collezioniste, critiche, curatrici. Esiste una rete di raccordo delle specifiche professionalità, un connubio tra i paradigmi teorici e le pratiche dell’arte?
Tutto il vivere è fatto di femminile oltre che di maschile e ritengo che la rete tra le persone (donne e uomini) sia vitale per far crescere una società. L’arte in particolare ha bisogno di una rete che la sostenga, soprattutto una rete di committenza di opere pubbliche e private, che possano dare la parola all’arte per farla dialogare con la società. La rete di sorellanza esiste e i progetti curatoriali, espositivi ed editoriali che in questo fine XX, inizio XXI secolo si stanno realizzando sono utili e necessari per far emergere il lavoro delle artiste. Ma l’ideale da raggiungere sarebbe una rete di sorellanza e fratellanza capace di far emergere la produzione artistica senza creare ghetti di soli artisti e di sole artiste.
«Resistenza», «rivolta», «rivoluzione», «cura», «responsabilità» sono parole ricorrenti durante i convegni, le esposizioni, le mostre. Anche l’arte è vittima della coercizione, spesso istituzionalizzata, del patriarcato?
Cinque parole che ricorrono e che rappresentano: l’agire, il pensare, il reagire, il conservare, il creare, il vivere. Non so se l’arte oggi sia vittima del patriarcato, ma so che il lavoro iniziato dalle nostre ave alla conquista dei pari diritti è stato lungo e intenso e va conservato oltre che integrato e ampliato. Quindi, anche nell’arte, come in tutti i diversi ambiti lavorativi, c’è ancora da lavorare. L’esercizio della memoria e della conoscenza sono vitali per l’affermazione dei diritti di tutti. Su questa convinzione si basa la performance partecipativa Mantra Reading# Lettura multi linguistica a staffetta della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che dal 2015 realizzo con costanza. Puntare l’obbiettivo non solo sulle donne, ma su tutti ci allontana da qualsiasi struttura volta a creare diseguaglianze e sottomissioni: una società scevra da qualsiasi coercizione istituzionalizzata deve essere il traguardo a cui puntare.
Paola Romoli Venturi, Memorie: Main Memory, by Heart, par Coeur, 2016
(ph Marcello Leotta)
Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?
Non saprei dire quali sono gli elementi peculiari della mia espressione artistica legati al ʽfemminile’, ma essendo ‘femmina’ credo che questo ‘macro elemento’ si riverberi inevitabilmente su tutto il mio lavoro e soprattutto nei lavori performativi nei quali uso il corpo, la voce e il gesto. Nel progetto artistico filosofico ROVESCIARE che ho realizzato nel 2019 al MACRO di Roma, tutta l’azione verteva sul rovesciamento del potere che passava dall’uomo alla donna, dalla guerra alla pace. Rovesciare si dice di un abito quando si smonta per rimodellarlo in altra forma e attraverso l’azione performativa: si rovesciava una divisa militare da uomo per farne un tailleur da donna, con tutto il suo portato simbolico si trasformava radicalmente la forma e il significato. Trasformare divise militari in abiti civili significa smantellare eserciti. Ma non mi sono fermata qui, seguendo questo mood ho rovesciato il planisfero generando un pianeta senza confini. Inoltre, attraverso la scrittura di una appendice alla fiaba I vestiti nuovi dell'imperatore di Hans Christian Andersen, ho descritto un nuovo finale nel quale si concretizza il passaggio del potere politico dall’uomo alla donna, attraverso un rovesciare attivo e positivo.
Paola Romoli Venturi, Non riesco a tornare a casa, performance, 2020
A cura di Giusy Capone e Afrodita Carmen Cionchin
(n. 4, aprile 2021, anno XI)
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NOTE
[1] In Femm[E]. Arte [eventualmente] femminile (2019, Bordeaux Edizioni), a cura di Anna Maria Panzera e Veronica Montanino.
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