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La lezione di Kierkegaard sul conformismo religioso e l’odierno ambientalismo mainstream (III)
Nella prima parte del presente articolo abbiamo considerato la polemica condotta da Kierkegaard contro l’establishment religioso del proprio tempo, nel corso della quale il danese denunciò nel conformismo una minaccia mortale per ogni individuo che voglia realizzare pienamente se stesso. Osservavamo inoltre la plasticità di questo fenomeno, il quale può assumere nel tempo le forme più impensate. In particolare, il tramonto del conformismo religioso ha visto l’affermazione di un conformismo secolarizzato che, se da una parte rende meno ambigua la posizione del cristianesimo nei confronti del mondo, in quanto la religione del paradosso torna ad essere minoritaria e perseguitata, dall’altra non cessa di costituire un pericolo per l’individuo.
Partendo dalla tesi eliadiana del «camuffamento del sacro», nella seconda parte del nostro contributo, abbiamo raccolto alcune autorevoli opinioni (di scrittori, giornalisti, scienziati ed economisti) a sostegno dell’ipotesi che l’ambientalismo mainstream rappresenti una delle tante forme di religione secolarizzata del nostro tempo.
Infine, in questa terza parte, metteremo a confronto il conformismo religioso contro il quale Kierkegaard scagliò i proprio strali e il conformismo ambientalista, soffermandoci in particolare su tre aspetti: l’incoerenza tra le finalità etiche o spirituali di cui tanto la propaganda religiosa quanto quella ambientalista si ammantano e gli scopi materiali che esse perseguono, finanche a scapito della collettività; la deresponsabilizzazione del singolo individuo, il quale mentre crede di compiere una scelta “etica” è, di fatto, invitato ad abdicare alla propria autonomia di giudizio per assecondare mode, slogan e codici di comportamento calati dall’alto; la manipolazione delle giovani generazioni, usate come massa di manovra per accelerare la transizione, e la censura di ogni voce che esprima il proprio dissenso nei confronti della narrazione dominante.
Gli elementi raccolti in questa sede ci consentiranno infine di rispondere in modo affermativo alla domanda di partenza, se la testimonianza di Kierkegaard, cioè, possa ancora rappresentare un valido esempio per chiunque voglia andare incontro con gli occhi aperti alle sfide del nostro tempo.
Conformismo religioso e ambientalista a confronto
Sia che si tratti di religione «camuffata» o di «contro-religione», l’odierna «religione verde» si presenta perlopiù «priva di spirito» come qualsiasi altro conformismo, che sia religioso o no. Di più, essa mostra forti analogie con i paradigmi predominanti tra i cristiani al tempo di Kierkegaard. Per valutare se il gesto “iconoclasta” del danese possa essere ancora efficace in una disamina critica dello scenario attuale, prenderemo in considerazione principalmente tre punti:
a) Al pari dei “rappresentanti” del cristianesimo nella cristianità stabilita (clero e altri elementi decisori delle comunità ecclesiali), gli attori delle narrazioni dominanti del nostro tempo, tra cui anche il movimento ambientalista, simulano di essere “in minoranza” quando invece sono spesso espressione di logiche di potere e lobby di interessi che snaturano le priorità che pretendono di perseguire. Gli ambientalisti radicali mettono in atto strategie di lotta (come manifestazioni non autorizzate, sit-in, scioperi, atti vandalici) o di sensibilizzazione (per esempio atti simbolici di “vandalismo” nei confronti di opere protette dal vetro nei musei) che storicamente appartengono alle minoranze in lotta per i diritti, simulando uno spontaneismo “dal basso”, così da esser riconosciute dall'opinione pubblica dalla parte degli oppressi. Paradossalmente, la disobbedienza civile è oggi incoraggiata, e non di rado praticata, da membri delle classi abbienti che fanno dei diritti umani e dell’ecologismo strumenti di oppressione e di censura preventiva. Una situazione cosiffatta, in cui le azioni di protesta contro gli effetti antropici sul clima (inquinamento e riscaldamento globale) sono talvolta sostenute dalla classe dirigente, e godono spesso, nei paesi occidentali, del consenso di governi, mass media, agenzie di stampa e istituzioni, mostra chiare analogie con quella «del cristianesimo protetto dallo Stato» contro cui Kierkegaard ha avanzato la propria critica.
Il filosofo danese ha messo in guardia i suoi connazionali dai pastori della Chiesa luterana, definendoli “cannibali”, “lupi travestiti da pecore”, che rubano «a quei grandi [disposti a soffrire per il cristianesimo]» e così raggirano «l’ingenuo, la massa degli uomini che non hanno la capacità di intuire la tattica del pastore, e cioè che egli prova la verità del cristianesimo e la confuta con il medesimo argomento» [Oi 9, 275]. Gli ecologisti lottano ufficialmente per “salvare il salvabile” del pianeta, ma il loro operato rischia di tradursi il più delle volte, in assenza di un impegno personale coerente, in una nuova forma di egemonia di classe su ceti e gruppi umani meno istruiti e meno attenti ai problemi ambientali.
L’emblema vivente dell’ambientalismo radical incarna perfettamente questa duplicità. Sebbene Greta Thunberg predichi agli occidentali uno stile di vita più povero, la sua esistenza è quella di una agiata ragazza svedese che ha attraversato l'Oceano Atlantico su un lussuoso catamarano, sostenuta da alcuni sponsor, come i produttori di motori termici, che sono in gran parte responsabili dell'inquinamento e dello spreco delle risorse contro cui gli ecologisti, innanzitutto, dichiarano di voler combattere [1]. Greta ha fatto la sua apparizione sulla scena mondiale all'età di quindici anni. In quanto bambina, femmina, a cui, per giunta, dall’età di tredici anni è stata diagnosticata la sindrome di Asperger, Greta assomma in sé tre fattori di “vulnerabilità” generalmente percepita, che si convertono in realtà in altrettanti scudi immunizzanti rispetto a eventuali critiche e contraddittori. Quando alla conferenza ONU sui cambiamenti climatici del 2019 la Thunberg accusò la classe dirigente mondiale (“Come avete osato...?”) abbiamo assistito a una trovata pubblicitaria di sicuro successo, poiché fin dai tempi biblici di Davide e Golia è risaputo che quando la disparità di forze tra due avversari è portata all’estremo, l’opinione pubblica tende a simpatizzare con chi appare “più debole”.
Se diamo uno sguardo agli ultimi scritti polemici di Kierkegaard, possiamo trovare buoni argomenti per contestare l’incoerenza della Chiesa e l’ipocrisia del clero. Gli stessi argomenti potrebbero essere utilizzati oggi in maniera non meno efficace per additare la paradossale duplicità della propaganda ambientalista. Parlando del defunto vescovo primate di Danimarca, Jacob Peter Mynster, Kierkegaard invitava innanzitutto il lettore a «considerare l'esito della sua vita» [SBM, 89]. In occasione delle sue esequie, Mynster veniva definito dal professor Hans Lassen Martensen, autore dell’elogio funebre e destinato a succedergli di lì a poco sulla cattedra episcopale, come «un autentico testimone della verità» [BMS, 66]. La sua vita fu in realtà ispirata a una saggezza tutta mondana che lo tenne lontano da ciò che la fede in Cristo esigeva: soffrire per la dottrina, «soffrire per la verità» [Oi 8, 240].
Una critica simile può valere anche per i sedicenti ambientalisti il cui stile di vita non collima con gli ideali proclamati. Kierkegaard rimarcò inoltre che i pastori avevano «un interesse pecuniario» [Oi 1, 76] nell'evangelizzazione poiché «devono vivere di questo» [Oi 1, 79], «per guadagnarsi il pane» [Oi 3, 129]. In un certo senso, lo stesso potrebbe dirsi anche delle aziende Green Tech e di tutti quei brand che sostengono con entusiasmo la propaganda ecologista, come se il loro principale obiettivo fosse quello di salvare il pianeta dall’autodistruzione, quando in realtà dalla retorica ambientalista si attendono di guadagnare quote di mercato sempre più ampie per i loro prodotti eco-friendly. Questo paradosso si risolve, per parafrasare Kierkegaard, in un semplice «giocare all’ambientalismo».
«Cosa significa infatti giocare quando si tenga conto di come questa parola va intesa nel nostro contesto? È copiare, imitare un pericolo dove non c’è nessun pericolo, e tutta l’arte consiste nel riuscire a fingere nel modo più illusorio possibile che ci sia il pericolo. A questo modo i soldati giocano alla guerra al campo di Marte; non c’è alcun pericolo, si finge soltanto che ci sia, e l’arte consiste proprio nel fare tutto in modo illusorio, proprio come se fosse una questione di vita e di morte» [HCD, 113].
Se non sapessimo per certo che queste espressioni si riferiscono ai pastori luterani che fingono di proclamare il cristianesimo, potremmo pensare che esse abbiano di mira un certo catastrofismo d’impronta ambientalista che alimenta strumentalmente – a fini di benefici egoici e profitti multimilionari – il panico nell’opinione pubblica.
b) Oggi l'ambientalismo passa per essere l'incarnazione dello Spirito del mondo, per esprimerci in termini hegeliani; è una narrazione teleologica autoritaria a senso unico che incarna quello che qualcuno ha definito il «super-io progressista» [2]. La propaganda ambientalista non contempla la possibilità di scelta a causa dell’urgenza degli interventi da porre in essere contro il cambiamento climatico (“la Terra sta bruciando”). In effetti, qualsiasi opzione diversa da quella proposta equivale all'abbandonare le sorti del pianeta («Non esiste un pianeta B», a dire: non esiste altra scelta che questa). Nella propaganda ambientalista, dunque, la libertà del singolo risulta fortemente limitata, il che è a dir poco curioso per una posizione che pretende di definirsi “etica”. Tutto questo, in nome di un emergenzialismo che, come ci hanno dimostrato i recenti “movimenti dei trattori” in Europa, manca di visione globale, olistica. In altre parole, in nome di un’idea “green” si rischia di produrre effetti ben poco “green”. Basti pensare alla questione dello smaltimento e della riciclabilità delle batterie e di altri componenti elettronici per intuire la complessità degli scenari che la scelta della transizione dall’auto a motore termico a quella elettrica a batteria ricaricabile, tanto per fare un esempio, comporta; oltre a questo rompicapo, che presenta dei risvolti geopolitici non indifferenti, resta poi ancora da chiedersi come si ottenga l’energia elettrica con cui ricaricare le batterie, e quanto sia “verde”.
Anche sotto questo aspetto Kierkegaard si rivela un valido antidoto. Insieme all'hegelismo egli rifiutava, infatti, ogni altro pensiero storico-mondiale che esentasse l'individuo dall'esercizio della scelta e della responsabilità, contestando la pretesa della sua generazione di orientare le proprie azioni nel mondo sulla base di un'idea storico-mondiale della morale piuttosto che sulla base dell'etica individuale, cioè sulla base di un’etica a misura dell’individuo: «la generazione contemporanea vuole ormai, vita natural durante, scoprire la sua idea morale storico-mondiale e agire in conformità» [AE 334].
Qualunque cosa si possa dire circa l'impatto che gli stili di vita individuali hanno sull'ambiente, vi è poco di genuinamente etico nel fare ciò che «i tempi esigono». Quel che in fondo ci si attende dalle persone non è che esse esercitino consapevolmente la propria responsabilità, ma che seguano istruzioni e slogan: shower less, drive electric, go vegan ecc., e rispettino le “leggi ambientali”, le quali rischiano, in assenza di un adeguato lavoro interiore (spirituale in senso lato), di tradursi in strumenti puramente coercitivi. “Avere una coscienza ecologica” finisce così per risolversi in un atteggiamento tutto esteriore, modaiolo, in cui ci si conforma a un trend generale, che è imposto verticalmente, dall'alto verso il basso. E questo è uno dei tanti modi di essere “massa” o “gregge”.
Il punto fondamentale che Kierkegaard ha messo in evidenza è che l'etica è un dimensione individuale, assolutamente incompatibile con la “folla” (da intendersi non tanto come la somma degli individui, bensì come un atteggiamento gregario, inconsapevole e non interiorizzato), il conformismo e le campagne mass-mediatiche. Là dove c'è “folla” il singolo individuo cessa di esistere, lasciando il posto all'uomo massificato. Non importa quanto valida sia l’idea attorno alla quale gli individui accorrono a frotte, nella misura in cui essa fa di loro un gregge, una massa, quell’idea diventa, per ciò stesso, immorale.
«Dovunque c’è da vedere qualcosa di straordinario e di valore, c’è anche assembramento di gente, ma chi è proprietario dispone con prudenza la cosa in modo che non può entrare nella sua proprietà che una persona per volta – l’assembramento, la massa, il concorso di gente, la folla storico-mondiale rimane fuori. E Dio possiede, mi sembra, la cosa più preziosa. Ma egli sa anche assicurarsi ben altrimenti di qualsiasi vigilanza terrena, sa ben diversamente impedire che qualcuno sgattaioli dentro oggettivamente, col metodo storico-mondiale, sfruttando l’assembramento» [AE 293].
Qualsiasi morale storico-mondiale «richiede un profeta con sguardo storico-mondiale sulla storia universale» [AE 1, 144]. Se qualcuno ha potuto vedere nella persona di Greta Thunberg il profeta che sa «ciò che esigono i tempi», allo stesso modo è dato riconoscere nell'ambientalismo lo spirito del tempo orientato al raggiungimento di un «più alto compito», la salvezza del pianeta. La storia dell’umanità procede dunque inesorabilmente – hegelianamente, si potrebbe dire – verso tale realizzazione dello Spirito del mondo. La propaganda ambientalista parla in effetti dell’essere umano in termini quantitativi (di specie, di numero, di percentuali) piuttosto che in termini di etica individuale. Ma «se la storia universale è la storia del genere umano, vien da sé ch’io non riesco più a scorgere in essa l’etica. Quel ch’io riesco a vedere in essa deve corrispondere all’astratto ch’è il genere, deve essere qualcosa di egualmente astratto» [AE 340]. Questa narrazione è falsa e sostanzialmente demoralizzante poiché esonera l’uomo dalla responsabilità di scegliere, obbligandolo semplicemente a fare ciò che «i tempi esigono».
Secondo Kierkegaard, pretendere di «contemplare la storia del mondo dal punto di vista di Dio» era una prerogativa del «teocentrico Diciannovesimo secolo». Duecento anni dopo, gli esseri umani sono ancora imbrigliati nello stesso malinteso etico che può essere espresso nei seguenti termini: quanto più oggettiva è la verità in nome della quale si pretende di agire, tanto più la responsabilità dell’essere umano si volatilizza. «Infatti non sarebbe una conclusione giusta il dire: più uno è sviluppato eticamente e più egli vedrà questo nella storia universale. Esattamente il contrario: più egli è sviluppato eticamente e meno di preoccuperà di storia universale» [AE 342].
c) Oggi l'ambientalismo fine a se stesso, cioè unilaterale, promuove nuove forme di conformismo tra i giovani, esercita una forma subdola di moral suasion e ricatto culturale nei confronti di coloro che non seguono la stessa corrente come “banchi di pesci”. La regola d'oro del conformismo suona così: “stai sempre dalla parte giusta”. E il suo scolio recita: “Ma come faccio a sapere qual è la parte giusta? È facile. Dove sono tutti gli altri, quella è la parte giusta”. Non a caso, crediamo, alcuni movimenti sedicenti spontanei che sostengono la propaganda ambientalista e altre mobilitazioni progressiste portano orgogliosamente il nome di pesci gregari, come “sardine” (in Italia) e “aringhe” (in Finlandia). L’immagine de «l'intero banco di aringhe» [den hele Stime af Omgangs-Sild] proviene direttamente dal Diario di Kierkegaard, dove l’immagine è impiegata per schernire il conformismo e la finta rispettabilità degli esponenti dell'alta borghesia di Copenaghenese, gente che non conosce l’onestà intellettuale e l’isolamento di chi esce dal branco, e non ha la minima idea di cosa significhi «quando tutti ti voltano le spalle» [DD: 32].
D’altra parte, i giovani – più soggetti alle dinamiche del conformismo generazionale nella fase adolescenziale di passaggio dall’infanzia all’età adulta – sono sempre stati oggetto privilegiato di manipolazione da parte del potere, specialmente quando si è trattato di imprimere al corso della storia un’accelerazione improvvisa e determinare transizioni epocali. Basti qui ricordare la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, quando Mao Zedong invitò i giovani a “bombardare il quartier generale” e proclamò che “ribellarsi è giustificato”. La Rivoluzione Culturale fornisce l’esempio di una rivoluzione top-down in cui i giovani fungevano da massa di manovra per il ritorno al potere di Mao. Apparentemente più spontanee furono le proteste del 1968 in Francia e Italia, anche se è difficile pensare che questi movimenti avrebbero potuto ottenere il successo che hanno conosciuto senza il tacito consenso delle forze politiche al governo – come per altro dimostra la scalata sociale e l’ottimo livello di integrazione raggiunto dai loro protagonisti entro i quadri dirigenziali dell’Occidente post-sessantottino.
Kierkegaard si era reso ben conto del fatto che i giovani erano i più propensi a sottomettersi alle mode culturali e alle narrazioni dominanti: «L’ammirazione del giovane, il suo entusiasmo la sua fiducia illimitata in Hegel è precisamente la satira di Hegel» [AE 429]. L’entusiasmo dei giovani è acritico e alla fine si traduce in una parodia dell’idea che professano, come testimoniano i giovani ambientalisti che collezionano decine di borracce termiche per evitare il consumo di plastica, dando prova così di come alla base della loro coscienza ecologica stia al contrario una irrefrenabile coazione all’accumulo in salsa verde, non molto dissimile in ciò da altre forme di mimetismo sociale.
Tra le strategie di controllo del pensiero a scopi ambientali, assistiamo quotidianamente al ricatto culturale, alla censura preventiva e alla delegittimazione dell'avversario. L’economista francese Prud’homme lamenta che, come ogni totalitarismo, l’ecologismo «è costruito su una inquisizione. Chiunque non la pensi come loro è un malvagio che minaccia la sopravvivenza dell’umanità» [3]. Allorché l’intellettuale francese Michael Onfray ha osato criticare Greta Thunberg e i suoi seguaci, è stato accusato di “handifobia”, “misoginia”, “oscurantismo” [4].
Quando Kierkegaard pose fine alla «neutralità armata» per denunciare l'incoerenza dei suoi connazionali in materia religiosa, il decano Victor Bloch auspicò che il filosofo fosse «punito ecclesiasticamente» con la scomunica. Se ai tempi di Kierkegaard la buona società voltava le spalle agli intellettuali “non allineati”, e il nostro era certamente tra questi, ancora oggi chiunque non approvi l'ortodossia ambientalista subisce l’ostracismo e il linciaggio mediatico. Invece di seguire il mainstream hegeliano, Kierkegaard preferiva, da parte sua, la compagnia di Poul Martin Møller (1794-1838), quel Møller che descrisse il fenomeno dell'affettazione in termini di una autoillusione che sfocia infine nel conformismo:
«mentre l’hegelismo furoreggiava, era di altro parere: anzitutto egli non cominciò a parlare di Hegel che con una certa indignazione, fino a che l’humor sano di cui era dotata la sua natura non gl’insegnò a sorridere, specialmente dell’hegelismo, ovvero – per evocare con maggior chiarezza la figura di P. Moeller – a riderne di tutto cuore» [AE 277].
Kierkegaard rifiutò l’egemonia dell’hegelismo e prese le distanze dall’ambiente culturale dominante, rappresentato dalla cerchia del poeta Johan Ludvig Heiberg, che il biografo di Kierkegaard Joackim Garff ha descritto come una conventicola autoreferenziale e «ristretta, quasi mafiosa» [5]. I benpensanti si sarebbero presi una rivincita su di lui con l'affare del Corsaro, quando Kierkegaard divenne il facile bersaglio di una feroce satira giornalistica, subendo così il «martirio del ridicolo», l’unica forma di martirio a misura di un’epoca, quella moderna, in sé priva di serietà.
Conclusioni
Nel presente articolo abbiamo cercato di affrontare una questione alquanto impegnativa e stimolante, vale a dire quale contributo Kierkegaard possa ancora offrire al presente scenario religioso. Lo scopo di Kierkegaard, in origine, era quello di combattere il conformismo cristiano. Nonostante il contesto religioso in cui egli visse non esista più e la religione abbia cessato di rappresentare una narrativa dominante, almeno nei paesi occidentali, il conformismo gode ancora di buona salute. Il declino delle religioni tradizionali, seguito dal declino delle ideologie del Novecento, il comunismo tra tutte, ha creato un vuoto religioso destinato ad essere colmato da nuovi paradigmi, altrettanto persuasivi e capaci di generare consenso, come l’odierno ambientalismo.
Mutatis mutandis, ci sono forti analogie tra lo scenario affrontato da Kierkegaard e quello in cui attualmente viviamo: come i pastori luterani ai tempi del danese, gli attivisti ecologisti si descrivono come una minoranza oppressa, anche se di fatto detengono il controllo dei mezzi di comunicazione e godono del sostegno di ampi settori del mercato e industrie che riconoscono nello storytelling ambientalista la possibilità di aumentare enormemente i propri profitti. Oggi giorno, le forme tradizionali di espressione del dissenso, come scioperi, mobilitazioni, disobbedienza civile, ecc., vengono rivendicate dalle élites dominanti per esercitare pressione psicologica sull'opinione pubblica, creare consenso e ricattare moralmente i consumatori, quegli stessi consumatori che pagheranno il prezzo della transizione ecologica.
Come l’hegelismo al tempo di Kierkegaard, l’ambientalismo mainstream è «ciò che i tempi esigono» o, per dirla alla maniera di Hegel, «lo Spirito del tempo». Esso mostra i tratti di una religione secolare, immanente, falsamente razionale, teleologica, che trasforma le preoccupazioni ecologiche in imperativi etici per giocare sul senso di colpa di cui gli esseri umani sono facilmente preda. Questo genere di ambientalismo è un racconto storico-mondiale a scelta unica, fatto di elementi oggettivi (dati, numeri, diagrammi, previsioni sul crescente esaurimento delle risorse naturali, ecc.) che rendono semplicemente impossibile qualsiasi scelta, giacché, in fondo, proprio come l’hegelismo e il marxismo, la sua logica è una logica della necessità piuttosto che una logica della possibilità. Inoltre il protagonista di questa narrazione non è l'individuo, cioè l’uomo spirituale, bensì la “specie umana” cioè l'uomo come animale gregario, «l’umano generale». Ma una volta depotenziato l'individuo, e con esso ogni possibilità autentica di scelta, il tutto si risolve in un Black Friday for future, una gigantesca orgia consumistica di prodotti ecologici, bottiglie termiche e auto elettriche.
Dalla polemica portata avanti dal filosofo danese emerge del resto con chiarezza ciò che rende vincente la predicazione dei pastori luterani: a) il fatto che assecondi l'istinto di autoconservazione e di propagazione della specie, sia rassicurante e non richieda alcun impegno da parte dell'ascoltatore; lo stesso può dirsi della propaganda ambientalista, in quanto il catastrofismo fa appello allo stesso istinto di sopravvivenza (salvare il pianeta) e offre soluzioni a portata di mano, in termini di uno stile di vita teoricamente più rispettoso dell’ambiente, ma che tuttavia non affronta il problema del consumismo se non su una scala locale (per esempio, gli standard nel mercato europeo) anziché globale; b) il fatto che procuri agli esseri umani la possibilità di appagare il proprio istinto gregario; lo stesso si può dire della questione ambientale, sempre più virale e pervasiva c) i pastori luterani erano a tutti gli effetti funzionari pubblici che predicavano Cristo in nome dello Stato e, in quanto tali, erano investiti di un “supposto sapere”, non importa quanto fossero coerenti con ciò che professavano (principio di autorità). La propaganda verde è supportata da massicce campagne di informazione la cui forza di persuasione risiede unicamente nel “supposto sapere” di istituzioni e testimonial speciali «reclutati nei campi più diversi: premi Nobel, astronauti, virologi, esperti di ogni sorta, bambini “speciali” saputelli e altre icone dell'attuale Intelligentsia» [6].
In conclusione, ci sembra più che ragionevole rispondere in modo affermativo alla domanda da cui siamo partiti, se Kierkegaard cioè possa ancora essere considerato un punto di riferimento nell’attuale scenario religioso. Riteniamo che l’“ermeneutica del sospetto” di cui Kierkegaard si è dimostrato capace a scapito delle ipocrisie di una società conformista e cristiana solo in apparenza sia tuttora dotata di una notevole carica decostruttiva nei confronti dei surrogati secolari della religione, quale l’odierno ambientalismo mainstream. Il bisturi con cui Kierkegaard ha inciso la ferita infetta del Cristianesimo di Stato è ancora affilato e dimostra un'efficacia inaspettata nel trattare le piaghe di una società che ama definirsi emancipata ma che non è mai stata così disperatamente conformista come quella attuale.
In termini kierkegaardiani, il conformismo è una malattia dello spirito, o meglio è la semplice assenza di spirito, perché nessuno spirito sorge fin tanto che l'individuo non si sia separato dall'uomo comune [almindelige menneskelige]. Il conformismo è una malattia cronica, si ripete ciclicamente, mutando aspetto, assumendo forme polarmente opposte. Pur di restare l’animale gregario che è, l'uomo è infatti capace di cambiar tunica in un batter d'occhio.
A questo punto, si potrebbe però obiettare che nulla di ciò che Kierkegaard ha scritto autorizzi a pensare che egli si sarebbe mai imbarcato in una polemica contro l’ambientalismo di facciata, e non mancano buoni argomenti a sostegno di questa obiezione: Kierkegaard non ha mai usato la parola ecologismo né nel ciclo pseudonimo, né nei discorsi edificanti, nelle carte postume e tanto meno nei diari, semplicemente perché la parola ecologia allora non esisteva; e il motore a scoppio, tanto per fare un esempio, è stato brevettato nel 1854 (!), solo un anno prima che Kierkegaard morisse. D’altronde, sia detto a scanso di equivoci, non è nostra intenzione fare di Kierkegaard un militante anti-ecologista, promotore della deforestazione dell’Amazzonia in vista di una agricoltura intensiva o un sostenitore dell'uso indiscriminato e massiccio di plastica e combustibili fossili, ma quello che è sempre stato: un sagace «detective» o un «talento poliziesco» acuto che ha saputo scovare l'ipocrisia che alberga nelle pieghe più nascoste dell'animo umano, anche quando questo pretende di servire le cause più nobili.
Igor Tavilla
(n. 5, maggio 2024, anno XIV)
Spiegazione dei riferimenti
Per citazioni e riferimenti agli scritti di Kierkegaard utilizzo l’edizione critica, Kierkegaard 1997-2013, nella versione elettronica SKS, Søren Kierkegaards Skrifter elektronisk version 1.8.1 ved Karsten Kynde. Le citazioni dalle opere di Kierkegaard sono espresse mediante le sigle sotto indicate, seguite dal numero di pagina e inserite tra parentesi quadre all’interno del testo. In particolare, per il diario, i quaderni e le carte (Journaler og Papirer), le sigle presenti nell'edizione critica di questi scritti sono in gran parte di Kierkegaard, che ha raccolto molte delle sue considerazioni in 10 quaderni contrassegnati con una doppia lettera (da AA a KK ), e dal 1846 in altri 36 quaderni contrassegnati con NB (Nota) e una numerazione progressiva. Altre riflessioni e appunti di varia natura sono stati raccolti dai curatori in 15 quaderni (Not[esbøger]) e in carte (Papir[er], 1-596).
AE Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia in S. Kierkegaard, Opere, a cura di C. Fabro, Sansoni, Firenze 1975;
BMS Il vescovo Mynster è stato un «testimone della verità», uno dei «veri testimoni della verità»: è questa la verità?, tr. it. di I. Tavilla, prefazione di A. Siclari, Castelvecchi, Roma 2016, pp. 66-72.
HCD Il giudizio di Cristo a proposito del cristianesimo, in L’istante, tr. it. di A. Gallas, Marietti, Genova 2001, pp. 107-117;
Oi L’istante, tr. it. di A. Gallas, Marietti, Genova 2001;
SD La malattia per la morte, tr. it. di E. Rocca, Donzelli, Roma 2011 (prima edizione 1999);
SBM L’oggetto del contendere con il vescovo Martensen; cristianamente decisivo per un’istituzione, quella ecclesiastica, di per sé dubbia dal punto di vista cristiano, in S. Kierkegaard, Io voglio onestà. Contro le menzogne del cristianesimo ufficiale, tr. it. di I. Tavilla, prefazione di A. Siclari, Castelvecchi, Roma 2016, pp. 85-90.
NOTE
[1] G. Meotti, Greta Thunberg e la fatica di essere ecologisti senza macchia, in «Il Foglio», 2 agosto 2019.
[2] R. Riesel, J. Semprun, Catastrofismo. Amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile, Ortica Editrice, Roma, 2020.
[3] G. Meotti, Greta è la santa degli occidentali che si sentono in colpa di essere ricchi, in «Il Foglio», 2 luglio 2019.
[4] Id., Undicesimo comandamento: non criticare Greta, in «Il Foglio», 8 agosto 2019.
[5] J. Garff, SAK. Una biografia, tr. it. A. Scaramuccia e S. Davini, Castelvecchi, Roma 2013, pp. 73-74.
[6] I. Tavilla, The Reader. The Lover. The Prophet. Views on Kierkegaard, Toronto Circle/KUD Apokalipsa, Toronto/Ljubljana 2023, p. 108. |
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