Su una filosofia dei «resti». Le pattumiere di Matei Vișniec

Negli ultimi anni, il fenomeno dei cambiamenti climatici e l’impatto dell’inquinamento prodotto dalle attività umane nel contesto della globalizzazione, ha portato ad un dibattito sempre più intenso, su molteplici fronti (economia, scienze naturali, etica, spiritualità), divenendo un tema di riflessione anche in ambito artistico. Nella seconda parte del suo articolo, Horia Corneliu Cicortaș si sofferma sulla questione dei «resti» in uno scritto letterario di Matei Vișniec, contenuto nel volume Ultimele zile ale Occidentului (‘Gli ultimi giorni dell’Occidente’).

«Consumo, dunque esisto».

È ben noto che i recenti cambiamenti climatici, contraddistinti da sempre più frequenti fenomeni meteorologici estremi – periodi lunghi di canicola e siccità, alternati a rovesci violenti e abbondanti, che provocano allagamenti, frane e altri disagi – sono dovuti alle emissioni di diossido di carbone e di altri gas provenienti dalle attività umane (dai vari rami dell’industria ai trasporti, agricoltura e allevamento, fino al semplice riscaldamento delle abitazioni), ormai monitorati a livello planetario, anche con l’ausilio dei satelliti. Il surriscaldamento dell’atmosfera conduce allo scioglimento dei ghiacciai e all’aumento della temperatura e del livello delle acque oceaniche, un fatto che a sua volta provoca nuove perturbazioni nel clima e nella biosfera. Il tutto avviene nel contesto di una sostenuta crescita demografica mondiale, accompagnata da una richiesta accresciuta di materie prime, soprattutto nel comparto energetico trainato da idrocarburi e carbone, in quello dell’attività estrattiva mineraria e dei materiali di costruzione. Disboscamenti massicci avvengono in tutti i continenti, talvolta per sostituire gli alberi autoctoni con piantagioni di pino per provvedere al fabbisogno dell’industria dell’arredamento [1]. A ciò si aggiunge il fenomeno della globalizzazione, con un consumo e una produzione di beni sempre più accelerati e capillari. Cosicché i cambiamenti climatici summenzionati vanno di pari passo con molteplici forme di inquinamento dell’atmosfera (emissioni tossiche), delle acque (sversamenti di liquami residuali chimici o domestici, contaminazioni con plastiche e altre sostanze nocive) e del suolo (discariche illegali o non conformi di rifiuti ecc.).
Le istituzioni dell’Unione Europea – il Consiglio, il Parlamento e la Commissione Europea – hanno recentemente lanciato un ambizioso Green Deal, che prevede la riduzione drastica delle emissioni di gas nocivi attraverso la transizione verso fonti rigenerabili di energia che sostituiscano quelle attualmente basate su combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), soprattutto dopo la guerra scatenata dalla Russia – il principale fornitore di gas dell’Europa – contro l’Ucraina. Questa transizione implica, tra l’altro, il passaggio (molto controverso) dagli autoveicoli con motori termici (a benzina o a gasolio) a quelli dotati di motori elettrici alimentati da batterie. Senza scendere nei particolari, occorre precisare qui che una delle difficoltà maggiori di tale transizione «verde» consiste nel rifornimento delle materie prime necessarie per realizzare le batterie, da un lato, e dall’altro nel processo del loro smaltimento e riciclo – strada, questa, ancora tutta da percorrere. Analogo problema di fondo si pone anche nel caso del trasporto ferroviario elettrico, il quale, pur essendo più «pulito» di quello stradale o aereo, se consideriamo le emissioni dirette di CO2, ovvero l’impatto inquinante, dipende tuttavia dalle fonti di produzione dell’energia elettrica di cui si alimenta: fonti che sono ancora solo parzialmente «pulite» (principalmente l’energia eolica, idrica e solare; quella nucleare è inclusa dai suoi sostenitori tra le fonti «pulite», mentre i suoi detrattori lo contestano, per via dei rifiuti nucleari che devono essere periodicamente stoccati, ma anche a causa dei costi notevoli implicati dalla chiusura in sicurezza delle centrali nucleari i cui reattori sono giunti alla fine del loro ciclo produttivo).
Tuttavia, le preoccupazioni europee riguardano non solo la tutela dell’ambiente nel vecchio continente – una recente iniziativa consiste nel cosiddetto «ripristino della natura» (in proporzione di almeno 20% delle attuali superfici agricole o soggette ad altro sfruttamento antropico, entro il 2030) –, bensì anche l’attuazione di un modello di buone pratiche, una sorta di esempio positivo che venga seguito anche altrove, dal momento che la «partita» si gioca su scala planetaria. È un’aspirazione che, se cerchiamo di guardare realisticamente la tendenza dell’attuale «civiltà», appare, se non utopica, perlomeno assai ottimistica. E questo perché, in altre parti del mondo, l’imperativo ecologico non occupa il primo posto dell’agenda politica. Perché sia così e non altrimenti, dipende da numerosi fattori storici, che non posso affrontare nello spazio limitato di queste poche pagine. Però mi sembra interessante che, tra le voci degli scrittori di oggi, sensibili alle cause profonde del problema ecologico, ci sia anche quella di Matei Vișniec.
Matei Vișniec non ha certo bisogno di presentazioni. Le generazioni più giovani, che non l’hanno conosciuto prima del 1989, come poeta romeno, hanno avuto l’opportunità di scoprirlo soprattutto come drammaturgo bilingue, autore di testi teatrali sempre più rappresentati su numerose scene romene e internazionali, ma anche come fine narratore, i cui romanzi, scritti finora – a differenza delle sue pièce di teatro – esclusivamente nella lingua materna, da qualche anno cominciano ad essere anch’essi tradotti in altre lingue [2].
Come avevo accennato nella prima parte del mio articolo,  volevo soffermarmi qui su un testo di fiction di Vișniec, Pubele pentru toți (‘Pattumiere per tutti’), facente parte del volume/di Ultimele zile ale Occidentului (‘Gli ultimi giorni dell’Occidente’) [3]. Il volume, pubblicato nel 2018, contiene nove racconti a sé stanti, seppure assemblati in un insieme tematico «a incastro», di tipo puzzle, seguiti da quattro testi-confessioni, anch’essi imparentati, per contenuto, al tema espresso nel titolo del volume, ovvero, la natura, le cause e le eventuali vie d’uscita dall’impasse acuto dell’Occidente, uno spazio alle prese con tensioni interne e contraddizioni sempre più difficili da tenere in equilibrio, ma anche con nemici esterni tutt’altro che trascurabili (in parte proiezioni delle stesse angosce e conflitti che popolano la tormentata storia europea). Non a caso, ci rivela l’autore, la spinta a scrivere i tredici testi che formano Gli ultimi giorni dell’Occidente gli è stata procurata dagli attentati terroristi degli anni 2015-2016 a Parigi. È un riferimento, questo, che in qualche modo dà il «la» all’intero volume nel primo testo, intitolato Arrivano i Persiani!, e che riaffiora alla superficie, come un fiume carsico, in altri testi del libro, dalla questione delle guerre greco-persiane, come momento «fondante» dell’Occidente, passando per quella dell’egemonia americana nell’ultimo secolo (Visita alla Statua della Libertà) o per quello del rapporto simbiotico fra politica e stampa nelle società odierna (L’uomo dalle sei gambe), fino al problema, apparentemente marginale, dei rifiuti e della spazzatura.
Ora, senza sminuire il valore degli altri dodici scritti del volume – alcuni più poetici, altri più gravi, altri ancora più ilari, ma ognuno suggestivo e a suo modo toccante –, credo che Pattumiere per tutti sia il testo che, per così dire, mette più chiaramente «il dito sulla piaga». Non è la prima volta che Matei Vișniec si sofferma, nella sua letteratura, sui rifiuti urbani. Basti ricordare che il suo volume Teatru descompus (‘Teatro decomposto’) porta il (sotto)titolo Omul-pubelă (‘L’uomo pattumiera’), preso da uno dei testi «modulari» che compongono, mi si passi il gioco di parole, il Teatro decomposto [4]. Là, però, abbiamo a che fare con lo pseudo-dramma di un individuo – un individuo che può essere del resto chiunque di noi, come suggerisce il dialogo tra la voce dell’autore e l’infelice personaggio – che viene usato dai suoi simili come pattumiera. Peraltro, è interessante che, nella prima edizione del libro, il termine impiegato non fosse il neologismo pubelă (dal francese poubelle), bensì ladă de gunoi – un’espressione in qualche modo più violenta e meno “igienica”, che fa ricordare i maleodoranti cassoni posti qua e là tra i palazzoni del periodo comunista, i cui residenti svuotavano i loro secchi per l’immondizia domestica (gălețile de gunoi menajer). Qui, invece, l’accento non è più sull’individuo, bensì sul gruppo, sulla società.
Pattumiere per tutti è un racconto dal respiro di parabola, nel quale due coniugi borghesi, il signore e la signora Smith (echi dei personaggi ioneschiani), vivono tranquillamente, insieme al loro figlio, in un confortevole quartiere borghese di una città occidentale qualsiasi, nella loro routine quotidiana. Routine che viene interrotta, un bel giorno, da un evento imprevisto (e, come tale, destabilizzante): qualcuno rovista nel loro bidone della spazzatura (una delle pattumiere che ogni famiglia possiede, per le varie tipologie di rifiuti: vetro, carta, abiti usati, plastica ecc.). L’incredibile evento si ripete, spingendo i coniugi ad azzardare ogni sorta di ipotesi, finché – ed è il secondo colpo di scena – si scopre che colui che aveva frugato nella pattumiera, appropriandosi di vari prodotti alimentari non consumati dalla famiglia Smith, ma gettati via in quanto scaduti, era un individuo che abita oltre il Muro, nel quale era riuscito ad aprire una breccia per passare clandestinamente dall’altra parte. La comparsa nel testo di questa parola, Muro, è come un fulmine a ciel sereno. La sua evocazione (naturale per i personaggi, brusca per noi lettori) costituisce un vero e proprio perno della narrazione. Tanto più che a coloro che abitano al di qua del Muro è vietato per legge attraversarlo o anche semplicemente guardare al di là di esso. (A prima vista, sembra una specie di muro di Berlino, sebbene la situazione descritta nel testo di Vișniec faccia pensare piuttosto all’immagine di un muro statunitense-messicano o israeliano-palestinese). D’ora in poi – lo si avverte dall’atmosfera tesa del racconto – la vita degli Smith e dei loro concittadini non sarà più la stessa. Il ripetersi meccanico dei gesti quotidiani, finalizzati al corretto smaltimento dei rifiuti nelle pattumiere contrassegnate da appositi simboli – che le autorità locali ricompensano con premi mensili di coscienza civica,conferiti alle famiglie che dimostrano più «correttezza, igiene e precisione» nel posizionamento dei bidoni sul marciapiede –, è interrotto dalla terribile scoperta. Veniamo così a scoprire che i coniugi Smith e gli altri del loro quartiere abitano aldiquà del Muro, mentre di là si trovano altre persone (delle quali inizialmente non ci vien detto nulla), la cui esistenza è tale da spingersi a procurarsi il cibo necessario (o parte di esso) mediante incursioni tra le pattumiere di coloro che vivono aldiquà del Muro. Chi sono quelli che vivono di là e che rapporto hanno loro, se ce l’hanno – a parte le visite furtive ai cassonetti dell’immondizia dei benestanti –, con coloro che abitano aldiquà? Non ci viene detto esplicitamente. Ma si finisce per capire che essi sono, per così dire, il dark side of the moon, ovvero la metà bisognosa del mondo. Nella famiglia Smith, e in seguito in tutta la città dei borghesi benestanti, sorge rapidamente un dibattito pubblico: cosa bisogna fare? La comunità si spacca in due schieramenti. Alcuni vorrebbero rafforzare il muro, dotarlo di filo spinato e sistemi performanti di sorveglianza, per impedire a coloro che abitano di là, privi di pattumiere, di passare di qua, nel mondo delle pattumiere. Costoro sono i pragmatici, i quali ritengono che l’eventuale accesso alle pattumiere non convincerà gli abitanti dell’oltre Muro a restare là dove sono, ma, al contrario, sarà come una calamita, che li attirerà da questa parte con forza ancor più grande di prima. L’altro schieramento ritiene che i muri siano effimeri e pertanto, se non è possibile demolirli, ai sazi che abitano di qua dovrebbe almeno essere permesso di mettere a disposizione, sistematicamente, agli affamati di là, le proprie pattumiere, al fine di bilanciare, sia pure in parte, le evidenti discrepanze esistenti. È lo schieramento dei pattumier-umanisti, coloro che, dopo mesi di dibattito, riusciranno a imporsi. Così, «ogni giorno, attorno alle tredici, le pattumiere della città sono allineate lungo il muro. La gente che abita dall’altra parte del muro può ora entrare, tramite le brecce ufficiali, e nutrirsi all’ora di pranzo con tonnellate di cibo scaduto, depositato nelle pattumiere». Una soluzione provvisoria è stata trovata: lo spreco degli uni si tramuta nel cibo degli altri, con benefici per entrambe le comunità (benefici di coscienza, per quelli di qua; benefici di sopravvivenza, per quelli di là).
La soluzione si dimostrerà, però, valida alla lunga? Può essere una soluzione duratura? – chiede il signor Smith, nel finale del racconto, alla moglie. «Per il momento non ne abbiamo un’altra migliore. Ma Bobby» – cioè il loro figliolo – «crescerà e verrà con altre proposte», risponde la signora Smith.
Osservando quel che accade attorno a noi, sarei tentato di concludere, con la signora Smith, che la soluzione momentanea non risolve la spaccatura del mondo in quelli con pattumiere vs. quelli senza pattumiere. Ma, naturalmente, i giovani cresceranno e verranno, probabilmente, con altre soluzioni, o forse persino con la soluzione a lungo termine.


Horia Corneliu Cicortaș
(n. 11, novembre 2024, anno XIV)



NOTE

[1] È il caso della multinazionale svedese IKEA, la famosa catena di negozi di arredamento e accessori per la casa. Estese superfici di questa «sostituzione» boschiva sono state sfruttate in Paesi come Brasile, Polonia, Romania e Nuova Zelanda; cfr. il documentario Ikea, le seigneur des forêts, di Xavier Deleu e Marianne Kerfriden, trasmesso sul canale ARTE.
[2] In italiano sono usciti finora, tradotti da Mauro Barindi per la casa editrice Voland di Roma, i romanzi Sindrome da panico nella Città dei Lumi (2021) e Il venditore di incipit per romanzi (2023). 
[3] Pubele pentru toți, inMatei Vișniec, Ultimele zile ale Occidentului, Polirom, Iași, 2018, pp. 212-235.
[4] Omul-pubelă, in Matei Vișniec, Omul-pubelă sau Teatru descompus și Femeia ca un câmp de luptă, Cartea Românească, București, 2006. Nella prima edizione del 1998, la prima parte del titolo del libro, ovvero quella riguardante i testi modulari riuniti, era Teatru descompus sau Omul-ladă-de-gunoi. La traduzione italiana della raccolta Teatro decomposto o l’uomo pattumiera si trova in Matei Vișniec, La storia del comunismo raccontata ai malati di mente e altri testi teatrali, a cura di Emilia David, Editoria e Spettacolo, Spoleto 2012, pp. 31-95.