Su una filosofia dei «resti». La storia di una rivista

Negli ultimi anni, il fenomeno dei cambiamenti climatici e dell’impatto inquinante delle attività umane nel contesto della globalizzazione ha portato ad un dibattito sempre più intenso, a vari livelli (economia, scienze naturali, etica, spiritualità). Oltre agli interventi istituzionali, da quelli nazionali o transnazionali (ONU, UE) a quelli adottati a livello locale, il problema è diventato materia scolastica ma anche tema di riflessione filosofica. Nella prima parte del suo articolo, Horia C. Cicortaș evoca l’esperienza della rivista «Sophia» (1999-2004), fondata a Napoli dal professor Horst Künkler (1936-2008), le cui preoccupazioni filosofiche riguardavano anche la questione dei “resti”.

Tempus fugit…
La recente lettura di un libro di Matei Vișniec, Ultimele zile ale Occidentului (‘Gli ultimi giorni dell’Occidente’), sul quale tornerò nella seconda parte di questo testo, mi ha fatto ricordare che sono passati venticinque anni dalla nascita della rivista napoletana «Sophia», la cui esistenza, per quanto piuttosto effimera (uscirono solo sette numeri, tra il 1999 e il 2004), ha nondimeno rappresentato un’interessante iniziativa nell’editoria filosofica italiana di quegli anni [1]. Inoltre, l’esperienza stessa è stata un’avventura appassionata per i suoi protagonisti, tra cui il firmatario di queste righe.
La rivista è stata fondata a Napoli, nel 1998, da Horst Künkler (1936-2008) – che ne è stato anche l’unico finanziatore [2] –, professore di estetica all’Università Orientale di Napoli, insieme a Giovanni Rossetti (n. 1960), suo assistente, insegnante di filosofia presso un liceo di Benevento. Negli anni in cui sono stato suo studente (1993-97), venni a sapere che Künkler in precedenza era stato attivamente coinvolto nella realizzazione di un’altra rivista napoletana, «Metaphorein», fondata insieme a Ferruccio Masini (1928-1988) e Romolo Runcini (1925-2014), pubblicata dall’editore Tullio Pironti tra il 1977 e il 1985.
Sapevo che il professore, che non amava molto i periodici accademici, con la loro aria pedante e mortuaria, aspettava il momento di lanciare una nuova rivista, di aspetto gradevole ma sostanziosa nei contenuti, che non fosse rivolta necessariamente agli specialisti, quanto piuttosto ad un pubblico colto, intelligente e curioso. Del resto Künkler era un personaggio sui generis, sia nella vita di tutti i giorni che nella Facoltà di Lettere e Filosofia, dove tanto era amato dai suoi studenti quanto incompreso, evitato o invidiato da alcuni suoi colleghi di categoria, soprattutto dai burattinai della “politica” accademica, che probabilmente lo percepivano come un “corpo estraneo”, difficilmente assimilabile alle consorterie locali. Non è un caso che il professore non si sia formato in Italia bensì in Germania, più precisamente all’Università di Heidelberg, dove ebbe come professori il filologo romanzo Erich Köhler (1924-1981) e il filosofo Hans-Georg Gadamer (1900-2002) di cui fu discepolo [3]. Agli intrighi e ai retroscena preferiva la vita ritirata, tra i libri di filosofia e letteratura della biblioteca della sua abitazione ad Agerola, sui monti della Penisola Amalfitana, dove si era stabilito molti anni prima, alternando lo studio e la quiete con numerosi “salotti” spontanei, nei vari bar o trattorie, che “animava” in compagnia degli studenti a lui più vicini.
Difficile restituire il ventaglio di sensazioni, emozioni, scoperte intellettuali suscitate da quelle serate un po’ à la bohème, che spesso costituivano un gioioso prolungamento, fino a tarda notte, delle lezioni universitarie. Vi tornerò sopra, forse, in altra occasione.
Fatto sta che il nostro socratico professore tedesco era un pensatore “senza opera” (come lo schernivano alcuni colleghi), poiché non aveva pubblicato nessun volume o lavoro monografico, ma solo articoli, brevi saggi e frammenti di un libro di ampio respiro, che avrebbe dovuto essere il suo opus magnum, al quale lavorò per oltre trent’anni, e che rimase incompiuto, in forma manoscritta (in parte dattiloscritta): L’analitica dell’apparenza. Forse fu proprio questa predilezione per i testi brevi a spingerlo ad avventurarsi nella nuova rivista, non appena ebbe le risorse economiche e umane necessarie [4]. La redazione era composta dai due fondatori (Künkler era il direttore editoriale), ai quali si aggiungevano altri tre stretti collaboratori del professore, e cioè Carlo Saviani (filosofo della generazione di Giovanni Rossetti), Giancarmine Bongo (germanista, mio collega di facoltà nonché, al pari di Giovanni e di altri colleghi “sophianici”, mio caro amico), più il sottoscritto; inoltre, il professore mi aveva scelto come segretario di redazione: un’esperienza nuova, che mi sarebbe stata utile negli anni a venire. C’erano poi altri collaboratori esterni, alcuni dei quali sono stati successivamente cooptati come redattori.
Uno dei problemi che questo piccolo collettivo editoriale, legato all’ambiente universitario, ma che agiva, per così dire, al di fuori di esso, era quello di tracciare, con il numero inaugurale che preparavamo nell’autunno del 1998, l’identità e l’orientamento della rivista. A partire dal nome (Sophia) e dal suo sottotitolo (rivista di dialoghi interculturali), proseguendo con la definizione delle testate, della tipologia dei testi e delle collaborazioni, tutto doveva rispecchiarli, il più fedelmente possibile. In realtà, il periodico era l’espressione naturale di ciò che eravamo, come membri del gruppo – composto da ex e attuali studenti, di formazione filosofica o germanistica – che gravitava attorno a Künkler. La rivista intendeva essere, come indicava il suo stesso titolo, non una rivista di filosofia nel senso stretto e tecnico del termine, bensì una rivista con un approccio “ecumenico” o, se si preferisce, “olistico”, incentrata sul dialogo interculturale (tra varie culture o macro-aree culturali; ad esempio, tra Occidente e Oriente) e intraculturale (nella fattispecie, tra le diverse discipline o ambiti interni alla cultura europea).
Tale programma, illustrato nell’editoriale del numero inaugurale, apparso nel gennaio 1999, intendeva affrontare, tra l’altro, la questione dell’egemonia culturale delle scienze naturali (compresi tutti gli ambiti disciplinari che si basano sui procedimenti fisico-matematici) sulle scienze di tipo “umanistico”. Desideravamo che il nostro approccio interculturale si riflettesse soprattutto nella sezione principale, “Studi e ricerche”, divisa in due sottosezioni: “Problemi del pensiero e della scienza contemporanea”, e “Oriente e Occidente”. Essa si sarebbe articolata in base a un rigore scientifico di tipo occidentale, ma si sarebbe rivolta a un pubblico colto piuttosto ampio, un pubblico che avrebbe potuto ritrovarsi negli interstizi o nei “resti” lasciati fuori, o al di là, dei settori disciplinari delimitati da confini discutibilmente stabiliti. Anche le altre sezioni della rivista cercavano di rispondere a tali esigenze di apertura: “Dialoghi” (che comprendeva conversazioni e interviste tematiche), “Laboratorio” (per poesie e brevi saggi letterari), “Binario morto?” (riservato ai pamphlet) e “Orientamenti” (rubrica di recensioni).
Per comprendere l’indirizzo impresso alla rivista da Horst Künkler, indirizzo che chiamerei, per semplificare, fenomenologico-ermeneutico, vale qui ricordare che, per il suo varo, è stato consultato lo stesso Hans-Georg Gadamer (al quale il primo numero di «Sophia» è dedicato, mentre altri numeri successivi raccoglievano vari contributi di e su Gadamer). Prendendo le mosse da Verità e metodo, ma anche dal pensiero di Heidegger e di Derrida, uno dei temi fondamentali ai quali era interessato in quegli anni Künkler – e anche, in un senso o nell’altro, alcuni della stretta cerchia napoletana dei suoi collaboratori – era il rapporto problematico (manicheistico) tra le scienze fisico-matematiche e le scienze dette “umane”, “storiche” o “spirituali”, in un periodo in cui queste ultime cercavano sempre più, per costituire le proprie basi di “scientificità”, di prendere a modello le prime (tendenza peraltro dominante anche oggi, un quarto di secolo dopo). In altre parole, la separazione di questi ambiti disciplinari solleva non pochi interrogativi su cosa sia “scientifico” e cosa non lo sia (soprattutto nel campo delle humanities), il che, come evidenziava il Professore nel suo primo studio pubblicato su «Sophia» (La traccia del tocco. Sull’unità delle scienze), comporta, tra l’altro, la riconsiderazione del rapporto cartesiano tra res cogitans e res extensa. [5] Il problema è complesso, sia dal punto di vista pratico che epistemologico, e non può essere trattato in questo spazio limitato.
Per restare, però, al “momento” Sophia, quale preambolo a un discorso più tecnico che svilupperò nella seconda parte di questo articolo, tengo a precisare che un tema costante delle discussioni di gruppo, ovvero quelle che ho avuto in privato con il professor Künkler – e che non siamo arrivati a sviluppare nelle nostre pubblicazioni se non in minima parte –, è stato quello dei rifiuti. Forse eravamo in certo qual modo costretti a meditare su questi “resti” (domestici) anche per il fatto di vivere in un’area metropolitana ad alta densità geografica, come Napoli, dove il problema della presenza – e della gestione – dei rifiuti urbani era cronico [6]. Sappiamo tutti che, negli ultimi vent’anni, la questione non è più solo locale, ma globale: al di là dell’aspetto visibile (e disturbante) della maldestra gestione dei rifiuti, dei resti e dei residui di ogni genere, essa riguarda l’impatto delle attività umane su tutto l’ambiente. Come pensatore, Horst Künkler meditava molto seriamente sul problema dell’inquinamento, ritenendo che nel momento attuale – alla fine del secolo scorso e all’inizio di quello attuale – esso costituiva un tema di riflessione anche filosofico, perché riguarda il rapporto fra noi esseri umani e il mondo: cioè la natura, le cose e i resti che produciamo continuamente, specialmente come membri dell’odierna società dei consumi.
Ecco perché, dicevo all’inizio di queste righe, la recente lettura di un testo di Matei Vișniec (Pubele pentru toți, nel volume già citato) mi ha riportato in mente la “storia” della rivista «Sophia» e del suo fondatore, il pensatore delle “tracce” e dei “resti”. Di fatto siamo tutti produttori di rifiuti potenzialmente inquinanti, già dall’incipiente infanzia (i pannolini usa e getta, per esempio), continuando con la nostra esistenza di acquirenti-utilizzatori-consumatori, fino al momento in cui ci trasferiamo da questa vita (compresa la questione dell’impatto ambientale della tumulazione, della cremazione, ecc.). Non è più un mistero che la tipologia, la quantità e la concentrazione dei rifiuti, indipendentemente dal loro stato fisico (solido, liquido, gassoso), sia, nella società occidentale – la quale si sta però progressivamente espandendo ovunque sul pianeta, talvolta in forme piuttosto violente, simili a quelle della fase industriale “selvaggia” del capitalismo, nei secoli passati –, fonte continua di inquinamento dell’atmosfera, delle acque, del suolo di cui ci nutriamo noi esseri umani e gli altri organismi viventi sopravvissuti finora accanto a noi.
Ma sulle cause, le conseguenze e gli altri aspetti filosofici della questione dei resti – nella seconda parte dell’articolo.


Horia Corneliu Cicortaș
(n. 10, ottobre 2024, anno XIV)



NOTE

[1] L’indice dei sette volumi può essere consultato qui: https://sophianet.wordpress.com/
[2] Può sembrare strano che un docente universitario, anziché “sfruttare” lo spazio dei periodici accademici (compresi quelli pubblicati dal proprio ateneo) decida di spendere denaro delle proprie tasche per lanciare una rivista culturale. Del resto, in una conversazione che Horst Künkler ebbe con il filosofo Gianni Vattimo attorno a quest’argomento, quest’ultimo aveva esclamato: «Chi te lo fa fare!?». Mi ricordo che il Professore era molto divertito da quella battuta.
[3] Per un quadro d’insieme della biografia e dell’opera del Professore, si veda l’articolo di Alessandru Stavru, L’apparenza e la traccia. Ricordo di Horst Künkler (1936-2008) a dieci anni dalla scomparsa: panoramica sulla sua opera edita e inedita, «Eudia», 12, 2018. (Si tratta della forma elaborata di un primo testo, uscito nel 2008 come necrologio).
[4] La soluzione economica si concretizzò nella vendita della casa della famiglia d’origine a Baden-Baden, dove ebbi la possibilità di essere ospitato nel 1994, durante il mio primo viaggio nella Germania sudoccidentale, insieme al Professore e ad altri tre colleghi di facoltà. Tuttavia, il finanziatore di «Sophia» non poteva esserne anche il proprietario, stando alla legislazione italiana in materia (risalente ai tempi del fascismo), in base alla quale quest’ultimo doveva essere cittadino italiano. Ma Künkler era soltanto cittadino tedesco: pur essendo sposato con una germanista italiana, con cui aveva tre figli, non aveva chiesto la cittadinanza italiana, per non perdere quella tedesca (per molti anni, la Germania non permise ai cittadini tedeschi di prendere un’altra cittadinanza). La nuova rivista venne così intestata al figlio minore del professore, Matthias Künkler, che era italiano. Secondo la stessa legislazione italiana, la rivista doveva avere come direttore responsabile un giornalista con statuto riconosciuto (iscrizione all’Albo). A ricoprire tale mansione fu Donato Faiella, anch’egli professore di filosofia a Benevento, al pari del cofondatore Giovanni Rossetti.
[5] L’articolo rappresenta il testo riveduto di una conferenza tenuta il 5 aprile 1995 (uscita dapprima in traduzione romena, sul numero 4/1996 della rivista di filosofia «Krisis» di Bucarest).
[6] Sulla crisi della gestione dei rifiuti nella regione Campania, nel 2004 ho scritto un breve articolo, Gunoaiele Vezuviului (‘La spazzatura del Vesuvio’), sul settimanale «Dilema Veche» di Bucarest.