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Cioran il romeno, storia di un ineluttabile destino
Cioran non è propriamente romeno; nato nel 1911 a Răşinari (13 km da Sibiu/Hermannstadt) – quindi in Transilvania – è, più precisamente, austro-ungarico. In un’intervista rilasciata al filosofo Fernando Savater nel 1977, infatti, preciserà: «L'Europa occidentale era allora l'Impero austro-ungarico. Sibiu, compresa nella Transilvania, apparteneva all'Impero; la capitale dei nostri sogni era Vienna. In qualche maniera mi sono sempre sentito legato all'Impero... nel quale peraltro noi romeni eravamo degli schiavi! Durante la guerra del '14 i miei genitori sono stati deportati dagli ungheresi... Psicologicamente, mi sento affine agli ungheresi, ai loro gusti e ai loro costumi. La musica ungherese, tzigana, mi commuove profondamente. Io sono un miscuglio di ungherese e di romeno». Naturalmente bisogna tener conto che questo giudizio è mediato dal logorio sapiente del tempo [1], e che uno scettico come Cioran è capace, sagacemente, di ribaltare opinioni più volte – disorientando il lettore – anche in ambito politico. In ogni caso, si tratta di un giudizio che evidenzia indirettamente la commistione culturale, politica e sociale ungherese, che influenzerà nolente o volente l’animo romeno di Cioran.
Dell’essere romeno, Cioran – «maestro del paradosso, della negazione, della denigrazione» [2] – amerà «il suo lato estremamente primitivo»: ricorderà in diverse occasioni il tempo passato a Sibiu, città dove passò l’adolescenza, a chiacchierare e a bere con i contadini e i pastori sui monti Carpazi.
A Sibiu, dal XII secolo, c’era anche una presenza significativa di Sassoni e una delle prime lingue che Cioran imparerà, anche per volontà degli stessi genitori [3], sarà proprio il tedesco. In questa lingua studierà Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Spengler, Simmel e altri autori. Soltanto alla fine della Prima Guerra mondiale, la Transilvania, con il trattato del Trianon [4], assieme alla Bessarabia e alla Bucovina, sarà annessa alla Romania, fino allora formata dalla Moldavia e dalla Valacchia. Una terra di grandi contraddizioni, un «paese latino con carattere slavo», storicamente legata ai Daci ma sempre contesa e oppressa (persiani, greci, romani, barbari, turchi, austriaci, russi).
Durante la Grande Guerra, Cioran aveva un’età compresa tra i 3 e 7 anni: ne parlerà come il periodo più felice della sua vita [5] e come «un’infanzia selvaggia» [6]. Avrà però un atteggiamento molto critico nei confronti della sua terra di origine: sentiva di trovarsi alla periferia della cultura mondiale e quindi avvertiva istintivamente l’orgoglio e la necessità di allargare i propri orizzonti. «Come si può essere Romeno? » si chiedeva. «A questa domanda potevo rispondere soltanto con una incessante mortificazione. Odiando i miei, il mio paese, i suoi contadini fuori del tempo, irretiti dal loro torpore e come sprizzanti ebetudine, arrossivo d'esserne l'erede, li rinnegavo, mi ritraevo dalla loro sub-eternità, dalle loro certezze di larve pietrificate, dalle loro fantasticherie geologiche […] E incessantemente maledivo il caso che mi aveva fatto nascere tra loro [7]». Questo astio nei confronti del suo essere romeno era mosso in realtà da un amore troppo grande per questo popolo [8] oppure, come sosterrà Ionesco, da un «enorme orgoglio personale» [9].
Cioran e il Movimento Legionario
Dopo la guerra, seguì in tutta Europa un periodo di grande turbolenza, caratterizzato dal contrapporsi di schieramenti di destra nazionalisti da un lato e di sinistra/comunisti dall’altro. La politica, così lacerata, si esprimeva soprattutto con lo scontro, non soltanto ideologico ma fisico, di piazza, terroristico. In Romania questa contrapposizione era più che altro teorica, avvertita più come velata minaccia esterna che come un pericolo reale, data la presenza minima dei partiti marxisti, e la forte e radicata presenza dei partiti di destra o estrema destra. A questo deve aggiungersi un atteggiamento molto diffuso di inferiorità e frustrazione per un passato di sopraffazione e di controllo da parte delle potenze straniere [10].
Nel giugno del 1927, Corneliu-Zelea Codreanu (soprannominato il Capitano) fondò il Movimento Legionario o meglio la «Legione dell’Arcangelo Gabriele», poi diventata «Guardia di Ferro» (nel 1930) e infine «Tòtul pentru Tara» (Tutto per la Patria) nel 1935. Si trattava di un movimento che mirava politicamente alla contrapposizione al comunismo – ritenendosi «antiborghese, anticapitalista, antidemocratico» – ma anche a un generale rinnovame nto spirituale, interiore e sociale. La marcia, il canto, i saluti, le divise verdi, le regole (disciplina, lavoro, silenzio, educazione, aiuto reciproco, onore) ne fanno più una sorta di movimento religioso-militare, con comandamenti e obiettivi più religiosi che meramente politici [11]. Alcuni di essi facevano voto di celibato, si sottoponevano al digiuno e conducevano una vita spartana, quasi ascetica.
Molti giovani (e anche molti preti) aderirono entusiasticamente, travolti dal fascino di questo personaggio eclettico; tra i tanti anche il filosofo Julis Evola e, in Italia, il giornalista Indro Montanelli [12]. Non si trattava, dunque, come ammette anche un avversario dichiarato della Legione come Eugen Weber, di un «movimento borghese o piccolo-borghese nel significato comune del termine» ma di «un movimento popolare, con un programma che le masse (il complesso dei contadini e lavoratori romeni) consideravano abbastanza radicale per le loro esigenze, e che le forze che rappresentavano l’ordine costituito, da Cuza [13] al re, consideravano rivoluzionario».
Cioran aderì sostanzialmente al Movimento [14]; come Codreanu, riteneva che la sostanza del popolo romeno fosse «corrotta» e che bisognasse rinnovare spiritualmente l’individuo. Non bisogna tra l’altro dimenticare gli evidenti influssi (non solo in Cioran) di letture come quella di Spengler sulla decadenza del mondo moderno [15]. Inoltre l’ideologo della Guardia di Ferro fu il professore di metafisica all’Università di Bucarest, Nae Ionescu (che ebbe come assistente lo storico delle religioni, Mircea Eliade), le cui lezioni erano molto seguite dagli studenti romeni, tra cui anche Cioran. Diversamente dall’amico Eliade, Cioran sembra sia stato un po’ più distante dal movimento ma, al pari di tanti altri intellettuali romeni, ne fu sostenitore attraverso alcuni articoli scritti su una rivista di estrema destra «Vremea» («Tempo» in italiano) tra il 1933 e il 1935.
In un’intervista di Benedetta Craveri del 1988, in un momento in cui incominciavano ad esserci le prime pubblicazioni compromettenti su Eliade, ma non ancora su di lui, Cioran difenderà l’amico affermando che non capiva assolutamente nulla di politica e quindi riteneva tutte le polemiche «ridicole e assurde» [16]. Difficile capire se fosse la verità e/o un maldestro tentativo di difendere anche se stesso. Di certo l’adesione di Cioran al movimento di Codreanu è totale e innegabile; Cioran era anche convinto che una dittatura potesse risvegliare le coscienze intorpidite dei romeni e scuotere quel fatalismo tipico dei popoli balcanici.
Nel 1933, Cioran era a Berlino per una borsa di studio della fondazione von Humboldt e conobbe da vicino lo spirito e l’entusiasmo che animava la Germania e che contrappose inevitabilmente alla decadenza (vera o presunta) della Romania e della Francia. In una lettera a Eliade, Cioran dichiara di essere entusiasta dell’«ordine politico» esistente a Berlino, completamente assente nel paese natio e scriverà: «Non posso non ammirare l’orgoglio infinito che i tedeschi provano nel culto del Führer. Se c’è una cosa che amo negli hitleriani è il culto dell’irrazionale, l’esaltazione della vitalità in quanto tale, l’espansione virile delle forze, senza spirito critico, senza riserve e senza controllo. L’ammirazione nordica per l’eroe, come forma suprema della realizzazione dell’uomo, ha trovato nella Germania attuale tutti gli elementi e il quadro che sono necessari alla propria manifestazione. Nel culto del Führer, i tedeschi provano un sentimento di sicurezza simile a quello derivato dal presentimento, o forse dalla certezza, di un destino grandioso [17]».
In una intervista radiofonica del 1940 confermerà ancora una volta la sua teorica adesione al movimento di Codreanu (morto nel 1938) [18]. Tutto questo però occorre inquadrarlo in un contesto di esaltazione della superiorità e della specificità del popolo romeno: antiungherese, antiborghese, antisemita, nazionalistico, avverso alla civilizzazione urbana. Contesto che coinvolse in un modo o nell’altro gli intellettuali più significativi del periodo: autori come Lucian Blaga (1895-1961), Costantin Radulescu-Motru (1868-1957), Mihai Ralea (1896-1964), Mircea Vulcanescu (1904-1952) [19] furono quantomeno nazionalisti e un atteggiamento antisemita avrà anche il noto poeta romeno Mihai Eminescu (1850-1889).
«Trasfigurazione della Romania», un libro contestatissimo
Cioran, affascinato istintivamente da tutto ciò che è estremo ed eccessivo, scriverà nel 1936 il contestatissimo Schimbarea la fata a Romaniei (Trasfigurazione della Romania), un libro che, come giustamente fa notare l’amico Petreu (o Costantini nel suo libro) «occupa un posto a sé nella produzione di Cioran» [20]. In effetti, è un libro di idee politiche piuttosto forti, «un vero e proprio trattato di fanatismo xenofobo e militante» [21]. Cioran, nel ripubblicarlo in lingua romena [22], ne soppresse le parti più discutibili (in particolare il IV capitolo), quelle più antidemocratiche, antisemite e xenofobe e nella prefazione scriverà: «Ho pensato che fosse mio dovere sopprimere certe pagine pretenziose e stupide». Questo indirettamente evidenzia un certo senso di colpa, ma sicuramente non bastò o forse aggravò la sua posizione nei confronti del mondo culturale (anche a causa dell’attivismo – che Cioran definì «persecuzione» – di Luciene Goldmann, ebreo di origine romena).
Nel 1973, in una lettera al fratello, non si capacitava di quell´errore giovanile: «L´epoca in cui ho scritto Trasfigurazione della Romania è per me incredibilmente lontana. A volte mi domando se sia stato proprio io a scriverlo. In ogni caso, avrei fatto meglio ad andare a spasso nel parco di Sibiu... L´entusiasmo è una forma di delirio».
Fabio Rodda, autore di un libro su Cioran, considera Schimbarea «un libro violento e inutile», ma suggerisce di considerare l’opera di Cioran come filosofica, in cui l’aspetto politico non è che qualcosa di assolutamente marginale, quasi insignificante. La politica può essere considerata come «un derivato ovvio ma non centrale dell’aspetto filosofico: la Legione è stata una parentesi politica nella vita del pensatore».
Nei Cahiers, Cioran scriverà: «Penso ai miei “errori” passati, e non posso rammaricarmene. Significherebbe calpestare la mia giovinezza, e non voglio assolutamente farlo. Gli entusiasmi di un tempo mi venivano dalla vitalità, dal desiderio di scandalo e di provocazione, da una volontà di efficacia nonostante il mio nichilismo di allora. – La cosa migliore che possiamo fare è accettare il nostro passato; oppure non pensarci più, considerarlo morto e sepolto».[23]
E ancora più incisivamente: «Le conseguenze che ho dovuto subire per una semplice infatuazione giovanile sono state e sono talmente sproporzionate che in seguito mi è stato impossibile diventare campione di una causa, fosse pure inoffensiva o nobile o dio sa che. È un bene aver pagato molto caro una follia di gioventù; in seguito ci si risparmia più di una delusione».[24]
Limitare il pensiero di Cioran, come ha fatto qualcuno [25], a questo particolare aspetto, se da un lato fa onore alla verità storico-letteraria, dall’altro significa non riconoscere il vero valore di questo autore, che colpisce più per l’autenticità e la profondità del pensiero che per le sue idee pseudo-politiche (appartenenti tra l’altro ad un’epoca storica complicata), sconosciute alla maggior parte dei suoi lettori. Che questo sia stato invece un ostacolo alla sua fama, è una verità difficilmente contestabile, ma poco importava ormai al Cioran maturo, rifugiato com’era nella sua chambre de bonne, la piccola mansarda al sesto piano in rue de l’Odéon 21 a Parigi.
Anche il suo essere romeno in qualche modo è stato un iniziale ostacolo ma in quanto iniziale vissuto nel vigore della gioventù con una maggiore intensità. Nella sua lucidità Cioran comprese subito quest’ostacolo e forse proprio per questo ha avuto per lungo tempo un atteggiamento inequivocabile di contrarietà verso la Romania e la sua lingua: «Che cosa vuoi che faccia col mio romeno a Parigi? Avevo rotto con la Romania: non esisteva più per me (…). Ad ogni modo, la Romania per me rappresentava solo il passato. Perché, allora, scrivere in romeno?» [26].
A partire dal 1947, mentre stava scrivendo una traduzione in romeno di Mallarmé, a Dieppe dove andava in vacanza con la sua compagna, Simone Boué, decise che non sarebbe più rientrato in Romania e che avrebbe scritto solo in lingua francese: «Improvvisamente mi sono detto: “Che assurdità! A cosa serve tradurre Mallarmé in una lingua che nessuno conosce?”. Ed è lì che ho rinunciato alla mia lingua» [27].
Atteggiamento che mitigò e ribaltò col tempo: «Il popolo romeno, curiosamente, è il popolo più fatalista del mondo. Quando ero giovane mi indignava quel ricorrere a concetti metafisici dubbi – come il destino, la fatalità per spiegare il mondo. Ed ecco che, ora, più invecchio più mi sento vicino alle mie origini. Oggi come oggi dovrei sentirmi europeo, occidentale; ma non è affatto così. Dopo una esistenza durante la quale ho conosciuto molti Paesi e letto molti libri, sono giunto alla conclusione che era il contadino romeno ad avere ragione. Quel contadino che non crede in niente e pensa che l'uomo sia perduto, irrimediabilmente perduto, quel contadino che si sente schiacciato dalla storia. Questa ideologia da vittima è anche la mia concezione attuale, la mia filosofia della storia. In sostanza, tutta la mia formazione intellettuale non mi è servita a nulla!» [28]
Con l’avanzare dell’età, Cioran avvertirà quindi prepotentemente il richiamo della propria terra di origine; percepirà istintivamente di essere più romeno di quanto lui stesso volesse o pensasse. Quel fatalismo che aveva attribuito più volte al popolo romeno in realtà gli apparteneva pienamente, come un marchio originario indelebile; anzi, si può senz’altro affermare che è stato l’elemento portante della filosofia e dello scetticismo che caratterizzerà tutta la sua brillante produzione.
Giuseppe Savarino
(n. 8, agosto 2012, anno II)
NOTE
1. Il dominio austro-ungarico era spesso ostile ai romeni. Ad esempio, a Brasov, città della Transilvania, abitata all’epoca in prevalenza da ungheresi (e dove Cioran insegnò per un anno al Liceo Andrei-Saguna) era vietato ai romeni di risiedere dentro le mura della città.
2. Nota di S. Stolojan al libro di Cioran, Lacrime e santi (Lacrimi si sfinti, 1937), Adelphi, Milano, 1990.
3. Fu spedito da due signore tedesche per una full immersion in lingua tedesca. In verità, lo stesso Cioran ha ammesso che questa esperienza servì a poco per la presenza rilevante del vicinato romeno.
4. Il trattato di Trianon (il Trianon è un edificio della Reggia di Versailles) fu firmato il 4 giugno del 1920 e in pratica definì le sorti del Regno d’Ungheria da parte delle potenze vincitrici della Prima Guerra mondiale, riducendo la presenza degli ungheresi in Romania da circa il 30% della popolazione al 7% attuale.
5. Sempre nell’intervista di Savater del 1977, alla domanda Ha avuto un'infanzia felice?, risponderà: «Ecco una cosa molto importante: non conosco un solo caso di infanzia più felice della mia. Vivevo ai piedi dei Carpazi, giocando liberamente nei campi e sui monti, senza obblighi né doveri. È stata un'infanzia straordinariamente felice. Più tardi, parlando con la gente, non ho trovato nulla di equivalente. Avrei tanto voluto non andarmene mai da quel villaggio; non posso dimenticare il giorno in cui i miei genitori mi hanno caricato in una vettura per portarmi in città, alle scuole medie. È stata la fine del mio sogno, il crollo del mio mondo».
6. Nei Quaderni 1957-1972, Adelphi, Milano, 2001, ala pag. 312 scriverà: «Non credo che ci sia mai stata un’infanzia più selvaggia della mia. Questo spiega molte cose, questo in realtà spiega tutto».
7. E. Cioran, La tentazione di esistere, Adelphi, Milano, 1984, pagg. 52 -53.
8. È lo stesso Cioran che racconta questo in una conversazione con una figlia di Vulcanescu.
9. E. Ionesco, L’assurdo e la speranza. Testi e dipinti inediti, Guaraldi, Rimini, 1994, pag. 124.
10. G. Motta, Un rapporto difficile. Romania e Stati Uniti nel periodo interbellico, Franco Angeli, Milano, 2006.
11. Per questo motivo il nazionalismo romeno è stato definito come «nazionalismo mistico».
12. Nel 1940 Indro Montanelli scrisse per il «Corriere della Sera» una serie di corrispondenze da Bucarest e dirà di Codreanu : «detto tra noi, una figura eccezionale».
13. Alexandru Ioan Cuza fu principe di Moldavia e Valacchia e promotore dell’indipendenza della Romania, di cui fu anche primo Principe, seppure ancora senza la Transilvania.
14. Tuttora dibattuta la modalità dell’adesione di Cioran alla Guardia di Ferro: era una semplice adesione culturale dall’esterno oppure un «camerata» a tutti gli effetti?
15. O. Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, Guanda, Milano, 2002.
16. L’intervista compare su «La Repubblica» del 18 ottobre del 1988. Alla domanda: «Lei ha scritto che prendere posizione è una disgrazia a cui nessuno sfugge. Recentemente la pubblicazione del secondo volume delle Memorie postume di Mircea Eliade (Gallimard) da cui emergono i legami di Eliade con la Guardia di Ferro, il movimento di estrema destra che si affermò in Romania, nel 1938 ha scatenato un notevole scalpore (vedi Edgar Reichmann, Le Monde des Livres del 15 luglio). Lei che è stato amico di Eliade, che giudizio dà su questa sua presa di posizione politica?»
Cioran rispose: «Senta, trovo tutte queste polemiche piuttosto ridicole e assurde. Prima di tutto durante la guerra, quando la destra era al potere, Eliade non viveva più in Romania. Poi, se esisteva al mondo una persona apolitica, che non si interessava, non capiva niente di politica, che non leggeva nemmeno i giornali, questi era Eliade. Eliade era un intellettuale allo stato puro, viveva unicamente nei libri e per i libri. Per lui produrre era quello che contava. Lavorava come un pazzo, senza contatti con la vita: non è un caso che sia finito in America».
17. E. Cioran, Solitude et destin, Gallimard, 2004.
18. La Legione fu avversata e perseguita dalla monarchia e Codreanu assassinato, assieme ad alcuni fedeli.
Il movimento continuò a vivere anche dopo la sua morte, fino alla conquista del potere per un breve periodo, per poi scomparire definitivamente.
19. AA.VV., Letteratura della Romania, Quaderni dell’Ass. G. Acerbi, Il Segno Gabrielli, Verona, 2005. Significativo il il titolo del libro di Vulcanescu: La dimensione rumena dell’esistenza.
20. E. Costantini., Nae Ionescu, Mircea Eliade, Emil Cioran: antiliberalismo nazionalista alla periferia d’Europa, Morlacchi Editore, Perugia, 2005.
21. F. Rodda, Cioran, l’antiprofeta. Fisionomia di un fallimento, Mimesis, Bologna, 2006, pag. 97.
22. Edizione Humanitas, 1990. Il libro è stato tradotto anche in francese, ma soltanto nel 2009 da Alain Paruit per l’editore Le Herne.
23. E. Cioran, Quaderni, op. cit., pag. 229.
24. Ibidem, pag. 782.
25. Da segnalare in particolare il libro di A. Lavastine-Laignel, Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco, UTET, Milano, 2008.
26. M. Jacob, Cioran scrittore del nulla, in «Il Giornale», 21/01/1995.
27. Intervista a F. Savater, 1977 già citata.
28. Ibidem. |
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