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Ironia in lutto: Cioran
Poggiato sulle pagine di uno dei suoi libri, un fiore di Cioran emana forte profumo: «Il lutto dell’ironia».
Come togliere i petali a questa delicata creatura che, recisa dal gambo, versa lattice mentre ancora è viva? L’ironia in lutto è qualcosa di ben evidente nel mondo che scivola nel baratro dell’incontrollabile tristezza. Ma qui si tratta d’altro, di un attributo o, forse, di una definizione. Alquanto fulminante se lo sguardo va un po’ più in là e, oltre la frase, ne trova il soggetto: Dio.
Tutti i nichilisti, razza di uomini lucidi e stravolti, hanno avuto alterchi con Dio: prova ulteriore della contiguità tra il nulla e il divino. Ma Cioran è di quelli che ti stendono al suolo. Non è tra i nichilisti tiepidi, capaci di fremere al comizio del beniamino: è uno che non scherza, è mescalina pura, che assaggi e non abbandoni più.
Posto che non è Dio ma il Dolore «a godere dei vantaggi dell’ubiquità» è ovvio che la religione diventa nient’altro che «la volontà della creatura di elevarsi per mezzo del suo malessere». Una simpatica carta da visita di un tale che, senza nascondere la repulsione che nutre per quel formicaio di bassezze detto ‘umanità’, l’allunga sul vassoio e si presenta: Emile Cioran, nato a Sibiu, profonda Transilvania, classe 1911, esule bilingue in Francia. Suoi connotati salienti: idolatra del dubbio, fanatico della decadenza, carnefice di fedi e di scettici, nichilista e pessimista. Ma non tanto da non poter capire che si è atei grazie a Dio e che «le religioni muoiono per mancanza di paradossi».
Chi infatti lo giudica pessimista e basta, non ha compreso quanta ironia, quanta gioia, quanta necessità di paradosso, circola nell’animo di questo rumeno accigliato. E il paradosso è solo ciò che scorre di fianco all’idea della doxa, cioè della gente. I paradossi ti permettono di essere meravigliosamente superficiale, di coltivare la splendida virtù dell’indifferenza, quella che nei tempi felici impediva i massacri. E invece l’uomo triste e senza paradossi si profila come «virtualmente assassino», come un seminatore d’intolleranza a ogni angolo. Cioran non ha dubbi: tutto deriva dall’ideologia, dal vizio del proselitismo, dal definire cosa è dogma e cosa è eresia, da che parte sta il fedele e da quale lo scismatico. Ecco il senso della storia: l’idea che si fa convinzione e poi dottrina, il compimento del «passaggio dalla logica all’epilessia». E alla fine le farse cruente tengono la scena.
Cioran ha una singolare qualità: fa subito capire che dentro le sue pagine non avrai via di scampo dalla furia. Il fatto è che soffriva d’insonnia e con essa dell’obbligo di passare venti ore al giorno di lucidità ininterrotta. Se solo meditiamo cosa può essere una condizione di veglia e di coscienza perenne capiremo perché, alla fine, il mondo diventa un rasoio che non perde il filo se anche taglia e dissangua.
Nel buio della notte, disteso con gli occhi sbarrati e umidi, Cioran capisce che non vale la pena essere nati. È infatti «da un tipo speciale di veglia che deriva la messa in discussione della nascita». Potrebbe un dialettico, un tale incline a comporre le contraddizioni del vivere, giungere a questa conclusione? Basta una buona insonnia, basta la lucida situazione del porsi domande e riporsele dopo pochi minuti: ecco come conquistare – dopo quello assoluto di se stessi – il disprezzo di tutto il resto.
Cioran ha minuziosamente lavorato, per ottantaquattro anni di fila, a edificare la nicchia in cui farsi vituperare. Ha raccolto una sull’altra le miriadi di censure che gli sono giunte dai metafisici, dagli iloti di un dogma, dai servi di partito, dal chiassoso harem del ‘sociale’. Lui assume tutto ciò con la calma dello stoico, stende sulla tavola della soffitta parigina un foglio, estrae la penna e, con una mezza riga, esprime il senso del moderno: una fascia nera messa al braccio della gioia, un corteo di volti contriti e catacombali che rifiutano la vita.
I suoi libri? Parlano quasi sempre dell’oggi ed è dunque facile classificarli: compendi del marasma, manuali tascabili del contagio. È bene averli a disposizione. I titoli sono sufficiente prova del loro contenuto: un gentile Sommario di decomposizione, una guida all’Inconveniente di essere nati, una collezione di inconfutabili Sillogismi dell’amarezza, un delicato esercizio di Squartamento sull’umana epidemia.
Esile e pallido Cioran, scandisci tu il nostro cammino di imbronciati, ripeti al mondo quel che il mondo non vuole sentire: che tutto è ormai contagiato, tutto è putrido...
Antonio Castronuovo
(n. 3, marzo 2012, anno II)
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