Con Stefano Pignataro su Italo Calvino e la sua perenne «molteplicità»

«L’opera di Italo Calvino è estremamente complessa anche per  la perenne ‘molteplicità’ (uso un vocabolo che è anche un titolo delle sue Lezioni Americane) di stili, di studi, di approcci alla materia letteraria ma anche alla magmaticità della società».
Nel nostro Spazio Calvino interviene Stefano Pignataro (Salerno, 1994). Laureato in Lettere moderne e specializzato in Filologia moderna presso l’Università degli studi di Salerno, è docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea. Collabora con riviste di italianistica universitarie di Fascia A quali «Sinestesie», «Studium», «Mosaico».e, oltre alle numerose pubblicazioni, lo scorso febbraio ha pubblicato la sua prima curatela universitaria dal titolo Giovanna Scarsi - Schegge di lontani silenzi - saggi sulla rivista Studium 1983- 2015 per le Edizioni Studium Roma. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti, è editorialista e collaboratore al Settore Cultura de «La Città», «Quotidiano del Sud», «Globalist» e di altri periodici e magazine.


L’opera e la personalità di Italo Calvino sovente appaiono contraddittorie, considerata la grande varietà di atteggiamenti che, verosimilmente, riflette l’accadere delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985. È possibile, tuttavia, rinvenire un’unità d’intenti?

Come ha ben evidenziato Lei, l’opera di Italo Calvino è estremamente complessa anche per (non soltanto per questo fattore) la perenne ‘molteplicità’ (uso un vocabolo che è anche un titolo delle sue Lezioni Americane) di stili, di studi, di approcci alla materia letteraria ma anche alla magmaticità della società. Il suo modo di fare letteratura muta secondo i decenni. A questo proposito, cito il recente volume di Silvio Perrella, Calvino, ripubblicato per Laterza, in cui lo scrittore e critico letterario analizza in maniera sopraffina e analitica il percorso intellettuale performativo dello scrittore a secondo dei decenni, dagli anni Quaranta sino agli anni ottanta. Si potrebbe affermare, forse, che ciò che tiene legati gli elementi in Calvino è proprio la sua scrittura, una scrittura che tende perennemente a spingersi oltre l’abisso senza mai cadere o precipitare. Anzi. La scrittura, e dunque quello che potrebbe unire in un ipotetico “filo rosso” nell’opera di Calvino, è volta a creare architetture geometriche e simmetriche che seguono la mutazione anche esistenziale dello scrittore. Come ebbe a scrivere lo stesso Calvino, «Noi guardiamo il Mondo precipitando dalle scale» (in Le sorti del romanzo in Saggi 1, a cura di Mario Barenghi, Mondadori, Milano 1995, pp.1512-13-14, precedentemente in Ulisse, X,vol. IV, 24, 25, autunno-inverno  1956-1957, pp. 98-950, ripreso anche in  Marco Belpoliti, L’occhio di Calvino,Einaudi, 2006).


Neorealismo, gioco combinatorio, letteratura popolare sono tra i numerosi campi d'interesse toccati dal percorso letterario di Calvino. Su quali aree si è concentrata la sua attenzione?

La narrativa di Calvino, come già esplicitato, si muove in molteplici direzioni, dall’accurata descrizione al suo tempo mediante romanzi e racconti radicati in un preciso contesto storico alla suggestiva attenzione al fantastico ed allo stile combinatorio e ‘schematico-labirintico’. Diverse, dunque, sono le sfaccettature della sua produzione. Il Neorealismo è stato, credo, il suo primo punto di riferimento per un’attenzione letteraria che ha coinvolto lo stato emotivo e culturale degli intellettuali dell’epoca, vessato e sconvolto dalla guerra. Con il racconto della guerra partigiana, Calvino sceglie un narratore che mette in evidenza le peculiarità di un tempo non facile da raccontare e lo fa attraverso gli occhi irriverenti ed innocenti di un bambino come ne Il Sentiero dei nidi di Ragno. In questo racconto, con l’epopea neorealistica in sottofondo (ma non di molto) lo scrittore consegna ai lettori le speranze e la rabbia del suo tempo. Successivamente, l’ars combinatoria letteraria di Calvino si sposta su altri elementi, come ha notato Lei, la letteratura popolare (che sfocia nella pubblicazione de Le fiabe italiane ma non solo) e il gioco combinatorio nella cui possibile ‘cupola’ si potrebbero amalgamare diversi titoli, dal Castello dei destini incrociati a Le Cosmicomiche sino all’esempio più lampante de Le città invisibili, in cui  la città è esempio di fantasia e linguaggio. Stiamo sempre più vicini all’ultimo Calvino, quello che molti intellettuali denominarono il «Calvino lontano dalla realtà» e che invece è uno scrittore visceralmente nella realtà, quasi inghiottito dalla realtà; una realtà di solitudine, di incomunicabilità, di profondo disagio ma fortemente descrittiva e acutamente scandagliata.


«Nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». Così Calvino.

Il fantastico in Calvino è un elemento estremamente interessante. Fu proprio l’intellettuale sanremese, in un saggio pubblicato su Le Monde nel 1970 dal titolo Definizioni di territorio-il fantastico. Per Calvino il racconto fantastico è «una delle produzioni più caratteristiche della narrativa dell’Ottocento, e una delle più significative per noi. Alla nostra sensibilità d’oggi l’elemento soprannaturale al centro di questi intrecci appare sempre carico di senso, come l’insorgere dell’inconscio, del represso, del dimenticato, dell’allontanato dalla nostra attenzione razionale. In ciò va vista la modernità del fantastico, la ragione del suo ritorno di fortuna nella nostra epoca. Sentiamo che il fantastico dice cose che ci riguardano direttamente, anche se siamo meno disposti dei lettori ottocenteschi a lasciarci sorprendere da apparizioni e fantasmagorie, o siamo pronti a gustarle in un altro modo, come elementi del colore dell’epoca (….)».Il fantastico in Calvino, dunque, è una chiave per osservare il Mondo che viene esattamente dal nostro inconscio e dalla stessa visibilità e osservazione del reale. Calvino rivolge uno sguardo anche e soprattutto a quella Letteratura dell’Ottocento che ha avuto nel fantastico una suggestiva e figurativa visione delle angosce e delle pulsioni vitali del tempo, si pensi solo al Frankestein di Mary Schelley. Proprio la fortunata opera di Mary Schelley poneva al centro il desiderio di immortalità dell’uomo, il suo interrogarsi con la morte e la coscienza, il terrore della propria mortalità e la consegna del guanto della scienza contro il suo terrificate volto. Il fantastico, però, si può anche osservare da un punto di vista neutrale o di straordinario viaggio con la fantasia. Nel Novecento, in questo senso, il senso del fantastico o del «meraviglioso» assume diversi riferimenti o accezioni, si pensi al «meraviglioso puro», «meraviglioso scientifico» o lo stesso «meraviglioso fantastico» con esempi da Poe, Gautier, Maupassant.


In qual misura il ‘fantastico’ calviniano si fa pioniere del contemporaneo?

Nell’accezione in cui lo sguardo di Calvino e quello delle sue creature fantastiche riguardano il rapporto tra l'uomo e il mondo: un rapporto di complicità e di lettura alternativa della realtà.


Il 2023 ha celebrato il centenario della nascita di Italo Calvino. Qual è il suo lascito alla posterità letteraria?

L’eredità di Calvino è al centro di un complesso dibattito letterario e critico ma anche sociale e antropologico. Con Pasolini, non credo di poter essere smentito (ma ne hanno scritto eminenti accademici ed illustri critici letterari), è l’intellettuale tra i più citati e più letti e posti come esempio di lucidità descrittiva, analitica e acume di pensiero. Lorenzo Marchese, nel suo interessante saggio L’uomo che cade. Un’eredità di Calvino, pubblicato su «Doppiozero»(2 novembre  2015) osserva che il Calvino narratore, come studiato da Alfonso Berardinelli, nella metafora, non riuscendo ad afferrare ciò che gli sta intorno con lo sguardo, sceglie di rallentare gli oggetti che si pongono sotto la sua lente di osservatore e cerca di scomparire per non esistere nel tempo, condizione umana che lo porterebbe, secondo una sua accezione, a un disagio. Ecco il motivo della descrizione meticolosa di ogni sua visione, specialmente nell’ultimo Calvino. Ci lascia le Lezioni americane e ci lascia soprattutto il gusto della «scomposizione letteraria», un gioco letterario intrigante e complesso.


Quali sono, secondo lei, le sfide più ardue che la critica letteraria, e in particolare l’italianistica, deve affrontare al giorno d’oggi?

Il saper cercare nuovi linguaggi senza abbandonare la tradizione. Saper essere lucidi e analitici allo stesso tempo e saper riscontrare, anche nella Letteratura di massa, ciò che è Letteratura e ciò che altro genere. È innegabile che al giorno d’oggi si riscontra, nonostante una dispersione a volte negativa dovuta al proliferarsi di una continua fruizione di notizie e input (anche positivi, ma a volte comunque eccessivamente numerosi per una corretta analisi e un approfondito studio) dovuta ai social media, una continua produzione di opere, anche interessanti. La critica letteraria deve essere sempre il mezzo autorevole e classico di giudizio e di critica e lo deve fare portando avanti le sue storiche riviste, patrimonio della ricerca, accademica, di studio e divulgativa.


Romano Luperini sostiene che il saggio critico, così come ereditato dal secolo passato, non ha più futuro. Come vede lei la trasformabilità di questa forma che si è istituzionalizzata in un vero e proprio genere letterario, sul quale si sono cimentati filosofi e critici celebri, tra cui Adorno e Lukács?

Adorno, studiando la cultura, aveva già messo in guardia gli intellettuali di fronte alla mercificazione della cultura e da cerca superficialità di giudizio mentre Lukacs, in uno splendido saggio sul ‘saggio’, definisce il saggio come “un tentativo di esplicitare l’indicibile che sta dietro le immagini”, un pensiero riproposto anche da Claudio Magris; un saggio che potrà avere un riferimento solo a quelle immagini ma che potrebbe rimandare solo a qualcosa di non ancora definito e non definibile contenuto in ogni immagine. Una caratteristica che, sempre secondo Magris, può essere intesa come poetica e letteraria. Il saggio critico, dunque, oggi, potrebbe ripercorrere questa strada percorrendo le immagini moderne e mettendole, criticamente e saggisticamente, a confronto. Se, ripeto, volessimo cercare anche nuove strade di approccio critico alla materia saggistica.


L’edizione 2023 del Premio Strega ha segnato non solo la vittoria di una scrittrice, ma anche un record di donne: otto scrittrici nella dozzina e quattro nella cinquina. Come si configura l’attuale status della letteratura esperita da donne?

Il contributo della Letteratura femminile è da sempre stato un punto fondamentale per la nostra Letteratura, un punto immancabile. Senza, la Letteratura mondiale risulterebbe monca. La Letteratura oggi deve ancora di più essere un mezzo per consentire alle donne di tutto il Mondo per manifestare le proprie idee, per denunciare ciò che la società fatica ancora a comprendere in ambito di diritti e per far comprendere, spiegare e analizzare le storiche battaglie del femminismo che ancora oggi rivestono importanza fondamentale. Nel panorama contemporaneo vi sono tantissime autrici e tanti titoli che si cimentano in diversi generi.


La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2024. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione? 

Ho studiato recentemente, dopo averlo affrontato per la prima volta all’Università al corso di Antropologia culturale tenuto dal Prof. Giovanni Casadio, il pensiero di Mircea Eliade per un confronto critico con l’opera di Pier Paolo Pasolini: lo scrittore e l’antropologo hanno in comune con tratti del loro pensiero fattori ed elementi estremamente interessanti quali il pensiero sul sacro, elementi approfonditi anche in un confronto tra Pasolini ed Ernesto De Martino. Credo che la letteratura romena in Italia vada necessariamente approfondita in un’ottica di comparatistica che sarà sempre uno degli elementi fondamentali della ricerca.




A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 2, febbraio 2024, anno XIV)