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Nel centenario della nascita di Cioran: testimonianza di Renzo Rubinelli
Presentiamo un'intervista realizzata da Mihaela-Genţiana Stănişor con Renzo Rubinelli, laureato in Filosofia a Venezia con una tesi su Tempo e Destino nel pensiero di E.M. Cioran. Rubinelli ha conosciuto Cioran, come anche Simone Boué e Friedgard Thoma. Nel 1987 ha visitato la Romania, i luoghi d’infanzia cari a Cioran e ha conosciuto anche il fratello del filosofo, Aurel. A Paltinis Rubinelli ha incontrato Constantin Noica, dal quale ha ricevuto suggerimenti per la sua tesi. Conserva una decina di lettere di Emil Cioran e due di Aurel Cioran.
(Foto Renzo Rubinelli: Emil Cioran e Simone Boué in Rue de l'Odéon 21 l'8.4.1988, 77° compleanno di Cioran)
Renzo Rubinelli, perché ha scelto di scrivere su Emil Cioran?
Era il 1987, ero studente di Filosofia a Venezia e dovevo iniziare a pensare alla tesi di laurea. Ero sicuro di volerla dare in Filosofia teoretica con il Prof. Emanuele Severino, ritenuto, a ragione, il più grande filosofo italiano. Già il fatto di essere un suo allievo era per me una grandissima fortuna e fare la Tesi con lui era il mio desiderio, come lo era di tanti altri studenti come me, così non credevo che accettasse, anche perché non avevo un progetto definito, sapevo solo di voler scrivere sul Destino. Un giorno glielo proposi, confessando anche di non aver ancora scelto l’autore. Con mia grande gioia accettò l'idea e mi diede subito dei suggerimenti: Giuseppe Rensi, Mario Untersteiner, Spengler o Nietzsche. Non me la sentivo di affrontare autori in lingua tedesca e i due italiani proposti non mi entusiasmavano. Un giorno lessi su un periodico di allora, “L’Europeo”, un suo pezzo su Cioran che finiva riportando questa frase del Mahabbarata citata da Cioran in Ecartèlement: “il nodo del Destino non può essere sciolto; niente, in questo mondo è il risultato dei nostri atti”. Ecco il mio autore! pensai subito. Il giorno successivo glielo proposi e Severino ne fu entusiasta. Iniziò così un’avventura umana e di pensiero decisiva per la mia vita.
Devo aggiungere qualcosa, tentando una sintesi estrema, sulla filosofia di Emanuele Severino. Il pensiero del filosofo con cui mi accingevo a laurearmi si può riassumere nell’affermazione dell’eternità del tutto, di ogni singolo ente, derivato dall’assunto parmenideo “l’essere è”, che esclude la possibilità di un tempo in cui l’essere non sia, sancita invece da Platone ed Aristotele, con l’introduzione del “quando” (l’essere è “quando” è), e cioè del tempo, radice nichilista che domina tutta la storia del pensiero occidentale, per la quale, senza eccezioni, il divenire è il passaggio degli enti dalle polarità dell’essere e del nulla. La verità incontrovertibile - in quanto poggia sul principio di non contraddizione (il nulla non è), la cui negazione smentisce se stessa - dell’eternità del tutto, che Severino chiama Destino. E il Destino “sta”: senza bisogno di appoggio alcuno.
Il ricordo di Cioran
Lei ha avuto la possibilità di incontrare Emil Cioran e di intrattenere con lui una corrispondenza. Come se lo ricorda? Di cosa parlava con lui? Di cosa Le scriveva?
L’estate seguente, ero ormai immerso con passione nello studio delle opere di Cioran, decisi di sfruttare il limite dei miei 24 anni per usufruire di un biglietto ferroviario che si chiamava (o si chiama ancora?) Interrail. Volevo visitare i paesi dell’est, che allora erano veramente “oltre cortina” e la Romania in particolare. Chiesi, senza molta convinzione, al Prof. Rigoni, traduttore e amico di Cioran, con cui ero in contatto, di informare Cioran, che un ragazzo italiano stava partendo per la Romania (allora erano davvero pochi quelli che si avventuravano). Chissà, magari Cioran aveva qualche desiderio che avrei potuto esaudire. Detto fatto. Il giorno dopo, con mia grande sorpresa il Prof. Rigoni mi telefonò – lo sentii emozionato quasi come me – dicendomi che “sì, Cioran chiedeva di portare due chili di caffè a suo fratello”. Avevo una vera missione per il mio viaggio! Nascosi il caffè nello zaino, ben imballato e infagottato in mezzo ai vestiti, per sfuggire all’eventuale fiuto di cani doganieri e partii pieno di apprensione. Strani personaggi, cultori della Romania a quel tempo, mi riempirono di paura, sconsigliandomi di partire. Effettivamente allora era proprio come andare in un altro mondo, di cui non si conoscevano le insidie e i pericoli e nel quale – così mi dissero – anche solo per il mio abbigliamento occidentale o per il colore rosso vivo del mio zaino, sarei stato scambiato per un marziano.
Arrivato dopo un lungo viaggio a Sibiu, era la fine di Luglio 1987, dopo essermi riposato un po’ all’Hotel Boulevard, non senza guardarmi un telegiornale che relazionava sulla visita di Ceausescu con la moglie Elena a Constanza, m’incamminai verso Strada Dealalui e al nr. 40 suonai il campanello. Mi aprì un signore anziano con i capelli bianchi, ma molto giovanile, era Aurel Cioran, al quale mi presentai in uno stentato francese, informandolo della mia missione. Mi accolse con i suoi modi molto calmi e mi fece salire. In soggiorno mi accolse una coppia di suoi amici, marito e moglie, che erano ospiti da lui. L’amico parlava perfettamente italiano – la fortuna, devo dire, non mi mancava. Trascorsi con loro un paio di giorni intensi, indimenticabili. Visitai da solo e con loro tutti i luoghi dell’infanzia di Cioran, dalla casa natale di Rasinari, fino a Santa sui Carpazi. Mangiai spesso con loro un ottimo formaggio di pecora e pomodori squisiti. Mi raccontarono moltissimo. Nacque in me un sentimento di profondo affetto per quest’uomo che era il fratello di Emil Cioran. Il mio viaggio continuò poi per Bucarest, Tulcea, Delta del Danubio per finire a Vienna. Rientrato a Verona, scrissi a Emil Cioran una lunghissima lettera dove relazionavo a lui su ogni dettaglio e gli elencavo tutti i posti che avevo visitato. Mi rispose subito ed iniziò una fitta corrispondenza. La Pasqua successiva, l’8 aprile del 1988, nel giorno del uo 77° compleanno ero da lui a Parigi. Fu una serata intensa, io e la mia ragazza, che parlava un ottimo tedesco, preparammo la cena italiana. Cioran apprezzò moltissimo il mio “Reciòto”, squisito vino rosso passito della Valpolicella e fu categorico nel sostenere che i vini di grande qualità devono assolutamente essere fermi. Dopo cena preparai il proiettore e guardammo le diapositive. Ad ogni immagine Cioran esplodeva in fragorosi versi di stupore. Fin dal nostro ingresso nella mansarda mi colpì la sua vitalità, che tuttavia mi aspettavo. Me lo era immaginato così com’era veramente. Ora che condividevo con lui lo spazio di quelle stanze, mi sembrava di conoscerlo da sempre, con questa sua irruenza, questo suo parlare veloce, con concitazione, sempre un po’ sopra le righe, direi quasi entusiasta, sicuramente molto vitale. Ricordo che prima di cena l’argomento di conversazione fu che qualcuno aveva diffuso la notizia che lui si fosse suicidato. Ricordo che era molto coinvolto da questa cosa, come un bambino che improvvisamente si trova al centro dell’attenzione e non sa se esserne divertito o preoccupato. Ma la vera esplosione della sua vitalità si ebbe appunto con le diapositive. Credo che si divertì veramente molto. Gli piacque vedere quei luoghi e davanti a noi non mostrò nostalgia o rimpianto ma stupore, gioia, godimento. Lo ricordo appunto così. Le sue lettere invece erano come i suoi libri: sintetiche ma profonde, non senza note cupe.
Ogni riga riassumeva un concentrato di pensiero. Diversi spunti della mia tesi di laurea vengono dalle sue lettere. Più importante di ogni altro, questo passo, dalla sua prima lettera del 19 settembre 1987: “Je ne nie pas mes affinités avec des défauts spécifiquement roumains, dont le plus évident est une propension au fatalisme: je crois au destin aussi fort qui un paysan illettré. Ma vision du monde n’est pas parisienne, elle est balkanique».
Di quella sera del suo compleanno, oltre alla conversazione sulla falsa notizia del suicidio, ricordo bene una lunga disamina sulla traduzione tedesca di un aforisma di Aveux et Anathèmes molto caro a Friedgard Thoma, che quella sera era presente. A Friedgard, che mi fu presentata da Simone come un’amica molto cara di Cioran, non piaceva proprio la traduzione fatta dalla traduttrice tedesca e soprattutto la collocazione della parola “mort”, che nella versione tedesca perdeva l’ultima posizione nella frase. Mi sembra che Cioran convenisse con questo parere, ma con dei distinguo diplomatici che non compresi bene. Poi ci fu il momento delle diapositive e non ricordo molto altro, se non la grande accoglienza, cordialità, simpatia, calore, di cui sia Cioran che Simone erano prodighi. Ricordo che con Simone parlammo bene di Mitterand e ne fui contento. La verità è che io allora ero scarso sia in francese, sia in tedesco e la serata era giocata su entrambe le lingue e molte cose le ho perse. Cioran mi fece dono di tre libri, presi dalle pile accatastate per terra lungo il corridoio: una copia con dedica personale di De l’inconvenient d’être né, una copia della rivista “Egoiste”, con le sue foto fatte da Avedon, con Andy Warhol in copertina. A questo proposito c’è un passo divertente nel libro di Friedgard, dove afferma che da quando gli aveva scattato quelle foto, Avedon lo aveva convinto a tenere gli occhi sbarrati e così lui lo faceva in tutte le foto; e questo si vede bene nelle fotografie scattate quella sera. Mi regalò inoltre una copia elegante e rilegata di Exercices d’Admiration in giapponese, di cui andava orgoglioso: in effetti, era stupefacente pensare che tutti quei bellissimi ideogrammi in righe verticali racchiudessero la traduzione del suo bellissimo libro di ritratti.
Rividi Cioran un anno dopo, nell’estate 1989. Accompagnai da lui un amico che sosteneva una tesi sul suo pensiero, di carattere storico politico. Quella volta era solo, Simone era a Dieppe. Ci accolse in modo frugale, ma mentre la sera del compleanno cucinammo noi, questa volta comperò lui dei toast farciti, che erano buoni in modo commovente, per il fatto che lui era andato a comperarli per noi. C’era sempre la mia ragazza di allora, che traduceva dal tedesco all’italiano per noi. Quella sera compresi che il taglio dato alla sua tesi dal mio amico, un’impostazione che a me non piaceva e non condividevo, in realtà interessava parecchio Cioran, come un’antica passione sopita, che uno viene a stuzzicare. Ne fui un po’ geloso. Cioran scrisse due lettere al mio amico, la prima dava ragione alla mia impostazione teoretica: lo chiamava “Cher Monsieur” e diceva in modo brusco che non ha senso occuparsi di politica, di destra o sinistra ecc. La seconda, bellissima, era un commento dopo la lettura della tesi: gli riconosceva di “aver saputo rianimare il suo passato con una tale delicatezza nello stile e con l’arte di resuscitare i segreti altrui, che è impossibile leggerla senza emozione”. Concludeva: “di tutto cuore La ringrazio con tutto il mio passato”.
Veniamo ora invece alle mie lettere, dalla prima del settembre 1987 all’ultima del 11 gennaio 1990 dopo i combattimenti in Romania e anche a Sibiu. Sono lettere molto belle in cui la cortesia diventa palpabile sostanza di interesse e affetto verso l’altro, che sarei stato io. Tuttavia in questa cortesia non mancano spunti critici, da me sempre sollecitati. Gli argomenti principali sono la salute di suo fratello (in una breve lettera del 13 novembre 1987, che ancor oggi mi commuove, lui mi chiede di scrivergli e di fargli coraggio “Soyez gentil, écrivez-lui un mot, cela pourrait, espérons-le, lui donner du courage. Bien amicalment Cioran”.) e la mia tesi per la quale mi dava via via utilissimi consigli: bene il capitolo sulla mistica (parola che lui sottolinea), togliere quello sulla decomposizione (“c’est trop scientifique!”), bene tutta la parte centrale “sur le Temps, la Mort et le Néant, sur mes obsessions essentielles” nella lettera del 19 ottobre 1988, pochi giorni prima della mia discussione di tesi a Venezia. Cioran era dispiaciuto che “en lieu de passer de belles journées au bord de la mer, vous appesantiez sur mes pensées, sinistres à souhait. (…) Sur un seul point je vous envie : c’est que la soutenance de votre thèse aura lieu à Venise…. ». Lo invitai a Venezia, alla discussione della tesi, che si teneva il 31 ottobre 1988, insistendo un po’. Sono convinto che ci pensò, che ne fu tentato, ma alla fine non venne.
Suggellano perfettamente il carattere e il senso di fortuito trait d’union tra fratelli, della nostra breve ma intensa frequentazione, le righe conclusive della lettera del 30 maggio 1988: “Mon frère est venu en fin de comte. Plus taciturne que jamais, mais en bonne santé malgré tout. Il n’est resté que huit jours. Inutile de vous dire qu’il vous aime bien. Malheureusement il ne daigne pas écrire. Faut-il vous dire que nous avons été très contents de faire votre connaissance ? Vous êtes jeune e généreux, deux attributs suprêmes. … Que peut-on désirer de plus?».
Il ricordo di Constantin Noica
(Foto Renzo Rubinelli: 1.8.1987, stanza di Costantin Noica a Paltiniş)
Per la stesura della Sua tesi di laurea, lei ha ricevuto dei suggerimenti da parte di Constantin Noica durante la Sua visita a Paltiniş, dove Lei ha fatto la conoscenza del filosofo romeno. Quali erano i soggetti e le direzioni che lui Le ha consigliato di intraprendere.
Prima di rispondere alla Sua domanda devo raccontarle come riuscii ad arrivare da Noica.
All’Hotel avevo noleggiato un’auto, perché con Aurel e la coppia di suoi amici avevamo programmato una gita a Rasinari e Santa. Visitata Rasinari, la casa natale, le chiese dove il padre officiava e il cimitero dove Aurel si era già preparato la tomba vicino a quella dei suoi genitori, prima di partire per Santa mi dissero che l’amico di Aurel, Alexandru Dragomir, non sarebbe potuto salire in montagna per problemi di cuore. Così partii da solo. Arrivato a Paltiniş, chiesi ad un passante di Noica e mi indicò la sua abitazione. Non andai subito da lui, prima visitai Santa, perché era una bella giornata e volevo vedere questo luogo caro a Cioran finché c’era luce. Ritornato a Paltiniş incontrai Noica, ma solo per darci appuntamento l’indomani. Quando lo incontrai stava accompagnando fuori una coppia che era venuta a trovarlo. Così mi disse di aspettarlo nella sua stanza, che era la sua casa. Una stanza con lavandino e fornello. Feci delle foto. C’erano due letti e uno era pieno di libri: ne ricordo uno in inglese su Popper. Quando rientrò capimmo subito entrambi che non c’era tempo per fare bene le cose che desideravo, quindi si rimandò all’indomani. Era l’imbrunire ed avendo lui compreso che avevo bisogno di tempo mi suggerì di tornare: diventava complicato per me, ma era necessario. La mattina dopo partii da Sibiu per Paltiniş in corriera. Alle 10,20 ero su. L’incontro con Noica si svolse seduti sul suo letto, uno in fianco all’altro, lui parlava chiudendo gli occhi, ma era molto presente, concreto, scolastico. Capivo bene il suo francese, le sue risposte erano molto sintetiche. Mi ha fatto vedere una lista che lui prertendeva dai suoi studenti: tutti autori da conoscere. Lui li considerava esponenti della filosofia della cultura. Noica scrisse di suo pugno due foglietti mentre parlava. Uno contiene cinque risposte numerate alle mie domande, l’altro suoi suggerimenti e angolazioni per affrontare la mia tesi su Cioran. Elenco le cinque risposte: Responsioni 1) Divenire intra freata ( intra in latino) 2) Tempo, storia e destino (lire le chapitre sur le destin dans Précis de décomposition. 3) L’être chez Cioran n’est pas séparé du néant 4) Cioran est un philosophe qui refuse la philosophie. Tout, chez lui, pourrait être traduit en termes philosophiques: Il connaît parfaitement les grands philosophes. 5) La philosophie possède une unité synthétique (sottolineato da lui).
Poi mi diede i suoi consigli sulla tesi, insistendo molto sul fatto che uno studio sul pensiero di Cioran avrebbe dovuto rivolgersi ad un solo specifico gruppo di riferimenti culturali e filosofici; i possibili approcci che mi indicò, su un secondo foglietto manoscritto, sono i seguenti: 1) i classici du desespoir: Pascal, Kierkegard 2) Les moralistes francaises: La Bruyere, La Rochenfoucauld, Vauvenargues, Joubert, ecc. Le salon litteraire de madame de Sablé 3) La teologie bizantine et chretienne 4) Nietzsche e la philosophie de la culture: Dilthey, Spengler, Frobenius 5) La gnosi 6) Unamuno, Ortega y Gasset, Eugenio d’Ors.
Ho disatteso il suo consiglio, lo sapevo già subito di disattenderlo, nel momento stesso in cui lui me lo dava, perché a mio avviso il cuore teoretico del pensiero di Cioran è un’ininterrotta riflessione sul tempo e sul destino, che s’irradia in tutte le possibili direzioni. Scorporare le derivazioni e le influenze filosofiche, come intendeva Noica avrebbe comportato il rischio di confinarsi in settori tematici troppo parziali e periferici. Alle 12,30 avevamo finito. Presi il bus delle 13,30 rischiando di perdere il treno per Bucarest delle 14,27. Noica mi ha accompagnato in strada, gli ho fatto una foto e congedandolo l’ho baciato. Allora mi ha detto che Aurel ha proprio ragione a chiamarmi “fratre”. Ho avvertito chiaramente che nella foto lui voleva trasmettere un’espressione grave per comunicare in Occidente la sofferenza che dalla sua persona si estendeva alla storia e al destino del suo popolo.
Nel mio entusiasmo giovanile di allora per questi incontri straordinari, tendevo ad appiattire l’immagine di Noica su quella di Aurel. Questi due uomini anziani si identificavano nel mio ricordo: due uomini simili, gentilissimi, dolcissimi e nello stesso tempo carichi di storia, di pensiero e di storia del pensiero e della Romania. Provavo per loro grande affetto e riconoscenza.
Pochi mesi dopo, era l’inverno del 1987, credo dicembre, mi telefonò il Prof. Rigoni annunciandomi la morte improvvisa di Noica. Non riuscivo a crederci. L’avevo lasciato pochi mesi prima, sulla strada di Paltiniş, guardavo e riguardavo quella sfuocata fotografia, lui col basco e questo accenno di espressione cauta e grave allo stesso tempo, sotto una leggera pioggerellina. La notizia mi colpì profondamente. Capii in seguito, con un certo stupore, che Cioran era molto critico nei suoi confronti, non tanto e non solo come pensatore: questo era risaputo. Diciamo che ci teneva a marcare la differenza, che peraltro era palese, anche con frasi poco carine. In particolare ricordo questa sua definizione lapidaria: “le genié de la flatterie”. Ho un dubbio però sul verbo da lui usato, nel senso che non ricordo bene se Cioran disse che Noica era il genio dell’adulazione o se aveva il genio dell’adulazione. In questo secondo caso, probabilmente quello giusto, l’affermazione in fondo non è cattiva. Mi scrisse nel marzo del 1988: “La mort de Noica m’a affecté plus que je n’aurais cru. Nous étions sur des positions radicalement opposées; n’empeche que notre amitié a survécu à nos dissemblances».
Un viaggio tra pensieri e scrittura
Può darci un ritratto di Cioran e di Noica, così come li ha conosciuti?
Cioran era vitale, veloce, esplosivo, malandrino, era come quei ragazzi intelligenti e vivaci che fanno impazzire le maestre, Noica invece era il secchione, posato, educato, dai modi perbene. In entrambi tuttavia era immediatamente percepibile la profonda capacità di pensiero e la vastissima cultura e se la cosa poteva sembrare normale in Noica, stupiva in Cioran. Per come l’ho conosciuto, faticavo un po’ ad immaginarlo ricurvo sui libri, eppure ……
(Foto Renzo Rubinelli: Casa natale Cioran, Rasinari, 1987)
Mostrando a Cioran le diapositive con i suoi luoghi natii, con Sibiu, Rasinari, Paltiniş, come ha reagito? Aveva voglia di ritornarci un giorno?
Esplosioni! L’ho già detto, emetteva versi indescrivibili di stupore divertito, o almeno questo lui voleva far emergere davanti al pubblico di quella sera, non certo nostalgia malinconica. Non bisogna dimenticare che era presente Friedgard, di cui lui era innamorato. Un innamorato si mostra principalmente ad una persona, anche e soprattutto se è di fronte ad un pubblico più ampio. Quindi può essere che lui volesse farsi vedere così da lei. Ma così come? Mi chiederà Lei. Effettivamente non mi è facile descriverlo, diciamo: su di giri! … un’ottava sopra le righe. Certo, gli chiesi se voleva tornare in Romania, capii di no, anche se non si lasciò imprigionare in una risposta precisa. Parlò di inviti ufficiali ricevuti in un clima di disgelo col regime di Ceausescu, e del suo diniego, anche per il disagio di far torto a qualche amico di laggiù, nell’impossibilità di incontrare tutti.
Qual è il ricordo più vivo della Sua visita a Sibiu?
Il ricordo più vivo della mia visita a Sibiu è il sapore squisito del formaggio bianchissimo di pecora e dei dolcissimi pomodori rossi rossi che lo accompagnavano, nelle mie soste a casa di Aurel. Era l’unica cosa buona che riuscivo a mangiare a Sibiu. E non era solo buona, era proprio squisita. E poi l’ineguagliata Palinka (grappa di albicocche?) con cui terminavamo. Per dirLe della difficoltà di mangiare: la prima sera mi sedetti ai tavolini esterni del locale più importante di Plata Mare, il centro di Sibiu. Pensai: qui sicuramente riesco a mangiare qualcosa. Mi portarono del risotto a forma di palla, color marroncino. Era acido, sicuramente fermentato, andato a male! Forse l’hanno fatto apposta, pensai, o forse non c’era di meglio. Chissà? Non sono riuscito a scoprirlo. Tuttavia propendo per la prima ipotesi: in altre occasioni mi sono sentito preso in giro, come quando in hotel mi hanno rapinato 130 marchi per l’auto noleggiata: un prezzo folle per allora, equivalente ad una mensilità di quell’impiegata privilegiata che li pretese.
L’altro ricordo è il colore del cielo al tramonto in Plata Mare. Ero felice e malinconico allo stesso tempo. Vivevo intensamente quei momenti, lì dov’ero ed ero lontanissimo da casa, ero oltre cortina, ero “di là”, eppure quel cielo era il cielo anche a casa. Alzando gli occhi da quella piazza, ero lì, quello era il cielo di lì, ma mi ricongiungevo agli affetti di casa, sotto un cielo, che era lo stesso. Insomma il cielo non cambiava, sopra i confini geografici e politici. A dirlo ora, sembra un concetto banale, ma allora lo sentii intensamente.
Lei ha scritto degli articoli sui libri di Cioran per i giornali italiani. Il fatto di averlo conosciuto personalmente influenza il modo di leggere e giudicare i suoi scritti? Se sì, in che modo?
Fui il primo a censire una vastissima bibliografia su Cioran, in assoluto la più ampia e completa mai scritta fino ad allora. Trovai documenti ovunque andassi, sia in Italia che all’estero, forse il luogo che ho frequentato maggiormente fu la Biblioteca Sormani di Milano, che aveva già tutto archiviato anche in microfilm. Ma queste letture non hanno influenzato per niente il mio modo di leggere e giudicare Cioran. Per la maggior parte si trattava di articoli di giornale di una superficialità sconcertante, oppure di letture che si rifacevano ad una connotazione politica di destra.
Ovviamente c’erano anche cose buone e saggi importanti, ma non ne ricordo uno che fosse decisivo per la mia interpretazione. Ritengo la mia impostazione di stampo teoretico, innovativa rispetto ad allora, quando si parlava principalmente di “disinganno”, un tipo di lettura superficiale, che non dava conto del fondamento da cui muove il pensiero di Cioran: una teoria sul tempo.
I miei articoli su Cioran, dal primo nell’ottobre 1995 su“Il Sole 24 Ore” fino all’ultimo di marzo 2010 su “L’Arena, BresciaOggi e il Giornale di Vicenza”, sono senz’altro influenzati e ispirati dalla conoscenza diretta dell’autore.
Tuttavia come ho già anticipato, averlo conosciuto di persona non ha modificato l’idea di lui che mi ero già fatta, anzi, ne è stata la conferma: una persona vitale, a cui in fondo piaceva “dimenarsi in questo universo aberrante”, come infatti scrive nel suo ultimo aforisma: “Aprés tout, je n’ai pas perdu mon temps, moi aussi je me suis trémoussé, comme tout un chaucun, dans cet univers aberrant.”. Riesco a percepire il lato ironico anche negli scritti più cupi e lo vedo, me lo immagino, mentre pensa e scrive una certa cosa e non trascura di accennare un sorriso, un sorriso per sé, che non vede nessuno, ma non sfugge alla sua penna.
Qual è il libro di Cioran che più l’ha impressionata? E perché?
Proprio per l’ultima cosa che Le ho detto, non ho alcuna esitazione a rispondere a questa domanda: i Cahier 1957-1972! Un libro pieno d’ironia e di autoironia, un libro che ce lo fa amare, ce lo fa sentire amico, sincero, vicino. Certo si può obiettare che non è veramente un suo libro, nel senso che è stato prodotto da Simone, dopo la sua morte, con materiali che Cioran non aveva destinato alla pubblicazione. Allora, tra i suoi libri ufficiali scelgo De l’inconvenent d’etre né. Ne conservo due copie, quella su cui ho studiato e quella che Cioran mi ha regalato con dedica. Scelse di regalarmi proprio quel libro e la scelta aveva un preciso significato: con il mio viaggio e il mio tipo di approccio affettivo, avevo voluto legarmi alle sue origini, alla sua infanzia, alla sua terra, alla sua famiglia. E questo è il libro in cui egli maggiormente guarda indietro, a queste cose, ai confini del paradiso, che rimane appena un po’ prima: avant d’être né. Il terzo mio preferito è La Chute dans le temps, in cui lo sguardo all’indietro si fa fondamento teoretico. Con un libro così Cioran non può non dirsi filosofo. La Chute è alla base della mia interpretazione del suo pensiero e conferma la mia tesi: la riflessione di Cioran è un’unica ininterrotta digressione intorno ad un unico tema: il Tempo.
Conservo come una reliquia una copia de La Caida en el Tiempo in edizione argentina (Caracas, Monte Avila Editores, 1977) regalatami da Aurel, con una non breve dedica in romeno di cui comprendo bene solo due parole: “fratre” italian.
Ha intenzione di rendere pubbliche le lettere che custodisce di Cioran?
Sì certo, nelle lettere che mi scrisse Cioran sono contenuti molti interessanti spunti che contribuiscono ad una sempre più approfondita conoscenza del suo pensiero e della sua persona. Sono felice se verranno pubblicate. Cioran e Simone mi erano molto vicini. Pensi che s’interessavano anche alle mie vicissitudini sentimentali, come testimonia una breve lettera molto simpatica del 1989.
Lei fa parte del Centro italiano di studi cioraniani. Quali sono le intenzioni di questo Centro?
Grazie a Friedgard Thoma ho conosciuto Massimo Carloni che ha curato l’edizione italiana del suo libro Per nulla al mondo. Un amore di Cioran. Con la sola forza della sua passione per Cioran è riuscito ad aggregare intorno a sé un nutrito gruppo ormai internazionale di persone che hanno dato vita ad un importante progetto editoriale di pubblicazione di inediti, interviste, lettere di Cioran, studi critici ed è attiva anche una pagina web. Marginalmente, anch’io sono coinvolto in questo progetto.
Lei è anche interessato alla cultura romena e alla sua presenza in Italia. Com’è recepita dal pubblico italiano? Quali sono gli autori romeni più tradotti?
Guardi, attraverso lo studio di Cioran mi sono appassionato alla cultura della Romania.Trovo straordinario che negli stessi anni e nello stesso posto ci sia stato un concentrato di intelligenza così elevato, di cui Eliade, Cioran, Noica e Ionesco sono solo i più famosi. In Italia la cultura non è un fenomeno di massa, è rimasta uccisa dall’idiozia e dalla banalità, inoculate quotidianamente e scientificamente dalle televisioni commerciali al popolo italiano. Quindi non saprei rispondere alla Sua domanda. Diciamo che Cioran è l’unico autore romeno che raggiunge un pubblico eterogeneo e di lui si parla spesso sulla stampa nazionale.
Progetti e prospettive
Quali sono i suoi progetti editoriali?
Per vivere faccio un lavoro, anzi due, lontani dalla scrittura e dall’editoria, ma in qualche modo hanno sempre a che fare con lo spirito: mi occupo di profumi, e nel tempo libero, di vino. Scrivere un libro è un desiderio che per ora mi è impedito dalla più banale delle maledizioni: la totale mancanza di tempo. Sono già molto felice di fare questa intervista con Lei e ancora grazie a Lei, uscirà ora in Romania su Întâlniri cu Cioran, 2° volume, (Incontri con Cioran, 2° vol.) di Marin Diaconu e Mihaela-Gentiana Stanisor, un mio breve saggio intitolato Aurel Cioran, il mio fratello rimasto a casa. Poi, Emil e Aurel Cioran, due fratelli, una malinconia è il bellissimo titolo, ideato da Massimo Carloni, per il libro che vogliamo scrivere insieme.
Le posso parlare anche di altri sogni editoriali nel cassetto:
1) un saggio per dimostrare che l’Olocausto, la più grande tragedia di tutti i tempi, trova le sue radici nell’idealismo tedesco: il predominio dell’idea sulla materia, portato alle estreme conseguenze, produce l’Orrore. Al contrario, la più alta espressione di bellezza prodotta dall’uomo in ogni tempo, l’arte, è il frutto di un gioco armonico di rimandi fra idea e materia, dove non vi è predomino dell’una sull’altra, ma continua creativa dialettica, dove nessuna delle due si afferma, ma dalla loro relazione, dalla loro reciproca permeabilità, scaturisce l’opera d’arte. La mia predilezione in questo senso va a ciò che considero anche raggiunta perfezione: le chiese romaniche, dal X al XIII sec. d.C., con i loro affreschi, disseminate ovunque in Italia. E la pittura rinascimentale: Leonardo, Raffaello, Michelangelo.
2) Mi piacerebbe produrre un libro fotografico sull’Orizzonte come spazio cromatico: quando al mare guardiamo l’Orizzonte vediamo due diverse tonalità di azzurro; spesso le fotografo, ritagliando con il teleobiettivo solo i due colori con la linea che li separa e nient’altro. Mi capita soprattutto quando ne colgo variazioni significative, all’alba, al tramonto, di notte con la luna. Ecco allora che i colori diventano infiniti, giallo, arancio, nero, argento, con mille sfumature che partono sempre dall’azzurro del cielo e del mare. Orizzonte tuttavia non è solo mare, ma anche un colle verde illuminato dal sole, con sopra un cielo grigio plumbeo, oppure un campo di papaveri rossi e dietro un campo di fiori gialli di colza: insomma l’Orizzonte in tutte le possibilità di colore che la natura può offrire. Dipingo piccoli pannelli, prendendo spunto da queste fotografie o da immagini simili di provenienza onirica; tutti con lo stesso soggetto, ad esempio un alba marina, ma con infinite combinazioni di colore diverse. Accosto i pannelli e formo dei quadri dove il ricordo della natura è ancora presente, ma si trasforma in un sognante astratto gioco cromatico. Di questo mi piacerebbe scrivere.
3) Un saggio sul pittore Giorgio Morandi. Sono affascinato dalle Bottiglie di Morandi, un artista che ha dipinto quasi sempre la stessa cosa per tutta una vita: le bottiglie. È straordinario! Solo una fedeltà di questo tipo porta alla verità, che si identifica con la bellezza: bellezza delle cose, bellezza assoluta.
4) Un grande libro fotografico con tutte le Annunciazioni, soprattutto affreschi, ma anche quadri, presenti nelle chiese, fino alle più sperdute, della mia città e della mia provincia, Verona. Certo si potrebbe allargare la ricerca all’Europa o alle chiese e ai musei del mondo intero: insomma una raccolta commentata di Annunciazioni. Di sicuro però questo libro dovrebbe prendere le mosse da quella di Pisanello presente nella chiesa di San Fermo a Verona: sono certo che quest’opera meravigliosa del XIV secolo risulterà la più bella e significativa fra tutte. Sono affascinato dall’episodio dell’Annunciazione, presente nel solo Vangelo di Luca, unico episodio romantico nel Nuovo Testamento, che a mio avviso richiama, accennando appena, la sublime poesia d’amore e primavera del Cantico dei Cantici.
5) Un saggio per mostrare come il pensiero di Cioran, esplicitando e portando alla luce, il nichilismo inconscio dell’Occidente, apra la strada alla filosofia di Severino. Sì, perché se il Tempo è il Nulla (Cioran), allora l’unico predicato possibile dell’Essere è l’Eternità (Severino). Quando la negazione è assoluta e coerente nella sua assolutezza, mette in dubbio anche sé stessa. Infatti è riscontrabile in Cioran una percezione emozionale dell’Essere che pur non rappresentando un superamento dell’ermeneutica del divenire occidentale, ne indica la necessità, l’urgenza, forse l’attesa, come testimonia questo aforisma di Ecartèlement: “Brusquement, besoin de témoigner de la reconnaissance non seulment à des objets, à une pierre parce qu’elle est pierre…Comme tout s’anime! On dirait pour l’eternité. D’un coup, inexister paraît inconcevable. Que de tels frissons surviennent, puissent survenir, cela montre que le dernier mot ne réside puet-etre pas dans la Négation». Ecco dunque come il pensiero dell’estrema Negazione, dopo aver spento gli ultimi bagliori del tramonto, forse attende il nuovo mattino del Destino.
Intervista realizzata da Mihaela-Genţiana Stănişor
(n. 1, dicembre 2011, anno I)
Il sesto numero della rivista di lingua francese «Alkemie» è dedicato a Emil Cioran. Il sommario di questo numero anniversario si può consultare sul sito http://alkemie.philosophie-en-ligne.fr/10.html
La rivista è attualmente pubblicata presso l'editore L'orecchio di van Gogh, Via Nino Bixio 15 - 60015 Falconara Marittima (AN)
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