Un anno di «Orizzonti filosofici». In dialogo con Horia Corneliu Cicortaș

Horia Corneliu Cicortaș (n. 1969) vive dal 1991 in Italia. Si è laureato all’Università di Napoli «l’Orientale» (in filosofia, con una tesi sul buddhismo antico), dove ha conseguito anche il dottorato con un lavoro su «Mircea Eliade e l’India», di prossima pubblicazione per Mimesis. Docente a contratto all’Università di Trento, studioso soprattutto di Eliade, è traduttore e curatore di più autori romeni, come Mircea Eliade, Emil Cioran, Ioan Petru Culianu, Andrei Oișteanu e Tatiana Niculescu, pubblicati per varie case editrici italiane.
Dall’ottobre 2020, cura la sezione «Orizzonti filosofici» della nostra rivista. Nel dialogo tra il direttore della rivista, Afrodita Cionchin, e il collega Horia Corneliu Cicortaș, abbiamo cercato di fare il punto sulla situazione degli autori romeni – in particolare quelli afferenti all’area degli «Orizzonti filosofici» – tradotti e pubblicati in Italia. Un panorama eterogeneo, fatto di esuli, emigrati, «pendolari» transnazionali o semplicemente «cosmopoliti», spesso con le radici in Romania ma con lo sguardo rivolto altrove.


In una prospettiva d’insieme, qual è la ricezione della filosofia romena in Italia, a parte i due giganti, Eliade e Cioran, conosciuti perlopiù tramite la filiera americana e quella francese, di cui parleremo in seguito?


Gli autori romeni con un’opera filosofica significativa sono ancora poco tradotti, conosciuti e valorizzati. Per fortuna, qualche passo avanti è stato compiuto negli ultimi quindici anni. Sono uscite, ad esempio, alcune opere importanti di Blaga (l’edizione integrale de La trilogia della cultura) e di Noica (Trattato di ontologia, Saggio sulla filosofia tradizionale, Congedo da Goethe), presso case editrici di nicchia ma di buona reputazione accademica. Più recentemente, è stato pubblicato anche un volume di corsi (di filosofia della religione e di metafisica) di Nae Ionescu. Quanto a Eliade e Cioran, le loro opere rientrano nella voce «filosofia» solo se la intendiamo in un senso molto ampio, che travalica i confini «istituzionali» della disciplina. D’altra parte, non c’è da stupirsi se i pensatori romeni sono poco tradotti all’estero: la cultura romena non ha – per varie ragioni storiche – una tradizione filosofica lunga né particolarmente ricca. A partire dal 1990, con la fine della dittatura, la filosofia e le scienze umane hanno ritrovato una più giusta collocazione, sviluppandosi e contribuendo al percorso formativo delle nuove generazioni di studenti. I riverberi all’estero si devono in buona parte alla prassi degli studiosi romeni di pubblicare direttamente in lingue di circolazione internazionale, in riviste specializzate come «Studia Phaenomenologica», ad esempio. La casistica è però molto più complessa, perché ci sono anche autori romeni, o nati in Romania, attivi nella diaspora con opere pubblicate soprattutto all’estero, in inglese, tedesco, francese ma anche in italiano (per esempio, il transilvano Imre Tóth). In quei casi, però, più che di «filosofia romena», possiamo parlare di opere di filosofi romeni attivi (e talvolta formatisi) fuori dalla Romania.
Del resto, autori come G. Liiceanu, A. Pleșu e H.R. Patapievici – per limitarci alla nota «triade» dominante delle edizioni Humanitas – sono presenti sul mercato italiano, ognuno con un volume: Emil Cioran. Itinerari di una vita (2018), Pittoresco e malinconia (2018), Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante? (2006). A essere meglio rappresentata è Marta Petreu, autrice Polirom, presente in Italia con tre volumi di saggi (2015, 2016, 2019), di cui due su Cioran.


Di Eliade ti sei occupato da vicino, anche come traduttore. Il nostro database Scrittori romeni in italiano registra molti suoi volumi usciti in Italia. Qual è il quadro generale di queste pubblicazioni?

La situazione editoriale italiana è in continuo mutamento, il che si rispecchia un po’ anche nel caso di talune opere eliadiane: alcuni editori non le pubblicano più, e vengono invece «riscoperte» da altre case editrici che le rilanciano con entusiasmo. Certo, le tirature non sono più quelle di una volta. Ma Eliade continua a interessare un certo pubblico colto; come mi disse una volta un (suo) editore milanese, senza essere un «bestseller», è un «long seller». È ormai un classico del Novecento. Questo vale per la sua saggistica, «spalmata» tra tante case editrici italiane: Bollati Boringhieri (erede delle prime edizioni Einaudi di alcuni saggi importanti come il Trattato di storia delle religioni), Jaca Book (molti titoli e la versione italiana, tematica, dell’Encyclopedia of Religions diretta da Eliade e uscita nel 1987), Morcelliana, Edizioni Mediterranee, Rizzoli, Lindau ecc.
Per quanto riguarda la produzione narrativa – tralasciando la diaristica, la memorialistica, la corrispondenza e il teatro (uscito presso Bietti nel 2016) –, la maggior parte delle opere tradotte in italiano è stata pubblicata dalla Jaca Book. A parte Rizzoli, con la narrazione Un’altra giovinezza, pubblicata in occasione dell’uscita dell’omonima pellicola di Francis Ford Coppola (2007) – e la già menzionata Bietti, editrice per la quale ho curato una nuova edizione del Segreto del dottor Honigberger (2019) e tre racconti dell’«ultimo» Eliade (Dayan, La mantella e All’ombra di un giglio – 2015), la letteratura di Eliade non ha riscosso presso gli editori italiani lo stesso appeal delle sue opere teoriche. Ultimamente, si verifica un timido segnale d’inversione di tendenza, ma per avere un quadro più chiaro dovremmo attendere la pubblicazione di opere ancora inedite, come i primi romanzi «realistici» del periodo indiano e parte della narrativa fantastica postbellica.  


Per quanto riguarda Cioran, in un tuo articolo ti sei riferito all’interessante Cioran-renaissance a cui si assiste, da diversi anni, in Italia. A cosa si deve e perché Cioran attira sia gli studiosi che il pubblico italiano di ogni età?

Penso che i «temi» di Cioran siano, proprio in quanto soggettivi e personali, intramontabili. Ed è per questo, oltre che per una questione di stile, che attira fasce differenti di pubblico, compreso quello femminile. Quanto alla Cioran-renaissance, ha a che vedere con le trasformazioni del mondo editoriale italiano, a cui accennavo prima e di cui parlo nel mio articolo, e con un’ampia operazione di (ri)valutazione e dibattito che coinvolge studiosi e «fan» cioraniani delle generazioni più giovani.  Non saprei, però, che forma avrebbe preso questo fenomeno recente in assenza del «binomio» Rigoni-Adelphi, che mi sembra fondamentale per ogni discussione sulla fortuna di Cioran in Italia. 


Qual è la situazione dei traduttori attuali dal romeno nel campo della filosofia e delle scienze umane?

Nel bene e nel male, il ritmo e la portata dei progetti di traduzione dal romeno in italiano di opere appartenenti a quest’ambito disciplinare non è tale da creare una reale «penuria» di traduttori. Più in generale, i traduttori dal romeno in italiano non sono così numerosi. All’occorrenza, alcuni di essi si possono scegliere lavori in équipe che consentono di ridurre i tempi di lavorazione; così è stato fatto anche per alcuni libri di storia. Io stesso ho lavorato assieme a Francesco Testa per tradurre il volume di Andrei Oișteanu L’immagine dell’ebreo, uscito tre anni fa, o insieme a Igor Tavilla, per tradurre la biografia di Nae Ionescu scritta da Tatiana Niculescu. Il più delle volte si tratta di studiosi indipendenti o docenti universitari con una passione particolare per l’autore che hanno scelto di tradurre. Pochi sanno che a curare recentemente l’opera di un autore «dimenticato», come Blaga, è un docente di filosofia dell’Università di Siena, prof. Giancarlo Baffo. Da un lato, La trilogia della cultura è pubblicata da una casa editrice di nicchia (Centro Studi Campostrini, 2016); dall’altro, tradurre l’intera opera filosofica di Blaga richiederebbe un impegno notevolissimo, da tanti punti di vista. Ci sono alcuni traduttori dal romeno, molto bravi, di formazione filosofica, come quelli che ho menzionato prima, che però lavorano come insegnanti nelle scuole pubbliche, pertanto hanno un tempo limitato a disposizione per il lavoro di traduzione e curatela; lo dico anche per esperienza personale…


E gli ambienti editoriali italiani, quanto sono aperti nei confronti dei progetti di traduzione di opere dal romeno in questo settore?

In filosofia e nelle scienze demo-etno-antropologiche, la Romania è tuttora poco rappresentata in Italia, per cause che non riguardano i traduttori. Al pari dei romanzieri e dei poeti romeni (e in generale, dell’Europa centro-orientale), i pensatori o gli scienziati sociali hanno bisogno di essere promossi, non soltanto proposti. Gli editori sono aperti quando le proposte vanno incontro alla linea del catalogo, agli interessi del pubblico, all’attualità del dibattito scientifico che emerge da una particolare opera, eccetera. Ora, siccome il dibattito accademico attuale corre su vari canali (riviste specializzate e non, forum e piattaforme telematiche, mailing-list e newsletter, social media come academia.edu, Research Gate e così via), un libro accettato da un editore deve avere una collocazione idonea, tale da situare il suo autore in una certa «famiglia» di pensatori presi in considerazione nel dibattito stesso, rendendolo «utilizzabile» per successive iniziative editoriali, efficaci o almeno di prestigio culturale. Se non «vende», almeno deve «impreziosire» il catalogo. Certo, i traduttori e i curatori attivi in Italia possono fare la loro parte. Ma a mio avviso, per una operazione più sistematica e di portata maggiore, andrebbero coinvolti più attori e istituzioni, nei Paesi di destinazione (in questo caso, l’Italia) come in quelli d’origine (nella fattispecie, in Romania), attraverso programmi di traduzione-promozione di ampio respiro internazionale, utilizzando i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea o nei singoli Stati membri.


Quali opere inedite, o autori ancora non tradotti, prenderesti in considerazione?

Se dovessi scegliere temi, opere o autori per periodici scientifici, sarebbe più semplice rispondere a questa domanda. Quando pensiamo a libri, la questione è più complicata. Ai vari elementi da valutare di volta in volta – rilevanza e dimensioni dell’opera, spessore dell’autore, attualità dei temi affrontati, originalità dei metodi perseguiti ecc. – si aggiunge quello «commerciale», visto che i volumi vanno proposti a un determinato pubblico, cioè a un determinato mercato. Per cui, gli editori sono interlocutori privilegiati, se non decisivi. A parte le preferenze dell’editore, si devono considerare anche questioni economiche, di risorse necessarie per una certa impresa. Non dobbiamo inoltre dimenticare l’eredità nefasta della dittatura comunista, durata più di quarant’anni, durante i quali il ramo umanista del sapere ha subito pesanti «sconfitte» e umiliazioni. Per fortuna le cose sono cambiate dopo il 1990 e questo ha reso più variegato anche il panorama delle traduzioni, che comprende non solo opere di alcuni pensatori, ma anche lavori esegetici di studiosi contemporanei.
Ad ogni modo, in filosofia, penso che le opere di Blaga e Noica abbiano ancora qualcosa da dire al pubblico italiano di oggi. I pensatori che li precedono, dell’Ottocento e del primo Novecento, non mi sembrano particolarmente «spendibili» oggi. Nemmeno per i contemporanei la scelta non è così facile, vista la situazione di cui abbiamo parlato e la tendenza dei giovani a specializzarsi e «internazionalizzarsi» autonomamente. Nel 2017, per esempio, è stato pubblicato il volume Morire per le idee. Le vite pericolose dei filosofi, saggio che ha un autore romeno, Costică Brădățan: si tratta però di un docente che insegna negli Stati Uniti e di un libro scritto in inglese. Quindi, è un volume che arriva «tramite la filiera americana», per citarti, un po’ come è avvenuto con altri autori di letteratura (Norman Manea, per esempio).
Nel campo delle scienze sociali, oltre agli autori contemporanei o del ’900, potrebbero essere ulteriormente rivalutate figure versatili e «pionieristiche» come la scrittrice Dora d’Istria (alias Elena Ghica), cultrice di una vasta area di ricerche che include storia, orientalistica, etnologia, condizione femminile, travel studies e alpinismo. Del resto, le tematiche dei secoli passati riemergono spesso, non solo in letteratura. Tra le varie curiosità recenti, segnalo ad esempio l’opuscolo di Mihail Kogălniceanu, Schizzo di una storia degli Zingari. Dei loro costumi e della loro lingua, con un piccolo vocabolario della loro lingua, pubblicato da UPRE, un’associazione italiana che si occupa della condizione dei Rom e Sinti.


Concludiamo con  la nostra sezione bilingue  «Orizzonti filosofici», da te coordinata. Che temi e autori hai in vista per il nuovo anno, considerando che anche la nostra rivista porta il suo contributo all’informazione culturale e alla sensibilizzazione degli editori italiani e, rispettivamente, romeni?

Avviata poco più di un anno fa, la sezione intende essere altamente inclusiva: oltre all’ambito filosofico, si rivolge alle scienze umane (antropologia, sociologia, psicologia) e allo studio delle religioni. Pertanto, accogliamo ogni contributo utile su autori, opere, tematiche di queste discipline, nella misura in cui è compatibile con il taglio della rivista e rilevante per il suo pubblico. D’altra parte, la sezione è ancora «giovane», consolidata per l’edizione italiana e in fase di consolidamento per l’edizione romena, dove abbiamo bisogno di collaboratori residenti in Romania, ma con competenze filosofiche e nel campo dell’italianistica. Considerato il formato degli «Orizzonti culturali italo-romeni» e la capienza limitata per gli articoli, al momento è prematuro progettare temi o autori prestabiliti. Mi auguro piuttosto una pluralità di contenuti e approcci, tale da rispecchiare la ricchezza di sfaccettature delle due culture che dialogano (anche) attraverso la nostra rivista.



Intervista a cura di Afrodita Cionchin
(n. 1, gennaio 2022, anno XII)