«Dallo Gnosticismo ai pericoli della tecnologia». Culianu intervista Hans Jonas (III)

Presentiamo qui la seconda delle due interviste rilasciate da Hans Jonas a Culianu, comprese in appendice al volume Gnosticismo e pensiero moderno: Hans Jonas – la forma definitiva della tesi di laurea in Storia delle religioni discussa il 5 novembre 1975 presso la Facoltà di lettere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sotto la guida di Ugo Bianchi e pubblicata nel 1985 presso «L’Erma» di Bretschneider di Roma.
Nella prima intervista condotta alla fine di aprile del 1975, in occasione dell’incontro avvenuto a New Rochelle, nei pressi della città di New York, Culianu aveva ripercorso le tappe della formazione filosofica e teologica di Jonas e le circostanze che avevano spinto lo studioso ebreo a occuparsi di gnosticismo, rievocando in particolare i legami avuti con Rudolf Bultmann e soprattutto con Martin Heidegger, per poi presentare gli aspetti originali dell’interpretazione esistenziale dello gnosticismo proposta da Jonas: l’aver individuato uno «schema devolutivo» nella catena dell’essere comune a tutte le religioni e le filosofie della tarda antichità, l’aver colto al centro dell’esperienza gnostica del mondo una circolarità ermeneutica tra teoria e prassi, l’aver respinto l’idea che lo gnosticismo consistesse in una forma di sincretismo, riconoscendo al fenomeno in questione una precisa identità ideologica, garantita da una «condizione generativa interna». Jonas faceva poi un bilancio dell’influenza esercitata sul suo pensiero da Bultmann e Spengler per concentrarsi nelle ultime battute dell’intervista sul celebre saggio Das Prinzip Verantwortung – Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation (Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, tr. it. a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1990 e successive edizioni), allora in preparazione e che avrebbe pubblicato nel 1979.
È proprio il saggio in questione a costituire il fulcro della seconda intervista, che presentiamo di seguito. Assai più breve del primo, il secondo colloquio tra Culianu e Jonas ebbe luogo in località Mondorf-les-Bains (Lussemburgo sud-orientale), alla fine di luglio 1980. In quell’occasione, ospite dei coniugi Jonas, insieme a Culianu, era anche la di lui moglie Carmen Georgescu, dalla quale lo storico delle religioni romeno avrebbe divorziato all’inizio nel 1987.
Alla domanda di Culianu se esista o meno continuità nella sua opera – un’opera, giova ricordarlo, che spaziava dallo studio dello gnosticismo a quello della biologia moderna, fino a toccare il tema dell’utopia tecnologica –, Jonas confessa di aver vissuto il passaggio da un argomento all’altro come una frattura piuttosto che in termini di continuità, sebbene proprio nel dualismo egli riteneva di poter riconoscere una costante della sua riflessione. Se parlare di dualismo a proposito dello gnosticismo non fa problema, anche la filosofia della biologia, a ben guardare, si incardina su questa categoria. La definizione stessa di organismo vivente, infatti, appare condizionata, fin dall’origine, da una fondamentale dicotomia tra materia e spirito. Si rendeva pertanto urgente un suo ripensamento, come quello tentato, ad esempio, da A.N. Whitehead, artefice di una ontologia non-dualista che Jonas annovera tra le sue fonti. Sono dunque l’antitesi mente-corpo di matrice cartesiana e i dirompenti esiti tecnologici che da essa scaturiscono a destare maggiore preoccupazione. Molto più dei rischi insiti nel nucleare o nell’inquinamento, sono quelli connessi alla manipolazione genetica dell’essere umano a tradire la presunzione di conoscenza e la tracotanza degli odierni arconti-tecnologi. Gnosticismo e tecnologia appaiono da ultimo come due manifestazioni di quel nichilismo destinale della storia dell’occidente, profetizzato da Nietzsche e Heidegger.
Su questo punto, a dire il vero, intervistatore ed intervistato si mantengono su posizioni leggermente diverse. Mentre Culianu sembra incline a riconoscere nel nichilismo la cifra distintiva dell’intera civiltà occidentale, Jonas tende a distinguere ciò che è l’eredità positiva della cultura occidentale da quelle che dovrebbero essere piuttosto considerate, a suo dire, delle devianze. In particolare, incalzato dalle domande di Culianu, Jonas sembra dapprima escludere che vi possa essere un nesso tra nichilismo e utopismo, ma poco dopo, come lo stesso Culianu fa elegantemente notare al proprio interlocutore, la negazione si converte in un’affermazione: ogni utopia politica si è infatti storicamente tradotta nella forma più triviale di nichilismo che si possa immaginare, quella dell’annientamento degli esseri umani. È questo il caso non solo delle grandi utopie totalitarie del Novecento, ma anche dell’«utopismo anti-utopico» portato avanti da quelle frange della sinistra extraparlamentare – tra cui la RAF («Rote Armee Fraktion») – che alla fine degli anni settanta cercavano attraverso la lotta armata di distruggere la società, indipendentemente dal benessere che questa sapeva garantire.
Jonas considera il suo lavoro un esercizio di responsabilità, e sebbene non nutra illusioni circa la possibilità che la sua critica dell’utopia tecnologica possa sortire gli effetti desiderati, non rinuncia tuttavia alla speranza che le sue riflessioni abbiano una ricaduta pratica, lasciando anzi intendere che nella storia dell’occidente il finale non sia stato ancora scritto e gli sviluppi futuri siano del tutto imprevedibili.

Nota al testo: i riferimenti bibliografici nelle note finali sono del traduttore. Le forme Q. (Question) e A. (Answer) del testo inglese delle interviste sono state qui sostituite con i nomi dell’intervistatore e dell’intervistato (rispettivamente, Culianu e Jonas). Finora le interviste sono state tradotte solo nell’edizione romena del volume (Gnosticism și gîndire modernă: Hans Jonas, trad. di Maria-Magdalena Anghelescu e Șerban Anghelescu, postfață de Eduard Iricinschi, Polirom, Iași 2006).


 

Dallo gnosticismo ai pericoli della tecnologia
Un’intervista con Hans Jonas (III)

(1980)



Culianu: C’è unità e continuità nella sua attività?

Jonas: Certamente, l’orientamento intellettuale generale e l’enfasi su ciò che è importante sono i medesimi, appartengono alla persona. Così pure l’approccio all’oggetto. Ma gli argomenti possono essere anche molto diversi. Se lei mi domanda se esiste una continuità negli argomenti che sono stati oggetto della mia speculazione, risponderei che essi sono evidentemente molto diversi tra loro, spaziando dallo gnosticismo fino alla biologia moderna. Per quanto mi riguarda, ho vissuto tutto questo come una frattura, piuttosto che in termini di continuità, come un tentativo da parte mia di accantonare questioni storiche per confrontarmi con realtà eterne, come la natura di un organismo. Esiste, tuttavia, un legame tra lo gnosticismo e la biologia moderna: il tema del dualismo. Il modo in cui ho affrontato il problema dell’organismo era in larga misura influenzato dalla familiarità che avevo acquisito, dai miei studi precedenti, col problema del dualismo. Di fatto, era più semplice per me comprendere che esisteva una scissione dualistica nel modo in cui il problema dell’organismo era già stato trattato, una fondamentale dicotomia tra materia e spirito.
Fu durante gli anni della guerra che venni a occuparmi delle questioni ontologiche poste dalla nostra esistenza organica. Questa era solitamente descritta come la combinazione di una materia duale e tale descrizione perdurava da diversi millenni. Esigeva in un certo senso di essere superata. Il corpo vivente non può essere descritto come un che di meramente materiale né di meramente spirituale. È dato riconoscere una rudimentale capacità di pensiero nella materia vivente in quanto tale, e un lato fisico anche nell’organizzazione intellettuale più complessa.
Perciò, questo fu il primo passaggio: dalla storia alla filosofia della scienza. Un secondo passaggio mi ha portato nuovamente alla storia, ma, questa volta, alla storia contemporanea, al destino dell’uomo su questo pianeta. Ancora una volta la questione si è imposta a me sotto la pressione della realtà. Senza la tecnologia e il suo impatto sulla nostra vita, questa questione non si sarebbe mai presentata alla mia attenzione.

Culianu: Una volta lei ha paragonato l’idea di «mutazione» in biologia all’idea di «caduta» nello gnosticismo. Se non vado errato, questa era, a suo dire, una delle espressioni di dualismo nella biologia moderna. Pensa che questa analogia resti valida se applicata alla tecnologia?

Jonas: In effetti, una volta feci notare che la mutazione, stando ai biologi moderni, è un incidente di percorso. È davvero qualcosa di anormale, la trasmissione sbagliata di una informazione genetica. Quel che è interessante è che l’incidente di percorso potrebbe rivelarsi utile in determinate condizioni ambientali. Questa era, mutatis mutandis, la situazione dell’idea gnostica di «caduta». L’analogia mi sembra pertinente. Se mi chiede se una simile analogia possa essere applicata alla tecnologia moderna, direi di sì, sia in senso generale che in senso particolare.
Prendiamo il caso generale. La tecnologia è una comprensione strettamente materialistica della realtà con una ricaduta pratica. Dal XVII secolo in poi, tutte le causae efficientes sono state ridotte a una e una sola: la causa meccanica. Ma ci sono anche altre cause in natura, cause che non sono riconducibili alla meccanica. Ad ogni modo, il programma di questo pensiero era il dualismo cartesiano tra l’estensione della materia, come della natura fuori dell’uomo, e la mente, che nella sua essenza non ha niente a che fare con l’estensione. L’esito pratico di questo riduzionismo dualistico della realtà fu l’impossibilità di riconoscere la presenza della mente nel mondo, e il concentrarsi esclusivamente su una analisi dell’estensione. La tecnologia è l’estrema applicazione pratica di questo modo di pensare.

Culianu: Il libro The Revolt against Dualism di A.O. Lovejoy ha avuto un impatto sul suo pensiero?

Jonas: Quando dovetti difendere la mia posizione lessi Revolt against Dualism di A.O. Lovejoy [1] con approvazione. Ma non ha contribuito alla formazione del mio punto di vista. Un altro pensatore, molto più importante per me, che aveva compiuto un enorme sforzo nel tentativo di andare oltre il dualismo, fu A.N. Whitehead. Probabilmente egli è uno dei maggiori filosofi moderni ad aver contribuito a una ontologia non-dualista, con il suo libro Philosophy of Organism. [2] Ma la prego di notare che la parola «organismo» qui indica tutti gli enti nell’universo che sono visti in una tradizione organica.

Culianu: Non era Whitehead ad aver detto che tutta la filosofia occidentale non è altro che una serie di note a margine su Platone, cioè, su un modo di pensare dualistico?

Jonas: È vero. Trovo abbastanza curioso il fatto che egli usasse il concetto platonico di «oggetto eterno» (una volta ogni tanto, non sono d’accordo con lui). Ma sebbene si serva di concetti platonici, è uno dei pochi ad aver ricomposto la frattura tra il mondo dello spirito e quello della materia, facendo tesoro e non rifiutando ciò che la scienza ha scoperto. Whitehead elaborò un nuovo sistema di concetti. Ad esempio, sostituì «sostanza» con «evento». Il che implica che il dato elementare della realtà non è una sostanza permanente, ma un evento che diventa attuale. Il divenire non è più una realtà di valore inferiore, come per Platone.

Culianu: Le mie domande l’hanno interrotta mentre era intento a descrivere le due possibili analogie tra il dualismo gnostico e il dualismo tecnologico. Aveva già enunciato un’analogia su una scala generale, ed era in procinto di formulare la seconda analogia, a un livello particolare.

Jonas: C’è, in effetti, un aspetto particolare della tecnologia, che ha implicazioni dualistiche: la tecnologia applicata all’organismo umano.
Ci sono altri aspetti della tecnologia, ancor più terribili, se si pensa alla bomba atomica, all’inquinamento, etc. Ma, se consideriamo attentamente la cosa, non c’è in verità niente di più terribile dell’applicazione della tecnologia all’organismo umano. Dal punto di vista metafisico, si ha qui a che fare con l’idea di puntare la tecnologia sull’essere umano, cercando di svilupparlo o modificarlo attraverso interventi mirati sull’ente che siamo.
Ha tutto questo qualcosa a che fare con il dualismo?
Ora sarò visionario: Pensi alle Ipostasi degli Arconti. I principi oscuri osservano un’immagine dall’alto. Essi la vogliono per il potere. C’è qualcosa di simile nella hybris rappresentata dal tentativo di manipolare la composizione stessa del nostro ente. Le nostre tecniche si applicano ora ai microbi. Ma l’ingegneria genetica può applicarsi a ulteriori complessi organici. Il che rappresenta una riorganizzazione della macrobiotica.
Quali sono le obiezioni a ciò? Perché non lo si dovrebbe fare?
Penso che la lezione degli gnostici possa esserci d’aiuto per sollevare tre obiezioni:
1) Giocare con la tecnologia promuove la presunzione di conoscenza (pensi al demiurgo gnostico);
2) Il risultato potrebbe essere mostruoso (questa è un’obiezione pratica);
3) E ora un’obiezione di ordine metafisico: non si deve giocare con la natura umana.
Le operazioni degli arconti gnostici e dei moderni tecnologi sono esempi di puro nichilismo. Le si potrebbe descrivere come un tornare delle facoltà alle loro precondizioni, o, se preferisce ipostasi invece che concetti, un rivolgersi dei bambini contro la propria madre.
Con una differenza: che questi bambini non possono dirsi completamente separati da loro madre, così che, se la uccidono, anche loro cesseranno di esistere.

Culianu: Martin Heidegger disse nei suoi Holzwege [3], commentando l’aforisma di Nietzsche che Dio è morto, che il nichilismo rappresenta il destino del mondo occidentale e, in quanto tale, del mondo in generale.

Jonas: Credo che Heidegger stesse interpretando il pensiero di Nietzsche. È un’idea di Nietzsche questa, non di Heidegger. Ad ogni modo, se per destino essi intendono che la stessa mentalità o gli stessi atteggiamenti mentali che costituiscono le virtù del mondo occidentale condurrebbero al nichilismo, sono certo che sbaglino. Il nichilismo non è un’inevitabile fatalità. Dovremmo disconoscere allora la nostra stessa eredità.

Culianu: Il pensiero utopico è uno degli aspetti dell’eredità occidentale. Rappresenta, secondo lei, una forma di nichilismo?

Jonas: Non mi spingerei così lontano. No, non è una forma di nichilismo, almeno fin tanto che non ascenda a una tale potenza grazie alla tecnologia e al cambiamento di condizione delle circostanze fisiche. Dopo tutto, ad oggi, nessuna Utopia si è mai realizzata. Prenda la Repubblica di Platone: era un modello che voleva essere d’orientamento ai politici. Ma il filosofo sapeva che, nel mondo reale, esisteranno sempre i compromessi, ed anche la sua Utopia lo era. Direi che la realizzazione pratica del pensiero utopico possa assumere una forma nichilistica, e che l’Utopia si fondi sulla premessa che tutto ciò che le preesiste meriti di sparire. L’elemento nichilistico – non solo intellettuale, ma molto reale – è il lato perverso dell’Utopia. È nichilismo nel senso più triviale del termine, se vuole, quello dell’annientamento delle persone, dell’eliminazione di ciò che non è all’altezza delle circostanze ideali messe in opera da coloro che si considerano i soli rappresentanti dell’unica Utopia. Lenin, Stalin, Hitler sono il lato nichilistico dell’Utopia, e non so dire se sia peggio un maniaco come Hitler o un freddo calcolatore come Lenin.

Culianu: Dopo tutto, la sua negazione si è tradotta da ultimo in un’affermazione. Esiste un’Utopia senza un lato nichilistico?

Jonas: Direi che nessuna utopia politica può evitare il nichilismo. Il che necessariamente non significa che il nichilismo sia teoricamente implicito in ogni Utopia.

Culianu: Cos’ha a che vedere questo lato nichilistico dell’Utopia, o della pratica utopistica, se preferisce, con l’affermazione di Heidegger su Nietzsche, che è stata citata in precedenza?

Jonas: L’Utopia è qualcosa di davvero immodesto nei suoi eccessi. L’antidoto contro di essa è l’umiltà, la misura, tutte virtù molto buone e antiche. Non si può dire che la mentalità occidentale ne sia stata sprovvista. E nemmeno che l’uomo occidentale sia vincolato all’Utopia.
Prenda, ad esempio, quel gruppo tedesco… «Rote Armee Fraktion», RAF credo. Commettono atti terroristici. Sono idealisti, non criminali qualsiasi. Direi che sono idealisti perché probabilmente perseguono, o meglio, vagheggiano un mondo senza contraddizioni di alcun genere, una specie di paradiso terrestre. In quel senso, devono essere degli utopisti. Ma, allo stesso tempo, non si battono per la realizzazione graduale delle loro speranze, perché ciò comporterebbe una lunga battaglia, forse impossibile, in ogni caso una battaglia dall’esito incerto e piena di compromessi. Per loro vale «o tutto o nulla». Per questo arrivano a pensare che la distruzione sia di per sé un’azione meritoria. Questo va oltre l’Utopia, è puro nichilismo. Non sembrano avere un lato positivo, ma nemmeno dicono: quel che vogliamo è il nulla. No, dicono: dopo la distruzione, ci sarà qualcosa di migliore. È un paradosso perverso del successo. Questa società ha soddisfatto in linea di massima i bisogni dell’uomo. Ma queste persone ritengono che ciò sia nulla. Questo è l’esempio di un utopismo anti-utopico.

Culianu: Nel suo ultimo libro ha analizzato molti altri aspetti del pensiero utopico. Oserei dire che è una delle critiche dell’Utopia più dure e convincenti che io abbia mai letto. Forse perché la critica viene così raramente da parte dei filosofi, i quali solitamente sono propensi ad accogliere l’Utopia sotto qualche copertura. Viene dagli scienziati, dagli uomini d’affari, dai tecnologi, dalle persone che, senza saperlo, agiscono nel nome dell’Utopia più pericolosa del nostro tempo: l’Utopia tecnologica. Vengo al dunque: Pensa che il suo libro riuscirà ad aprire gli occhi a coloro che contano nel mondo di oggi?

Jonas: Non rinuncio del tutto alla speranza che il mio lavoro possa sortire un effetto pratico. Lo considero da parte mia un esercizio di responsabilità; è un trattato sulla e intorno alla responsabilità, ma è soprattutto un esercizio di responsabilità da parte mia. Quel che posso dirle è che alcuni politici tedeschi molto influenti hanno letto il libro e mi hanno contattato. È impossibile prevedere quali saranno gli sviluppi futuri.



Traduzione dall’inglese a cura di igor Tavilla
(n. 3, marzo 2023, anno XIII)



NOTE

[1] Di Arthur Oncken Lovejoy (Berlino 1873 – Baltimora 1962), pensatore esponente del realismo critico americano e noto per la sua teoria della “storia delle idee”, in Italia sono state pubblicate diverse opere, ma non Revolt against Dualism.
[2] In realtà la “filosofia dell’organismo” non è un libro ma la dottrina  filosofica di Whitehead, illustrata nella sua opera principale, Process and Reality. An Essay in Cosmology (Cambridge University Press, 1929). In italiano è disponibile una recente edizione con il testo a fronte, basata sulla seconda “corrected edition” del 1979 (Free Press, New York): A.N. Whitehead, Processo e realtà. Saggio di cosmologia, a cura di Maria Regina Brioschi, introduzione di Luca Vanzago, Bompiani, Milano 2019.
[3] Prima edizione tedesca: Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1950. Cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, tr. it. Pietro Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968 e successive edizioni.