«Dallo Gnosticismo ai pericoli della tecnologia». Culianu intervista Hans Jonas (II) Le poche righe che seguono vogliono accompagnare con alcune considerazioni introduttive la traduzione della seconda parte dell’intervista rilasciata da Jonas a Culianu alla fine di aprile del 1975, in occasione dell’incontro avvenuto a New Rochelle, nei pressi della città di New York.
Dallo gnosticismo ai pericoli della tecnologia
Jonas: Non discuterò qui la questione di Plotino. Per quanto riguarda Origene, ho spiegato nel mio «Gnosis und Spätantiker Geist» II, 1, in che senso lo ritengo appartenere allo stesso schema a cui appartengono gli gnostici, ad esempio i Valentiniani, che erano dualisti. Il mondo e la psyché rappresentano per loro una condizione decaduta dell’ordine divino. Sotto questo riguardo, Origene è un esponente cristiano di questa opinione. Culianu: Questo schema era una specie di moda culturale del tempo? Jonas: Direi che era una specie di a priori culturale e aveva per lo spirito del tempo la forza di un’evidenza interna colla quale ogni singola spiegazione della realtà, sebbene molto diversa dalle altre, doveva tuttavia conformarsi, come a una matrice comune. Ad esempio, la trascendenza divina è portata agli estremi della distanza dalla scena del mondo, perciò innalzata e nascosta allo stesso tempo, mentre la polarità dell’essere è spinta al massimo. Questo è lo schema dominante dell’epoca. Culianu: Per quanto riguarda il dualismo gnostico, secondo lei, le sue radici debbono essere rintracciate nella situazione esistenziale dello gnostico, che sarebbe riflesso dal dualismo speculativo del sistema gnostico. C’è un prius e un posterius tra il principio esistenziale e quello speculativo? Jonas: Un tempo avrei risposto che la condizione esistenziale è il prius e il sistema speculativo un posterius. Oggi sarei più cauto e, come per ogni altra causalità del mondo umano, ammetto che causa ed effetto sono connessi in modo circolare. Ci furono studiosi che interpretarono il sistema oggettivo di Origene e la metafisica di Plotino come proiezioni di esperienze interiori. Plotino stesso dice di sperimentare momenti fugaci della suprema unione e che poi deve ridiscendere uno stadio dopo l’altro al suo stato naturale. Secondo alcuni autori, il sistema oggettivo sarebbe una specie di proiezione di un’esperienza soggettiva. Secondo questi autori, quel che rappresenta in realtà il sistema di Origene è un’esperienza interiore, effettiva e concreta, di Origene stesso. Allora io ho condotto la polemica che lei ricorda. Secondo me, lo schema oggettivo offre la possibilità di un’esperienza soggettiva: per questo rimando all’ultimo capitolo del mio «Gnosis und spätantiker Geist» II, 1, sezione 7: «Die Theorie ist die Antizipation… der Erfahrung» [La teoria anticipa… l’esperienza]. Culianu: Potremmo paragonare questo meccanismo a un feedback? Jonas: Sì. Ma solo a condizione di riconoscere che siamo di fronte a una circolarità. Il contenuto dell’informazione teoretica dipende da un feedback empirico, e nello stesso tempo quest’ultimo si espone al feedback del polo teoretico. Questo circolo modifica entrambe le parti. Culianu: È la trasposizione del «circolo ermeneutico?» Jonas: Sì. Ad ogni buon conto, non so se ciò viene fuori in modo esplicito in «Gnosis und spätantiker Geist». Culianu: Cosa direbbe del dualismo gnostico? Jonas: Lo circoscrivo soltanto a quell’epoca e a quel milieu. Non ho prestato attenzione a testimonianze indiane, ad esempio. Ci potrebbe essere un altro genere di «Entweltlichungstendenz», di tendenza acosmica, che non sfocia in un dualismo di tipo antagonistico. [Culianu] Abbiamo poi discusso la posizione di H. Jonas circa il retroterra giudaico dello gnosticismo. Secondo lui, c’è sicuramente una stretta connessione tra lo gnosticismo, da una parte, e il giudaismo eterodosso e la letteratura apocalittica, dall’altra. La sua principale riserva è che il tratto saliente del fenomeno gnostico in età ellenistica scaturisse da una condizione generativa interna e non da elementi isolati presi in prestito da questa o quella cultura, come la greca, la giudaica e quelle orientali. La causalità particolare non è importante per il fenomeno nel suo complesso. «La mia opera originale sullo gnosticismo», mi disse Hans Jonas, «non teneva in considerazione le possibilità giudaiche. Io venivo dalla «Religionsgeschichtliche Schule», da Bultmann, e perciò ero più interessato al retroterra ellenistico, Oriente compreso. Arthur Darby Nock fu il primo a notare che io avevo trascurato le componenti giudaiche. Qualcosa come 35 anni dopo incontrai A.D. Nock. Fu un incontro davvero cordiale. Mi disse: «Ha un’idea di quanto tempo ho impiegato per scrivere il mio articolo sul suo libro? Mi ci sono voluti tre mesi!». Culianu: Cosa può dirci di Bultmann? Chi imparò da chi in questo incontro? Jonas: Bultmann era un uomo molto generoso. Ho imparato da lui tutto quello che so del Nuovo Testamento. Ma in seguito egli fu affascinato dai miei lavori e poi, impercettibilmente, adottò questa mia combinazione: lo gnosticismo visto attraverso lo spettro dell’ontologia heideggeriana. Questo abbinamento divenne definitivo per Bultmann. È impossibile stabilire chi imparò da chi in questo rapporto. Da un punto di vista filosofico, il fatto più importante per Bultmann è stata la presenza di Heidegger a Marburgo tra il 1924 e il 1928. Bultmann trovò in Heidegger quel che il neokantismo non gli aveva offerto: una «Begrifflichkeit», una concettualità che fosse più simile al messaggio cristiano. Nella filosofia di Heidegger incontrò il logos adeguato alla sua interpretazione della Bibbia, persuaso, com’era, che in quella filosofia fosse espresso meglio di quanto non fosse nella sua forma mitologica originale. Egli poteva conferire al cristianesimo la coerenza che avrebbe in seguito perduto nella nostra epoca. Culianu: Cosa pensa della «demythologization»? Recentemente lei ha scritto che il suo punto di vista differiva da quello di Bultmann. Jonas: Tutti demitologizzano in una qualche misura: noi cerchiamo di trovare sotto il rivestimento mitologico altri significati (morali, etc.). Quel che la demitologizzazione ha di buono è una certa liberazione dalla condensazione del mito. È questione di grado. Se la demitologizzazione si spinge al punto da eliminare tutte le pietre d’inciampo della fede, e tutto diventa una verità esistenziale, allora il significato della religione stessa scompare. La mia impressione, da un certo momento in poi, fu che Bultmann si collocasse, più di quanto avrebbe voluto, nel solco della tradizione illuminista e del razionalismo liberale. Bultmann trasformò, attraverso la demitologizzazione, Dio e Cristo in due categorie d’esperienza. In tal senso, penso che Bultmann si spinse troppo oltre, o, almeno, manifestasse la tendenza ad andare più lontano di quanto il cristianesimo, come credo vivente, potesse tollerare. Culianu: Quale fu il suo rapporto con la «Religionsgeschichtliche Schule»? Jonas: Quello che mi ero proposto di realizzare era un approccio filosofico allo gnosticismo. Il che non poteva essere separato da questioni di ordine storico. La totalità del mondo contemporaneo, il paesaggio spirituale dell’epoca, dovevano essere compresi nella mia analisi. Nella misura in cui essa è anche uno studio storico, è – in senso lato – connessa alla «Religionsgeschichtliche Schule»: Reitzenstein, Schaeder, Bultmann e altri. Non penso di dover definire il rapporto con la «Religionsgeschichtliche Schule»: essi mi procurarono le testimonianze sulle quali ho basato la mia analisi. Non avevo l’intenzione di dare il mio contributo a questa scuola storiografica. I suoi risultati, da intendersi come la migliore esposizione del fenomeno allora disponibile, mi furono d’aiuto. Culianu: Lei ha definito il suo tentativo «Geistesgeschichtlich». Jonas: In inglese si direbbe «Storia delle idee». È un termine generico, non dice molto. Nella prefazione a «Gnosis», ho affermato che dobbiamo includere nel «Geistesgeschichte» il «Realgeschichte» [storia reale] del tempo. Culianu: Quanto è dovuto a Spengler nei suoi studi? Jonas: Spengler era un anticonformista rispetto all’intero panorama della scienza storica del suo tempo. Apprezzo in Spengler ciò che lui definì l’«intuizione morfologica»: consideravo i suoi lampi di intuizione assai originali e perspicaci (in tedesco diremmo: «hellsichtig»). Non è uno storico affidabile. Da lui ho preso due cose. La prima fu la conferma di un mio punto di vista: le modalità emergenti di pensare e sentire, di cui i dotti gnostici sono testimoni, stanno a rappresentare un nuovo modo di essere-nel-mondo, una nuova «Kulturseele» [anima della civiltà] (Spengler). Ma questo termine è discutibile. Preferisco parlare di «Daseinshaltung» [atteggiamento esistenziale], che emerge in un ambiente culturale innegabilmente sincretista: una mescolanza di vecchie eredità frammentate, inglobate nell’espressione di una nuova mentalità. Ma, a mio avviso, lo gnosticismo in quanto tale non poteva essere spiegato dall’appropriazione di queste tradizioni più antiche. Quel che mi colpì, fin dall’inizio, era piuttosto la sua essenziale novità. Per questo ho accolto l’ardita intuizione di Spengler di un nuovo inizio, che incoraggiava il mio modo di vedere le cose e poteva giovare al mio compito, offrendosi come uno strumento euristico. Ho accolto anche, con buoni risultati metodologici, il concetto di «pseudomorfosi» che egli ingegnosamente prese in prestito dalla mineralogia per interpretare la morfologia culturale di quel particolare momento storico. In generale, ovviamente, Spengler dev’essere preso con molta cautela come guida. La sua intuizione magistrale può essere spesso ridicolmente sbagliata quanto altre volte sorprendentemente giusta. A questo proposito, nella mia introduzione a «Gnosis» vol. I, ho riconosciuto al grande outsider quanto gli era dovuto, consapevole di provocare la riprovazione dell’establishment accademico. Spengler, ad ogni modo, non fu insensibile al tributo: in una lettera, lodò il mio lavoro con una sola, incomparabile, frase: «Was ich darüber gesagt habe, hat ausser Ihnen niemand verstanden», quel che ho affermato al riguardo, non l’ha capito nessun’altro all’infuori di voi. Culianu: Come collega lo gnosticismo alla filosofia della biologia? Jonas: Altrove ho indicato [2] quali fossero le motivazioni esistenziali (o esperienziali) che mi indussero a distogliere il mio interesse dall’antico per dirigerlo al mondo moderno. Ciò accadde durante la guerra, e l’ho vissuto come una frattura, non come un passaggio fluido da un campo all’altro. Ma, come mi è capitato di osservare in un’altra occasione, [3] lo gnosticismo aveva nondimeno le braccia lunghe e riuscì ad acciuffarmi. Una persona, in particolare, ebbe un ruolo attivo nel mio «riposizionamento»: James M. Robinson. Egli mi esortò a scrivere quella recensione a J. Doresse. [4] Ora, per tornare alla sua domanda, ho già risposto nel mio articolo «Gnosticismo e nichilismo moderno», e anche in altre occasioni ho cercato di riconoscere alcune connessioni tra i due fenomeni. Culianu: Crede che nell’uomo moderno sopravvivano ancora schemi religiosi? Jonas: Se poniamo la questione nei giusti termini, ci accorgiamo che abbiamo a che fare qui con un problema interiore: cioè lo status della religione negli occidentali, vale a dire i suoi termini non fideistici e il suo esser sprovvista di una fondazione dogmatica. Se è così, allora rispondo di sì. Mi capita di ricevere delle lettere (specialmente dalla California) in cui le persone mi dicono che leggendo The Gnostic Religion si sono sentite aiutate nel loro discernimento, cosa che talvolta mi fa sentire a disagio. In America, i credi ufficiali, le denominazioni della Chiesa cristiana e dell’Ebraismo, hanno perso il loro potere di fornire risposte alle domande fondamentali. Ci sono credi che non si sono compromessi come è accaduto ad altri credi nel corso della loro storia. Oggi vanno di moda i guru, la meditazione, il buddismo zen, etc. Dubito della rilevanza storica di queste mode: penso che abbiano vita breve. Ma sono quasi sicuro che senza una qualche forma di risveglio dell’impegno religioso l’uomo occidentale non sarà capace di trovare le spinte necessarie per affrontare il pericolo rappresentato dall’auto-distruzione tecnologica. Jonas: La «naïveté» degli americani è un misto di materialismo e idealismo. La promessa materialista del progresso tecnologico è in parte confermata dal soddisfacimento delle richieste del consumatore. La «naïveté» sarebbe probabilmente a favore di questo genere di cosa. Quando l’insoddisfazione supera questa prospettiva edonistica, allora potrebbe darsi, sotto la spinta di ciò, del «Dio che ha fallito», il dio della civiltà moderna, che essi si volgano altrove. Ci sono vantaggi e svantaggi: le tentazioni della «buona vita», gli alti standard di vita sono forti. Ma la sorpresa degli anni Sessanta fu questa: la gioventù della classe media si ribellò contro la vacuità, la volgarità e la superficialità dell’«American way of life». Non furono i poveri a ribellarsi, ma i figli di papà. Culianu: È possibile che l’antidoto per contrastare la tecnologia venga dalla religione? Jonas: No. Ma è probabile che senza religione, i rimedi contro questo pericolo non vengano accolti dalle masse. È necessario il consenso delle persone perché possa funzionare un nuovo stile di vita che richiede un’adesione interiore. Tale affermazione interiore di un nuovo stile di vita non potrà aver luogo se non grazie al coinvolgimento della religione. Le anime degli uomini non sono mosse e determinate da considerazioni puramente razionali. Il mio scetticismo nel potere della ragione di governare gli affari umani su scala mondiale, mi fa dire che il sacrificio e l’abnegazione richiesti a tale scopo sembrerebbero esigere qualcosa di analogo alla religione come fonte psicologica. Il risveglio di un orientamento trascendente, che possa esercitare una pressione psicologica sul comportamento delle persone, è l’incognita nell’equazione del futuro. Culianu: Tornando alla sua filosofia dell’organismo: è un nuovo modo per l’uomo di riorientare se stesso? Jonas: Non saprei. Potrebbe rappresentare un aiuto per quelle persone che riflettono sui loro obiettivi. La conoscenza e il discernimento sono le condizioni fondamentali di una vita degna di questo nome. Se si ha fiducia in Platone, Cartesio e Spinoza, allora il puro sapere o la ricerca ci fanno scegliere gli obiettivi e determinano uno stile di vita. Non ho questa fiducia, ma credo che ogni genere di conoscenza possa essere d’aiuto. Ad esempio, la fisica, se è integrata in una filosofia generale della realtà. Non so dire se la mia analisi dei diversi sensi abbia una qualche implicazione pratica. Differisce dal presente lavoro sull’etica connesso alla «ragion pratica», il quale necessita una fondazione teoretica. [Culianu] Su per giù in questo punto, si concludeva l’intervista del 1975 e con essa il nostro incontro. Nel 1979 venne pubblicato il famoso libro di Jonas Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilization (Frankfurt a.M, Insel Vg.) [Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, tr. it. di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1990]. La nostra intervista del 1980 partiva dal tentativo di stabilire una continuità tra la prima e la seconda fase della carriera filosofica di Hans Jonas.
NOTE [1] Plotin über Ewigkeit und Zeit, in A. Dempf, H. Arendt, Fr. Engel-Janosi (Eds.), Politische Ordnung und menschliche Existenz: Festgabe für Eric Voegelin, München 1962, pp. 295-319; Plotins Tugendlehre, in F. Widemann (Ed.), Epimeleia. Die Sorge der Philosophie um den Menschen, München 1964, pp. 143-73. |