«Dallo Gnosticismo ai pericoli della tecnologia». Culianu intervista Hans Jonas (I)

Il 5 novembre 1975 Culianu discuteva presso la Facoltà di lettere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sotto la guida di Ugo Bianchi, la propria tesi di laurea in Storia delle religioni dal titolo: Gnosticismo e pensiero contemporaneo: Hans Jonas. A distanza di dieci anni, l’editore “L’Erma” di Bretschneider di Roma pubblicava il lavoro nella sua «forma definitiva» con il titolo Gnosticismo e pensiero moderno: Hans Jonas. Il libro si apre con una dedica «per il professor Ugo Bianchi, a ricordo dei suoi corsi sulla gnosi (1973-1974)» e nella nota che segue, datata Groninga 19 luglio 1982, Culianu riconosce di essere largamente debitore al «magister milanese abbandonato ma non tradito» (p. 9). Già nel novembre 1976, infatti, Culianu, dopo aver ricoperto la posizione di docente a contratto di storia delle religioni e storia del cristianesimo all’Università Cattolica di Milano, partiva alla volta di Groningen dove otteneva nel 1978 il ruolo di Assistant Professor in Romenistica. Soltanto nel 1985 sarebbe diventato professore associato, ma nel frattempo, nel 1980, discuteva il Dottorato (3ème cycle) in Scienze Religiose presso l’Università Sorbona (Paris IV) sotto la guida di Michel Meslin.
Il volume del 1985 consta di cinque capitoli, preceduti da una Premessa e da una Introduzione, e si conclude con un’Appendice bibliografica e due interviste in inglese ad Hans Jonas, rispettivamente condotte da Culianu nel 1975 e nel 1980.
Di queste interviste forniamo di seguito la prima traduzione italiana; curiosamente, infatti, sebbene Culianu annunciasse in premessa, oltre al testo inglese, la versione italiana delle due “discussioni”, il libro, in verità, non le riporta.
Discepolo di Rudolf Bultmann e Martin Heidegger, in Gnosis und Spätantiker Geist (I, Die mythologische Gnosis, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1934; II, Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1954; tr. it. Gnosi e spirito tardo-antico, a cura di Claudio Bonaldi, Bompiani, Milano 2010) Jonas aveva descritto la condizione esistenziale dell’homo gnosticus nei termini di una doppia alienazione, prima nei confronti del mondo, dove si trova “gettato” suo malgrado, e poi nei confronti della trascendenza, nella misura in cui adattandosi all’esilio mondano finisce per estraniarsi rispetto alla sua vera origine.
L’originalità dell’interpretazione esistenziale dello gnosticismo consisteva nel presentare il rapporto tra teoria ed esperienza in termini diversi da come lo psicologismo era solito intenderlo. Non esiste un rapporto di anteriorità-posteriorità tra l’una e l’altra, per cui è l’esperienza che genera la teoria. Esisterebbe semmai un circolo esperienza-teoria-esperienza. Se la teoria è, infatti, per un verso, il portato di un’esperienza fondamentale, di una «radice esistenziale», per altro verso, essa prefigura l’esperienza e la rende possibile. Pur con tutti i limiti che la caratterizzano (l’acquiescenza nei confronti della presunta origine orientale dello gnosticismo, l’opinabile distinzione tra gnosticismo “siro-egiziano” e “iranico”, la circolarità ermeneutica a cui l’interpretazione esistenzialista dello gnosticismo conduce), la sintesi offerta da Hans Jonas rappresentava agli occhi di Culianu un salto di qualità negli studi sullo gnosticismo, soprattutto per aver accantonato il concetto di “sincretismo” a vantaggio di una definizione essenziale del fenomeno in questione, inteso come un dualismo cosmologico e antropologico. Culianu non dubita ancora dell’idea che lo gnosticismo sia un fenomeno religioso strutturalmente unitario, stante la possibilità di rinvenire la presenza in tutte le tendenze gnostiche di alcuni tratti distintivi costanti: la genesi trascendentale del mondo e dell’uomo, il dualismo cosmologico tra una zona inferiore e una superiore, la consustanzialità dell’uomo con gli eoni superiori, una soteriologia basata sul conseguimento della «conoscenza» (gnosi) e un’escatologia, cioè una dottrina del destino che attende l’anima dopo la morte ma anche la sua liberazione estatica in vita. Muovendo da questa premessa, Culianu distingue nello gnosticismo due “linee genetiche”, una che parte da Simon Mago per arrivare ai Valentiniani, caratterizzata dalla presenza di un eone femminile la cui caduta è responsabile della frattura fra mondo superiore ed inferiore, l’altra che parte da Basilide alessandrino – il più colto e intellettuale tra gli gnostici cosiddetti «cristiani» – e dai Sethiani di Ippolito per arrivare al manicheismo, da cui successivamente sarebbero scaturiti paulicanesimo, bogomilismo e catarismo.
In polemica con la Religionsgeschichtliche Schule e l’ipotesi delle presunte origini iraniche dello gnosticismo, ipotesi a cui anche Jonas sembra prestar credito, Culianu propende per ritenere che lo gnosticismo si sia separato dal tronco del giudaismo nel II d.C., a seguito della distruzione del Tempio nel 70 e della diaspora del 135, eventi che avrebbero stimolato in ambienti ebrei ortodossi una diversa interpretazione, in senso “diteista”, di alcune dottrine tradizionali, come quella degli “angeli dei popoli”. Un altro merito ascrivibile a Jonas, sta nell’aver privilegiato un approccio comparativo, da cui è emerso, ad esempio, come lo schema “devolutivo” presente nei sistemi gnostici appartenga strutturalmente al mondo tardo-antico e si ritrovi in autori come Origene e Plotino, che pure avversavano lo gnosticismo. Non ultimo, Culianu appare debitore a Jonas per quanto concerne la possibilità di rintracciare elementi gnostici nel pensiero moderno – tra gli altri in Leopardi, Eminescu, Victor Hugo, Bulgakov, spunti che lo storico delle religioni romeno svilupperà ampiamente in I miti dei dualismi occidentali (1989) – fino a riconoscere nel nichilismo l’estremo esito di questo sistema religioso d’idee.
Da ultimo è interessante notare che già nei primi anni Ottanta Culianu parlava dello gnosticismo come di un “sistema” e riconosceva quale fine dell’indagine storica quello di portare alla luce gli «schemi oggettivi», «gli universali ideologici» che operano all’interno dei diversi contesti spazio-temporali. Compito dello storico, scrive Culianu, anticipando la svolta cognitivista che sarebbe giunta a piena maturazione nell’ultima fase del suo pensiero, è quello di «determinare il funzionamento di quel sistema di pensiero che costituisce l’oggetto della sua indagine» (p. 10).
Nell’intervista del 1975, Culianu ripercorre innanzitutto le tappe della formazione filosofica e teologica di Jonas, le circostanze che lo hanno condotto a occuparsi di gnosticismo, rievocando in particolare i seminari tenuti da Rudolf Bultmann e Martin Heidegger nella seconda metà degli anni Venti a Marburgo e il successo “sotterraneo” che ha arriso in Germania alla prima parte della sua opera d’esordio: Gnosi e spirito tardo-antico. La gnosi mitologica. Sullo sfondo delle vicende drammatiche che hanno sconvolto l’Europa nel secolo scorso, e hanno riverberato pesantemente sulla vita di Jonas (il quale fu costretto a emigrare dalla Germania nel 1933, in quanto ebreo e sionista, e alla fine della guerra apprese che sua madre era morta ad Auschwitz) l’intervista gravita attorno al controverso rapporto con Heidegger, che Jonas non ha mai smesso di considerare il suo «insegnante decisivo», sebbene ne prendesse pubblicamente le distanze, dopo un sofferto tentativo di riconciliazione, in ragione del suo coinvolgimento con il regime hitleriano, mai sconfessato dal filosofo tedesco.

Nota al testo: le note al testo sono tutte di Culianu. Eventuali interventi tra parentesi quadre sono da intendersi da parte del traduttore. Le forme Q. (Question) e A. (Answer) del testo inglese delle interviste sono state qui sostituite con i nomi dell’intervistatore e dell’intervistato (rispettivamente, Culianu e Jonas). Finora le interviste sono state tradotte solo in romeno, nell’edizione di riferimento: Gnosticismul și gîndire modernă: Hans Jonas, trad. di Maria-Magdalena Anghelescu e Şerban Anghelescu e con postfazione di Eduard Iricinschi, Polirom, Iași 2006.


 

Dallo gnosticismo ai pericoli della tecnologia
Un’intervista con Hans Jonas



Ho avuto il doppio privilegio di intervistare Hans Jonas. Un primo incontro, a New Rochelle, nei pressi di New York City, ebbe luogo tra il 26 e il 27 aprile 1975. L’opportunità di un secondo colloquio si presentò cinque anni dopo, a Mondorf-les-Bains [località termale del Lussemburgo sud-orientale] (29-31 luglio 1980). In entrambe le occasioni, i coniugi Jonas hanno mostrato nei confronti del loro ospite (e a Mondorf anche nei confronti della di lui moglie), una gentilezza tanto rara quanto la saggezza.
Nella primavera 1975, le uniche informazioni biografiche dettagliate su Hans Jonas erano quelle fornite dallo studioso medesimo nell’introduzione ai suoi Philosophical Essays. [1] Allora, potevo ancora affermare che la mia intervista contenesse «ad oggi le più ampie informazioni autobiografiche» su Hans Jonas. Le cose nel frattempo sono profondamente mutate, a partire dal discorso tenuto da Jonas come presidente onorario dell’International Colloquium on Gnosticism (Stoccolma, 1973), poi pubblicato con il titolo: A Retrospective View. [2] Durante il nostro incontro a Mondorf, Jonas mi consigliò di inserire nella versione finale, riveduta, delle due interviste alcuni passaggi tratti da A Retrospective View, purché, ovviamente, citassi la fonte. Decisi, comunque, di citare solo poche informazioni da altre fonti, nelle note a piè di pagina di questa intervista.
Dopo tutto, sebbene ogni intervista sia esclusivamente “figlia” dell’intervistato, l’intervistatore, dal canto suo, gioca in questa nascita il ruolo della levatrice. Difficilmente accetterebbe di vedere un altro bambino – sia pure dieci volte più forte e bello – prendere il posto della creatura che ha aiutato a nascere.
Un ultimo ringraziamento: al Professor Jonas va tutta la mia riconoscenza per la sua squisita ospitalità e per aver corretto con angelica sopportazione, da uomo molto paziente qual è, i molti errori di vario genere che costellavano la mia stesura dell’intervista, da lui stesso perfezionata in alcune parti.

                                         Ioan Petru Culianu
Groningen, 11 Settembre, 1980


(1975)


Culianu: Il Professor Bianchi ci ha parlato, in privato, a noi suoi assistenti, del Suo brillante intervento al congresso sullo gnosticismo tenutosi a Stoccolma. Vorrebbe cortesemente ricordarci di nuovo cosa l’ha portata a occuparsi dello gnosticismo?

Jonas: Prima di iniziare i miei studi universitari avevo approfondito la conoscenza dell’Antico Testamento per conto mio. Lessi inoltre numerosi commenti elaborati nell’ambito della scuola dei biblisti protestanti. Quando mi sono immatricolato all’Università di Friburgo nel 1921, [3] rientrava nei miei piani studiare la religione parallelamente alla filosofia. Friburgo era una delle capitali della filosofia in Germania. A Friburgo c’erano il vecchio Edmund Husserl e un giovane «Privat-Dozent» di nome Martin Heidegger. [4]
Avevo diciotto anni. Nell’ultimo anno di liceo ero diventato un sionista. Per questo decisi di trasferirmi, dopo il primo semestre, da Friburgo a Berlino, dove si trovava una «Hochschule für die Wissenschaft des Judentums» e l’Università del luogo vantava una «Evangelisch-Theologische Fakultät», dove lo studio dell’Antico Testamento era ben rappresentato da Grossman tra gli altri. Studiai filosofia a Berlino per tre semestri (1921-1923) con Ed. Spranger. Gli studi filosofici si rivelarono meno appassionanti che a Friburgo, motivo per cui decisi di farvi ritorno dopo un semestre di intervallo, nel corso del quale cercai di imparare l’agricoltura come apprendista contadino, dal momento che stavo valutando la possibilità di stabilirmi in un kibbutz in Palestina. Dall’autunno 1923, trascorsi due semestri a Friburgo, e nell’autunno 1924 mi recai a Marburgo. Lasciai Husserl e seguii Heidegger, il quale era diventato ordinarius proprio a Marburgo. In Germania uno studente può cambiare università ogni volta che lo richieda. Così, mi recai a Marburgo e trovai là una situazione molto interessante: esisteva un gruppo di studenti devoto ad Heidegger, e tra di loro, in qualche caso, persone che erano interessate anche alla teologia. Esisteva una certa promiscuità tra «filosofi» e «teologi». Gli stessi Heidegger e Bultmann erano diventati amici, e Bultmann faceva spesso riferimenti ad Heidegger. Heidegger, che in origine aveva studiato la teologia cattolica e doveva farsi sacerdote, aveva mantenuto un interesse per le questioni teologiche.
La mia generazione preferiva il giovane Heidegger al primo Husserl. Mi iscrissi al seminario di Bultmann sul Nuovo Testamento. C’era anche Hannah Arendt, un’altra studentessa ebrea del gruppo di Heidegger. Mentre lavoravo con Heidegger, ero anche molto attivo nel seminario di Bultmann, e là mi esercitai nell’interpretazione del Nuovo Testamento.
Poi accadde qualcosa:
Intorno al 1926 il seminario di Bultmann era sul quarto Vangelo. Tra i temi assegnati agli studenti per il seminario c’era gnosis Theou, e io lo scelsi come argomento. Dovevo produrre una relazione. Così è cominciato il mio lavoro sullo gnosticismo. Cominciai ad ampliare gli orizzonti della mia ricerca: lessi Agnostos Theos di Norden, qualcosa sui Mandei, ecc. Questo fu per me un catalizzatore: un fulcro attorno al quale andavano organizzandosi tutte le idee e i concetti. Il contributo che preparai per il seminario iniziava ad assumere proporzioni sempre più ampie e in qualche modo trascendeva i limiti di un intervento seminariale. Mi presentai al seminario con molte pagine scritte e allora Bultmann mi concesse di presentare il mio intervento dalla cattedra. Presentai la parola gnosis nel suo significato più ampio non solo nei Vangeli e in San Paolo, ma anche nel mondo ellenistico circostante. Parlai per due ore; alla fine, mancava ancora molto alla conclusione del mio intervento, Bultmann disse: «Molte grazie, Herr Jonas, è stato molto interessante. Vede, le idee alle quali è addivenuto mi sembrano molto importanti. La mia impressione è che lei dovrebbe portare avanti la sua ricerca». «Ma, replicai, sono uno studente di filosofia. Pensa che Heidegger accetterebbe questo argomento per la tesi?» «Ne parlerò con lui». E Heidegger fu d’accordo. [5] È stata questa la circostanza che mi ha condotto a questi studi. Mi ha aperto la porta, e per anni sono rimasto immerso in quell’argomento.
Ora, non molto tempo dopo, nel 1927, partecipavo a un seminario di Heidegger sulla volontà (non ricordo quale fosse il titolo esatto); uno degli argomenti che dovevano essere trattati era la Libertà e la Servitù della Volontà in Sant’Agostino. Presentai quell’intervento nell’ambito del seminario, Heidegger restò molto impressionato e lo riferì a Bultmann, il quale si offrì di pubblicarlo nella sua serie «Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments» [6] prima della discussione del mio Dottorato di ricerca, che conseguii nel 1928. La mia tesi era «Der Begriff der Gnosis» [Il concetto di gnosi], poi confluita nella prima parte del secondo volume del mio «Gnosis und Spätantiker Geist» [Gnosi e spirito tardo-antico] nel 1954, quasi trent’anni dopo. Quando emigrai dalla Germania (nel 1933), Bultmann fu la sola persona dalla quale mi congedai. Mi recai a Marburgo e soggiornai presso la sua abitazione. [7] Avevo stipulato un contratto per «Gnosis und Spätantiker Geist» con l’editore Vandenhoeck & Ruprecht di Gottinga. Bultmann si offrì di scrivere una prefazione, per incoraggiare l’editore a pubblicare il lavoro di un autore ebreo émigré. Dopo il 1933 mi recai a Londra, [8] e poi nel 1935 a Gerusalemme. Presso la Hebrew University di Gerusalemme, fui docente a contratto per diversi semestri, ma non ottenni alcun incarico a tempo indeterminato. Non c’erano posti disponibili allora. [9]
In Germania, il mio «Gnosis und Spätantiker Geist» non ricevette l’accoglienza sperata, la mia unità si trasferì dall’Italia in Olanda, ed ebbi l’occasione di chiedere a A.D. Nock, uno straniero, di scrivere una recensione in inglese. Altre recensioni apparvero in Francia (Revue de métaphysique et de morale), in Olanda, in Canada. [10] Ma andiamo avanti.
Veniamo alla mia visita a Bultmann dopo la guerra. Sono stato volontario nell’esercito britannico (artiglieria), in una unità ebraica separata («The Jewish Brigade Group»). Ho partecipato alla campagna d’Italia nel ’44-’45. Dopo la resa della Germania, la mia unità si trasferì dall'Italia all'Olanda, e fui dislocato per caso vicino Venlo, a soli venti chilometri dalla mia città natale. Avevo il permesso di viaggiare per la Germania, e mi recai ad Heidelberg per incontrare Karl Jaspers. Fu lui a dirmi che il mio «Gnosis und Spätantiker Geist» era diventato un fattore importante nella vita segreta della intellighenzia tedesca durante la guerra.
Jaspers aveva un modo molto aristocratico di esprimersi: «Herr Jonas» disse, «ich habe mit Bewunderung, Gedankenstrich, nein, mit Begeisterung ihr Buch über Gnosis gelesen» [«Sig. Jonas… ho letto il vostro libro sulla gnosi con ammirazione, fece una pausa, no, mi correggo, con entusiasmo»]. Quando gli parlai dei miei nuovi progetti filosofici, trovò il modo di avanzare le sue rimostranze: «Prima dovete scrivere il vostro secondo volume» disse. Sempre più spesso incontravo persone che non avevano alcuna familiarità con gli studi storici ma che avevano letto il libro. E mi dicevano che il libro li aveva interessati moltissimo. È piuttosto strano che il successo del mio libro sia stato “sotterraneo” e non sia stato deciso da pubblici dibattiti.
Penso che qualcosa unisse l’Europa di allora allo Gnosticismo: la situazione apocalittica e nichilista. La mia teoria è che questa coincidenza favorì il successo apocrifo del libro. In seguito, quando incontrai ad Amburgo Von Weizsäcker, un fisico convertito alla filosofia, mi disse di aver letto il mio libro a Gottinga durante la guerra. Il teologo F. Gogarten glielo aveva consigliato. Anche G. Quispel disse che, nell’Olanda occupata, il libro fu importante per i miei lettori. Penso di aver toccato il nervo scoperto di un’epoca. Questo non vuol dire, e ci tengo a sottolinearlo, che la mia interpretazione dello gnosticismo fosse corretta: semplicemente incontrava lo stato d’animo che le circostanze storiche avevano concorso a determinare. È alquanto probabile che il prossimo tentativo storico, basato sulla scoperta di nuovi materiali, renda il libro obsoleto.

Culianu: Non sono sicuro che i materiali di Nag Hammadi renderanno obsoleto il suo libro. Dopo tutto, il suo libro ha rappresentato una novità a un livello diverso da quello storico, segnatamente, a livello ermeneutico. Non si riuscirebbe altrimenti a spiegare perché questo libro eserciti ancora una forte attrazione, se non un’influenza sulle giovani generazioni.

Jonas: Ciò mi sorprende. Mi sarei aspettato che dopo le nuove scoperte il libro diventasse obsoleto. Mi sono deliberatamente assunto dei rischi e ho avanzato delle tesi coraggiose nella interpretazione filosofica. Se mi venisse chiesto ora, non sono sicuro fino a che punto rinuncerei alle tesi affermate allora. Si trovano nel libro alcune prospettive generali che in apparenza risultano ancora utili per comprendere lo gnosticismo nel contesto più ampio della storia umana. na simile interpretazione non può produrre alcuna dimostrazione: le cose vanno considerate come provvisorie. La mia interpretazione non era dogmatica, ma solo uno dei possibili modi di comprendere le cose, di renderle vive e trasparenti all’uomo moderno.
Ma andiamo avanti.
Da Heidelberg mi recai a Gottinga per incontrare l’editore. Non lo avevo mai incontrato prima. Così venni a sapere qualcosa della fortuna del mio libro. Per quanto riguarda la prima parte di «Gnosis und Spätantiker Geist», Ruprecht disse che, nel 1938, dovette ritirare le copie dal mercato per evitare che andassero distrutte. Esistevano circa 500 copie custodite in un bunker antiaereo. Sette pagine della seconda parte del primo tomo (di centododici pagine) erano ancora conservate nelle cornici di stampa, con i caratteri composti a mano. Hellmut Ruprecht mi disse che ogni anno dovettero decidere che fare delle composizioni le quali tenevano impegnati un considerevole numero di preziosi caratteri tipografici. Ogni volta decisero di conservare la composizione, nella speranza che «un giorno tutto sarebbe finito, e il Dr. Jonas avrebbe fatto ritorno a casa». Questa dimostrazione di fiducia mi commosse, eppure non potei risolvermi a pubblicare in Germania, poiché mia madre era stata assassinata ad Auschwitz.
Nella Germania occupata dagli alleati, la posta non funzionava ed era difficile per i civili viaggiare. Ruprecht, perciò, mi consegnò una copia dell’ultimo libro di Bultmann allora in stampa, [11] e mi recai a Marburgo per incontrare il mio professore. Suonai il campanello della casa di Bultmann, e fu la Signora Bultmann ad aprirmi. Fissò il soldato britannico, e poi scoppiò a piangere. Con le parole «Rudolf, du hast Besuch» [«Rudolf, hai visite»], mi condusse nel suo studio, la stessa stanza di dodici anni prima. Anche lui era lo stesso, ma molto pallido. Portavo sotto il braccio il libro che Ruprecht gli mandava per mio tramite. Disse: «Posso sperare, Herr Jonas, che questo sia il secondo volume di “Gnosis und Spätantiker Geist”?». [12]
Oggi (nel 1975) Bultmann ha 91 anni. [13] I suoi occhi si sono molto indeboliti, ma la sua mente è assai vivace. In seguito, mi fu offerta una cattedra a Marburgo, ma rifiutai.

Culianu: Quali furono i suoi rapporti con Heidegger a quel tempo?

Jonas: L’influenza filosofica più profonda sul mio lavoro fu quella di Heidegger. Ma quando Hitler prese il potere, Heidegger si schierò pubblicamente dalla sua parte, fu nominato rettore dell’Università di Friburgo dal partito nazista, e quello fu un disastro per la filosofia stessa, per la cause della filosofia nel mondo. Fu anche una grande delusione per la maggior parte dei suoi allievi, specialmente gli ebrei, tra i quali c’ero anch’io.
Jaspers e Bultmann avevano rotto i rapporti con Heidegger. Ma Heidegger era, ed ancora è, un pensatore importante. Nel 1959-60, quando trascorsi un anno in Germania, svolsi attività di docenza presso varie Università tedesche, tra cui Heidelberg. Là, un vecchio studente di Marburgo, il professore di teologia Günther Bornkamm, mi disse: «Ho un messaggio per voi da parte di Heidegger. È stato da poco qui, e quando gli dissi che sareste venuto mi chiese, di fatto ha insistito, affinché vi porgessi i suoi cordiali saluti». Rimasi senza respiro. Evidentemente, si trattava di un’apertura da parte di Heidegger. Su due piedi, dovevo decidere cosa rispondere. Avrei dovuto ricambiare i saluti? Restai in silenzio per circa un minuto mentre pensavo tra me e me cosa fare. Poi risposi semplicemente: «Grazie». Rifiutai la mano che mi veniva porta.
Ma questa faccenda non mi dava tregua, e la volta successiva che ebbi occasione di parlare con Bultmann dell’accaduto gli chiesi la sua opinione al riguardo, se la mia decisione fosse giusta oppure no. Ripeto di seguito le parole con cui mi rispose, così come le ricordo: «Nel 19… (fine anni quaranta o primi cinquanta) mi trovano a Zurigo per una serie di conferenze, e anche Heidegger si trovava là. Un giorno, ricevetti un messaggio nella mia stanza d’albergo. Il Professor Heidegger era nella hall e chiedeva di poter salire per farmi visita. Risposi di sì, e quello fu il nostro primo incontro e colloquio dal 1933. Quasi all’inizio della nostra conversazione gli dissi: Martin, il tempo è giunto, ed è oltremodo opportuno, che tu ritratti pubblicamente il tuo ben noto ruolo durante il periodo nazista. Lo devi a noi e anche a te stesso, e io mi aspetto che tu lo faccia. Quella volta e anche in seguito, mi promise che lo avrebbe fatto presto. [14] Sono passati dieci anni da allora, e ancora aspetto una dichiarazione pubblica da parte sua. E (Bultmann continuò con un’intonazione accentuata), lieber Herr Jonas, dal momento che lui non ha fatto nulla del genere, al suo posto anch’io non recederei dalla posizione che avete assunto». Era il 1960, e per quanto ne so, nulla «del genere» è accaduto da allora. Ma le cose tra me e Heidegger non finirono lì.
Nel 1964, il discorso che tenni in apertura ai lavori del Secondo Convegno sull’Ermeneutica, «Heidegger e la teologia», alla Drew University di Madison (N.J.), mi offrì l’opportunità di regolare pubblicamente i conti con il mio maestro di un tempo e i suoi pregressi nazisti. Fu una bomba per la conferenza internazionale (tedesco-americana), salutata da una standing ovation e riportata in prima pagina dal New York Times. Si registrò anche una contestazione il cui titolo suonava nientemeno che: «Heidegger e Dio – e il Professor Jonas», la Suarez Lecture tenuta presso la Fordham University nel 1964 dal Prof. W.J. Richardson (S.J.), il quale aveva appena pubblicato (1963) il suo formidabile volume, affatto elogiativo, su Heidegger. Notizia del mio discorso presto giunse in Germania, e fui invitato quello stesso anno a ripeterla, in tedesco, presso varie università (comprensibilmente Friburgo non era inclusa tra queste). Naturalmente, Heidegger venne a sapere di questo ciclo di conferenze, e quando Richardson gli fece visita quell’estate nello Schwarzwald, si lamentò con lui – non tanto del «suo ex allievo che lo attaccava nelle università tedesche» quanto del fatto «che nessuno si fosse levato in sua difesa». Il che non era vero in senso letterale ma in generale abbastanza vicino al quadro d’insieme.
Tuttavia, alcuni anni dopo, quando mi trovavo di nuovo in Europa e l’ottantesimo compleanno di Heidegger era alle porte, dissi a me stesso che 35 anni dal colpevole vuoto di memoria erano sufficienti come «termine di prescrizione», e che se avessi mai desiderato incontrare ancora una volta il più grande dei miei docenti, non dovevo rimandare oltre. Così gli scrissi un breve messaggio a questo scopo: “Sebbene una lettera da parte mia non possa contare su una amichevole accoglienza da parte vostra, né quanto si frappone tra noi possa, o debba essere, da me dimenticato – resta però il fatto che voi siete stato il mio insegnante decisivo e non avete mai cessato di essere per me una fonte di ispirazione filosofica.
Perciò, consapevole della mortalità (eingedenk der Sterblichkeit), vi chiedo se intendiate concedermi di incontrare per una volta ancora l’uomo che, nell’istruzione come nella pena, tanto ha inciso nella mia vita. Se non dovessi ricevere risposta, sarebbe pur sempre una risposta, e con ciò avrò pace».
Mi rispose immediatamente, e avemmo un incontro cordiale di diverse ore, abbandonandoci ai ricordi e filosofando – ma senza venir mai alla dolorosa questione, rispetto alla quale il più fugace accenno da parte sua avrebbe rappresentato moltissimo per me. Da allora non lo vidi mai più. In occasione del Festschrift per il suo ottantesimo compleanno diedi il mio contributo «On Understanding History» (Wandel und Bestand [Mutamento e stabilità], ripubblicato in traduzione nei miei «Philosophical Essays»).



Traduzione dall’inglese a cura di igor Tavilla
(n. 1, gennaio 2023, anno XIII)



NOTE

[1] Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological Man, Englewood Cliffs 1974, pp. 1s. [tr. it. di Giovanna Bettini, Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, Il Mulino, Bologna 1991].
[2] A Retrospective View, in Proceedings of the International Colloquium on Gnosticism (Stoccolma, 20-25 agosto, 1973), ed. by G. Widengren, Stockholm-Leiden 1977, pp. 1-15.
[3] Maggiori particolari su quel periodo si trovano in «A Retrospective View», p. 2.
[4] «Un giovane, ammirevole e disturbante “Privatdozent”, Martin Heidegger, che in qualche modo trasferì il metodo fenomenologico, cioè, l’accurata descrizione dei fenomeni mentali, dall’ambito puramente cognitivo al quale Husserl lo aveva confinato (…) ai fenomeni dell’esistenza…» (Ivi, pp. 3-4).
[5] Maggiori dettagli in Ivi, p. 5.
[6] Augustin und das paulinische Freiheitsproblem. Eine philosophische Studie zum pelagianischen Streit (FRLANT, 27), Göttingen 1930.
[7] Cf. Im Kampf um die Möglichkeit des Glaubens, in Gedenken an Rudolf Bultmann, Tübingen 1977, pp. 43-44: «Bultmann war der einzige meiner akademischen Lehrer, den ich vor meiner Auswanderung noch einmail zum Abschieden besuchte… [Bultmann fu l’unico dei miei professori universitari a cui abbia fatto visita un ultima volta prima di espatriare]» (segue la descrizione dell’ultima patetica visita prima dell’esilio).
[8] A proposito dell’accoglienza tiepida ricevuta dallo studioso esiliato a Londra, si rimanda a «A Retrospective View», pp. 8-10.
[9] La Signora Jonas mi ha gentilmente procurato informazioni aggiuntive relative al soggiorno del marito a Gerusalemme. Insieme a Polotsky e Hans Lewy, Hans Jonas costituì un gruppo di intellettuali ribattezzato PYL («Elefanti») dalle iniziali dei loro nomi. In seguito all’arrivo di G. Scholem, il gruppo divenne PYGLS, pilegesh. Shmuel Sambursky si univa spesso agli altri membri, e si può solo immaginare quali discussioni memorabili possano aver avuto corso tra questi eccezionali studiosi ebrei.
[10] Maggiori dettagli in «A Retrospective View», p. 10.
[11] È possibile non si tratti di Das Evangelium des Johannes, come riportato in «A Retrospective View», p. 11, dal momento che quel libro uscì nel 1941.
[12] I particolari di questo incontro in «A Retrospective View», p. 11 e in «Im Kampf…», p. 44.
[13] R. Bultmann morì un anno dopo. 
[14] Una nota più tarda di Hans Jonas: Uno scambio con la figlia di Bultmann, la professoressa Antje Bultmann Lemke, ha evidenziato una discrepanza circa la risposta di Heidegger. Stando a quel che lei ricordava del resoconto fattogli da suo padre di ritorno da Zurigo, Heidegger non gli aveva promesso alcuna ritrattazione ma aveva giustificato la sua riluttanza a farlo in nome dei doveri di lealtà nei confronti dei suoi compagni di un tempo che si sarebbero sentiti traditi da lui. La maggior stranezza, invero la tortuosità di questa versione rende meno probabile il fatto che sia frutto di uno scherzo della memoria. Ma per la stessa ragione, avrei dovuto ricordare io stesso di averla ricevuta da Bultmann; e il mio diverso ricordo non solo è vivido, ma era stato da me riportato ad altri proprio a quel tempo. È possibile che all’età di 76 anni Bultmann avesse cambiato i suoi ricordi di un incidente occorso dieci anni prima. Ma tutto considerato, debbo riconoscere la maggior probabilità di un errore da parte mia. Ad ogni modo, il resto del mio resoconto circa la conversazione avuta con Bultmann nel 1960 non è in discussione.