Volantini di guerra: la lingua romena in Italia nella propaganda del primo conflitto mondiale

Gli anni della Prima guerra mondiale hanno visto a confronto diverse nazioni europee, la cui coscienza nazionale, di origine, linguistica, e culturale cominciava già a superare le barriere statali logorate dal Risorgimento, risultato, il più delle volte, di arbitrarie decisioni delle grandi potenze. In seguito all'andamento dei combattimenti, per quanto riguarda il fronte Occidentale, i paesi dell'Intesa non furono mai sicuri della vittoria se non nella seconda metà del 1918, quando si poterono già avvistare i primi squarci della vittoria. Per determinare una più veloce disfatta austriaca, tra l'8 e l'11 aprile 1918, il Regio Governo italiano aveva convocato a Roma diversi rappresentanti delle nazionalità sottomesse dell'Impero Austro-Ungarico. C'erano presenti italiani, serbi, croati, romeni, polacchi. In rappresentanza delle province romene sottoposte alla Duplice Monarchia vi prendevano parte insigni intellettuali, con pregevoli meriti nella lotta per l'affermazione dei diritti dei connazionali: i prof. Simion Mândrescu ("Presidente della  Società dei Romeni di Transilvania, del Banato e Bucovina"[1]), G. Mironescu, Deluca, il senatore Drăghicescu, il deputato Lupu.
Insieme a loro, i mezzi di stampa erano rappresentati da un folto gruppo di giornalisti ai quali si associavano diversi combattenti sul fronte balcanico, invitati proprio per dimostrare l'autenticità delle ulteriori discussioni e richieste e delle misure che sarebbero state prese. I lavori, che si svolsero in Campidoglio in un'atmosfera di forte entusiasmo, finirono con l'adozione di una risoluzione che fu portata a conoscenza di Orlando, il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, il quale aveva promesso ai rappresentanti delle minoranze l'appoggio del suo Governo per ottenere l'indipendenza, eliminando il dominio straniero. Le intese sarebbero state poi conosciute nella storiografia della Prima guerra mondiale col il nome di Il Patto di Roma, e avrebbero costituito una base di partenza per le azioni che sarebbero state intraprese per vincere finalmente il nemico.
Uno degli assi portanti di tale iniziativa era quello di implicare nei combattimenti i prigionieri austro-ungarici, allora presenti in Italia, tramite la costituzione di compagnie, distaccamenti, reggimenti e legioni istruiti a combattere contro lo stato di cui i rispettivi militari erano ancora cittadini.
Questi prigionieri, adoperati come lavoratori, manovali, persone da fatica nelle famiglie dei militari italiani chiamati alle armi, erano sparsi in numerosi campi di prigionia su tutto il territorio italiano. Con la loro presenza, in un regime di semi-libertà, essi hanno contribuito ad una migliore conoscenza della situazione etnica dell'Impero Austro-ungarico. I militari romeni transilvani, del Banato, della Bucovina, e del Partium non erano pochi: si è calcolato che nel periodo 1914-1918 tra i 400.000 – 600.000 militari di origine romena hanno combattuto sui diversi fronti dell’Austro-Ungheria, ciò che rappresenta all’incirca il 18-25% dell’intera popolazione di etnia romena (più di 5,2 milioni di abitanti) vivente nell'Impero danubiano.
In conformità agli studi dello Stato Maggiore dell’Esercito austro-ungarico, la devozione dei militari di origine romena verso l’interesse “nazionale” era ridotto, e solo gli italiani delle regioni irredenti poterono concorrere con loro per occupare l’ultimo posto in una graduatoria basata sul numero delle vittime avute (considerata la massima dedizione alla patria!) su cento combattenti.
D’altro canto, il mancato interesse di combattere sotto gli stendardi imperiali ha fatto sì che nei primi tre anni di combattimenti, sui 300.000 disertori dell’esercito austro-ungarico, una metà fossero romeni[2]. Specialmente negli ultimi due anni di guerra sul fronte occidentale, la diserzione e la consegna nelle mani del nemico si erano dimostrati metodi efficienti per salvarsi la vita e per affermare uno stato di scontentezza sempre più profondo; la resa implicava importanti unità militari come numero e forza combattiva. Talvolta si consegnavano interi settori del fronte. 
Ad erodere la fiducia dei militari hanno contribuito tanto i combattimenti nell’Oriente europeo, quanto quelli che si erano svolti e si svolgevano ancora nei Balcani e in Francia. Ma, la sfiducia nell'esito buono della guerra era generata anche da un’intensa propaganda italiana, alla quale avevano preso parte delegati borghesi ed ex militari appartenenti alle minoranze etniche dell’Impero danubiano. Gli archivi militari italiani hanno rilevato che nel periodo 15 maggio – 1 novembre 1918 sono stati buttati nelle linee austriache 643 tipi diversi di volantini, con un complessivo di oltre 59 milioni copie, insieme a 9.310.000 copie di giornale pubblicato in 4 lingue diverse[3], giornale di cui alcune edizioni sono state stampate anche in lingua romena.
Alcuni di questi volantini sono conservati nell'Archivio di stato di Cluj-Napoca e anche se i loro testi sono ridotti al massimo, essi dimostrano una buona intesa della psicologia individuale e collettiva delle persone obbligate a combattere su terre straniere.
Uno dei volantini, probabilmente del 1916, inizio del 1917, ha il seguente messaggio, non soltanto in romeno ma anche in ceco, in ungherese e in croato. La sua variante romena è una vera esortazione al patriottismo, indicando i veri nemici in quelli che hanno mandato al fronte i militari:

"Soldaţi Români!
Oastea revoluţionară rusească a bătut în Galizia pe trupele Germano-Austriace luîndu-le 35.000 prizionieri şi 100 tunuri. Cavaleria rusească urmăreşte trupele Austro-Germane, care se retrag către Lemberg.
Soldaţi Români!
Şi patria voastră cea adevărată, Romănia va fi în scurt timp liberată. Nu vă mai luptaţi în contra noastră, cari suntem aliaţii fraţilor Voştri!"[4]

Traduzione: "Soldati Romeni!
L'esercito rivoluzionario russo ha vinto in Galizia le truppe Tedesco-Austriache prendendo 35.000 prigionieri e 100 cannoni. La cavalleria russa insegue le truppe Austro-Tedesche che si ritirano verso Lemberg.
Soldati Romeni!
Anche la vostra vera patria, Romania, sarà tra poco liberata. Non combattete più contro di noi, che siamo alleati dei vostri fratelli!"

Il secondo volantino, dell'agosto 1917 ha un messaggio incoraggiante, trasmesso in una buona lingua romena, in cui ogni tanto compaiono espressioni delle parlate transilvane (es.: în prisosinţă, oara).

"Soldaţi Austro-Ungari!
Prizionierii austro-ungari trăiesc în Italia în lagăre şi primesc în fiecare zi păne albă şi carne, pentru că noi avem în Italia toate în prisosinţă.
Prizionierii austro-ungari, cari voiesc să lucreze află lucru în câmp şi în fabrici şi primesc pe zi o plată de 3 până la 4 lire.
Ei aşteaptă acolo oara întoarcerei acasă cu inimă bucuroasă şi departe de orice pericol." [5]

Traduzione: "Soldati Austro-Ungarici!
I prigionieri austro-ungarici vivono in Italia nei lager e ricevono giornalmente pane bianco e carne, perché noi in Italia ne abbiamo in eccesso.
I prigionieri austro-ungarici se vogliono lavorare trovano lavoro ai campi e ricevono giornalmente da 3 fino a 4 lire.
Essi aspettano là l'ora di ritornare a casa con cuore gioioso e lontano da ogni pericolo!"
(Sullo stesso lato l'appello è scritto in croato e ceco, sul retro in polacco, ungherese, tedesco, col testo un po' differente.

Il terzo volantino, più ampio e persuasivo, ha il seguente contenuto:

"Soldaţi Români!
Din Joungstown, Ohio, (America) ne vine ştirea că în cele mai mari oraşe americane s-au început înştiinţările de bună voe şi asentarea Românilor ce se află acolo, pentru a alcătui o puternică legiune română (corp de voluntari români), care va veni pe frontul francez şi pe frontul italian, să lupte pentru dezrobirea Ardealului, a Bucovinei şi a Banatului. În toate acele oraşe – după cum ni se scrie – stăpâneşte o însufleţire de nemaipomenit.
Înştiinţările sunt o adevărată sărbătoare... Voinicii noştri se îmbulzesc cu nerăbdare. Fiecare ar vrea să ajungă în primele batalioane.
Aceşti minunaţi soldaţi români ce vor veni din America, se vor uni cu cele câteva mii de Români aflători în Italia, şi pe front, sub fâlfâirea steagurilor româneşti vor cere aspru socoteală mişeilor de unguri de toate mişeliile ce ei le-au făcut împotriva neamului nostru.
Soldaţi Români!
Băgaţi bine de seamă! Nu vor trece multe zile şi pe întreg frontul veţi avea în faţa voastră, batalioane româneşti, cari vreau să lupte pentru dezrobirea lor şi a voastră.
Cînd vi se dă poruncă  să trageţi, ziua ori în întunericul nopţii, gîndiţi-vă bine: Orice glonţ ce-l împlîntaţi în piepturile acestor viteji români, fraţi de-un sînge cu voi, îl trageţi şi în piepturile voastre, în inima copiilor şi nepoţilor voştri, în fericirea neamului vostru, care geme sub călcîiul unguresc şi aşteaptă mîntuirea de la noi!..."[6].

Traduzione: Soldati Romeni!
Da Joungstown, Ohio (America) ci perviene la notizia che nelle più grandi città americane sono cominciate le dichiarazioni volontarie e l'arruolamento dei Romeni che si trovano lì, per formare una forte legione romena (corpo di volontari romeni) che verrà sul fronte francese su quello italiano a combattere per la liberazione della Transilvania, della Bucovina, e del Banato. In tutte quelle città – a secunda di quanto ci si scrive – domina un'animazione impressionante.
Le dichiarazioni sono una vera festa… I nostri coraggiosi vi si affrettano con impazienza. Ognuno vuol entrare nei primi battaglioni.
Questi bravi soldati romeni che arriveranno dall'America si uniranno alle alcune migliaia di Romeni che si trovano in Italia e, sulla fronte, sotto lo sventolio delle bandiere romene chiederanno duramente conto agli infami ungheresi per tutte le vigliaccherie che costoro hanno fatto contro il nostro popolo.
Soldati Romeni!
State attenti! Non passeranno molti giorni e lungo tutta la fronte avrete davanti a voi battaglioni romeni che vogliono combattere per la loro e la vostra liberazione.
Quando riceverete l'ordine di sparare, di giorno o nel buio della notte, pensateci bene: Ogni pallottola che conficcherete nei petti di questi valorosi romeni, vostri fratelli di sangue la sparate anche nei vostri petti, nel cuore dei vostri figli e dei vostri nipoti, nella felicità del vostro popolo che geme sotto la dominazione ungherese e attende da voi la redenzione!"

Anche questo appello non è datato, però si può presumere che sia della fine del 1917 o l'inizio del 1918, quando l'idea di organizzare una Legione Romena animava non solo i romeni d'America, tra i quali la propaganda nazionale cominciava ad essere sempre più consistente, ma anche i prigionieri di guerra di origine romena distaccati in Italia e Francia.
Per quanto riguarda la trasparenza del messaggio, si osserva che i primi due manifestini sembrano redatti da nativi italiani e questa supposizione è testimoniata dalla loro formulazione, dalla topica e dalla struttura delle frasi. Il terzo è il messaggio di un nativo romeno rivolto ai suoi compatrioti e indica un nuovo momento della lotta propagandistica delle truppe italiane – dopo aver accettato anche prigionieri romeni nelle attività propagandistiche. Esso si costituisce in un vero programma giustificativo per il passaggio, con armi e bagagli, dei militari transilvani romeni a cospetto dei loro confratelli dello stesso sangue e dello stato romeno che dimostrava, trimite i soi rappresentanti, interessi panromeni.

Altri volantini appartengono alle collezioni private: uno di questi, in mio possesso, è datato su un lato, in italiano: 31 marzo 1917, seguito dal testo in romeno e ungherese; sull’altro lato è riportata la stessa data in slavo: 31 Ozujka 1917, seguita dal testo in slavo e tedesco. Si rivolge ai: Soldati! ai Katonàk!, ai Voijnici! e ai Soldaten. Ecco ora il messaggio trasmesso ai Romeni:

“Soldati! Auzim cà ofiterii vostri vé mànesc tot mai mult ca sa né urati zicendu-vé cà prizonieri fàcuti de noi sunt reù tratati si cà odatà cu sfarsitul resboiului Italia va restitui toti prizonieri si chiar disertori.
Aceasta este o afirmatiune nàroada (o adevératà batjocorà) ce vé fac ofiterii vostri, pentru cà cum stiti existà legi ce ori ce popor civilizat respecteaza si aceste legi dau dreptul fie caruia sa traiascà la sfarsitul resboiului, unde va vroi.
In cât priveste tratamentul reù, vati putut convinge de contrarul citind scrisorile (càrtile) prizonieri lor facuti de noi pânà acum (daca insâ guvernul vostro va permis sa cititi acele scrisori!!).
Cu aceasta noi nu dorim sa ne làudàm, dar voim sa apàràm onoarea noastra, aratandu-ve cu fapte ca ofiterii vostri ve insealà istorisându-ve lucruri neadeverate pe socoteala noastra, voim deci sà vè aràtàm càt de mult Italia este stimata si cinstita de toti si ca lupteaza nu cu setea de stâpànire dar cu dorinta de a libera popoarele sale.
Numai la sfarsitul resboiului veti sti adeverul de la soldati vostri azi prizonieri si care vé vor spune cât de bine au fost tinuti si atunci numai vé véti convinge cà ofiterii vostri s’au batjocorit de voi povestindu-vé minciuni.”

Traduzione: “Soldati! Sentiamo che i vostri ufficiali vi spingono sempre più ad odiarci, dicendovi che i prisonieri da noi fatti sono maltrattati e che alla fine della guerra l’Italia restituirà tutti i prigionieri e anche i disertori.
Questa è un’affermazione insensata (un vera blasfemia) che vi viene fatta dai vostri ufficiali, perché, come sapete, ci sono leggi che ogni popolo civile rispetta e queste leggi permettono a ciascuno di vivere alla fine della guerra dovunque volesse.
In quanto riguarda il maltrattamento vi siete potuti convincere del contrario leggendo le lettere (le carte) dei nostri prigionieri fatti finora (se il vostro Governo vi ha permesso di leggerle!!).
Con questo noi non desideriamo lodarci però vogliamo difendere il nostro onore, dimostrandovi con i fatti che i vostri ufficiali vi ingannano raccontandovi cose non vere sul nostro conto; vogliamo cioè farvi sapere quanto l’Italia è stimata ed apprezzata e da tutti e che combatte non con il desiderio di possedere ma con il desiderio di liberare i suoi popoli (! N.n.).
Soltanto alla fine della guerra saprete la verità dai soldati oggi prigionieri e che vi diranno come sono stati ben curati e soltanto allora vi convincerete che i vostri ufficiali vi hanno preso in giro raccontandovi bugie.”

Il volantino (formato 25 x 17,5 cm, stampato su carta color giallo) è scritto in un romeno pieno di errori. Mancano i segni diacritici per i suoni romeni, l’uso di alcuni verbi (mànesc – mână, respecteaza – respectă, luptează - luptă) dimostra una limitata conoscenza della lingua romena. Sono usate alcune parole italiane al posto di quelle romene (disertori – dezertori, vostro – vostru ecc.). Si potrebbe supporre che il testo sia il "prodotto" da un italiano che conosceva in modo approssimativo il romeno, e da un compositore del testo che non conoscendolo affatto abbia contribuito alla sua fabbricazione.

Ecco un altro volantino, preparato probabilmente da un nativo italiano, dell’11.4.1917.  Ha su un lato il testo in romeno e in slavo (identico) e sull’altro lato le versioni (differenti) in tedesco e in ungherese. Si osserva subito che la versione tedesca è più ampia e fa riferimento anche alla situazione dispotica nei paesi dei Poteri Centrali (tra i quali sono annoverati anche i nomi della Turchia e della Bulgaria). Carta color verde-grigio. Dimensioni: 21 x 18,5 cm. Si rivolge su un lato ai Romani!, ai Vojnici! E sull’altro ai Soldaten!  e a Magyar Katonàk!
Ecco ora il testo in romeno:

“Romani!
America a declarat resboiu la Germania si Austro-Ungaria!!
Toata lumea civila este deci contra GUVERNULUI VOSTRO, alti 100 de milioane de uomeni se prepară să vie contra voastra.
Si pentru ce aceasta?
Pentru că resboiul pentru care IMPARAŢII VOSTRI ve obligă să luptati e resboiu barbar si nedrept.”

Traduzione: „Romeni! L’America ha dichiarato guerra alla Germania e all’Austro-Ungheria!! Tutto il mondo civile è, cioè, contro il Vostro Governo, altri 100 milioni di uomini si preparano a venir contro di voi.
E perché tutto questo?
Perché la guerra in cui i Vostri Imperatori vi mandano a combattere è una guerra barbara e ingiusta.”

Un altro volantino, di dimensioni più ridotte, è stampato solo in romeno, ciò che significa  che era programmato ad essere utilizzato soltanto per influenzare i reparti romeni. Non è datato. La lingua è ancora più corrotta di quella degli altri due precedenti, è un misto dialettale (?), con inflessioni del subdialetto del Banato. L'autore si dimostra una persona non molto coltivata, probabilmente apparteneva ai prigionieri della suricordata provincia. Si rilevano poi alcuni errori dovuti, certamente, ai tipografi militari.

Soldaţii Români
Voi sunticţ siliţ să va batit, sub jugul cel străin, pîntru o causă că nu ii a voattre si mulţ din spre voi, si nu or mai rivedite căşile, femeile si copii lor,
Pentru ce nu desentaţ, pentru ce nu viniţ la noi?
Noi ciniem binie toaţ prinsonieri, dare voi Români sintieţ pintru noi ca fraţ.
Viniţ dare sigur nu vă tiemeţ, noi vă astieptăm.
Si câud resbelu acesta s’a gata voi putieţi rămînie in Italia si aduce aice femeile voactre, dache aţi voi, sau veţi putie merje undie voiţ.”

Traduzione:  „Soldati Romeni
Siete obbligati a combattere sotto il giogo straniero, per una causa che non è vostra e molti di voi non rivedranno mai la casa, la mogie, e i propri figli.
Perché non disertate, perché non venite da noi?
Noi trattiamo bene tutti i prigionieri e voi  Romeni siete per noi come fratelli.
Venite, dunque, non dovete temervi, noi vi aspettiamo.
E quando questa guerra sarà finita voi potete restare in Italia e portare quà le vostre mogli, se volete, o potete andare dove volete.”

Il volantino potrebbe essere dei primi del 1918, quando si preconizzava già la costituzione della legione alla quale ho accennato all'inizio della mia relazione.

Dopo la formazione delle legioni, i romeni hanno partecipato in numero ristretto ai combattimenti. Si osserva invece che tra le pattuglie ce n'erano alcune formate da militari di origine transilvana. Questi riuscivano a superare le linee di difesa dei connazionali e godevano tra questi di grande credibilità[7].
Questo è anche il caso rilevato da un documento datato Polla (sic!), del 30 marzo 1918, dove Cornel Dreghichiu, Jonel Moga, Temistocle Sevescu, Dimitrie Radu, Joan Haica e Vasile Cisteianu, "disertori irredenti di nazionalità romena" si dichiaravano pronti a fare il servizio di informazione al fronte, perché parlavano "le lingue romena, italiana, tedesca, magiara e  ucraina" ed erano capaci di trovare soldati ad "Altamura, Tariglia presso Genova e tra quelli 1500 che erano stati a Padula". Il 7 giugno 1918 erano già registrate 84 richieste di ufficiali e alfieri che chiedevano di essere ammessi nell'Esercito reale italiano (Protocollo 16425 – Ministero della Guerra. Commissione per i prigionieri di guerra) tra i quali ricordiamo Dr. Ioan Teleguţ, Dr. Câmpean Ioan, Petre Ugliş, dr. Titus Livius Trif, dr. Dimitrie Kovary, e ai quali si aggiungevano i nomi degli ufficiali appena nominati.
Sin dal 17 gennaio 1918 i romeni d'Albania "legati agli Italiani di oggi per sangue, per lingua e per discendenza comune, non possiamo restare indifferenti alla violazione del suolo della nostra Grande Madre. Per questo in nome di tutti i connazionali rumeni della Penisola Balcanica, soggiogati da popoli con i quali non abbiamo nessuna affinità di razza, domandiamo di poter formare una Legione di rumeni per fraternizzare sulla Fronte Italiana"[8]. La richiesta era firmata da H. Balamaci, revisore delle scuole Romene di Coritza, Andiu Nuoci, rappresentante i romeni del Pindo, Papas Cotta Balangiu, presidente della comunità romena di Coritza, dott. A. Zega, rappresentante dei romeni di Caterina, Sterie Balamaci, rappresentante del comune di Pleasa e Virgil Papazi di Bitolia (Monastir).
Desiderosi di costituirsi in una Legione combattente erano anche i romeni del Pindo e della Macedonia i quali "non sperano che nell'aiuto dell'Italia per poter avere nelle regioni da essi abitate quelli ordinamenti autonomi che li diano la garanzia di conservare e svolgere la loro nazionalità"[9] scriveva a Francesco Fazi, commissario civile in Argirocastro, il capitano italiano Giuseppe Papanti. Allo stesso Fazi si rivolgeva anche un gruppo di 16 personalità aromene del Pindo, con la speranza di ottener l'autorizzazione di costituirsi in una legione nel Pindo aromeno (Zicu Tata, Spiru Nicola, Tomas Christu, Mitru Vasili, Vasil Giorgio, Karalam Dimitri, Nicolas Mihail, Sotir Christu, Ghiorghios Dimitri, Sciami Cristu, Vasil Jorgu, Tomas Vanas, Apostol Jorgis, Kola Tome).

Nel giugno 1918 il prof. Simion Mândrescu insisteva per essere adoperati il più presto possibile, ufficiali romeni di stanza a Cittaducale negli uffici informazioni, allo stesso modo in cui erano stati impiegati altri 10 dei loro compagni poco tempo prima e come sperava sarebbe successo anche con gli altri circa 50 ufficiali disponibili ancora nella rispettiva località. L'efficacia propagandistica dei parlatori della stessa lingua e specialmente dei sub-dialetti transilvani era molto più forte di quella degli italiani che conoscevano la lingua romena o dei romeni del Regno di Romania.
Sempre per il servizio informazioni chiedeva anche il generale Pietro Badoglio ottanta militari romeni al campo di lavoro di Cavarzere il 22 agosto 1918.

Gli effettivi dei volontari romeni hanno combattuto coraggiosamente in una delle battaglie del Piave (maresciallo maggiore Răchită) il 24 ottobre 1918. A Vittorio Veneto, l'aspirante ufficiale Vancea, della compagnia del tenente Emilian Piso "andò con una pattuglia di romeni oltre Serravalle ed attaccò la retroguardia nemica riuscendo a farle subire sensibili perdite"[10]. Un mese più tardi il generale Caviglia accordava ricompense per il valore militare dimostrato[11] nelle battaglie di Piave, di Nervesa, Vittorio Veneto, Ponte delle Alpi, al tenente Emilian Piso, ai sottotenenti Mihai Cosmin, Romulus Hossu, al maresciallo maggiore Grigore Răchită, all'aspirante ufficiale Victor Vancea, ai soldati Gavrilă Nicolae, Grădinar Nicolae, Victor Pop, Dimitrie Tăurean, Dimitrie Breb, Vasile Chiorean, Avram Ioan, Nicolae Bustea, Racolţa Căldărariu, Dimitrie Bârsan, Ioan Briştian, ai caporali capi Bartolomeu Ludu, Adam Iurcovan, Ilie Hambaşan, ai caporali George Ştefu, Iosif Doban, e all'alfiere Stefan Merlaş.

Undici giorni dopo la cessazione delle ostilità (l'armistizio fu firmato il 4 nov. 1918), l'effettivo romeno fu ritirato dietro il fronte, ad Albano Laziale (Roma), laddove si trovavano anche i depositi della costituenda Legione Romena, nell'attesa del loro trasferimento ai campi di concentramento di Avezzano, Casale di Altamura, Marino, Nemi. Però, di una legione romena nel vero senso della parola, anche se è stata decretata come esistente il 15 ottobre 1918 dal Ministro italiano della Guerra V. Zupelli (Lettera Circolare 22630G) e messa sotto il commando del generale Luciano Ferigo, ex addetto militare all'Ambasciata d'Italia in Bucarest, non si poteva parlare. Essa era ancora costituenda. Erano entrati a far parte di diverse compagnie soldati di etnia  romena appartenenti agli uffici informazioni, inquadrati fino allora in diverse armate italiane operative sulla fronte e i reparti lavoratori[12]. Nella Circolare si specifica che la legione si costituiva in base alle decisioni prese dal Regio Governo Italiano per soddisfare i desideri del Comitato d'azione romeno d'Italia, desideri ed attese che includevano le aspirazioni dei romeni ivi residenti e dei prigionieri di guerra dell'esercito imperial-regio. La legione era formata da reggimenti ed i reggimenti da battaglioni. Ogni battaglione aveva tre compagnie di fucilieri ed una compagnia mitragliatrici, un reparto zappatori, un reparto granatieri. Le compagnie fucilieri erano formate da quattro plotoni ed un reparto mitragliatrici leggere (5 ufficiali e 178 militari truppa).

Hanno chiesto di far parte della legione 36.712 soldati e 525 ufficiali (su un totale complessivo di 60.000 militari prigionieri romeni allora in Italia[13]), senza che su di loro si esercitassero pressioni. Erano diretti da ufficiali superiori italiani, volontari, e da ufficiali inferiori romeni.
Per quanto riguardava l'elenco numerico degli ufficiali romeni, esso comprendeva: 1 colonnello, 5 maggiori, 32 capitani, 97 tenenti, 294 sottotenenti, 96 aspiranti ufficiali, dunque un totale complessivo di 525 persone.
Una delle preoccupazioni importanti dei comandanti italiani è stata quella di infondere nei legionari romeni la coscienza nazionale e l'amore per la patria, Romania. Si trattava di una patria nuova, molto più piccola dell'ex Impero Austro-ungarico, che molti non conoscevano se non tramite la propaganda ostile austro-ungherese. Si doveva eliminare anche la residua sfiducia di questi militari nel recente alleato italiano e la difficoltà di comunicare con gli altri militari provenienti da altre regioni storiche romene. Si decise che la sola lingua che si doveva usare nel servizio di leva era il romeno. Nelle Direttive per l'istruzione dei legionari romeni del campo si indicava di trattare con riguardo l'orgoglio dei soldati e usare un linguaggio semplice, facilmente da capire. Non era trascurata neppure la formazione patriottica del legionario: "Non trascurare mai occasione per parlare al Legionario della sua nuova Patria, dirne la sua grandezza attuale, degli sforzi e dei sacrifici sostenuti durante la guerra, citare sovente i nomi e le gesta degl'eroi nazionali, intrattenerli sovente sulle condizioni statali o sociali della grande Romania[14]". Gli ufficiali d'origine romena avevano un programma di preparazione molto complesso, che avevano iniziato sin dal 30 giugno 1918: Lunedì: 16-18 – Lingua romena; martedì 9-11: Storia e corrispondenza militare; Mercoledì 8,30-11,30: Istruzione tattica e tecnica; Giovedì 10,30-11,30: Lingua italiana; Venerdì: 830-11,30: Istruzione tattica e tecnica; Sabato 8,30-11,30: Topografia e piani topografici. Le ore di lingua romena e d'italiano, anche se necessarie entrambe, avevano una durata differente da dove risulta che anche gli ufficiali di origine romena conoscevano poco la propria lingua letteraria e che dovevano servire, dopo la liberazione, anche ad altri scopi. Sembra si fosse tenuto conto che la legione romena avrebbe potuto servire, alla fine della guerra, come mezzo di penetrazione italiana nella regione danubiana. D'altronde, gli avvenimenti di Russia e Ungheria determinarono il prof. Mandrescu a chiedere, sin dal 16 novembre 1918 che la Legione Romena fosse autorizzata a partire per la Romania in divisa militare e armata dell'armamento in dotazione[15].

Ma presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia ha messo in stato d'allerta la diplomazia europea che ha considerato, giustamente, che anche i romeni potevano contribuire a riportare la situazione allo stato iniziale. Per poter fronteggiare i Russi rossi, ma anche per poter domare gli attacchi dell'ungherese Bela Kun, la Romania ha chiesto il rimpatrio dall'Italia degli ex prigionieri di guerra di etnia romena. Per accontentarla, lo Stato Maggiore dell'Esercito Italiano ha cominciato, sin dal febbraio 1919, a mandare le prime unità navali italiane cariche di legionari romeni tra Taranto e Costanza. Essi erano  accompagnati da ufficiali italiani. Arrivati in Romania, i legionari furono disarmati perché lo Stato Maggiore dell'Esercito Romeno non si fidava di loro. Gli ufficiali italiani furono rimpatriati. Sembra che lo Stato Maggiore Romeno non voleva prender atto dell'esistenza della Legione, affermando di non esserne stato informato. Si può presupporre che l'adozione di una simile posizione era determinata anche dalle forti animosità franco-italiane, ma anche da una scarsa comunicazione tra le autorità politiche  e militari italiane e i loro rappresentanti di Bucarest.
Un documento rilasciato dal corpo di spedizione interalleato di Fiume (Istria) del 26 febbraio 1919, rileva la forte penetrazione politica ed economica francese in Romania, di cui si era reso conto il tenente Alberto Olivotto, nato in Bucarest, figlio del viceconsole italiano nella Capitale romena. Questi affermava testualmente: "la Rumania sembra quasi completamente asservita ai francesi, i quali fanno valere sempre più la loro influenza e stanno imponendosi sistematicamente in quasi tutte le amministrazioni statali. Nulla si muove senza l'autorizzazione francese e lo stesso comando supremo rumeno sembra dominato da esso" e continuava "I nostri rappresentanti non sembrano purtroppo adoperarsi per far valere il vero stato di cose e soprattutto sembrano disinteressarsi del nostro avvenire politico ed economico in Rumania"[16]. D'altronde, il ministro italiano in Bucarest, il barone Fasciotti, consigliava che la Legione romena non sbarcasse a Constanza (la Dobrogea era ancora nelle mani dei francesi), ma a Galaţi, dove si sarebbero dovute consegnare anche le truppe, nelle mani degli ufficiali romeni[17].
La situazione rimaneva ancora confusa: la guerra contro i Poteri Centrali era finita, però in Italia continuava a formarsi la Legione romena! Allo stesso tempo, in un riassunto del 4 luglio 1919 della Legazione italiana in Bucarest si rimpiangeva la propaganda antitaliana promossa da alcuni giornali romeni, all'oscuro di quanto era successo veramente in Italia qualche mese prima: "Se la Legazione italiana a Bucarest fosse stata informata dell'accordo intervenuto fra Bratiano e il governo italiano di organizzare ed inquadrare questi prigionieri, avrebbe potuto illuminare sia la stampa che l'opinione pubblica romena sulla realtà delle cose"[18].
Dunque, la Legazione tentava a sottrarsi a qualunque responsabilità e far cadere la colpa sul Ministero della Guerra, convinta che i suoi dipendenti avevano fatto il proprio dovere ed avevano comunicato la situazione reale. Un documento rilasciato dalla Legazione in Bucarest (Nr. 365/175) del 7 maggio 1919 afferma: "A questa ignoranza in cui è stato tenuto il Governo Romeno, e per conseguenza l'opinione pubblica, degli accordi suddetti è dovuta in gran parte quella certa indifferenza, se non anche freddezza, con cui sono stati accolti i nostri ufficiali, i quali mentre avevano dato la loro opera in seguito a domanda formale fattane dal presidente del Consiglio Romeno, sembravano qui aver lavorato di loro iniziativa per uno scopo che questo Governo non solo non aveva chiesto né desiderato ma che anzi era in contrasto colla sua volontà, come risulta dalla lettera inviata da questo Ministro della Guerra al Presidente interinale del Consiglio, trasmessa in traduzione a V.E. con il rapporto della Regia Legazione in data 15 febbraio scorso n. 135/63"[19].
Questo ping-pong tra il Ministero della Guerra e il Ministero degli Esteri Italiani continuerà fino a quando a Bucarest non sarà nominato un nuovo addetto militare italiano, il brigadiere generale Luciano Ferigo, il quale aveva svolto un ruolo estremamente importante nella formazione della Legione Romena, e il ministro Fasciotti richiamato. Il Ministro della Guerra, generale Caviglia, sperava che con queste misure l'immagine pubblica dell'impegno italiano a sostegno dell'esercito romeno fosse cambiata.
Allo stesso modo sperava che i membri del Gabinetto romeno cambiassero opinione relativa allo stesso argomento "i quali, da comunicazioni varie a me giunte, non sembra che apprezzino  al suo giusto valore, il sacrificio e l'opera grande e disinteressata"[20] fatte dallo Stato Italiano.


Ştefan Damian
(n. 1, gennaio 2012, anno II)

NOTE

1. Cfr. Filippo Cappellano, La Legione Romena, în AA.VV., Studi storico-militari, 1996, Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio storico, Roma, 1998, Documento 2, p. 249.
2. Ibid., p. 229 (nota 1).
3. Cfr. Filippo Cappellano, La Legione Romena, în AA.VV., Studi storico-militari, 1996, Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio storico, Roma, 1998, p. 233.
4. Ibid.,VIII/555/3.
5. Collezione "Scrisori din Primul război mondial - Apeluri către soldaţi", VIII/555/2.
6. Ibid., VIII/555/4.
7. Ibid,  p. 261, Documento 10 "Occorrerebbero (...) di  2 ufficiali e 20 graduati e soldati di nazionalità romena".
8. Ibid., Documento 6, p. 257.
9. Cfr. Filippo Cappellano, cit. Documento 4, p. 254.
10. Ibid., p. 268. Documento 15.
11. Ibid., pp. 274-277. Documento 19.
12. Ibid., pp. 280-283. Documento 22.
13. Cifrele oficiale diferă în ceea ce priveşte trupa, nicidecum ofiţerii.
14. Filippo Cappellano, La legione romena, cit., p. 289-290.
15. Filippo Cappellano, cit.,  p. 319. Documento 42.
16. Ibid., p. 309.
17. Ibid., p. 311. Documento 38.
18. Ibid., p. 313. Documento 40.
19. Ibid., p. 314-315. Documento 41.
20. Ibid., p. 320. Documento 43.