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Ci aspetta nel futuro. La parresia di Lorenzo Milani in tre discorsi (1962-1965)
Pubblichiamo il primo di quattro numeri dedicati a Don Lorenzo Milani (1923-1967), il parroco ‘scomodo’ di Barbiana, in cui sono commentati frammenti estratti da tre suoi discorsi tenuti e registrati negli anni 1962-1965. Il curatore di questo saggio è Sergio Tanzarella, ordinario dal 2009 di Storia della Chiesa alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, e dal 2007 docente della stessa materia all’Università Gregoriana, che da anni studia con passione e rigore scientifico l’opera di Don Milani, restituendo così «a Lorenzo Milani le sue parole: quelle scritte e quelle pronunciate».
Tra le sue pubblicazioni dedicate a Milani: Gli anni difficili. Lorenzo Milani, Tommaso Fiore e le «Esperienze Pastorali», Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2008; Lorenzo Milani. Memoria e risorsa per una nuova cittadinanza, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2009 [in collab. con L. Di Santo]. La curatela di Lorenzo Milani, Lettera ai cappellani. Lettera ai giudici, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017 e Don Lorenzo Milani, Tutte le opere, I-II, Mondadori, Milano 2017 [in collaborazione con F. Ruozzi, A. Carfora, V. Oldano].
1. Incontrare don Milani dalle fonti e riconoscerne la sua parresia
Viene il tempo, a oltre cinquant’anni dalla morte, di restituire a Lorenzo Milani le sue parole: quelle scritte e quelle pronunciate. Mezzo secolo di migliaia di articoli e libri a lui dedicati compongono una bibliografia sterminata, ma non sembrano aver sempre offerto in forma compiuta il suo autentico profilo favorendo, quasi sempre, la creazione di una mitologia milaniana con delle contrapposizioni spesso fondate non sulle fonti, ma su semplificazioni, stereotipi e falsificazioni.
«L’elenco dei fraintendimenti – per il vero non troppo fraintendimenti – è lungo e comincia da vivo e si è prolungato per tutti questi cinquant’anni dalla morte. Mettiamo da parte le calunnie e le stupidità perché non meritano nemmeno di essere ricordate per non citare i nomi di quelli che accusando Milani si sono fatti pubblicità. Tra tutte quella di essere comunista e classista sono datate e inconsistenti. Più pericolose le semplificazioni che lo vorrebbero comprendere ancora oggi come un pedagogista. Milani disse più volte di essere un semplice maestro, anzi un semplice prete che per una serie di circostanze si era dovuto occupare di fare il maestro in una Italia dove, nonostante la Costituzione la maggioranza ignorava la lingua italiana e possedeva al massimo 200-300 parole. Sufficienti per leggere a stento la Gazzetta dello Sport ma certo inadeguate per essere realmente cittadini. E dunque anche impediti a diventare cristiani perché come lui stesso diceva: “da bestie a santi non si può diventare”. Chi dimentica – o non sa – tutto questo, tradirà Milani anche quando pretende di celebrarlo. La sua è infatti una eredità aperta che non chiede tanto adesioni ma scelte dirimenti» [1].
Occorre quindi ridare la parola a Milani perché egli è oggi una di quelle figure della storia italiana del Novecento e della Chiesa fra le più citate, ma meno lette. Molti, infatti, si illudono di conoscerlo solo perché hanno sentito qualche citazione, non raramente sbagliata, delle sue parole: un motto, una frase. Si pensi al caso indecente di avere attribuito alle sue lettere ai cappellani e ai giudici, raccolte in un libro, un titolo che in realtà era una frase di Mazzolari [2].
Esiste, quindi, una conoscenza di Milani che potremo definire orecchiata, di una superficialità sconcertante. Il fatto è tanto più grave dal 2017 ad oggi, perché nei volumi che raccolgono tutti i suoi scritti siamo arrivati a mettere insieme tremila pagine di testi, discorsi e lettere [3]. Dunque, chi proprio è desideroso di parlare di Milani almeno qualcuna di queste pagine la potrebbe leggere, se volesse! Al contrario il Milani promosso dall’uso pubblico della sua vicenda biografica e da qualche sua parola decontestualizzata (quando non inventata) appare di volta in volta normalizzato e reso innocuo per il potere come edulcorato santino oppure deformato nell’immagine generica di agitatore politico-religioso, immagine capace di generare contrapposizioni e contrasti, superficiali esaltazioni e vergognose calunnie. Il fatto è tanto più grave se si pensa all’importanza decisiva che Milani e la Lettera a una professoressa hanno avuto nella formazione delle generazioni dal ’68 in poi [4].
È urgente quindi ritornare alle fonti nella loro interezza, occorre rifarsi alla ricca messe delle fonti disponibili, soprattutto quelle trascurate o ignorate. Infatti, di Milani abbiamo gli scritti pubblici: sia quelli che sono stati pubblicati quando era vivo, sia uno importantissimo reso noto dopo morto, ma che erano comunque destinati a diventare pubblici. Tra tutti l'unico libro che lui ha scritto, Esperienze pastorali [5], una serie di articoli a stampa e di lettere pubbliche. Questi scritti hanno un carattere comune: Milani, prima di pubblicare qualcosa, ci lavorava mesi e anni. Solo per Esperienze pastorali ci ha impiegato 10 anni, non tanto per scriverlo, ma perché aveva una idea originalissima della scrittura: sottoporre continuamente ad amici e conoscenti le sezioni del libro per verificare se erano comprensibili, per svuotare il testo da tutto quello che era inutile, superfluo, eccessivo; per raccogliere suggerimenti di correzioni o integrazioni. Aveva questa idea alta, che poi ha applicato mirabilmente nella sua scuola, parlare e scrivere per farsi comprendere. Una esigenza elementare, perché è il primato della comunicazione. Esattamente l’opposto di chi parla o scrive per non farsi intendere. Cioè coloro che inducono a questa diffusa reazione: «Come ha parlato – o scritto – bene, non ho capito niente!». Ma per Milani farsi capire era il primo compito di chi parlava o scriveva. Così sottoponeva quasi all’infinito i suoi scritti ad amici e conoscenti [6], ne raccoglieva i suggerimenti, li rileggeva di continuo per arrivare a un testo comprensibile per tutti. Sosteneva che spesso nello scrivere (ma anche nel parlare) usiamo molte più parole di quello che è necessario, tradendo così l’obiettivo del farsi capire che è alla base di ogni relazione umana.
Poi c’è un altro genere di fonti: le lettere private. Esse non erano destinate alla pubblicazione. Noi le abbiamo raccolte tutte, molte erano state già pubblicate, altre erano sconosciute. Alla fine del lavoro è venuto fuori un corpus di 1106 lettere, tra queste ben 129 inedite. Ma dopo che è stata pubblicata l’opera ne sono state recuperate altre nove e forse altre ne troveremo ancora. È una scrittura familiare rivolta innanzitutto alla mamma (quasi metà delle lettere sono rivolte al lei) e poi a parenti oltre che ad amici e allievi di San Donato di Calenzano e di Barbiana. Questo epistolario è importantissimo, e non si può prescindere da esso, per studiare e comprendere Milani soprattutto perché, oltre agli inediti, in alcuni casi abbiamo restaurato le lettere grazie al confronto con il testo originale superando errori di trascrizione e talvolta testi noti ma purtroppo purgati.
Tuttavia c’è un terzo gruppo di fonti poco conosciuto e soprattutto scarsamente utilizzato: le registrazioni di interventi pubblici o conversazioni o interviste. La voce di Milani è stata quindi registrata, sebbene con i pochi mezzi di fortuna che c’erano a disposizione all’epoca. Queste registrazioni sono state poi trascritte in anni recenti e pur pubblicate (non senza vistose omissioni ed errori) sono rimaste complessivamente quasi ignorate. In esse la parola ha un’altra dimensione: non è la parola scritta rivista e ripensata, né quella della relazione intima o amicale dell’epistolario, è la parola della lingua parlata, una lingua di una limpidezza e di un’efficacia straordinaria ma fuori dall’uso dell’oratoria o della predicazione. Una lingua che si concretizza in una singolare ed esemplare forza della parola! Occorre concentrare l’attenzione proprio su questo tipo di fonti praticamente sconosciute. Compiere quindi una operazione contro corrente evitando di insistere ancora una volta sulle stesse utilizzatissime fonti. Certo importantissime, come la Lettera una professoressa e il piccolo gruppetto delle pochissime lettere continuamente citate. Ciò che è rimasto in ombra è in grado, per la sua potenza, di gettare nuova luce e suscitare un rinnovato interesse su Milani.
Un’altra osservazione preliminare è che quando si scrive o si parla di Milani e non emerge il tratto peculiare della sua testimonianza si può star certi di essere di fronte a una falsificazione o a una presentazione edulcorata. Quando si legge o si ascolta veramente Milani l’impressione vivissima è quella di un uomo e di un prete pericolosissimo! Ma pericolosissimo per chi? Per le istituzioni, per i benpensanti e per il potere. Ma soprattutto per un certo cattolicesimo convenzionale attaccato alle grandi liturgie templari, pago delle diplomazie e sostenitore di ogni nuovo costantinismo e collateralismo. Perché quindi pericolosissimo? Perché egli viveva senza far calcoli, senza diplomazia e senza interessi personali. Cioè come ogni cristiano dovrebbe essere: estraneo alle strategie e alle lusinghe del potere. Con la fedeltà alla parresia, cioè ispirandosi al coraggio di dire la verità anche a caro prezzo, esattamente il contrario della diplomazia che suggerisce cosa dire o non dire, che preferisce una mezza verità, mezze parole e a volte nemmeno la verità [7]. Milani, invece, è andato sempre controcorrente, con tutte le conseguenze che ciò ha significato per la sua vita. Una condizione simile a quella dei profeti ai quali è stata attribuita questa caratteristica della parresia, dire la verità pur consapevoli delle conseguenze che essa avrebbe provocato nella propria vita.
Ma questo andare controcorrente non è un puro esercizio di un dissenso narcisistico. Serve per far sviluppare le coscienze in senso critico, per farle arrivare all’autonomia di giudizio, traguardo primo e ultimo dell’educazione. Questo è l’obiettivo di Milani nei confronti dei giovani, esattamente il contrario di ciò che la scuola concepita dal Ministero dell’Istruzione faceva e continua a fare. Ciò significa che prima ancora di far cristiani (che diventano tali per opera di Dio), c’è il far cittadini, c’è il riconoscersi esseri umani. Questi i tre pilastri, dunque, dell’azione di Milani: formare le coscienze alla libertà, fare acquisire un senso critico profondo sul mondo, promuovere un’autonomia di giudizio. Ma per far questo occorre essere consapevoli che «da bestie si può diventare uomini e da uomini si può diventare santi. Ma da bestie santi d’un passo solo non si può diventare» [8], bisogna prima diventare esseri umani, cioè dotati di parola. Ma Milani si trovò a vivere con coloro ai quali mancava proprio la parola, non erano in grado di parlare e non erano soprattutto in grado di capire. Davanti a questa condizione Milani restituì la parola a coloro che ne erano stati privati, che non avevano avuto la possibilità di possedere e usare la parola. In quella società italiana del dopoguerra e del primo avvento del consumismo – che corrisponde al ventennio del ministero di Milani 1947-1967 – società nella quale si concedeva ai senza parola l’accesso al possesso di beni e ai consumi borghesi, Milani smaschera l’inganno del boom economico e denuncia che senza il possesso della parola ogni riscatto sociale sarà impossibile e l’uguaglianza sancita dalla Costituzione del tutto illusoria. Un inganno le cui conseguenze arrivano tragicamente fino al nostro presente.
Sergio Tanzarella
(n. 7-8, luglio-agosto 2022, anno XII)
NOTE
1. S. Tanzarella, Don Lorenzo Milani. Il suo messaggio, la sua eredità, in «Appunti sulle politiche sociali» 21 (2017) pp. 4-5.
2. Ib., Reato estinto per morte del reo. Don Milani e il suo insegnamento a processo, in Lorenzo Milani, Lettera ai cappellani. Lettera ai giudici, Trapani, Il pozzo di Giacobbe, 2017, pp. 154-156.
3. Don Lorenzo Milani, Tutte le opere, vv. I-II, a cura di F. Ruozzi, A. Carfora, V. Oldano, S. Tanzarella, Milano, Mondadori 2017 pp. 1-2946.
4. Cfr. al riguardo Salire a Barbiana. Don Milani dal Sessantotto ad oggi, a cura di R. Michetti – R. Moro, Viella, Roma 2017.
5. L. Milani, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1958.
6. Solo di recente si è potuto apprendere che questo uso Milani lo aveva acquisito dal padre Albano, cfr. V. Milani Comparetti, Don Milani e suo padre. Carezzarsi con le parole. Testimonianze inedite dagli archivi di famiglia, Edizioni Conoscenza, Roma 2017, p. 53.
7. Su questo tema cf. S. Tanzarella, «La parrhesia di don Lorenzo Milani, maestro di vita ed educatore di coscienze critiche», in L. Di Santo - S. Tanzarella (edd.), Lorenzo Milani. Memoria e risorsa per una nuova cittadinanza, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, pp. 25-40.
8. L. Milani, Esperienze pastorali, cit., p. 326.
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