Carducci, una poesia per sempre Cosa rende classico un poeta, classica una poesia, nel senso etimologico del Latino classĭcus, ovvero «appartenente alla prima classe dei cittadini», e, riferito a scrittori, «di prim’ordine»[1], nel segno di quella perennitas, ossia aeternitas che contrassegna indelebilmente la classicità greco-latina, di là dallo spazio e dal tempo? Se della lingua quel poeta facesse un magistero tecnicamente perfetto ma anche soavemente modulato; se la retorica sapesse padroneggiarla come strumento, mai come fine, altissimo; se la forza espressiva fosse pari alla compostezza elegantissima della forma; se la raffinata iconicità delle immagini poetiche fosse sostenuta da una metrica ed un ritmo cadenzati come una ‘musica dell’anima’; se la misura complessiva rendesse l’insieme tanto intenso quanto armonioso come una statua di Prassitele; cosa chiedereste di più per chiamarlo ‘classico’? E non chiamereste allora ‘classico’ Carducci, e ‘classica’ la sua poesia? Nel / gran / cér / chio / de / l'ál / pi , / su 'l / gra / ní / to 3, 6, 10 Pí / ni e / d a / bé / ti / sen / za áu / ra / di / vén / ti 1, 4, 7, 10
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti La signora Lucia, da la cui bocca, Gli uccelli sono sempre i primi Come ho avuto già modo di scrivere a proposito di codesti versi di Come un’allegoria (1932-1935), «Si colgono qui alcuni dei moduli compositivi proprî della poesia caproniana: la ‘leggerezza’ quasi impressionistica del tocco, il morbido surrealismo delle immagini («apre assonnati occhi d’acqua»), in cui si stempera la pur presente concretezza delle cose, l’aspra dissonanza dell’enjambement attributo/sostantivo («primi / pensieri»), la ricchezza dei referenti culturali (i carducciani pensieri della conclusio, tutt’uno con quelli di San Martino)» [4], poesia composta nel 1883 e raccolta in Rime nuove (1887): Gira su' ceppi accesi Arriviamo ora, caro lettore, al libro II delle Odi Barbare, che – non dimentichiamolo mai – sono la prova di una miracolosa bravura tecnica e metricologica non meno che l’afflato del profondissimo conoscitore del mondo greco-latino, in una medesimezza (per dirla alla Salinari) stupefacente con la classicità: Alla stazione in un mattina d’autunno, capolavoro della lirica italiana che rielabora i moduli e le sensibilità ottocentesche in un prodigio di stile pienamente ‘moderno’. I temi del taedium vitae latino, ma anche del’accidia petrarchesca e del moderno spleen baudelairiano prendono vita attraverso uno spericolato descensus nell’inconscio, in una prodigiosa esplorazione di sentimenti e sensibilità novecentesche: la lonely crowd da Poe ai sociologi americani moderni («Dove e a che move questa, che affrettasi / a’ carri foschi, ravvolta e tacita gente? ») [5]; la donna salvifica della tradizione italiana, dai contorni estetici tanto sublimi quanto indefiniti, qui montalianamente e capronianamente calata nel grigiore della routine quotidiana («Tu pur pensosa, Lidia, la tessera / al secco taglio dài de la guardia»); l’immobilità di un tempo senza tempo, fermo nell’attimo fuggente che se ne va nel nulla della sua dimensione metafisica, già proteso alla nostalgia del ricordo, lungo la medesima temperie emozionale del Nevermore verlainiano [6] («e al tempo incalzante i begli anni / dài, gl’istanti gioiti e i ricordi», brillantemente sostenuto dal bell’enjambement 15/16). Lidia, dall’evocativo nome classico, è ‘un volto nella folla’ (ricordando il bel movie di Elia Kazan: A Face in the Crowd, 1957), nel quale il poeta sa far vibrare tutte le misteriose fascinazioni dell’ ‘eterno femminino’ (Das Ewig-Weibliche di goethiana memoria) [7]; e straordinaria è la drammatica icasticità cromatica dell’immagine dei vigili incappucciati di nero sullo sfondo del convoglio nero che agitano plumbee mazze di ferro, inquietanti fantasmi senza requie di un Ade inesorabilmente terreno e baluginante (vv. 16-19). Oh quei fanali come s’inseguono La conclusio di marca esistenziale, che riprende elegantemente i τόποι del taedium della tradizione letteraria, con la stagione autunnale e caliginosa come sfondo, fa da contraltare al quadro della bellezza medievalmente gentile – ma anche misteriosamente inquietante, e perciò moderna – di madonna, con i suoi eterei attributi stilnovistici sullo sfondo dell’estate metafora luminosa del ricordo: il «pallor roseo», gli «stellanti occhi», la «candida / tra’ floridi ricci inchinata / pura fronte con atto soave!».
NOTE 1. Il Vocabolario Treccani. Nuova Edizione. 2. Cfr., per una visione più intimistica e meno paludata del poeta, che permetta di formarci una più corretta idea del suo ‘privato’, Rita Gaspari (a cura di), Giosuè Carducci – Luisa Grace Bartolini, Carteggio (1860-1865), Pistoia, Libreria dell’Orso, 2000, che raccoglie l’epistolario carducciano con la poetessa di origine irlandese vissuta per lunghi anni a Pistoia. 3. Cfr., per l’analisi metricologica secondo il nostro modello della Metroanalisi, Roberto Pasanisi, Metrica e rima del Poema Paradisiaco, in «Testuale», 6, 1986, pp. 63-69; Id., Saggio di Metroanalisi, in «Annali dell’Istituto Universitario Orientale» Sezione Romanza, XXIX,1, 1987, pp. 187-194; Id., Per una nuova scienza: teoria della Metroanalisi, in «Italian Studies in Southern Africa» («Studi d’Italianistica nell’Africa Australe») (Pretoria, South Africa), XIII, 1, 2000, pp. 9-24; Id., Per una nuova scienza: teoria della Metroanalisi, in Generi, architetture e forme testuali (Atti del VII Convegno SILFI, Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana, Roma, 1-5/X/2002), a cura di Paolo D’Achille, Firenze, Franco Cesati Editore, 2004, vol. II, pp. 719-726. 4. Roberto Pasanisi, Le «muse bendate»: la poesia del Novecento contro la modernità, Pisa - Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000 (Prefazione di Constantin Frosin; Postfazione di Carmine Di Biase), p. 80. 5. Cfr. David Riesman - Nathan Glazer - Reuel Denney - Todd Gitlin, The Lonely Crowd. A Study of the Changing American Character, Abridged and Revised edition [1950], New Haven, CT (USA), Yale University Press, 2001. Ma fondante su questo tema è Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti [1955], tr. it., Torino, Einaudi, 1981. Cfr. pure Roberto Pasanisi, L’ ‘uomo-massa’ e la ‘morte della bellezza’: la coscienza dell’Occidente alle soglie del Nulla, in «Pragma», 1, 1990; Id., Omul-masa si moartea frumusetii constiinta occidentului în pragul neantului (trad. in Rumeno di Constantin Frosin), in «Antares» (Revista de cultura sub egida Uniunii Scriitorilor) (Galaţi, Romania), I, 12, 1999 e Id., La forma della bellezza: la genesi della poesia di Mallarmé come specimen della lirica moderna, in «Esperienze Letterarie», XXI, 2, 1996. 6. «Souvenir, souvenir, que me veux-tu? L'automne / Faisait voler la grive à travers l'air atone, / Et le soleil dardait un rayon monotone / Sur le bois jaunissant où la bise détone. // Nous étions seul à seule et marchions en rêvant, / Elle et moi, les cheveux et la pensée au vent. / Soudain, tournant vers moi son regard émouvant / “Quel fut ton plus beau jour?” fit sa voix d'or vivant, // Sa voix douce et sonore, au frais timbre angélique. / Un sourire discret lui donna la réplique, / Et je baisai sa main blanche, dévotement. / Ah! les premières fleurs, qu'elles sont parfumées! // Et qu'il bruit avec un murmure charmant / Le premier oui qui sort de lèvres bien-aimées!» (Poèmes saturniens / Melancholia II, 1866). 7. L’ultimo verso del Faust: «Das Ewig-Weibliche Zieht uns hinan». 8. Così, come modello paradigmatico del motivo metaforico dell’autunno e della caduta delle foglie ingiallite, Juan Ramón Jiménez in una lirica modernista e neo-barocca preziosa come una gemma, Otoño: «Esparce octubre, al blando movimiento / del sur, las hojas áureas y las rojas, / y, en la caída clara de sus hojas, / se lleva al infinito el pensamiento. // Qué noble paz en este alejamiento / de todo; oh prado bello que deshojas / tus flores; oh agua fría ya, que mojas / con tu cristal estremecido el viento! // ¡Encantamiento de oro! Cárcel pura, / en que el cuerpo, hecho alma, se enternece, / echado en el verdor de una colina! // En una decadencia de hermosura, / la vida se desnuda, y resplandece / la excelsitud de su verdad divina». Non meno classica la Chanson d'automne verlainiana, dalla prodigiosa musique: «Les sanglots longs / Des violons / De l'automne / Blessent mon coeur / D'une langueur / Monotone. // Tout suffocant / Et blême, quand / Sonne l'heure, / Je me souviens / Des jours anciens / Et je pleure, // Et je m'en vais / Au vent mauvais / Qui m'emporte / Deçà, delà, / Pareil à la / Feuille morte». 9. Così canta la celeberrima Art poétique: «De la musique avant toute chose, / Et pour cela préfère l'Impair / Plus vague et plus soluble dans l'air, / Sans rien en lui qui pèse ou qui pose. // [...] // Car nous voulons la Nuance encor, / Pas la Couleur, rien que la nuance! / Oh ! la nuance seule fiance / Le rêve au rêve et la flûte au cor!» |