La Psicologia clinica e la Psicoterapia come ‘lavoro sulle emozioni’

L’Arteterapia si è finora sviluppata sulla base di tre modelli incompiuti: come una tecnica essenzialmente riabilitativa o di sostegno rivolta principalmente agli psicotici o ai minorati, fisici o psichici che fossero, intesa a ridurre le minorazioni psicofisiche e a migliorare le capacità relazionali e di socializzazione dell’individuo affetto da una patologia più che nevrotica; come una sorta di laboratorio di pittura e scultura, attento a cogliere (ed eventualmente a esprimere) le emozioni connesse alla pratica artistica; o infine come una psicoterapia che si avvaleva delle arti figurative a livello essenzialmente strumentale e secondario nell’àmbito di una tecnica più vasta e articolata, specialmente psichiatrica.
Essa è stata praticata non soltanto da psicoterapeuti, ma da esperti dei più svariati campi — musicisti, artisti, scrittori, drammaturghi, maestri di scuola, insomma sulla base delle competenze più svariate — restando al di qua o andando al di là della psicoterapia stricto sensu — l’unica che qui ci interessi — praticata da uno psicoterapeuta o, meglio ancora, da uno specialista in Arteterapia.  Essa è stata sostanzialmente priva sia di un impianto teorico compiutamente definito che la legittimasse scientificamente in maniera univoca e soprattutto autonoma, sia di una qualsivoglia istituzionalizzazione che ne precisasse i compiti e gli obiettivi, ne chiarisse le caratteristiche precipue (anche contrastivamente rispetto alle altre scuole psicoterapeutiche) e ne stabilisse i limiti, fissando nel contempo una deontologia professionale.
Molti oggi sono infatti le scuole e i corsi di scrittura creativa, i laboratori di pittura e scultura a fini terapeutici o riabilitativi, e altre iniziative simili; come pure gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli psichiatri che adoperano l'arte in forma per così dire 'ancillare', idest come una tecnica fra le altre nell'ambito di una teoria e di una prassi diverse, che nulla hanno a che vedere con la Arteterapia.
Qui invece si intende l'Arteterapia come una ‘teoria e una prassi psicoterapeutica’ a tutti gli effetti e autonoma, sviluppando questa disciplina come una scuola di psicoterapia tout court, curata non da scrittori o pittori o scultori o da psicologi di altre scuole, ma da specialisti in questo particolare tipo di psicoterapia: e se ne pongono i ‘fondamenti’ teoretici e pratici.
Chiamiamo Psicoarteterapia questo modello teorico e terapeutico e fissiamo in ‘PAT’ la sigla abbreviativa della disciplina che qui vogliamo proporre sotto il nome di ‘Psicoarteterapia’, intesa come una nuova scuola psicoterapeutica contrassegnata da tre caratteristiche fondamentali e sue specifiche: l’uso dell’arte e delle sue tecniche come ‘strumento terapeutico’; l’approccio integrato e strutturato, ove opportuno, con la meditazione, a partire dalla sua formulazione classica, la Vipassana; la pratica cinica di tecniche sue proprie, come la Seduta Zen e Il viaggio del respiro; la costituzione eclettica, che le permette di attingere, sia sul piano teorico che su quello propriamente terapeutico, a diverse altre scuole, segnatamente alla Psicoanalisi, alla Psicologia analitica, alla Psicologia della Gestalt e all’Analisi Transazionale (AT). Ne consegue come rilevante corollario che la Psicoarteterapia così intesa si configura fra le cosiddette ‘psicologie del profondo’ e che integra ‘tecniche analitiche’ con ‘tecniche esperienziali’.
Un obiettivo fondamentale dello psicoarteterapeuta è, attraverso la ‘magia ri-creativa’ dell’arte, di ‘cambiare il passato’, ovvero modificarne l’interpretazione e la percezione soggettive ristrutturandolo in una nuova, dinamica e produttiva Gestalt.
Si tratta così, nei confronti del cosiddetto ‘nevrotico’, di operare una sorta di avventuroso descensus: dal ‘mondo degli dèi e delle idee’ al ‘mondo degli uomini’; dal mondo olimpico e platonico degli athánatoi al mondo terreno dei thánatoi.
Fondamentale è la scienza letteraria, nei suoi vari settori: storia della letteratura, teoria della letteratura, retorica; ma anche due discipline ad essa vicine: linguistica e semiologia.
Tipico della Psicoarteterapia è l'uso dei tropi come interpretazioni terapeutiche: la metafora, in particolare, appare straordinariamente capace di determinare una comprensione – emotiva prima ancora che intellettuale – fulminea e profonda.
Ma, più in generale, è il modello dell’arte e dell’artista – nel suo risolvere la ‘tensione nevrotica’ in creazione e creatività – a essere fondamentale: la ‘dinamizzazione artistica’ è la stessa che consente in Psicoarteterapia lo scioglimento e la canalizzazione delle energie bloccate riattivandole verso nuovi orizzonti: il fiume delle emozioni, finora pietrificato e cristallizzato nei ‘blocchi energetici’ della nevrosi, riprende a fluire scavandosi un nuovo letto alla ricerca del suo naturale sbocco, il ‘gran mare dell’Inconscio’.
In questo senso, la Psicoarteterapia, come l’artista, privilegia le soluzioni creative e ‘non convenzionali’, rifiutando la ‘negazione’ in direzione della ‘integrazione’ e della trasformazione: insomma, psychologically not correct. Ad esempio, la ‘malattia di Narciso’ viene affrontata non attraverso la repressione del narcisismo, ma mediante la valorizzazione della creatività in esso insita: ovvero il narcisismo non viene combattuto dall’analista, ma reso dinamico e produttivo come fa l’artista che crea, rielaborando e sublimando l’autoreferenzialità del proprio autocentrismo nell’eterocentrismo universale e oggettivo dell’opera d’arte. È in questa maniera che il paziente non sperimenta quel ‘senso di negatività’ che si accompagna prevalentemente al vissuto narcisistico, ma impara invece a percorrere una via diversa, capace di valorizzare il proprio Sé in tutte le sue istanze, e ricavandone nel contempo un significativo beneficio anche sul piano dell’autostima e dell’autoaccrescimento: e questo è un ‘narcisismo positivo’, ben diverso dal ‘narcisismo negativo’ che si esaurisce nello sterile autorispecchiamento della propria immagine nella fonte, fino ad annegare nell’abisso che si cela sotto i riflessi baluginanti e ingannevoli dell’acqua.
Così tutti gli strumenti dell’arte sono ‘ferri del mestiere’ per lo psicoarteterapeuta, che ricorrerà frequentemente ai ‘costrutti narrativi’ per permettere al paziente di organizzare in una forma compiuta e articolata la sua ‘storia personale’, alla ricerca di un senso complessivo della propria vicenda psichica: un modello di storia è, ad esempio, Il piccolo principe diventa suddito, nella quale l’analizzando impara a strutturare e ad accettare il suo passaggio dalla condizione ‘centrale’ dell’infanzia a quella ‘periferica’ dell’età adulta, in cui deve diventare capace di sentirsi ‘uno fra i tanti’ e non più l’‘eletto’.
È questa la via attraverso la quale sviluppare a fondo la personale ‘creatività biografica’, organizzando la propria vita e la propria Weltanschauung secondo un criterio di ‘creatività artistica’: lo psicoarteterapeuta è un ‘medico dell’anima’, nel senso insieme umanistico e scientifico del termine, che usa ‘la parola che cura’, là dove, come nell’arte, ogni significato e ogni significante, ogni referente, ogni connotazione e denotazione, ma anche ogni spazio bianco e ogni disposizione del testo – ovvero ogni silenzio e ogni posizione ed espressione – non sono più quelli della lingua standard e dell’interazione sociale quotidiana, ma assumono una risonanza altra e universale, nello spazio dell’assoluto, in cui ‘la parola che cura’ non dice il dicibile, ma dice l’indicibile.


Roberto Pasanisi

(n. 11, novembre 2024, anno XIV)