Un’altra biografia di Ramiro Ortiz (parte prima)

In collaborazione con Doina Condrea Derer, rinomata italianista dell'Università di Bucarest, pubblichiamo un interessantissimo inedito su Ramiro Ortiz (Chieti, 1º luglio 1879 – Padova, 26 luglio 1947). L’autore, il  prof. Riccardo La Rovere, ha insegnato al Ginnasio 'Ramiro Ortiz' di Chieti, cittadina dov'è nato il fondatore del Seminario d'Italiano di Bucarest, della rivista «Roma», dell'Istituto Italiano di Cultura in Bucarest, insigne studioso e traduttore dal romeno. Il prof. Riccardo La Rovere ci propone una monografia con la ricostituzione per la primissima volta dell'albero genealogico degli Ortiz e l'accento posto sui legami del Nostro con il suo natio Abruzzo.

La scheda del gruppo familiare Ortiz si può visualizzare cliccando qui.
La scheda del gruppo familiare Ruzzi si può visualizzare cliccando qui.



Un’altra biografia di Ramiro Ortiz

«Il seme ha dato i suoi frutti e questa è la dimostrazione che il suolo era fertile. Per quanto riguarda colui che ha gettato il seme, non era altro che un umile e onesto aratore, con l’amore per il suo mestiere». (R.O., Una professione di fede, Roma 1927)

A pochi chilometri da Teramo, appollaiata su un’altura di circa 600 metri, si erge la rocca di Civitella del Tronto posta a difendere il confine più settentrionale del regno di Napoli. La sua origine risale all’anno mille subendo continui miglioramenti dai potenti che l’hanno di volta in volta posseduta.
La fama di sicuro borgo fortificato era già nota ai tempi di Francesco Guicciardini, quando il grande storico toscano registrava le estenuanti guerre tra Francia e Spagna per il predominio del suolo italiano. Lo scrittore fiorentino, nella sua Storia d’Italia, scrive: «Civitella, piccola terra, ma forte».  
Gli Ortiz, importante famiglia sivigliana, giungono in Italia come ufficiali borbonici, essendo consuetudine, ma non regola, che gli ufficiali del regno di Napoli fossero di origine spagnola. Ovviamente qualcuno viene distaccato alla fortezza di Civitella del Tronto.
Sarà stato il fascino della divisa per le ragazze, o la sicurezza dello «stipendio fisso» per i loro genitori, ma gli ufficiali della guarnigione sono proprio un buon partito e facilmente mettono su famiglia a Civitella. E tra questi c’è anche un Ortiz.
«Nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre 1860, il comandante, il capitano Ermando Ortiz e trentasette militi della Guardia Nazionale, debellarono presso Bellante, duecentoquarantasei briganti e reazionari». Notizia tratta da La Regione – Rassegna di vita abruzzese, ottobre 1964, di Riccardo Cerulli.

Un altro Ortiz, Vincenzo, lo troviamo come regio notaio quando redige lo statuto della banda musicale di Civitella; ma ben più importante è il suo ruolo di patriota. È bello poter leggere una lettera scritta al figlio Ermando, che è tutto un inno di libertà: «un liberale dall’infanzia per quei semi di libertà disseminati nel suo cuore da Alessio Tullj, Generoso Cornacchia e Giuseppe Saliceti, sente tutta la necessità di parlare libero, di scrivere libero, di conversare libero, di camminare e di fermarsi libero, e libero, infine, dormire e svegliare». Lo si può considerare il proprio testamento politico.
D’altro canto i primi moti carbonari, prima ancora di quelli più blasonati e riportati nei libri di storia del 1821, scoppiano proprio in Abruzzo nel 1814 e più esattamente a Città Sant’Angelo, allora provincia di Teramo. Verranno ferocemente repressi dal governo muratiano prima fucilando, e poi decapitando, i capi della rivolta e le loro teste appese alla porta della città esposte al pubblico ludibrio ricevendo invece umana pietà.
Vincenzo ed Ermando, entrambi ferventi carbonari, a causa delle loro idee politiche, subiscono persecuzioni ed arresti da parte della polizia borbonica. In particolar modo Ermando; nel 1848 viene condannato a 25 mesi di carcere perché reo di assalto al forte e di esportazione di armi. Nel 1856 viene denunciato per «detenzione di libri e fogli tendenti a promuovere l’insubordinazione e l’anarchia». Nel 1857 per «detenzione di scritti settari». È costretto pertanto a rifugiarsi a Campli, pochi chilometri ma è già Stato Pontificio. Qui lascia al sicuro la famiglia, la moglie Lucrezia Di Serafino, la figlia Angelica, che nasce a Campli il 1° marzo 1844 sposerà nel 1865 Leopoldo Iodice, cancelliere della locale pretura, e qui vivrà fino all’età di 92 anni, morendo il 19 gennaio 1936. La figlia Ezilda che nasce nel 1829, sposerà Francesco Casimirri e morirà a Campli il 27 luglio del 1927.
Gli altri due figli più grandi, Giusto e Clodomiro, affiancheranno il padre nella diffusione delle sue idee per l’unità e l’indipendenza dell’Italia.
Quando il vento rivoluzionario abbatte lo stato borbonico, Ermando prende parte alla vita politica del suo paese diventando Segretario Comunale. Ma in un rapporto del Delegato di P.S. di Civitella del Tronto, datato 18 gennaio 1864, viene descritto come «persona estremamente corrotta».

Clodomiro Ortiz nasce a Civitella del Tronto il 28 settembre 1837 da Lucrezia Di Serafino e da padre ignoto. Verrà riconosciuto come figlio naturale da Ermando Ortiz con atto del notaio Giuseppe De Cesaris del 5 settembre 1857
Sempre nel rapporto sopra citato Clodomiro viene descritto negativamente: «abusava del suo incarico di Titolare dell‘ufficio postale di Civitella del Tronto e si permetteva di aprire la posta per venire a conoscenza dei fatti delle famiglie locali ed eliminare ciò che avrebbe potuto essere dannoso per il padre». Inoltre «la sua condotta morale non è punto lodevole» in quanto aveva avuto due figli da una donna lusingandola con promesse di matrimonio mentre era già prossimo alle nozze con un’altra ragazza.
Clodomiro ha avuto dall’unione con Fortunata D’Altobrando sette figli ovvero: Emilio (n. 7.11.64 – m. 12.1.66), Albina (n. 6.12.1865), Luisella (n. 21.7.68), Gaetana  (n. 28.11.71), Emma (n. 24.3.76 – m. 29.4.78), Bice (n. 23.2.78 – m. 1925), Ermando (n. 26.11.80). Clodomiro muore nel 1884.
Giusto Ortiz nasce a Civitella del Tronto il 16 settembre 1845 da Ermando e Lucrezia Di Serafino. La stessa morirà il 5 settembre 1856. Ermando il 15 marzo 1861 passerà a nuove nozze con Marianna Cimiconi, nata a Civitella il 6 giugno 1824 da Antonio, benestante, e Liberata Afflitti.
Il 4 marzo 1860 era già nata Caterina, nasceranno poi Oreste il 21 marzo 1862 e Clelia il 4 marzo 1865.  Oreste lo ritroveremo al termine dell’anno scolastico 1885/86 a festeggiare il diploma di agrimensore e ragioniere all’istituto tecnico «Comi» di Teramo.

Sempre dal rapporto del Delegato di P.S. di Civitella del Tronto, Giusto Ortiz risulta «ottimo giovine sotto tutti gli aspetti e la sua condotta fu sempre lodevole tanto in linea politica che morale».
Frequenta il liceo «Melchiorre Delfico» di Teramo e viene licenziato nell’anno scolastico 1869/70. Ovviamente continua gli studi e si laurea in lettere.
Dopo aver insegnato nelle scuole tecniche di Teramo, nel 1874 si trasferisce a Chieti ad insegnare al liceo-ginnasio «G.B. Vico». Qui incontra e sposa Filomena Ruzzi, di famiglia assai benestante per i negozi di stoffe. Le nozze sono celebrate nel duomo di Chieti il giorno 12 ottobre 1878.
Filomena Lorenzina Carolina nasce l’11 agosto del 1852 da don Antonio, di anni 45, e da donna Agata Di Giovanni, di anni 42. Sarà sorella di Francesca, nata nel 1836 e morta il 20 aprile del 1905, sposata con Michele Quadrini, notaio, ma di modeste condizioni economiche. Hanno quattro figlie: Anna, Emilia, Bruna e Filomena.
Sarà sorella di Giustino (zio Titino, il tuttofare), nato nel 1846 e morto 25 dicembre 1920 e sposato con Vincenza Signesi; di Fiorangelo, detto Florindo, il giardiniere, che nasce nel 1849 e muore il 9 luglio del 1917 e sposato con Camilla Ubaldi; avranno un figlio, Vittorio, che sposerà Margherita Palombaro, figlia del titolare della omonima farmacia, già d’allora antica, essendo stata fondata nel 1801.
Sarà sorella di Peppino che negli anni ‘60 aveva buttato la tonaca alle ortiche per fare il pubblicista a Firenze, ma poi tornato all’ovile, e di Gaetano, nato nel 1838 e morto il 3 dicembre 1908, coniugato con Bianca Santini. «Zio Gaetano– racconta Orti – era molto largo nello spendere, gli piaceva godere e far godere e così, non è strano che tutta la ricchezza di una famiglia assai benestante fatta di negozi di stoffe, case in città, poderi e vigne sia andata tutto in fumo.»

Numerosa è la figliolanza di Giusto Ortiz. Due sono quelli che si distingueranno nel campo della letteratura: Maria e Ramiro. Maria, la secondogenita, nasce a Chieti il 10 marzo 1881. Laureata in lettere all'Università di Napoli, entra come sottobibliotecaria nella biblioteca universitaria di Catania il 1º aprile del 1906. Viene poi trasferita in quella di Genova. Dal 1909 è alla Alessandrina di Roma e, solo nel 1913, riesce ad avere il trasferimento alla biblioteca nazionale di Napoli. Qui stringe un’amicizia di lunga durata con Benedetto Croce e la sua famiglia.
Nella sua casa all’Arenella, a Napoli, tiene un piccolo salotto culturale dove ospita giovani intellettuali (Luigi Russo, Francesco Flora, Roberto Pane, Raffaello Piccoli, Gino Doria, Giuseppe Citanna, Maria e Gina Algranati). Sempre disponibile ad aiutare gli studenti nella redazione di tesi, ad offrire consulenze, a dispensare consigli e suggerimenti senza atteggiamenti saccenti ma con la misurata sollecitudine di una sorella maggiore.
In questa casa continuerà a vivere il padre Giusto ormai vecchio e paralitico.
Nel 1919 viene promossa bibliotecaria e nel 1925 trasferita a Roma per dirigere prima la biblioteca di archeologia e storia dell'arte e poi, nel 1933 la biblioteca Alessandrina. Dal ’35 diventa Direttrice della biblioteca della città degli studi di Roma, da poco inaugurata, dove rimane, con il grado di bibliotecario direttore di prima classe, fino al pensionamento. Nel frattempo vince il concorso per la cattedra di lingua e letteratura francese presso l'Università di Messina, ma rinuncia per non lasciare la biblioteca.
Maria Ortiz è una figura di spicco nell'ambiente culturale napoletano. Collaboratrice di varie riviste letterarie, è anche traduttrice di classici dal francese (Racine, Corneille, Flaubert, ecc.). Nel 1957 le viene conferita dal Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, la medaglia d'oro per i benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. Maria morirà a Roma il 20 giugno 1959.

Ramiro Vincenzo Antonio Graziano è già nato il 1° luglio del 1879 in una casa dell’allora via Orientale, più esattamente in vico Cauta n° 72, una sua traversa. È alla periferia della città, zona insalubre per la pessima abitudine degli ortolani di lasciare l’acqua stagnante e usare acque putride per innaffiare i loro ortaggi. Un giornale locale, «Lo Svegliarino» del 25 giugno 1890, riporta la notizia che «nell’udienza penale retta dal Vice-Pretore Cav. Moscone, ben sette ortolani che si ostinano ad ammorbare la nostra strada Orientale mantenendo nei loro ortaggi stagni di acque o di altre materie putride che producono spesso malaria, sono condannati a lire cinquanta di ammenda per ciascuno ed alle spese.»
Nei pressi vi sono poi le stalle dell’impresa Fiocca, che si occupa del trasporto pubblico con diligenze trainate da cavalli.
Perciò la famiglia Ortiz si trasferisce dall’altra parte della città, nel quartiere Trivigliano, oggi S. Maria, e abita prima all’ultimo piano del Palazzo de’ Pasquale, nei pressi della chiesa di S. Agata, e poi a Palazzo de’ Laurentis in Via Toppi, vicino l’omonima torre merlata.
A Chieti Ramiro trascorre la sua fanciullezza tra giochi con i numerosi cugini e visite ai parenti. Nella bella stagione passeggerà con la famiglia per il viale di S. Andrea, un viale alberato che riflette la moda del boulevard parigino, realizzato durante l'occupazione francese per collegare la città con l'Ospedale militare, posto nell'ex convento di S. Andrea. L'intera zona è meta di passeggio e luogo di ritrovo per quanti vi si recano per godere del bellissimo panorama che qui si apre.
Il viale uscendo dalla città fiancheggia sulla destra villa Nolli con il suo parco di elci e lecci mentre sullo sfondo, in alto, domina villa Frigerj, sulla sinistra a partire proprio dal largo della Trinità, c’è un bell'edificio ad uso di bagni pubblici, poi l’ottocentesco Palazzo Leonelli e a seguire la casina D’Ettorre di gusto neo classico. Quando nel 1893 i lavori sono ormai conclusi, viene consegnato alla città un magnifico giardino dotato di una varietà notevole di piante, di sedili di legno, di una grande fontana - acquistata a Parigi in occasione dell'esposizione universale del 1890 - di un laghetto artificiale, di una cassa armonica.
Altro luogo di passeggio sarà il corso dedicato a quel tempo ancora a Ferdinando Galiani, con vetrine scintillanti ed alla moda; non per niente Chieti viene chiamata la piccola Napoli. Il passeggio è favorito anche dal fatto che le strade sono ben illuminate. Infatti Chieti nel 1894 è tra le prime città del regno a dotarsi di illuminazione pubblica a gas su larga scala con 239 «becchi» per l’illuminazione pubblica e 1213 a servizio dei privati.
Il giovane Ramiro frequenta i compagni di scuola e alleva piccoli animali. Ma senza dimenticare lo studio. Certo è favorito da un ambiente familiare colto e stimolante, però è bravo anche di suo. «Lo Svegliarino» del 25 ottobre 1891, riporta l’elenco degli alunni premiati del Real Liceo-Ginnasio «G.B. Vico» e tra questi vi è anche il nostro con una «Menzione onorevole in tutte le materie». È l’anno scolastico 1890-91. E ciò si ripeterà anche l’anno prossimo.
Nel 1898 il padre si trasferirà poi a Napoli per poter assicurare continuità di studi alla numerosa figliolanza e andrà ad insegnare al Ginnasio Liceo «Antonio Genovesi» mentre Ramiro continuerà gli studi al liceo «Umberto I».

Oltre a Ramiro e Maria, Giusto Ortiz ha altri figli: Vittorina, Clodomiro, Virginia, Ruggiero, Eugenia, Cornelia e Silvia. Il trasferimento a Napoli permetterà a tutti i figli di laurearsi. Dopo Napoli la famiglia si trasferirà definitivamente a Roma per rimanere uniti a Maria che nel frattempo è stata trasferita nella capitale.
Maria, col suo carisma è ormai la «mater familias» della casa. Maria, Virginia, Silvia ed Eugenia resteranno nubili e vivranno tutte assieme nella stessa casa.
Vittorina pubblica nel 1919 un lavoro sui Poemetti latini del Pascoli e sposerà il prof. Aldo Cugini. Cornelia cura nel 1911 l’edizione de «La Marfisa bizzarra» di Carlo Gozzi per i tipi di Laterza Bari. Sposa Antonio Bussagli, chimico, fisico e matematico, cofondatore dell’Istituto Sieroterapico e Vaccinogeno Sclavo. Il figlio Mario diventa uno dei più importanti orientalisti. Dopo la seconda guerra mondiale torna a Roma ospite della onnipresente zia Maria. Tutte le sorelle, a eccezione di Maria saranno apprezzate e valide docenti di scuole superiori di Roma.
Clodomiro nasce nel 1884, viene assunto al Credito Italiano il 10.7.1911. Diventerà direttore di varie filiali, Napoli, Torino e poi Livorno, morirà il 22 ottobre del ’39 per un attacco di angina pectoris. Clodomiro sposerà Renata Varvara, avrà tre figli: Giusto, Biancamaria e Elena. Quest’ultima nasce a Genova il 12.4.1918.
Ruggiero nasce nel 1893, è anch’egli collaboratore del Credito Italiano essendo stato assunto il 13.1.1921 ma non ha tempo di fare carriera perché muore prematuramente il 27.1.1937 dello stesso male che aveva colpito il fratello.









Riccardo La Rovere
(n. 10, ottobre 2020, anno X)