La Resurrezione di Cristo nella pittura dei maestri italiani

«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo segui ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». [1]

L’importanza della Resurrezione di Cristo per la cristianità è evidente anche nelle arti, soprattutto nella pittura, dove l’apparizione del Redentore alle pie donne e ai discepoli fu dipinta per destare gioia ma anche stupore e timore. I più stupiti e confusi dovevano essere i soldati romani, le guardie che, invece di sorvegliare la tomba del figlio di Dio, si sono addormentate e hanno perso il momento del miracolo accaduto. Per questo essi sono forse presenti in molte opere accanto al sepolcro vuoto. Le maniere e le tecniche usate dagli artisti per creare questa scena straordinaria cambiarono nel tempo. Nel Quattrocento Giovanni Bellini e Perugino dipinsero la figura di Cristo in modo statico, sul trono tra personaggi ritenuti lì presenti (perché in molte tele alla Resurrezione non assistettero solamente le guardie romane, come racconta il Vangelo, ma anche altri uomini). Nel Cinquecento il Veronese diede la versione pittorica «più impetuosa e tormentata» del momento, trasmettendo proprio l’emozione vissuta all’uscita di Gesù dalla tomba e alla sua liberazione in cielo, in uno stato generale di spavento e di perplessità. Nei secoli successivi molti artisti di diverse nazionalità s’ispirarono allo stile del Veronese.


Giotto

Giotto di Bondone, il famoso pittore ed architetto italiano, sommo rappresentante del gotico, ha raffigurato tutta la vita di Cristo. Dalle innumerevoli opere sue [2] gli affreschi della Cappella di Enrico Scrovegni [3] sono forse i più conosciuti. L'intero ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura.

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Giotto, La Resurrezione, 200x185 cm, 1303-1305,
Padova, Cappella degli Scrovegni


L’affresco la Resurrezione e Noli me tangere si trova nel registro centrale inferiore, nella parete sinistra, nelle Storie della Passione di Gesù. La scena mostra un doppio episodio: a sinistra il sepolcro vuoto di Cristo con gli angeli seduti e le guardie che dormono tranquillamente senza essersi accorti del miracolo avvenuto e a destra, Maria Maddalena che vede Cristo risorto. La donna, inginocchiata, protende perplessa le braccia verso il Risorto temendo di non essere solo una visione, ma Cristo trionfante sulla morte, con il vessillo crociato (sul quale si legge l'iscrizione VI[N]CI/TOR MOR/TIS), la respinge con gentilezza, allontanandosi. Adesso, l’amore umano non gli appartiene più e vive solo l’amore divino. La frase che pronuncia, Noli me tangere, corrisponde alleversioni latine dei vangeli. L'atmosfera creata è di «metafisica astrazione», che preannuncia, come considerano i critici, la pittura di Piero della Francesca. Giotto e i suoi allievi hanno raffigurato la scena del Noli me tangere anche nella Cappella della Maddalena nella basilica inferiore di Assisi, con un'analoga rappresentazione del sepolcro vuoto.



BEATO ANGELICO

Il frate domenicano Giovanni da Fiesole [4] cercò, da pittore, di saldare i nuovi principi rinascimentali, come la costruzione prospettica e l'attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didattica dell'arte e il valore mistico della luce.
Gli affreschi del Convento di San Marco (costruito dal Michelozzo e decorato da Fra Angelico) furono «una pietra miliare dell'arte rinascimentale», di una forza nata dall'assoluta armonia e semplicità, che invita a contemplare e a meditare religiosamente. «Se (come diceva il Brunelleschi) lo spazio è forma geometrica e la luce divina (come diceva S. Tommaso) riempie lo spazio, come negare che la forma geometrica sia la forma della luce?» [5]


Beato Angelico, La Resurrezione con l’angelo e le pie donne, affresco,
1438-1446, 804x750 cm, Museo di San Marco, Firenze


Nella Resurrezione di Cristo nel Convento di San Marco Beato Angelico ha dato un’immagine commovente del Redentore che guarda dall’alto il sepolcro vuoto, in cui le pie donne lo cercano senza capire la ragione della Sua mancanza, mentre l’angelo custode con la mano alzata spiega loro il miracolo appena prodotto.
Come Giotto, Beato Angelico ha dipinto anche un affresco su Noli me tangere, in cui Gesù incontra Maria di Màgdala nel giardino di fronte alla roccia tombale. L’erba, i fiori e gli alberi – olivi e cipressi – alludono alla passione di Cristo, alla Sua meravigliosa accoglienza a Gerusalemme nella Domenica delle Palme, così diversa dall’ultimo Suo giorno di vita, quando verrà processato, crocefisso e poi sepolto.



Beato Angelico, Noli me tangere, affresco, 1438-1446, 585x800 cm,
Museo di San Marco, Firenze


In un’altra pittura dell’Angelico, l’angelo appena uscito dalla tomba vuota porta la bella notizia alle pie donne ancora piangenti. L’armonia cromatica viene data dai manti celeste, giallo e rosso che queste indossano e dal color nocciola chiaro che sono sia del vestito dell’angelo sia della roccia.


Beato Angelico, La Resurrezione di Cristo e le Marie al sepolcro, affresco, 1450,
Museo di San Marco, Firenze




PIERO DELLA FRANCESCA

Tra le personalità più emblematiche del Rinascimento italiano, il pittore e matematico Piero di Benedetto de’ Franceschi, noto comunemente come Piero della Francesca, fu un esponente della seconda generazione di umanisti. [6] Le sue opere, in cui s’intrecciano arte, scienza, teologia e filosofia, «razionalità ed estetica», «fecero da cerniera» tra la prospettiva geometrica brunelleschiana, la plasticità di Masaccio, la luce altissima che «schiarì le ombre e intrise i colori di Beato Angelico e di Domenico Veneziano e la descrizione precisa e attenta alla realtà dei fiamminghi». [7] Il suo estremo rigore nella ricerca prospettica, la plastica monumentalità delle figure, influenzarono profondamente la pittura rinascimentale dell'Italia settentrionale e, in particolare, le scuole ferrarese e veneta.


Piero della Francesca, La Risurrezione di Cristo, affresco, 225x200 cm,
Museo Civico, Sansepolcro


La Resurrezione di Gesù, che l’artista dipinse mentre lavorava ad Arezzo agli affreschi delle Storie della Vera Croce, in una sala del palazzo del governo cittadino (oggi sede del museo) [8], fu lodata anche dallo scrittore Aldous Huxley che la definì la più bella pittura del mondo. [9] La scena è ambientata in un quadro naturale pieno di piante verdi (olivi), dove si trovano un basamento (con un'iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e un architrave. Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita. La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, formatosi tra la base del sarcofago e la sua aureola. La sua figura solenne divide il paesaggio in due parti: quella di sinistra, invernale e morente e quella di destra, estiva e rigogliosa, che richiama i cicli vitali, presenti nella cultura pagana. La partecipazione dell’artista a questa scena è viva, perché il soldato senza elmo che dorme seduto ai piedi del sarcofago rappresenta il suo autoritratto. L'asta del vessillo con la croce lo tiene in diretto contatto con la divinità.
Il tema del contrasto tra i due stati – il sonno dei soldati e la veglia di Gesù – è redatto con una geometria spaziale, in cui s’iscrivono «le figure astratte e immutabili dei personaggi». Cristo ha un corpo atletico, ben eretto e modellato come una statua antica; con un ginocchio appoggiato sul bordo, per rilevare l'uscita dal sarcofago, e con la mano destra che regge il vessillo crociato, annuncia il suo trionfo. Egli fu consapevolmente dipinto «al di fuori delle regole prospettiche che imporrebbero una veduta dal basso, come avviene per le teste dei soldati», perché la sua natura divina «l’ha già sottratto alle leggi terrene». [10]




GIOVANNI BELLINI

Uno dei più celebri pittori del Rinascimento, Giovanni Bellini [11] lavorò ininterrottamente ad altissimi livelli per più di sessant'anni, facendo passare la pittura veneziana, che ebbe in lui un fondamentale punto di riferimento, attraverso le esperienze più diverse, «dalla tradizione bizantina ai modi padovani filtrati da Andrea Mantegna, dalle lezioni di Piero della Francesca, Antonello da Messina e Albrecht Dürer, fino al tonalismo di Giorgione». [12] Nelle sue opere seppe accogliere tutti questi stimoli rinnovandosi continuamente, ma senza tradire mai il legame con la propria tradizione, anzi valorizzandolo e facendone un punto di forza.


Giovanni Bellini, La Resurrezione di Cristo, olio su tavola trasferita su tela,
148x128 cm, 1475-1479, Staatliche Museum, Berlino


Nella Resurrezione di Cristo (che oggi si trova allo Staatliche Museum di Berlino), Gesù appare in gloria assoluta sopra le nuvole, con il vessillo bianco («come il velo mosso dal vento della mattina») sul quale la croce rossa simboleggia la vittoria del cristianesimo. I soldati romani non possono più essere increduli, e uno (forse quello che gli aveva trafitto il costato con la lancia) già lamenta che non ha avuto fede nel Figlio di Dio. Lontano si vedono le pie donne incamminarsi verso la tomba del Redentore nel momento in cui la notte (simbolo del peccato) viene sostituita dall’alba (simbolo della pace). La scena rappresenta più di altre opere la gloria di Cristo dopo il Suo ritorno dal regno dei morti.




IL PERUGINO

Pietro di Cristoforo Vannucci [13], noto come il Perugino o Pietro Perugino, fu per alcuni decenni il più noto e influente pittore italiano. Maestro di Raffaello, mise insieme la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso i modi gentili della pittura umbra [14]. Fu il primo a sviluppare quello stile «dolce e soave» che godette una notevole fortuna negli ultimi decenni del Quattrocento. I suoi dipinti religiosi, con la loro «indefinita caratterizzazione di personaggi e luoghi, intonati ad un tono lirico e contemplativo», erano particolarmente appropriati alle «pratiche di visualizzazione interiore degli episodi evangelici suggerite dai manuali di orazione contemporanei» [15]. Attivissimo a Firenze e a Perugia, dove conduceva la sua bottega, dipinse anche a Roma, nella Cappella Sistina.
Il suo stile è caratterizzato da una «morbida luce soffusa, un chiaroscuro che evidenzia la rotondità delle forme, colori sfumati con delicatezza ma ricchi di drammaticità nelle azioni, paesaggi idilliaci e teatrali architetture di sfondo», nelle opere uscite dalla sua bottega fiorentina, come la Pietà (1483-1493 circa) o il Compianto sul Cristo morto (1495), «dove il soggetto sembrerebbe richiedere una maggiore accensione emotiva». [16]


Pietro Perugino, La Resurrezione di Cristo, Dal Convento di San Pietro, Perugia, 600x325 cm, Musée des Beaux-Arts, Rouen, France


 La Resurrezione di Gesù del Perugino è ambientata sul colle del Golgota, in un paesaggio in cui dietro alcuni alberi si vedono i monti. Cristo trionfante è appena uscito dal sepolcro, la cui pietra è mossa proprio per convincere gli spettatori della Sua gloria. Egli sta nel centro, con il vessillo con la croce nella mano sinistra, mentre con la destra sembra voler indicare l’importanza del momento; avvolto nel suo manto rosso (simbolo del santo sangue versato per l’umanità), ha ancora sulla testa la corona di spine che lo identifica dopo la sua morte recente. Dai soldati che dormono profondamente, ce n’è uno ancora sveglio, che tiene nella mano la lancia con quale Gesù è stato ferito al costato. Il Figlio di Dio, che ha vinto la morte e i suoi nemici, veglia adesso maestosamente il mondo che sembra di nuovo un paradiso. La sua bellezza corporea è sostenuta dalla simmetrica presenza nel quadro dei due olivi alti e degli altri alberi e arboscelli.




RAFFAELLO SANZIO


Raffaello Sanzio, il migliore allievo di Perugino, è stato uno dei più celebri pittori e architetti del Rinascimento italiano. Autore di splendide Madonne [17] e di tanti ritratti di santi, papi e personalità politiche e culturali, dei famosi affreschi negli appartamenti Borgia (Disputa del Sacramento, Scuola di Atene, Parnaso ed altre..), ha creato fino all’età di 37 anni opere che sono diventate modelli d’insegnamento del disegno e della pittura. Con il suo passaggio attivo per Umbria (a Urbino, dove nacque) e per le Marche, dopo Città di Castello, Perugia, Siena, Firenze, ha lasciato moltissimi capolavori che hanno arricchito non solo i musei d’Italia, ma di tutto il mondo. Nelle sue opere Raffaello ha dimostrato «la capacità di indagare attentamente la psiche, cogliendo i dati introspettivi degli effigiati, assieme a un'appassionata descrizione del dettaglio di matrice fiamminga», appresa probabilmente alla bottega paterna. [18]


Raffaello Sanzio, La Resurrezione, 1502, olio su tavola, 52x44 cm,
Museo d'Arte di São Paulo, Brasile


Nella sua Resurrezione di Cristo custodita dal Museo d'Arte di San Paolo e che riporta varie iscrizioni sul retro e sulla cornice [19] si nota l’influenza del Perugino (della predella del Polittico di San Pietro, della Pala di San Francesco al Prato, dove si vedono figure simili di soldati spaventati e la coppia di angeli in volo con cartigli sinuosi). Ma Raffaello seppe anche distaccarsi dal modello, ambientando la scena in un paesaggio più variato e animato, nella maggior ricchezza ed elaborazione del sarcofago, «nelle vesti più curate, nei gesti più vivi, nei colori più corposi, che danno maggiore risalto plastico alle figure». Anche gli angeli sono più animati di quelli di Perugino, e rimandano piuttosto a esempi fiorentini. Gesù è mosso, non sta più sulla pietra tombale, si trova già su una nuvola, allusione forse alla Sua futura Ascensione, insieme al dito della mano destra che indica il cielo. I soldati romani si sono svegliati e le loro figure e i loro corpi tradiscono meraviglia e spavento. Anche qui si vedono lontano le pie donne, fra cui si riconoscono dai colori delle vesti Maria, la madre di Gesù (in nero) e Maria Maddalena (in colore viola).


TIZIANO


Artista «innovatore e poliedrico», maestro, insieme a Giorgione, del colore tonale, Tiziano Vecellio fu uno dei pochi pittori italiani che, avendo una propria bottega, stabilì contatti diretti con i potenti dell'epoca, diventati i suoi maggiori committenti. Rinnovatore della pittura (come Michelangelo), ha lasciato opere alle quali s’ispirarono Velázquez, Rubens, Rembrandt e Goya. Nominato dall’imperatore Carlo V «conte del Palazzo del Laterano, del Consiglio Aulico e del Concistoro, Conte palatino e Cavaliere dello Sperone d'Oro», Tiziano anticipò le tecniche pittoriche di tutti i maestri che vennero dopo di lui, da Rubens a Rembrandt e Velázquez, fino a Delacroix. [20] Spirito autenticamente rinascimentale, egli fu «il ritrattista principe del suo secolo». [21] Il fondo scuro, già presente nel Quattrocento nelle opere dei fiamminghi e di Antonello da Messina, diventò il suo tratto distintivo, insieme alla naturalezza delle espressioni e alla libertà da schemi preconfezionati. «Il colore denso» fu sempre, lo strumento di cui si servì per «la rappresentazione psicologica della realtà». Attento alla fisionomia più che ai sentimenti, dipinse l'abbigliamento con cura a volte ricercata (velluti, broccati, gioielli, armature), per rappresentare il potere incarnato in una persona, fosse questa un re, un cardinale o un santo. L’artista veneziano non ha lasciato allievi ma la sua lezione e i suoi colori hanno attraversato cinque secoli, perché oggi si possa rivivere quell'emozione, «quell'equilibrio di senso e d’intellettualismo umanistico, di civiltà e di natura, in cui consiste il fondamento perenne della sua arte». [22] Gradualmente in queste opere si vede come l'artista cercò di superare il diaframma tra effigiato e spettatore (spesso costituito da un parapetto), all'insegna di un contatto più diretto e di una visione più reale, in cui i protagonisti sono animati da sentimenti tratteggiati con acutezza e vigore. [23]


Tiziano Vecellio, Noli me tangere, 1511-1512, olio su tela, 109x91 cm,
The National Gallery, Londra


Nella sua opera Noli me tangere (considerata da alcuni critici opera giovanile dell’artista, oppure pittura di Giorgione), la scena si svolge sullo sfondo di un paesaggio bucolico. Cristo a sinistra e la Maddalena a destra, inginocchiata si trovano davanti a un albero che sembra prolungare la figura del Redentore verso il cielo, sorpassando anche le dimensioni del colle da destra. L’intensità cromatica degli elementi naturali che compongono la scena insieme ai due protagonisti – Gesù trionfante e Maria di Magdala, che ha già toccato il lenzuolo del Redentore, quasi incredula di averlo visto davvero – dà vigore ed espressività alle loro figure.


Tiziano Vecellio, La Resurrezione, 1520-1522, olio su tavola, 278x292 cm,
Collegiata dei Santi Nazaro e Celso, Brescia


Tiziano ha dipinto anche una Resurrezione che fa parte dal Politico Averoldi, chiamato così dal nome del committente Altobello Averoldi. Formato da cinque panelli che rappresentano (oltre alla Resurrezione di Cristo), Santi Nazaro e Celso con donatore, San Sebastiano, Angelo annunziante, e Vergine annunciata, l’opera rinnova nella scena centrale l'iconografia tradizionale, combinandosi con quella dell'Ascensione. Cristo trionfante e sfolgorante sale la scala del cielo, impugnando il vessillo crociato come emblema del Cristianesimo. La sua figura, di straordinaria forza e bellezza è inondata dalla luce che contrasta con lo sfondo della scena ancora coperta dalle tenebre della notte, a un’ora quando tutti dormono ancora, insieme ai soldati romani, dai quali uno solo, sveglio, è il testimone stupito dell’ascesa del figlio di Dio. L’opera rivela la volontà di Tiziano di «misurarsi con il plasticismo così intenso da ricordare l’esempio degli scultori classici greci».




TINTORETTO


Pittore del Rinascimento italiano ed esponente di rilievo della scuola veneziana, Tintoretto fu influenzato dall'arte di Tiziano, che per breve tempo fu anche suo maestro, di Michelangelo e dalla cultura manierista Il suo linguaggio pittorico originale fu caratterizzato «dall'energia e dalla rapidità della pennellata, dalla resa plastica delle figure, da marcati contrasti chiaroscurali e dall'uso drammatico della prospettiva e della luce». [24] Tintoretto, che a vent'anni era già un maestro indipendente, legò indissolubilmente il suo nome alla Scuola Grande di San Rocco, definita anche la Cappella Sistina di Venezia, dove, dal 1564, lavorò per più di vent'anni dipingendo oltre sessanta teleri.


Jacopo Robusti di Tintoretto, La Resurrezione di Cristo, olio su tela, 529x485 cm,
Scuola Grande di San Rocco, Venezia


La composizione è concentrata sulla resurrezione di Gesù Cristo che vince la morte. Cristo è raffigurato trasversalmente, avvolto da uno splendore miracoloso, esce dal sepolcro aperto dai quattro angeli alati. Sotto, nell'ombra, si trovano delle guardie scompigliate e addormentate le quali simboleggiano le tenebre [25]. Sullo sfondo destro appaiano due figure femminili le quali conversano e indossano il velo nella testa.


Tintoretto, La Resurrezione di Cristo con san Cassiano e santa Cecilia, 1565,
olio su tela, 450x225 cm, Chiesa di San Cassiano, Venezia


La Resurrezione di Tintoretto dalla Chiesa di San Cassiano fu commissionata nella Scuola del Santissimo Sacramento per l'altare maggiore. [26] Nella tela Cristo appare in posizione verticale e smorto a differenza dalla Resurrezione di Cristo della Scuola Grande di San Rocco, seminudo che sorge dal sepolcro di pietra. Egli è circondato da angioletti, dei quali quelli di sopra appaiano le mani giunte, mentre quelli che si trovano all'altezza delle gambe di Gesù e sopra le teste di San Cassiano e Santa Cecilia portano una ghirlanda di fiori. Al pianterreno a sinistra si trova San Cassiano in abiti vescovili, mentre a destra Santa Cecilia che tiene una palma tra le braccia giunte. In mezzo ai santi ci sono due angioletti e uno strumento musicale.


Jacopo Tintoretto e aiuti di Bottega, La Resurrezione, tela, 159x232 cm,
Museo Nazionale Gallerie dell'Accademia, Venezia


Nella Resurrezione lavorata da Tintoretto insieme agli aiuti di bottega, che ora si trova alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Gesù è rappresentato in un nimbo di luce che contrasta con il buio della notte in cui dormono i soldati romani perdendo il miracolo accaduto. Cristo tiene nella mano sinistra il vessillo della vittoria sulla morte, simbolo fondamentale della cristianità, mentre con la destra fa un segno verso un qualcosa di sconosciuto che non può essere che la retta via, la via del Signore, la cui guida Egli sarà per tutti noi.




PAOLO VERONESE

Paolo Caliari, detto il Veronese è stato un rappresentante del Rinascimento italiano, attivo a Venezia e in altre località del Veneto. Noto in particolare per i suoi dipinti a soggetto religioso e mitologico di grande formato, come Nozze di Cana, Cena a casa di Levi e Trionfo di Venezia si formò nella bottega di Antonio Badile a Verona. Insieme a Tiziano e a Tintoretto, è considerato uno del «grande trio che ha dominato la pittura veneziana del cinquecento». [27] Le sue opere più famose sono eseguite in uno stile drammatico e colorato, pieno di sfarzosi dettagli. Apprezzato per «la brillantezza cromatica della sua tavolozza, per lo splendore e la sensibilità della sua pennellata, per l'eleganza aristocratica delle sue figure e per la magnificenza del suo spettacolo», Veronese ha anticipato con la sua pittura l'arte barocca, «ispirando numerosi artisti come Annibale Carracci, Sebastiano Ricci, Pietro da Cortona, Giambattista Tiepolo, fino a Eugène Delacroix». [28]


Paolo Veronese, Resurrezione di Cristo, 1580 circa, olio su tela, 325x160 cm,
Chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia


Collocata nella cappella Badoer e storicamente attribuita all'artista la Resurrezione di Cristo è stata posta in dubbio come opera sostanzialmente autografa da una parte della critica. Negli ultimi anni è stata riconosciuta come una realizzazione tipica dell'ultima fase dell'artista in cui egli rielabora modelli già adottati per composizioni dello stesso soggetto. Le varie posture in cui sono raffigurati i soldati, spaventati come davanti all’Apocalisse, intorno al sepolcro spiegano la loro reazione all'evento miracoloso al quale partecipano; «il milite in secondo piano sulla destra è spinto addirittura a brandire l'alabarda contro la figura di Cristo risorto, il quale raffigurato in posa sinuosa e con le braccia allargate a reggere il vessillo – segno del trionfo sulla morte» [29] – ha una forza straordinaria che lo porta verso l'alto. L'atmosfera in cui si è prodotto questo miracolo (all’apparizione dell’alba) è un altro simbolo del cambiamento prodotto nella mentalità degli esseri, e anche nella loro geografia e storia millenaria.


Paolo Veronese, La Resurrezione di Cristo, 1570, olio su tela,
247x127 cm, Gemäldegalerie, Dresda

 

CONCLUSIONI

La Resurrezione di Cristo è stata molto raffigurata nella pittura universale. Le maniere e le tecniche usate dagli artisti per immortalare la scena in cui lasciando la sua tomba, Gesù torna alla vita terrena per finire la Sua sacra missione prima di andare in cielo, sono state molto diverse, dalla presentazione di pochi personaggi – Cristo insieme all’angelo o a più angeli, con le pie donne – fino a scene in cui appaiono cavalieri, soldati romani e anche animali e uccelli, fiori e alberi, come segno della rinascita di tutta la natura insieme al Redentore, così come accade soprattutto nelle opere dei maestri italiani.
All’atmosfera di metafisica astrazione creata da Giotto e Beato Angelico nei loro affreschi nel secolo del passaggio dal gotico all’umanistico, Giovanni Bellini ha contribuito con il valore mistico della luce. Nel Quattrocento Perugino ha dipinto Cristo sul trono, tra i personaggi che avevano partecipato alla Resurrezione – e non solo le guardie romane, come racconta il Vangelo, ma anche altri uomini. Nella tela di Raffaello gli angeli sono più animati di quelli di Perugino e Gesù non sta più sulla pietra tombale, ma si trova già su una nuvola, un’allusione questa alla Sua futura Ascensione, indicando il cielo con il dito. I soldati romani, che in altre opere continuano a dormire mancando il momento più importante della vita e della Passione di Gesù, qui si sono svegliati e si meravigliano spaventati. In lontananza si vedono le pie donne, vestite in colori simbolici, Maria, la madre di Gesù (in nero) e Maria Maddalena (in color viola).
Nel Cinquecento Tiziano Vecellio ha dipinto la famosa Noli me tangere, ovvero l’incontro di Gesù con Maria la Maddalena che lo vuole toccare per assicurarsi della realtà che sta vedendo e vivendo. L’altra Resurrezione di Tiziano rinnova l'iconografia tradizionale, combinando questo momento con quello della futura Ascensione. Cristo trionfante e sfolgorante sale la scala del cielo, con il vessillo crociato, l’emblema del Cristianesimo.
Anche Tintoretto ha dedicato più opere a questo tema, raffigurando un Gesù Cristo che esce dal sepolcro aperto da quattro angeli, avvolto da uno splendore miracoloso. Nella Resurrezione del Museo Nazionale Gallerie dell'Accademia di Venezia Gesù è rappresentato in un nimbo di luce che contrasta con il buio della notte in cui dormono i soldati romani perdendo il miracolo accaduto.
Però Paolo Veronese ha dato la versione pittorica «più impetuosa e tormentata» della Resurrezione, trasmettendo proprio l’emozione vissuta all’uscita di Gesù dalla tomba e alla sua liberazione in cielo, in uno stato generale di spavento e di perplessità. Nei secoli successivi molti artisti s’ispirarono allo stile del Veronese; basta ricordare solo Bronzino, Annibale Carracci, Correggio, Andrea Mantegna, Andrea del Sarto e tantissimi altri.



Otilia Doroteea Borcia
(n. 4, aprile 2022, anno XII)



* Il testo è tratto dal vol. Otilia Doroteesa Borcia, La Vita e la Passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021, pp. 283-310.


NOTE

1. Vangelo di Giovanni20, 1-9
2. Da Firenze, Padova, Assisi, Roma
3. Dipinta tra il 1303 e il 1305 con Storie di Anna e Gioacchino, di Maria, di Gesù, Allegorie dei Vizi e delle Virtù e Il Giudizio Universale. Il Nobile padovano Enrico Scrovegni fece costruire, sull’antico teatro romano di Padova, la cappella votiva che fu affrescata da Giotto.
4. Al secolo Guido di Pietro detto il Beato Angelico o Fra’ Angelico; fu beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1984, pure se “Beato Angelico” era stato chiamato subito dopo la sua morte; sia per l'emozionante religiosità di tutte le sue opere, sia per le sue doti personali di umanità e d’umiltà. Vasari fu quello che nelle Vite aggiunse al suo nome l'aggettivo "Angelico", usato in precedenza da fra’ Domenico da Corella e da Cristoforo Landino. Cfr. le garzantine, Enciclopedia dell’Arte Garzanti, 2009
5. Giulio Carlo Argan, Storia dell'arte italiana, vo. 2, Sansoni, Firenze, p. 164.
6. Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004, p. 328
7. Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007, cfr. Wikipedia enciclopedia libera
8. Verso la metà del XIX secolo, la pittura venne riscoperta e apprezzata da viaggiatori inglesi e poi da sommi artisti, come Edgar Degas, che visitò Arezzo e Sansepolcro, traendo ispirazione per le sue opere Semiramide alla costruzione di Babilonia (oggi al Museo d'Orsay), e Giovani spartane (alla National Gallery di Londra), in Silvia Ronchey, L'enigma di Piero, BUR, Milano 2006, pag. 40-41.
9. Queste parole salvarono la città di Sansepolcro dal bombardamento dell'artiglieria alleata durante la Seconda guerra mondiale, perché, come racconta il capitano britannico Anthony Clarke, fu proprio lui quello che, ordinato il cannoneggiamento della città (nonostante i nemici se ne fossero già ritirati), interruppe il fuoco dopo essersi ricordato dello scritto di Huxley, in Attilio Brilli, Borgo San Sepolcro. Viaggio nella città di Piero, Città di Castello, Tibergraph Editrice, 1988, pp. 110-111.
10. Roberto Manescalchi, Amintore Fanfani e Giulio Gambassi, Il Cristo Risorto di Piero della Francesca: Una battaglia per l’arte, Pagine Nuove n. 2, Grafica European Center of Fine Arts, Firenze 2008.
11. Noto anche con il nome Giambellino.
12. Mariolina Olivari, Giovanni Bellini, in AA.VV., Pittori del Rinascimento, Scala, Firenze 2007, p. 480
13. Titolare di due attivissime botteghe, a Firenze e a Perugia, dipinse nella Cappella Sistina il Battesimo di Cristo, la Consegna delle chiavi e a Firenze, Venezia e in altre città celeberrime opere come Apparizione della Vergine a San Bernardo, Sposalizio della Vergine, Lotta tra Amore e Castità e l’Assunta.
14. A Gesù risorto ha dedicato oltre alle due tele che si trovano al Metropolitan Museum di New York: Noli me tangere, Resurrezione di Cristo, anche la Resurrezione custodita nel Museo di Belle Arti di Rouen.
15. Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. p. 156
16. idem 53
17. Del Granduca, Diotallevi, Connestabile, Terranova, Piccola Madonna Cowper, del Prato, dei Garofani, del Cardellino, Esterhazy
18. cfr. Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999, p. 190
19. La più antica è forse quella in cui si legge "Giachino Mignatelli", da alcuni ritenuto il primo possessore.
20. Cecilia Gibellini, Tiziano, I Classici dell'arte, Milano, Rizzoli, 2003 p. 65
21. Immortalò sovrani, papi, cardinali, principi e condottieri generalmente a figura intera o più spesso a mezza figura, di tre quarti o seduti, in pose ufficiali o qualche volta in atteggiamenti più familiari.
22. Dell'Acqua C. A., Tiziano, Milano, 1955, in Cecilia Gibellini (a cura di), Tiziano, I Classici dell'arte, Milano, Rizzoli, 2003, p. 187
23. Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architetti, Newton Compton Editori, 1997. pp. 724-725
24. Venezia, Museo Nazionale Gallerie del - BUR Regione Veneto cfr. bur.regione.veneto.it› pubblica
25. Presentazione di Carlo Bernardi, L'opera completa del Tintoretto, Milano, Rizzoli, 1970, p. 120.
26. Idem 63, p. 107.
27. Terisio Pignatti, Veronese, volume primo, Venezia, Alfieri, 1976, p. 8.
28. Rodolfo Pallucchini, Paolo Veronese, Mondadori, 1984, p. 164
29. venetocultura.org.veronese

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*** DOP - Dizionario italiano multimediale e multilingue d’ortografia e di pronunzia, 2016.
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