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Piero della Francesca, pittore e matematico, sommo rappresentante del Rinascimento italiano
Piero di Benedetto de’ Franceschi, noto come Piero della Francesca, nacque nel 1412 a Borgo Sansepolcro, dove morì anche il 12 ottobre 1492. Famoso pittore e matematico, fu tra le personalità più emblematiche del Rinascimento italiano, facendo parte dalla seconda generazione di pittori-umanisti. [1] «Le sue opere sono mirabilmente sospese tra arte, geometria e complesso sistema di lettura a più livelli, dove confluiscono questioni teologiche, filosofiche e d’attualità». L’artista riuscì «ad armonizzare, nella vita quanto nelle opere, i valori intellettuali e spirituali del suo tempo, condensando molteplici influssi e mediando tra tradizione e modernità, tra religiosità e nuove affermazioni dell'Umanesimo, tra razionalità ed estetica». [2] In esse si ritrovano elementi della prospettiva geometrica di Brunelleschi, della plasticità di Masaccio, e della luce altissima di Beato Angelico e Domenico Veneziano, e la descrizione è attenta alla realtà, come nella pittura fiamminga. Altre caratteristiche della sua espressione poetica sono «la semplificazione geometrica delle composizioni e dei volumi, l'immobilità cerimoniale dei gesti, l'attenzione alla verità umana». [3]
Molti studiosi hanno cercato di presentare la vita di Piero della Francesca, ma senza ottenere ottimi risultati, data la scarsità dei documenti ritrovati [4]. Anche la sua opera ha avuto numerose perdite importantissime, come gli affreschi eseguiti nel Palazzo Apostolico, sostituiti nel XVI secolo dalle Stanze di Raffaello. Figlio di Benedetto de' Franceschi, ricco uomo di commercio di tessuti, e di Romana di Pierino da Monterchi, nobildonna di famiglia umbra, Piero nacque tra il 1406 e il 1416 a Sansepolcro (che allora si chiamava «Borgo San Sepolcro»). La data esatta della sua nascita è sconosciuta, poiché gli atti dell'antica anagrafe furono distrutti in un incendio negli archivi comunali di Sansepolcro. Da un testamento dell’8 ottobre 1436 – in cui il nome di Piero era accennato come testimone – risulta che l'artista doveva avere vent’anni a quell’epoca, cioè l'età prescritta per un documento ufficiale. Giorgio Vasari considera che Piero, che morì nel 1492 a 86 anni [5], sarebbe nato nel 1406, ma nemmeno questa data è certa, perché i suoi genitori si sposarono solo nel 1413 [6]. Lo storico spiega che, mortogli il padre prima che egli nascesse, fu chiamato col matronimico invece del patronimico e che la madre era conosciuta come «la Francesca» in quanto maritata nei Franceschi (così come Lisa Gherardini del Giocondo veniva detta «la Gioconda»). [7]
La sua formazione avvenne in Borgo Sansepolcro, «cittadina di frontiera culturale, tra le influenze fiorentine, senesi e umbri». Nel monastero camaldolese di Sansepolcro esisteva già nel XIII secolo una scuola, documentata fin dal 1226. Nel Trecento c’erano scuole dei frati Minori e dei frati Eremiti di sant'Agostino, che avevano le proprie biblioteche. Quella del monastero disponeva tra il 1478 e il 1480 di più di 121 volumi, la maggior parte a carattere liturgico, teologico e giuridico. Nei primi decenni del XV secolo, quando Piero della Francesca cominciò a studiare e a dipingere, al convento dei Servi di Maria vivevano e operavano numerosi maestri di teologia. La presenza di una scuola comunale di grammatica e l'alto numero d’intellettuali (specialmente medici e notai) ivi presenti fece l’ambiente culturale locale molto complesso, sia a Sansepolcro, sia in tutta l’Alta Valle del Tevere [8]. In questo centro pieno di vita spirituale Piero ha trovato un ambiente ideale per la sua sensibilità artistica [9]. Il primo pittore con il quale ha collaborato è stato Antonio d'Anghiari, che viveva e lavorava a Sansepolcro (come attesta un documento del 27 maggio 1430, in cui si accenna che Piero era stato pagato per dipingere «certi stendardi e bandiere con le insegne del Comune e del governo papale, posti sopra una porta delle mura» [10]. Nel 1437 lavorava nell'abbazia camaldolese di San Giovanni Evangelista (la principale chiesa di Sansepolcro, l'odierna Basilica Cattedrale) e un anno dopo era citato tra gli aiutanti di Antonio d'Anghiari, a cui era stata affidata la commissione per la pala della chiesa di San Francesco (poi realizzata dal Sassetta). è difficile però affermare se il maestro di Piero sia stato proprio Antonio, dato che nessun’opera di questo è stata conservata.
Nel 1439 l’artista si trovava per la prima volta a Firenze, dove sarà compiuta la sua vera formazione. Faceva già parte degli aiutanti di Domenico Veneziano per la realizzazione degli affreschi, oggi perduti, delle Storie della Vergine nel coro della chiesa di Sant'Egidio. «La pittura luminosa, dalla tavolozza chiarissima e sontuosa, di Domenico Veneziano e quella, moderna e vigorosa, di Masaccio furono elementi determinanti nello sviluppo del suo percorso artistico, ispirandogli alcune caratteristiche fondamentali che utilizzò durante tutta la sua vita» [11]. Con Domenico aveva probabilmente collaborato a Perugia tra gli anni 1437 e 1438 [12] e, secondo Vasari, avevano lavorato insieme anche a Loreto, nella chiesa di Santa Maria, per affrescare un'opera nella volta della sagrestia, che a causa della peste, avevano lasciato imperfetta; questa sarà poi finita da Luca da Cortona, discepolo di Piero [13].
Madonna col Bambino (1435-1440), Collezione privata
La prima opera che gli fu attribuita da Roberto Longhi [14] è la Madonna col Bambino, già nella fiorentina Collezione Contini Bonacossi. Viene datata 1435-1440, quando Piero lavorava accanto a Domenico Veneziano. Lo conferma un vaso, dipinto nel verso della tavola, «come esercitazione prospettica». Non certa è però la datazione del Battesimo di Cristo, oggi alla National Gallery di Londra, che alcuni storici considerano essere la prima opera del pittore, perché dipinta nel 1439, che fu l’anno del Concilio di Firenze (in cui si riunificarono per breve tempo le Chiese d'Occidente e d'Oriente); quest’opinione è sostenuta dagli elementi iconografici presenti sullo sfondo (i dignitari bizantini). Secondo altri specialisti però, la pala sarebbe stata dipinta nel 1460.
Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo, 1445,
tempera su tavola, 167x116 cm, National Gallery, Londra
«A forma di un rettangolo con un semicerchio sovrapposto a esso, quest’opera è stata dipinta avendo una struttura geometrica molto precisa e proporzionale. La composizione è perfettamente equilibrata, con le figure inserite in modo simmetrico: a San Giovanni Battista corrisponde un albero, e alle tre figure alate un uomo che si prepara di entrare nell’acqua. Al centro si trovano Cristo, con i piedi immersi nel Giordano e San Giovanni Battista che lo sta battezzando mentre alla sua destra c'è un albero (simbolo forse della nuova vita cristiana) dietro il quale stanno tre angeli che si tengono per mano (simbolo della Trinità). Sopra il Figlio di Dio vola la colomba, emblema dello Spirito Santo.” L'albero che è un noce, richiama alla leggenda sulla fondazione della città di Sansepolcro. Sullo sfondo si possono vedere questa e un uomo che si prepara a essere battezzato.
Nel 1442 Piero si trovava di nuovo a Borgo Sansepolcro, essendo uno dei «consiglieri popolari» nel consiglio comunale. L'11 gennaio 1445 aveva ricevuto dalla Confraternita della Misericordia la commissione di un polittico per l'altare della loro chiesa che doveva essere compiuta in tre anni e controllata, eventualmente restaurata nei successivi dieci anni. In realtà il polittico fu realizzato in quindici anni, con l’aiuto di un allievo sconosciuto, come dimostra un pagamento fatto nel 1462 per conto di Piero, dalla Confraternita, al fratello Marco di Benedetto de' Franceschi. L’opera, scomposta nel XVII secolo, e con l'originaria cornice persa, fu poi trasferita nella chiesa di San Rocco. Dal 1901 è conservata nella Pinacoteca comunale.
Polittico della Misericordia (1445-1462), Museo Civico di Sansepolcro
Il polittico della Misericordia si compone di quindici tavole: tre scomparti raffiguranti i santi Sebastiano e Giovanni Battista, la Madonna della Misericordia e i santi Giovanni Evangelista e Bernardino da Siena, nel registro principale; la Crocifissione al centro, e San Romualdo, l'Angelo annunciante, l'Annunciata e San Francesco, ai lati. Sui pilastri laterali sono dipinti da un allievo sconosciuto sei santi e due stemmi della Confraternita della Misericordia; cinque tavolette che costituiscono la predella, sono state forse dipinte dal pittore camaldolese Giuliano Amidei. Ci si notano le influenze di Masaccio (nelle tavole di San Sebastiano, San Giovanni Battista). San Bernardino da Siena è raffigurato con l'aureola, perché era stato proclamato santo nel 1450.
Negli anni quaranta Piero realizzò degli affreschi, purtroppo andati perduti, in varie corti italiane: Urbino, Ferrara e probabilmente Bologna. Non è rimasta alcuna traccia delle opere di Ferrara, dove aveva lavorato nel 1449 al Castello Estense e nella chiesa di Sant'Andrea. Qui ebbe un primo contatto con l'arte fiamminga, con Rogier van der Weyden direttamente o con una delle sue pitture. Il contatto con l’arte fiamminga si nota dal fatto che Piero fu uno dei primi artisti italiani a usare la pittura a olio.
San Girolamo penitente, 1450
San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi, 1450 circa
Ad Ancona (dove si trovava nel 1450 come testimone della vedova del conte Giovanni di messer Francesco Ferretti), dipinse la tavoletta del San Girolamo penitente e forse anche quella di San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi. La delicata rappresentazione dei dettagli del paesaggio dimostra i contatti che l’artista ebbe con la pittura fiamminga. Vasari ricorda poi la presenza sull’altare di San Giuseppe nel Duomo anche di uno Sposalizio della Vergine, già scomparso nel 1821. Lo storico afferma che Piero «nella pittura fu adoperato» da Guidantonio da Montefeltro, «al quale fece molti quadri di figure piccole bellissimi», lasciando intendere però che la sua attività molto vasta nel 1550 era andata a finire «in gran parte male», a causa delle guerre «da cui lo Stato urbinate era travagliato».
Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo
Nel 1451 Piero fu chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per lavorare al Tempio Malatestiano; qui fece l'affresco votivo monumentale con San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta, e forse conobbe anche Leon Battista Alberti. Da Rimini, andò ad Ancona, Pesaro e Bologna.
Nel 1452, morto Bicci di Lorenzo, Piero dovette andare ad Arezzo, per finire la decorazione murale della Cappella Maggiore di San Francesco, cominciata da Bicci. Qui affrescò le celebri Storie della Vera Croce, in cui le lunette e le incorniciature del 1458 furono realizzate da collaboratori su cartoni del maestro. L'opera venne interrotta durante il viaggio dell’artista a Roma. Le scene del ciclo sono dipinte con colori fini e luminosi, che ricordano lo stile di Domenico Veneziano, mentre il disegno rigoroso, ricorda l’influenza fiorentina.
Per il polittico della chiesa Sant’Agostino di Sansepolcro, egli ha lavorato dal 1453 fino al 1469, quando l’ha terminato.
Chiamato a Roma da papa Pio II nel 1458, Piero nominò il fratello Marco come suo procuratore a Borgo Sansepolcro, sapendo che doveva mancarci per molto tempo.
La Resurrezione di Cristo, 1450-1463, affresco, 225x200 cm,
Museo Civico di Sansepolcro
Gli affreschi eseguiti a Roma, nel Palazzo Apostolico, vennero distrutti nel XVI secolo per far posto alla pittura delle Stanze Vaticane di Raffaello. Un affresco di San Luca che si trova in Santa Maria Maggiore, sembra essere stato fatto da artisti dalla bottega di Piero, ma le opere conservate a Roma non sono interamente autografe. Al 1459 risalgono la Resurrezione del Museo Civico di Sansepolcro, di grande solennità, datale dalla composizione piramidale e dalla ieratica frontalità del Cristo e poi la Flagellazione, la Madonna del Parto e, secondo alcuni, il Battesimo di Cristo.
La Resurrezione di Gesù merita un’analisi particolare perché l’affresco fu lodato anche dallo scrittore Aldous Huxley che lo definì «la più bella pittura del mondo». «La scena è ambientata in un quadro naturale pieno di piante verdi (olivi), dove si trovano un basamento (con un'iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e un architrave.» Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita. «La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, formatosi tra la base del sarcofago e la sua aureola. Essa divide il paesaggio in due parti: quella di sinistra, invernale e morente e quella di destra, estiva e rigogliosa, che richiama i cicli vitali, presenti nella cultura pagana.
La partecipazione dell’artista a questa scena è viva, perché il soldato senza elmo che dorme seduto ai piedi del sarcofago rappresenta il suo autoritratto. L'asta del vessillo con la croce lo tiene in diretto contatto con la divinità.»
L'autoritratto di Piero
Il tema del contrasto tra i due stati – il sonno dei soldati e la veglia di Gesù – è redatto con una geometria spaziale, in cui s’iscrivono «le figure astratte e immutabili dei personaggi». Cristo ha un corpo atletico, ben eretto e modellato come una statua antica; con un ginocchio appoggiato sul bordo, per rilevare l'uscita dal sarcofago, e con la mano destra che regge il vessillo crociato, annuncia il suo trionfo. Egli fu consapevolmente dipinto «al di fuori delle regole prospettiche che imporrebbero una veduta dal basso, come avviene per le teste dei soldati», perché la sua natura divina «l’ha già sottratto alle leggi terrene...»
Nel 1459 Piero perse sua madre e cinque anni dopo, il padre. Ma a Roma egli fu sicuramente in contatto con artisti fiamminghi e spagnoli, dai quali imparò come rappresentare in modo realistico i fenomeni atmosferici, che sperimentò negli affreschi della seconda fase del ciclo di Arezzo, come nella scena notturna del Sogno di Costantino.
Sogno di Costantino, dalle Storie della Vera Croce
Tornato nel 1460 a Sansepolcro, firmò e datò l'affresco di San Ludovico di Tolosa due anni dopo, essendo pagato per il Polittico della Misericordia, già terminato. La confraternita aretina della Nunziata commissionò a Piero nel 1466 uno stendardo con l'Annunciazione e nellostesso anno l’artista dipinse l'affresco di una Maddalena nel Duomo di Arezzo.
San Ludovico di Tolosa,
affresco staccato, 123x90 cm, 1460, Museo Civico di Sansepolcro
Le suore terziarie del convento di Sant'Antonio di Perugia gli commissionarono un polittico, che egli eseguì nel 1467, in spirito tardogotico (voluto dalle committenti), mettendo però nella cimasa, un'Annunciazione di stampo rinascimentale. Per sfuggire alla peste, nel 1468, andò a Bastia Umbra, dove dipinse almeno un altro gonfalone (oggi perduto).
Annunciazione, dal Polittico di Sant'Antonio
Il Polittico di Sant'Agostino, tecnica mista su tavola, 1454-1469,
(oggi smembrata e parzialmente dispersa), New York, Frick collection
L’altro polittico, per la chiesa agostiniana di Sansepolcro, commissionato nel 1454, ma portato a termine solo nel 1470, è un’opera molto innovativa, avendo il fondo d’oro sostituito da un cielo aperto tra balaustre in stile classico, le figure dei santi essendo lineari e monumentali.
Tra gli anni 1469-1472 Piero soggiornò a Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro. Qui il suo stile raggiunse un equilibrio straordinario tra l'uso di «rigorose regole geometriche» e «il respiro serenamente monumentale». Il Doppio ritratto dei duchi di Urbino, dove Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza sono presentati in primo piano, di profilo, è datato al 1465-1472. Il ritratto di Federico era finito già nel 1465, mentre quello di Battista Sforza fu terminato dopo il 1472. I ritratti si trovano davanti a un profondissimo paesaggio, che ricorda la pittura fiamminga, soprattutto quella di
Jan van Eyck.
Il doppio ritratto dei duchi di Urbino, dittico, olio su tavola
(47x33 cm ciascun pannello), 1465-1472 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi
Nel 1469 Piero si trovava ad Urbino, incaricato dalla Confraternita del Corpus Domini di dipingere uno stendardo processionale e di lavorare anche la famosa pala del Corpus Domini, già commissionata a Fra’ Carnevale, poi a Paolo Uccello; ma l’artista ne fece solo la predella. Piero lasciò a Urbino opere maestose, piene di luce, di una perfetta architettura, come la Madonna di Senigallia e la Pala di Brera
Madonna di Senigallia, 1470-1485,
olio su carta riportata su tavola di noce, 61 x 53,5 cm., Galleria Nazionale delle Marche
La Pala di Brera,1472-1474,
tempera su tavola, 251x173 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
La Pala di Brera fu sicuramente dipinta prima del 1475, perché il Duca appare senza la decorazione dell'Ordine della Giarrettiera, ricevuta nel 1474. Sembra che l’artista sia stato aiutato anche dal pittore di corte Pedro Berruguete, che secondo Roberto Longhi, avrebbe fatto le mani di Federico. Le figure sono molto luminose e il fondale architettonico policromo e armonioso ricorda le creazioni di Leon Battista Alberti.
Natività
Dal 1477 Piero visse, con qualche interruzione, fino al 1480 a Borgo San Sepolcro, facendo parte del consiglio comunale. Nel 1478 dipinse un affresco per la Cappella della Misericordia, che venne perduto. Tra il 1480 e il 1482 fu a capo della Confraternita di San Bartolomeo nella sua città natale. Una Natività, con una bellissima prospettiva è attribuita all'ultima fase di creazione di Piero. Anche qui però, certi critici considerano che il volto della Madonna sia stato realizzato da una mano «fiamminga». La Madonna col Bambino e quattro angeli che si trova nel museo di Williamstown (Massachusetts) è attribuita sempre a questo periodo. A Rimini, dove tornò nel 1482, attese alla scrittura del Libellus de quinque corporibus regularibus, che terminò dopo tre anni, dedicandolo a Guidobaldo da Montefeltro. Il 5 luglio 1487 fece testamento, dichiarandosi «sano nello spirito, nella mente e nel corpo».
Negli ultimi anni di vita, secondo Vasari, fu colpito da una grave malattia agli occhi che non gli permise più di lavorare. L’artista morì a Sansepolcro il 12 ottobre 1492, proprio il giorno della scoperta dell'America, e fu sepolto nella Badia di Sansepolcro.
„Piero della Francesca che tanta fama erasi meritata per la dipintura, e per le matematiche a cui indefessamente applicava.” (Amico Ricci (1834)
Piero fu anche autore di trattati di matematica e di geometria prospettica. Scrisse un manuale di calcolo intitolato Trattato d'abaco, il De prospectiva pingendi e il De quinque corporibus regularibus. Nel 2005 James Banker ha scoperto «nella biblioteca Riccardiana di Firenze (ms 106) un suo autografo che conteneva la copia della traduzione di una gran parte del corpus archimedeo eseguita nella prima metà del Quattrocento da Iacopo da San Cassiano». Il testo e le figure geometriche testimoniano il suo studio e il suo interesse per la matematica e la geometria greca. In queste opere si fa una sintesi tra «geometria euclidea, della scuola dei dotti, e matematica abachistica, riservata ai tecnici.»
La prima opera, il Trattato d'abaco, sulla matematica applicata, fu scritto forse già nel 1450, trent'anni prima del De prospectiva pingendi. Il titolo, aggiunto solo in epoca moderna, non si trovava nell'originale. La parte geometrica e quella algebrica sono molto vaste rispetto alle conoscenze del suo tempo e nella parte sperimentale l'autore ha esplorato elementi non convenzionali. Il secondo trattato De prospectiva pingendi prosegue la linea di studio teorico codificando le regole della moderna scienza prospettica e apportando notevoli novità per le quali viene considerato come «uno dei padri della nuova scienza e del moderno disegno tecnico». Vi sono affrontati problemi come «il computo del volume della volta e l'elaborazione architettonica della costruzione delle cupole». Il terzo trattato, Libellus de quinque corporibus regularibus, che è dedicato alla geometria, seguendo temi antichi di tradizione platonico-pitagorica, «si è ispirato alla lezione euclidea per l'ordine logico delle espressioni, per i riferimenti e per l'uso coordinato e complesso dei teoremi, vicino alle esigenze dei tecnici nella determinazione delle figure trattate, solide e poliedriche, e per l'assenza di dimostrazioni classiche e per l'uso di regole aritmetiche e algebriche applicate ai calcoli.» Nel testo venivano disegnati per la prima volta «i poliedri regolari e semiregolari, studiando le relazioni che intercorrono fra i cinque regolari.»
Per quanto riguarda la sua bottega, alcuni critici considerano che Piero abbia collaborato con Lorentino d'Andrea, Luca Signorelli e il Perugino, mentre altri vedono in Pietro di Galeotto da Perugia l’unico suo allievo documentato. Ad Arezzo, per affrescare la chiesa di San Francesco, egli lavorò con Giovanni da Piamonte, mentre nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Città di Castello, oltre al contributo di veri artisti si nota anche quello di Piero della Francesca. Tra gli artisti che egli ha influenzato si deve menzionare il miniatore Guglielmo Giraldi Magri.
Nella sua attività Piero della Francesca riuscì a legare la pratica pittorica alla matematica astratta, conservando il rigore della prospettiva, della plastica delle figure e dell'uso della luce, influenzando in questo modo la pittura rinascimentale dell'Italia settentrionale e specialmente quella ferrarese e veneta.
Otilia Doroteea Borcia
(n. 2, febbraio 2022, anno XII)
NOTE
1. Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004, p. 328.
2. Attilio Brilli, Francesca Chieli, Piero della Francesca. Il Museo civico di Sansepolcro, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2002, pp. 16–20.
3. Idem 2.
4. Giorgio Vasari, la Vita di Piero della Francesca pittore dal Borgo a San Sepolchro, in Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori e architettori, vol.1, 2ª ed., In Fiorenza, appresso i Giunti, 1568, pp. 353-357.
5. Vasari , op. cit., p. 354.
6. Vasari dopotutto non era nuovo a errori del genere, dovendo purtroppo affidare la sua ricerca sui secoli precedenti anche a fonti orali non confermabili. Per esempio scrisse, restando nel campo dell'arte quattrocentesca, che Andrea del Castagno era stato responsabile dell'omicidio di Domenico Veneziano, nonostante oggi si sappia che il secondo sopravvisse almeno quattro anni al primo.
7. Giorgio Vasari, op. cit., p. 354.
8. cfr. A. Czortek, Studiare, predicare, leggere. Scuole ecclesiastiche e cultura religiosa in Alta Valle del Tevere nei secoli XIII-XV, Selci-Lama 2016.
9. Nel 1420/1421, quando fa ancora parte della signoria malatestiana, Sansepolcro conta 4.397 abitanti entro le mura; il dato, confrontato con quelli del censimento fiorentino del 1427, la pone al quarto posto nella toscana fiorentina dopo Firenze (37.246 abitanti), Pisa (7.333) e Pistoia (4.412) e prima di Arezzo (4.152); i dati sono riportati da G. P. G. Scharf, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento. Istituzioni e società 1440-1460, Firenze 2003, pp. 42-44).
10. Attilio Brilli, Francesca Chieli, op. cit.
11. Idem 10.
12. Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007, p. 116.
13. Giorgio Vasari, op. cit., p. 356.
14. Breve ma veridica storia della pittura italiana, Abscondita, 27 febbraio 2018, cfr. Wikipedia, enciclopedia libera.
15. Simboli e allegorie, Dizionari dell'arte, ed. Electa, 2003, p. 112.
16. Otilia Doroteea Borcia, La vita e la passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021, pp. 119 - 120.
17. Pietro Allegretti, Piero della Francesca, collana I classici dell'arte, Milano, Rizzoli/Skira, 2003, pp. 90–91.
18. Giorgio Vasari, op. cit., p. 356.
19. Vasari si sbaglia, nominandolo Guidobaldo, ma precisa che si tratta del «duca vecchio d'Urbino». Cfr. Piero della Francesca, Wikipedia, enciclopedia libera.
20. Queste parole salvarono la città di Sansepolcro dal bombardamento dell'artiglieria alleata durante la Seconda guerra mondiale, perché, come racconta il capitano britannico Anthony Clarke, fu proprio lui quello che, ordinato il cannoneggiamento della città (nonostante i nemici se ne fossero già ritirati), interruppe il fuoco dopo essersi ricordato dello scritto di Huxley, in Attilio Brilli, Borgo San Sepolcro. Viaggio nella città di Piero, Città di Castello, Tibergraph Editrice, 1988, pp. 110-111.
21. Otilia Doroteea Borcia, op. cit., pp. 290 – 291.
22. Roberto Manescalchi, Amintore Fanfani e Giulio Gambassi, Il Cristo Risorto di Piero della Francesca: Una battaglia per l’arte, Pagine Nuove n. 2, Grafica European Center of Fine Arts, Firenze 2008.
23. Attilio Brilli, Francesca Chieli, op. cit., p. 24.
24. op. cit.
25. Giorgio Vasari, op. cit., p. 357.
26. «Autore del primo studio sistematico dedicato alla storia dell'arte delle Marche, le Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona (1834), Amico Ricci ha offerto alla storia dell'arte di quest’area periferica rispetto alle direttrici tradizionali della storiografia, una oggi imprescindibile trattazione, attendibile in tutti i settori, non solo per quel che riguarda le tre arti 'maggiori': architettura, pittura e scultura, ma anche per quelle cosiddette 'minori', quali la ceramica e l'oreficeria, sottoposte allo scrupoloso vaglio dell’erudizione sette-ottocentesca. È da questo lavoro di scavo e di recupero che si sviluppa nel mondo degli storici dell'arte italiana il nuovo interesse per i Primitivi, variamente affiorante nelle lettere dello studioso, qui ampiamente raccolte e commentate, di cui Ricci è testimone fin da suo studio del 1829 su Gentile da Fabriano, e poi nello sviluppo dei suoi interessi sempre più vicini al Purismo.» Cfr. Anna Maria Ambrosini Massari, Dotti amici: Amico Ricci e la nascita della storia dell'arte nelle Marche, Il lavoro editoriale, 2007, pp. 561.
27. James Banker, A Manuscript of the Works of Archimedes in the Hand of Piero della Francesca, «The Burlington Magazine», CXLVII, March 2005, pp. 165-69, cfr. Wikipedia, enciclopedia libera.
28. Paolo d'Alessandro e Pier Daniele Napolitani, Archimede latino. Iacopo da San Cassiano e il corpus archimedeo alla metà del Quattrocento, Paris, Les Belles Lettres, 2012.
29. Enrico Gamba e Vico Montebelli, Piero della Francesca matematico, pubbl. su Le Scienze (Scientific American), n. 331, marzo 1996, pp. 70-77.
30. Idem 24.
31. Enrico Gamba e Vico Montebelli, Piero della Francesca matematico, pubbl. su Le Scienze (Scientific American), n. 331, marzo 1996, pp. 70-77.
32. Piero della Francesca, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. URL consultato il 20 settembre 2021.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004.
Attilio Brilli, Francesca Chieli, Piero della Francesca. Il Museo civico di Sansepolcro, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2002.
Attilio Brilli, Borgo San Sepolcro. Viaggio nella città di Piero, Città di Castello, Tibergraph Editrice, 1988.
Giorgio Vasari, la Vita di Piero della Francesca pittore dal Borgo a San Sepolchro, in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, vol.1, 2ª ed., In Fiorenza, appresso i Giunti, 1568.
A. Czortek, Studiare, predicare, leggere. Scuole ecclesiastiche e cultura religiosa in Alta Valle del Tevere nei secoli XIII-XV, Selci-Lama 2016.
G. P. G. Scharf, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento. Istituzioni e società 1440-1460, Firenze 2003.
Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007.
Roberto Longhi, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Abscondita, 27 febbraio 2018.
Otilia Doroteea Borcia, La vita e la passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021.
Pietro Allegretti, Piero della Francesca, collana I classici dell'arte, Milano, Rizzoli/Skira, 2003.
Roberto Manescalchi, Amintore Fanfani e Giulio Gambassi, Il Cristo Risorto di Piero della Francesca: Una battaglia per l’arte, Pagine Nuove n. 2, Grafica European Center of Fine Arts, Firenze 2008.
Anna Maria Ambrosini Massari, Dotti amici: Amico Ricci e la nascita della storia dell'arte nelle Marche, Il lavoro editoriale, 2007.
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Enrico Gamba e Vico Montebelli, Piero della Francesca matematico, pubbl. su Le Scienze (Scientific American), n. 331, marzo 1996.
*** Piero della Francesca, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. URL consultato il 20 settembre 2021.
*** Piero della Francesca, in Wikipedia, enciclopedia libera
*** Simboli e allegorie, Dizionari dell'arte, ed. Electa, 2003.
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