Tommaso Masaccio, il genio che rivelò dopo Giotto e prima di Michelangelo la realtà nella pittura

Analizzando l’affresco la Trinità di Masaccio, Ernst Gombrich esprimeva il carattere innovativo dell’opera con queste parole: «Possiamo immaginare lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi. [...] Se i fiorentini si erano aspettati un'opera arieggiante il gotico internazionale allora di moda a Firenze come nel resto d'Europa, dovettero rimanere delusi. Non grazia delicata, ma figure massicce e pesanti; non curve libere e fluenti, ma forme angolose e solide...» [1]

Uno degli iniziatori del Rinascimento nella pittura fiorentina, Maso (Tommaso), detto Masaccio, nacque a Castel San Giovanni (oggi San Giovanni Valdarno) il 21 dicembre 1401, giorno di san Tommaso Apostolo, da ser Giovanni di Mone Cassai, notaio, e da Jacopa di Martinozzo. Visse nella casa del nonno paterno, Simone, artigiano costruttore di casse lignee (da cui deriva il cognome «Cassai») e fu incoraggiato da piccolo all'attività notarile dal padre, che gli fece studiare a questo scopo il latino e la procedura legale. A vent'anni si era già abilitato per svolgere quest’attività.
Con la sua nuova visione rigorosa, senza gli eccessi decorativi e artificiali del gotico internazionale, egli ha rinnovato la pittura partendo dalle esperienze prospettiche di Giotto, Brunelleschi e Donatello. Vasari accenna che l’artista ha creato delle «figure vivissime e con bella prontezza a la similitudine del vero» e ambienti reali, usando il chiaroscuro, continuando come ha scritto anche Bernard Berenson l’opera di Giotto «dal punto dove la morte aveva fermato quest’ultimo».
Dopo la morte del padre, nel 1406 e di Tedesco di Mastro Feo, il secondo marito della madre, Masaccio divenne il capofamiglia. Il fratello minore, Giovanni, nato dopo la morte del padre, sarà pittore come lui. In mancanza di documenti, sembra che Masaccio si sia formato nella fiorente bottega di Bicci di Lorenzo (secondo il Berti) o di Niccolò di ser Lapo (secondo altri). Era arrivato a Firenze nel 1418, quando la città viveva un periodo di prosperità economica, sociale e culturale. Vasari parla su un apprendistato di Masaccio sotto Masolino (più anziano di lui di quasi vent'anni), ma non è una cosa certa, date le differenze stilistiche tra le loro opere prima dell’amicizia del 1423-24. Il suo ritratto lo fece con queste parole:
«Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola, si curava poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio; non già perché e' fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine; con la quale, niente di manco, era egli tanto amorevole nel fare altrui servizio e piacere, che più oltre non può bramarsi» [2].
Nel 1421 anche Giovanni, il fratello di Masaccio, venne a Firenze per lavorare come fattorino e garzone nella bottega di Bicci di Lorenzo, che era la più attiva della città, dove alcuni critici hanno ipotizzato avesse lavorato anche Masaccio, una cosa di nuovo incerta. Si sa solo che il 7 gennaio 1422 egli si era iscritto all'Arte dei Medici e Speziali, un anno prima di Masolino.

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Masaccio, Trittico di San Giovenale, 1422, tempera su tavola a fondo oro, 108x65 cm,
Museo Masaccio, Cascia di Reggello (FI)


La prima opera attribuita a Masaccio è il Trittico di San Giovenale, del 23 aprile 1422, destinato a una chiesa di Cascia di Reggello. Composto di tre tavole in cui l’artista rinunciò al gotico internazionale a favore del Rinascimento, dato il contatto con Filippo Brunelleschi (inventore della prospettiva) e con Donatello, esso presenta nello scomparto a sinistra i santi Bartolomeo e Biagio, in quello centrale la Madonna col Bambino e due angeli, e in quello di destra, i santi Giovenale e Antonio abate. Nella tavola centrale è scritto in capitali latini e quindi senza le tradizionali lettere gotiche: ANNO DOMINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D'AP[rile]. Le figure massicce e imponenti occupano uno spazio costruito per la prima volta in prospettiva nella pittura. La raffigurazione scultorea del Bambino dimostra che il pittore si era ispirato alle opere di Donatello
.


Storie di San Giuliano


Nel 1423 lavorò con Masolino al cosiddetto Trittico Carnesecchi per la cappella di Paolo Carnesecchi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze. Di quest’opera sono rimasti il San Giuliano (conservato a Firenze, nel museo diocesano di Santo Stefano al Ponte e attribuibile a Masolino) e una tavoletta della predella con Storie di San Giuliano (che si trova al Museo Horne di Firenze). La Madonna con Bambino è attribuita a Masolino. Le figure sono scalate, come quelle dell’opera dedicata a San Giovenale, usando la prospettiva e il chiaroscuro. [3].


Masaccio e Masolino da Panicale, Sant'Anna Metterza, 1424-1425,
tempera su tavola, 175x103 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze


Del 1424, quando si era iscritto alla Compagnia di San Luca, è la pala d'altare Sant'Anna Metterza, per la chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze, in cui  sant’Anna è «messa come terza» sul trono; la parola Metterza, d’origine toscana, significa «mi è terza», cioè che il suo posto della santa è dopo il Bambino e la Madonna. Il gruppo si trova sullo sfondo di un drappo damascato sorretto da angeli. Secondo Roberto Longhi [4] (e secondo anche altri critici) quest'opera fu lavorata insieme a Masolino, che dipinse la santa, mentre a Masaccio toccò di fare la Madonna col Bambino e due angeli, mentre gli altri sono della mano di un collaboratore minore. Secondo Vasari, Tommaso affrescò un San Paolo nella chiesa del Carmine a Firenze forse nello stesso tempo che Masolino ne dipingeva uno a fianco delle pareti di una cappella nel transetto sinistro della chiesa. Dopo il successo ottenuto con questo, sembra aver ottenuto la commissione della cappella Brancacci nel braccio del transetto opposto.


La Cappella Brancacci

Gli affreschi della Cappella Brancacci sono «un enigma per gli studiosi nella mancanza di documentazione ufficiale». Commissionati forse a Masolino, che aveva come aiutante il più giovane Masaccio, si sa solo che dovevano essere iniziati nel 1424 e che nel 1425 furono lavorati dal solo Masaccio a causa della partenza di Masolino per l'Ungheria. Però, nel 1428 Tommaso, che aveva anche altri lavori da finire, morì lasciando l'opera incompleta. Questa scena, salvata dalla ridipintura barocca della volta, uscì annerita dall'incendio del 1771 che distrusse gran parte della basilica. Solo con il restauro del 1983-1990 si è potuta riscoprire la brillante cromia originale e sono state eliminate le ridipinture. [5] Nella cappella (costruita secondo le disposizioni testamentarie di Pietro Brancacci da Felice Brancacci), si è lavorato su un solo ponteggio, per eseguire nello stesso tempo due storie: una sulla parete laterale, e l’altra sulla parete di fondo, con i ruoli scambiati poi nel lato opposto; per ottenere un’unità stilistica per tutta la pittura, si è utilizzata la stessa gamma cromatica.



La Cacciata di Adamo e Eva prima e dopo i lavori di pulizia
e la rimozione delle foglie di fico (Cappella Brancacci)


Dalle scene dell’opera, la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre presenta i protagonisti con i corpi modellati da ombre violentemente illuminati. La scena è molto drammatica: Adamo piange, coprendosi vergognato il viso con la mano, mentre Eva si ripara il corpo con le braccia gridando il suo dolore come un Dies irae. Il chiaroscuro rende i personaggi volutamente massicci, realistici. L’artista dimostra una perfetta conoscenza dell'anatomia, come dimostrano il dettaglio del ventre contratto di Adamo e le caviglie dei piedi; egli è curvo, con la testa piegata per l’angoscia in avanti, mentre lascia il Paradiso per andare nell'arido deserto del mondo. I gesti dei due eroi sono carichi di espressività, di commovente forza psicologica.



Masolino, Tentazione di Adamo ed Eva, 1424-1425,
affresco, 260x88 cm, Chiesa Santa Maria del Carmine, Firenze


Le differenze di stile tra l'Adamo ed Eva di Masolino e quelli della Cacciata di Masaccio rappresentano perfettamente la condizione umana prima e dopo il peccato originale. Il paesaggio dell'Eden di Masolino è ‘idilliaco’, mentre quello di Masaccio è del mondo senza speranza. Forse i due pittori avevano deciso di dividersi le due scene, idealizzando la prima, e conferendo realismo alla seconda. La pittura di Masaccio è sobria e, modellando con il chiaroscuro gli elementi essenziali delle figure, senza trattare i dettagli. Altra scena importante dell’affresco dalla cappella Brancacci è il Tributo, che comprende tre episodi: il gabelliere che esige il denaro al centro, Pietro, a sinistra, che prende la moneta dal pesce e sempre Pietro, a destra, che paga il gabelliere. Lo spazio è presentato nella prospettiva e le ombre appaiono dall’inclinazione della luce diurna. I personaggi massicci sembrano scolpiti grazie al chiaroscuro, e hanno le espressioni vive. La testa di Cristo, nel centro, è la figura cardine.


Masaccio, Pagamento del tributo, 1423-1428 circa, affresco, 255x598 cm,
Cappella Brancacci, Chiesa del Carmine, Firenze



Cristo tra gli apostoli, dettaglio


Nella realizzazione del Tributo i critici hanno riconosciuto la presenza di un «manifesto» pittorico della nuova arte umanistica, soprattutto nel gruppo di figure in piedi alla destra del santo (in S. Pietro in cattedra). Un altro episodio altrettanto importante di quest’affresco è il Battesimo dei neofiti (nel registro mediano, sulla parete dietro l'altare a destra) che presenta alcuni nudi magistralmente proporzionati e realisti che aspettano emozionati a ricevere il sacramento. Del 1425 ci sono delle notizie su una bottega di Masaccio.


Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1425-1426, affresco,
255x162 cm, Basilica Santa Maria del Carmine, Firenze


Secondo il Vangelo, dopo la Pentecoste Pietro cominciò a esortare le genti al battesimo in nome di Gesù Cristo (come descritto nella scena della Predica di san Pietro). Nella pittura di Masaccio egli inizia a battezzare con una ciotola. In una vallata tra i colli, alcuni giovani si apprestano a ricevere il battesimo: uno è inginocchiato nel fiume e lo riceve a mani giunte, un altro già spogliato, aspetta coprendosi con le braccia perché trema per il freddo (figura di grande realismo, elogiata dal Vasari) e un terzo sta per svestirsi. C’è anche un quarto scalzo, con la testa bagnata, che si è vestito con una tunica blu. In questa scena, come nella Predica, il santo è raffigurato solo, mentre nel testo evangelico egli era accompagnato dagli altri apostoli; l’artista ha voluto forse mostrare il suo primato nella Chiesa cristiana.
In San Pietro risana gli infermi con la propria ombra le figure sono dipinte in modo che sembrino procedere verso lo spettatore.


Masaccio, San Pietro risana gli infermi con la sua ombra, 1423-1426,
affresco, cm 230x162 cm, Cappella Brancacci, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze


San Pietro e gli altri Apostoli percorrono le vie della città, seguiti da alcuni uomini. Egli ha un’aureola semicircolare e sulla veste indossa un ampio mantello panneggiato. Mentre passa, gli infermi sono guariti dalle loro infermità. A sinistra si trovano i malati che aspettano di essere guariti, mentre altri tre uomini sono già stati risanati e ringraziano per il miracoloso evento. Sullo sfondo in prospettiva si vede una città quattrocentesca (forse Firenze) con palazzi e con una chiesa, della cui facciata si vedono una parte del tetto e un campanile.
La Distribuzione dei beni e morte di Anania (dipinta sul lato opposto) presenta un paesaggio urbano, sempre fiorentino, molto realistico: purtroppo una scena centrale dietro l'altare, dove si trovava il Martirio di Pietro, fu distrutta.



Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1426-27,
affresco, 230x162 cm, Cappella Brancacci, Chiesa del Carmine, Firenz
e


L’affresco ha un aspetto stilistico molto innovativo. La scena è ambientata in un borgo con nuove e vecchie costruzioni, e sullo sfondo si trovano dei sinuosi colli; su uno di questi domina un luminoso castello. Nel primo piano l’infedele Anania è stramazzato a terra ai piedi di un San Pietro tutto ammantato di giallo. Ad Anania, che aveva venduto un campo dichiarando poi alla comunità solo una minima parte del guadagno, il Santo rimprovera di aver mentito a Dio. Per punizione divina, egli cadde a terra fulminato come pure, più tardi, sua moglie. (Atti degli Apostoli IV, 32-7; V, 1-16).



Masaccio e Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, 1427-1480,
affresco, 230x599 cm, Cappella Brancacci, Basilica Santa Maria del Carmine, Firenze


Anche l’episodio della Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra fu danneggiato dopo l'esilio definitivo dei Brancacci, ma fu completato con gli interventi di Filippino Lippi. Di grandi dimensioni, l’affresco presenta sulla parete sinistra, i due eventi della vita di san Pietro avvenuti ad Antiochia, narrati non dai Vangeli, ma dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. Quando Pietro andava predicando nella città, fu arrestato e «messo a pane ed acqua» dal governatore Teofilo. San Paolo andò a trovarlo in prigione (la scena a sinistra fu dipinta da Filippino Lippi) e supplicò il governatore di liberare Pietro, ma questo lo sfidò, e promettendogli di farlo solo a condizione che l’incarcerato dimostrasse la sua forza miracolosa resuscitando suo figlio, morto quattordici anni prima. Portato alla tomba del fanciullo, Pietro lo resuscitò e dopo questo evento tutta la popolazione di Antiochia si convertì al Cristianesimo. Vi fu eretta una chiesa, la prima sul cui trono Pietro poté sedere per essere ascoltato da tutti (un'anticipazione questa della sua futura assunzione al trono pontificio in Roma). Le mani dei due artisti sono riconoscibili, soprattutto nei ritratti.

La Sagra

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La Sagra (dettaglio), copia di Andrea Commodi


Negli anni 1425-1426 (1427, secondo alcuni studiosi), Masaccio eseguì in terra verde sopra una porta del chiostro della chiesa del Carmine l’affresco la Sagra [6], in occasione della consacrazione di questa chiesa, con la presenza dell'arcivescovo Amerigo Corsini, manifestazione alla quale, secondo Vasari, l’artista avrebbe partecipato insieme a Brunelleschi, Donatello e Masolino. Dopo i rifacimenti del chiostro (in gran parte distrutto dopo il 1598) furono rivenuti sette disegni. L'opera di Masaccio consisteva in una serie di ritratti «dal vero», con un’esposizione prospettica. La presenta di tanti prestigiosi artisti a quest’evento importantissimo, accanto alle personalità pubbliche, è la prova della nuova posizione dei creatori d’opere d’arte nell’Umanesimo, quando loro non erano più considerati dei semplici artigiani, ma intellettuali partecipanti alla vita culturale della città.


Il Polittico di Pisa


Nel 1426 Masaccio ricevette dai Carmelitani di Pisa la commissione di un polittico per la cappella del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto nella chiesa di Santa Maria del Carmine. Quest’opera, smembrata e i cui pannelli oggi si trovano dispersi in più musei, è la meglio conosciuta e documentata della carriera di Masaccio. Giorgio Vasari la descrisse nella seconda edizione delle Vite. I tre pannelli della predella (acquisiti in date diverse) si trovano tutti a Berlino. I due pannelli dell'Adorazione dei Magi e dei Martiri di Pietro e Giovanni Battista che facevano parte dalla collezione Capponi a Firenze, vennero ceduti, nel 1880, al museo berlinese. Le Storie di san Giuliano e san Nicola con attribuzione incerta, entrarono invece in collezione nel 1908.


Masaccio, Madonna col Bambino, 1426, tempera su tavola,
135,5x73 cm, National Gallery, Londra


L'opera, faceva parte della predella nello scomparto centrale, sotto la Maestà oggi alla National Gallery di Londra. La scena dell'Adorazione dei Magi è presentata di profilo e sembra dipinta per contrastare la celebre Adorazione di Gentile da Fabriano del 1423, molto apprezzata dai fiorentini. La composizione di Masaccio è pacata e come un fregio. A sinistra si vedono la capanna e il bue e l'asinello (di spalle) e poi la Sacra Famiglia, con le aureole scorciate in prospettiva. Maria, seduta in un seggio dorato con zampe leonine, tiene in braccio il Bambino, che benedice il primo dei Magi; questo, inginocchiato e con la corona tolta e deposta in terra, ha messo il suo dono nelle mani di san Giuseppe. Dietro di lui, un altro Magio con tunica rosa e che assomiglia a un personaggio nell'affresco San Pietro risana gli infermi con la sua ombra nella Cappella Brancacci, inginocchiato, mette la sua corona nelle mani di un servitore. Il terzo Magio, in piedi, è appena arrivato e un servo gli sta togliendo la corona, mentre un altro ne regge il dono. Dietro i Magi due personaggi emblematici, che non fanno parte dall'iconografia tradizionale, vestiti alla moda dell'epoca e con le gambe coperte da calzamaglie, sono forse le figure dei committenti. A destra ci sono i cavalli e i servitori. Lo stile della pittura è morbido e sfumato, nello sfondo, mentre i vestiti dei due committenti hanno colori vivi.



Masaccio, Adorazione dei Magi, 1426, tempera su tavola, 21x61 cm. Dalla predella del Polittico di Pisa, Berlino, Gemäldegalerie


Nel 1426, quando che era già diventato famoso, Masaccio ricevette importanti commissioni private, che lo fecero spostare per lavoro tra Firenze e Pisa. Tra queste ci sono un Desco da parto (oggi a Berlino) e la Madonna Casini (a Firenze). Il desco da parto è un'opera atipica e molto originale, in cui l'autore «si diletta raccontando aneddoti familiari», come una natività privata alla quale arrivano tra le visitatrici, due monache, e un corteo ufficiale di trombicini della Signoria di Firenze, con un prezioso regalo: il desco stesso.



Masaccio, Desco da parto, 1426, tempera su tavola,
diametro 56,5 cm, Staatliche Museen, Berlino


L'opera, di notevoli dimensioni e di grande ricchezza, è stata forse commissionata da un personaggio molto importante (forse un gonfaloniere di giustizia della Signoria di Firenze). Il lato principale mostra una scena di natività, nella Firenze dell'epoca: a sinistra i trombettieri del Comune fiorentino suonano, con gli stendardi dal giglio rosso, e arrivano presentando i doni ufficiali, come lo stesso desco tenuto dall’uomo da sinistra. Nella casa entrano due donne e due monache; dalle loro espressioni sembrano infastidite dalla musica, specialmente la suora al centro. Esse passano sotto un bellissimo portico rinascimentale ed entrano in una stanza, in cui si trovano la partoriente e le levatrici. Il bimbo è cullato da una donna in primo piano ed è completamente fasciato, secondo la consuetudine dell'epoca. Al collo porta un corallo rosso, antichissimo simbolo contro la magia maligna. Si pensa che Masaccio abbia dipinto l’opera su disegno dell'amico scultore; lo provano il taglio dell'architettura, un po’ asimmetrica, e gli sguardi in tralice tra i vari personaggi. Come nell'affresco San Pietro risana gli infermi con la propria ombra nella Cappella Brancacci, anche qui l’artista ha sfruttato la costruzione prospettica per suggerire il movimento dei personaggi verso lo spettatore. «Il loggiato è brunelleschiano con gli archi, le volte e i capitelli che ricordano alcune opere come l'Ospedale degli Innocenti, che allora si costruiva), e con inserti marmorei usati nelle opere del romanico fiorentino, come il Battistero e San Miniato al Monte». [7]
Il verso del Desco da parto raffigura un putto che ammonisce un animaletto, forse un cagnolino. La scena può essere stata ispirata a un putto antico dipinto da un assistente di Masaccio.



Figura allegorica


La Madonna Casini (soprannominata da Roberto Longhi Madonna del solletico), è un’altra opera atipica, dipinta con molta luce per la devozione privata del cardinale Antonio Casini, il cui stemma si trova sul verso.



Masaccio, Madonna Casini, 1426-1427, tempera su tavola a fondo d’oro,
24,50x18,20 cm, Gallerie Uffizi, Firenze


Il primo ad attribuire l'opera a Masaccio fu Roberto Longhi [8] nel 1950, avvicinandola per lo stile, al Desco da parto, dove è presente un bambino altrettanto vivace. L'iconografia è piuttosto insolita, legata a una committenza privata. La Madonna regge in braccio il Bambino in fasce e con la destra lo benedice alzando due dita, ma il gesto può essere uno familiare, forse di solletico, per far ridere il Figlio, che afferra il polso della madre con le Sue manine. Lo sfondo è uno strato d'oro, sul quale ci sono le aureole finemente incise. Il volto di Maria è serio, come imponeva l'iconografia, per la futura sorte tragica del Figlio. Nonostante il piatto sfondo oro, il gruppo della Madonna col Bambino è costruito in maniera innovativa, ruotato di tre quarti per suggerire un'idea di movimento di passaggio del gruppo; la composizione ha un effetto molto naturale con la luce che illumina alcune parti lasciandone altre in ombra, come i volti dei protagonisti. Tipica dello stile di Masaccio è la mano sinistra della Vergine, molto espressiva, appena sbozzata, che sostiene il peso del Figlio. Il manto della Vergine «ha spessore, grazie al risalto dell'orlo dorato che piegandosi aderisce al volume del suo corpo». La ricchezza di particolari è legata al piccolo formato e alla destinazione privata dell'opera, che doveva essere contemplata da vicino.


La Trinità



Masaccio, Trinità, 1425-1427, affresco,
667x317 cm, Basilica Santa Maria Novella, Firenze


Tra il 1426 e il 1428 Masaccio eseguì per la chiesa Santa Maria Novella l'affresco con la Trinità in un'opera che rappresenta la svolta della sua pittura verso l’arte di Brunelleschi. Considerata una delle opere fondamentali per la nascita del Rinascimento nella storia dell'arte, essa contiene tutti i principali elementi della cultura umanistica, essendo una perfetta sintesi tra pittura, scultura e architettura. È l'ultima opera conosciuta dell'artista, morto a soli ventisette anni. La scena è ambientata in una cappella con una maestosa «volta a botte con lacunari» che, come scrisse Vasari, «diminuiscono e scortano così bene che pare che sia bucato quel muro». Cristo in croce, sostenuto da Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo in volo tra i due, formano la triade divina presentata con nuove regole prospettiche, visti dall’alto. Sotto la croce invece Maria e Giovanni Evangelista sono rappresentati come se visti dal basso. Più sotto si trovano i due committenti, che assistono inginocchiati alla scena sacra e, «per la prima volta nell'arte occidentale […] sono presentati con dimensioni identiche alle divinità». Alla base, sotto un altare marmoreo, si trova uno scheletro giacente con la scritta Io fu già quel che voi sete: e quel ch'i' son voi a[n]co[r] sarete. Masaccio, l'artista del reale, diventa con la Trinità anche teologo, entrando a fondo nel mistero divino. [9] L'immobilità di questa scena «è simbolo dell'atemporalità del dogma cristiano». [10] Destinata a una chiesa dominicana, la scena della morte in croce di Gesù vuole suggerire anche la Resurrezione che verrà per Lui e per tutta l’umanità. A quest’opera s’ispirò lo scultore Agostino di Duccio per il bassorilievo della Santissima Trinità adorata da Pietro Bianco nel Santuario di Santa Maria delle Grazie di Fornò, vicino a Forlì. Essa fu anche citata in un'architettura reale a distanza di tempo, dall'architetto Carlo Lambardi, nella cappella seicentesca della Santissima Trinità, nella chiesa di Santa Maria in Via, Roma.

Dopo Pisa, dove si trovava ancora nel 1424, Masaccio andò a Roma, per finire il cosiddetto Polittico di Santa Maria Maggiore o Pala Colonna (secondo alcuni critici databile invece al giubileo del 1423 e dipinto dunque prima della Sant'Anna Metterza). Di mano di Masaccio è solo il pannello con i Santi Girolamo e Giovanni Battista alla National Gallery di Londra; i restanti sono tutti a opera di Masolino.


Masolino da Panicale e Masaccio, Pala Colonna, tempera su tavola

La datazione della pala (dalla quale restano sei pannelli che un tempo formavano tre scomparti dipinti su entrambi i lati), già destinata all'altare maggiore della basilica di Santa Maria Maggiore, è molto controversa. Forse fu un'opera dipinta direttamente a Roma dai due artisti, l'ultima di Masaccio prima della scomparsa, databile ai primi mesi del 1428. Secondo alcuni critici essa fu commissionata a Masolino, il quale ne delegò una parte al suo assistente Masaccio; ci sono altri critici che sostengono sia stata commissionata a Masaccio, e completata da Masolino dopo la sua morte. Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti che la videro verso la metà del XVI secolo, parzialmente, spostata in una piccola cappella vicino alla sacrestia («cappella Colonna»), la considerarono interamente opera di Masaccio. Nel 1653 la Pala Colonna si trovava al palazzo Farnese, con i pannelli disposti in modo tale da separare le facce e con sei dipinti separati (elencati in un inventario come opere di Beato Angelico). Dispersi e ricomparsi in momenti diversi sul mercato antiquario, furono riconosciuti quando erano già sparsi in più musei.

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Masaccio,Santi Girolamo e Giovanni Battista,
affresco, 114x55 cm, National Gallery, Londra


Masaccio morì a Roma nell'estate del 1428, forse nel mese di giugno, prima di compiere ventotto anni. Le reali cause del suo improvviso decesso non si conoscono: alcuni hanno parlato di una tonsillite, altri di una malattia ereditaria, o altri ancora di un agguato da parte di certi banditi, che lo avrebbero soffocato con un panno. Vasari sospettò una morte per avvelenamento, forse per invidia, e testimoniò il rammarico di Brunelleschi, che alla notizia della morte del giovane artista avrebbe detto: «Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita». Il biografo aretino accennava al disinteresse del pittore verso le questioni finanziarie, volendosi dedicare solo alla sua passione, che era la pittura. Scrissero Crowe e Cavalcaselle [11] che: «Un fuoco ardeva in lui, inconciliabile con altro che la ricerca di quei grandi problemi della perfezione artistica». [12]
Il Vasari descrive la sua sepoltura a Firenze nella chiesa del Carmine «senza alcuna tomba». Solo dopo il 1443 venne posto un epigramma in latino di Fabio Segni e uno in italiano di Annibal Caro:


Pinsi, e la mia pittura al ver fu pari;
l'atteggiai, l'avvivai, le diedi il moto,
le diedi affetto; insegni il Buonarroto
a tutti gli altri, e da me solo impari.
[13]



Masaccio, la Crocifissione, tempera su tavola, 83x63 cm,
Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli


Ma la più bella, la più commovente opera di Masaccio resta La Crocifissione che faceva parte dal disperso Polittico di Pisa, del quale costituiva il comparto centrale superiore. Destinato alla chiesa del Carmine per la cappella del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto, il polittico di Pisa è l'opera meglio documentata di Masaccio, grazie a un committente particolarmente preciso, che annotò tutti i pagamenti e i solleciti fatti al pittore. Nel 1568 Giorgio Vasari la vide e la descrisse nella seconda edizione de Le Vite. Nel corso del XVII o XVIII secolo il Polittico fu rimosso dall'altare, smembrato e disperso.
La tavola di Capodimonte mostra la scena della Crocifissione con tre «dolenti»: la Vergine, san Giovanni e la Maddalena. Guardato di fronte, Cristo pare «aver il capo completamente incassato nelle spalle, come arreso alla morte, ma in realtà la tavola va vista dal basso verso l'alto; in questa prospettiva il collo appare nascosto dal torace innaturalmente sporgente». Anche il corpo, con le gambe «disarticolate dal supplizio, appare sfalsato dalla prospettiva». Il Suo volto è colto nel momento del trapasso, quando ha appena pronunciato, rivolto a san Giovanni, le parole «Ecco tua madre!», affidandogli la Madonna, che sta immobile ai piedi della croce, addolorata, «erta in tutta la sua statura, nell'ampio mantello blu, come impietrita dall'angoscia. Sull'altro lato della croce sta san Giovanni con il capo mestamente reclinato sulle mani congiunte. Ha il volto affranto e sembra sforzarsi per trattenere le lacrime». In alto sulla croce è posto l'albero della vita, simbolo della rinascita: «quando Giuda si impiccò, l'albero rinacque». La scena prende vita con la presenza della Maddalena vista dalle spalle, «con i lunghi capelli biondi disciolti sul suo manto scarlatto, che si agita scomposta dal dolore. Inginocchiata ai piedi di Cristo, con le braccia aperte e tese al cielo che ricordano i gesti drammatici delle ‘lamentatrici’ della tradizione mediterranea, la Maddalena ha, in questa tavoletta di Masaccio, un'impareggiabile forza espressiva che segna il culmine del pathos della scena». [14]


Otilia Doroteea Borcia
(n. 11, novembre 2021, anno XI)





NOTE

1. La storia dell'arte, Leonardo Arte, ristampa 1997, p. 229.
2. Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, I Classici Rusconi, 1966, p. 224.
3. cfr. C. Frosinini e R. Bellucci, La Cappella Carnesecchi, in Masolino tra Francia e Italia, a cura di M. Ciatti, C. Fosinini e R. Bellucci, Firenze 2007.
4. Roberto Longhi, Fatti di Masolino e Masaccio e altri studi sul Quattrocento,1910 – 1967, Firenze, Sansoni, 1975, p. 53.
5. Mario Carniani, La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998.
6. Divo Savelli, La Sagra di Masaccio, G. Pagnini, Firenze 1998, p. 27.
7. John T. Spike, Masaccio, Rizzoli libri illustrati, Milano 2002, pp. 203 - 204.
8. Roberto Longhi, op. cit., p. 126.
9. John T. Spike, op. cit., p. 204.
10. Luciano Berti, L'opera completa di Masaccio, Rizzoli, Milano, 1968, p. 102.
11. Giovanni Battista Cavalcaselle (Legnago, 22 gennaio 1819 – Roma, 31 ottobre 1897) è stato uno scrittore, storico dell'arte e critico d'arte italiano. Sir Joseph Archer Crowe (Londra, 25 ottobre 1824 – Gamburg an der Tauber, 6 settembre 1896) è stato un diplomatico e critico d'arte britannico. I suoi volumi della Storia della pittura in Italia (History of Painting in Italy), scritti assieme al critico veronese Giovanni Battista Cavalcaselle stanno alla base della moderna storia dell'arte in lingua inglese, fondata sulla cronologia dell'evoluzione stilistica e sulla connoisseurship nell'identificazione della maniera caratteristica di ciascun artista. Cfr. Wikipedia, l’enciclopedia libera.
12. Storia della Pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI., vol. 1, Firenze, Luce le Monnier, 1875, p. 328.
13. Giorgio Vasari, op. cit., p. 229.
14. Otilia Doroteea Borcia, La Vita e la passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021, p. 212.



BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Ernst Gombrich, La storia dell'arte, Leonardo Arte, ristampa 1997
Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, I Classici Rusconi, 1966,
C. Frosinini e R. Bellucci, La Cappella Carnesecchi, in Masolino tra Francia e Italia, a cura di M. Ciatti, C. Fosinini e R. Bellucci, Firenze 2007
Roberto Longhi, Fatti di Masolino e Masaccio e altri studi sul Quattrocento,1910 – 1967, Firenze, Sansoni, 1975
Mario Carniani, La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998
Divo Savelli, La Sagra di Masaccio, G. Pagnini, Firenze 1998
John T. Spike, Masaccio, Rizzoli libri illustrati, Milano 2002
Luciano Berti, L'opera completa di Masaccio, Rizzoli, Milano, 1968
Giovanni Battista Cavalcaselle e Joseph Archer Crowe, Storia della Pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI., vol. 1, Firenze, Luce le Monnier, 1875.
*** Enciclopedia Treccani.
*** Le garzantine Enciclopedia dell’arte Garzanti, 2009 Wikipedia, l’enciclopedia libera.