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Beato Angelico, l’artista che dipingeva le madonne piangendo
«E fra i serafici, Beato Angelico fu il simbolo dell’incarnazione di una pittura, le cui scene, a guisa di visioni o apparizioni soavi, appaiono distaccandosi non dalla vita reale, ma da fondi dorati, con i raggi luminosi di un sole in mezzo a un firmamento azzurro figurativo. Le sue Madonne sono di un candore senza pari, e la grazia e la diafanità dei suoi cori di angeli, rivelano, come mai si è visto, una semplicità puerile». [1]
Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro (Vicchio nel Mugello, 1395 circa – Roma, 18 febbraio 1455), detto il Beato Angelico o Fra' Angelico, fu un grande pittore italiano. Beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982, anche se già dopo la sua morte era stato chiamato Beato Angelico sia per «l'emozionante religiosità di tutte le sue opere che per le sue personali doti di umanità e umiltà», ebbe aggiunto al suo nome l’aggettivo «Angelico», usato in precedenza da fra Domenico da Corella e da Cristoforo Landino, dal Giorgio Vasari, nel suo libro Le vite dei dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. Frate domenicano, cercò di saldare i nuovi principi rinascimentali, come la costruzione prospettica e l'attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didattica dell'arte e il valore mistico della luce. [2] Della famiglia di Guido di Pietro non si conosce molto: fu figlio di Pietro e fratello di Benedetto, più piccolo e diventato frate come lui [3]. Studiò l’arte di dipingere a Firenze, nella scuola di Lorenzo Monaco e di Gherardo Starnina, dai quali imparò come usare i colori accesi e innaturali e una luce fortissima, che dava un carattere mistico alle scene sacre. In alcuni documenti del 1418 l’artista è ricordato come «Guido di Pietro dipintore». L'arte della miniatura dei manoscritti di quel tempo lo aiutò molto a comporre minuscole figure perfette, spesso usando pigmenti costosi (come il blu di lapis lazzuli e l'oro in foglia).
Quell’anno, prima di diventare frate domenicano, dipinse una pala d'altare (oggi perduta) per la cappella Gherardini in Santo Stefano al Ponte a Firenze. L'ordine domenicano richiedeva di osservarsi la regola originale del santo, cioè l’assoluta povertà e l’ascetismo. Dopo aver dipinto una croce per l'Ospedale di Santa Maria Nuova Guido, fu conosciuto con il nome di «frate Giovanni de' frati di San Domenico di Fiesole», un frate predicatore.
Dalle prime pitture fanno parte un San Girolamo con influssi masacceschi e il Trittico di San Pietro martire, dal monastero di suore di San Pietro Martire in Firenze. Imparando le novità artistiche da Gentile da Fabriano e da Masaccio, riuscì a crearsi un suo stile personale, con molti ornamenti, dettagli preziosi, e con figure eleganti e allungate come nell'arte tardogotica. Da questo periodo datano una Madonna col Bambino nel Museo nazionale di San Marco e una Madonna col Bambino e dodici angeli nello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno.
Beato Angelico e Lorenzo di Credi, Madonna in trono col Bambino, angeli e santi,
1424-1501, tempera su tavola, San Domenico, Fiesole
Tra gli anni 1429-1440 era registrato nel convento di San Domenico a Fiesole come «frate Johannes Petri de Muscello». Qui lavorò tre tavole per gli altari della chiesa di San Domenico (la cosiddetta Pala di Fiesole, tra le prime sue opere certe).
Beato Angelico, Particolare dalla Pala di Fiesole (1424-1425 circa), Fiesole,
Chiesa di San Domenico, Fiesole (la prima opera conosciuta attribuita all'Angelico)
Dagli anni 1430 si era dedicato alle famose annunciazioni su tavola. La prima, l'Annunciazione oggi al Prado, destinata a San Domenico di Fiesole, presenta nello stile tardo gotico ma anche rinascimentale, le cinque storie della Vergine nella predella, in cui l’Angelico usa per la prima volta la luce diafana, per esaltare i colori. L'Annunciazione, con l'arcangelo Gabriele che preannuncia alla Vergine Maria che darà nascita al Figlio di Dio per l’opera dello Spirito Santo, era un tema molto trattato nella pittura fiorentina.
Beato Angelico, Annunciazione, 1433-1435, tempera su tavola, 154-194 cm,
Museo del Prado, Madrid
Il Beato Angelico portò delle novità nella composizione e nei colori: la Madonna seduta in una loggia all'interno di un giardino recintato (hortus clausus, simbolo del suo stato di Vergine), con le figure di Adamo ed Eva che simboleggiano i primi peccatori che saranno salvati da Gesù, e con il nome di «Eva» trasformato in «Ave», che diventerà il saluto consacrato per la futura Madre di tutti i cristiani. Le due altre grandi pale sono: l'Annunciazione di San Giovanni Valdarno e l'Annunciazione di Cortona. Altre opere dipinte tra il 1431 e il 1433 si trovano nel grande pannello del Giudizio universale, la Deposizione per Palla Strozzi nella Sagrestia di Santa Trinità e la piccola Imposizione del nome al Battista, dove si rispettano rigorosamente le regole della prospettiva. Meravigliose sono anche le due tavole dell’Incoronazione della Vergine, una agli Uffizi e l’altra al Louvre.
Beato Angelico, Incoronazione della Vergine,
tempera su tavola, 112x114 cm, 1432,
Gallerie Uffizi, Firenze
Nel 1438 i frati domenicani si trasferirono da San Domenico di Fiesole a San Marco di Firenze e dopo un anno l’Angelico finì l’affrescò della chiesa con la Madonna col Bambino e i santi Domenico e Pietro Martire e con la Pala di San Marco.
Beato Angelico, Trasfigurazione, 1438-1440, affresco, 89x159 cm,
Museo nazionale di San Marco, Firenze
L'Angelico, che visse durante lo straordinario periodo d’elevazione artistica sotto il patronato dei Medici, culminante con il Concilio di Firenze del 1439, contribuì alla creazione delle grandi opere del convento di San Marco. Sotto l'assistenza di Michelozzo, le pareti bianche del monastero furono coperte di belle pitture: la pala di San Marco sull'altare maggiore, quattro lunette e una Crocifissione (nel chiostro), nel refettorio un’altra Crocifissione e nella sala capitolare la Crocifissione con i santi; le celle furono decorate con altri affreschi: Annunciazione, Crocifissione con San Domenico e Madonna delle Ombre. Ogni cella dei frati doveva avere un affresco con un episodio tratto dal Nuovo Testamento o una Crocifissione.
Beato Angelico, Crocefissione del chiostro di San Marco, 1442,
affresco, 340-155 cm,
Museo Nazionale di San Marco, Firenze
Sull'autografia dell'Angelico per tutte queste decorazioni si è scritto molto, ma oggi, considerando il tempo che era necessario per finire un'opera del genere, si tende ad attribuire all'artista solo un piccolo numero di affreschi, mentre gli altri si ritiene siano stati dipinti nel suo stile dai suoi allievi, tra cui Benozzo Gozzoli. Esempio mirabile dell'arte rinascimentale, questi affreschi sono anche i più famosi e amati del Beato Angelico. Nati dalla maturità espressiva dell'artista, essi esprimono i fatti evangelici che possono essere ben compresi perché legati alle poche figure diafane, su certi sfondi deserti con architetture piene di luce e spazio. Nelle scene compaiono spesso santi domenicani come testimoni.
Beato Angelico, Deposizione dalla Croce, tempera su tavola,
176x185 cm, 1432-1434,
Museo nazionale di San Marco, Firenze
La luce nelle pitture dell'Angelico è metafisica: «Del resto, se (come diceva il Brunelleschi) lo spazio è forma geometrica e la luce divina (come diceva san Tommaso d'Aquino) riempie lo spazio, come negare che la forma geometrica sia la forma della luce?» [4]
Nella seconda metà del 1445, l'Angelico fu chiamato a Roma da papa Eugenio IV, che conosceva la sua opera di San Marco, perché aveva vissuto nove anni a Firenze. Nella Cappella Niccolina tre pareti vennero poi coperte con le Storie dei protomartiri Stefano e Lorenzo, la volta con gli Evangelisti e i lati della volta con i Padri della Chiesa.
Beato Angelico, Consacrazione di San Lorenzo come diacono,
1447-1448,
affresco, Cappella Niccolina, Vaticano, Roma
L'artista ci rimase dal 1446 al 1449 per affrescare nel convento di Santa Maria sopra Minerva la cappella del Sacramento, con le Storie di Cristo. Nel 1447 andò insieme ad altri pittori, con il consenso del papa, a Orvieto per lavorare nella volta della Cappella di San Brizio della cattedrale e nel giro di qualche mese furono dipinti due pennacchi con Cristo Giudice e Profeti.
Beato Angelico, Cristo Giudice, 1447, affresco, cappella di San Brizio, Orvieto
Tornato a Roma, l’artista terminò la decorazione della Cappella Niccolina e cominciò la decorazione dello studio di Niccolò V, che purtroppo venne distrutto durante un ampliamento del palazzo. Finito questo lavoro, al quale aveva contribuito anche Benozzo Gozzoli, il principale assistente del maestro, che doveva tornare a Orvieto, l’Angelico andò di nuovo a Firenze. Era il 1450. In Toscana fu nominato priore di San Domenico di Fiesole, al posto del fratello defunto e le prime opere ivi dipinte furono gli affreschi nel convento di San Marco: l'Annunciazione del corridoio Nord e la Madonna delle Ombre e forse anche l'Incoronazione della Vergine del Louvre e la Pala di Bosco ai Frati, commissionata da Cosimo de' Medici. Non è sicura la datazione dell'Armadio degli Argenti, che ha tra le tavolette anche l'Annunciazione e la Natività.
Beato Angelico, Armadio degli Argenti, 1451-1453,
tempera su tavola, primo pannello, Museo nazionale di San Marco, Firenze
Chiamato nel 1454 per apprezzare gli affreschi nel Palazzo dei Priori a Perugia assieme a Filippo Lippi e Domenico Veneziano (i tre grandi pittori fiorentini erano molto ammirati a quell'epoca) creò il tondo con l'Adorazione dei Magi, che venne completato da Filippo Lippi. Un anno o due prima l'artista si recò una seconda volta a Roma, per dipingere altre opere in Santa Maria sopra Minerva, un ciclo con storie della vita di san Domenico (lavoro andato perduto, ma che è accennato nei manoscritti). Fra’ Giovanni l’Angelico morì a Roma il 18 febbraio del 1455, poco tempo prima della morte del suo patrono Niccolò V e venne sepolto nella chiesa della Minerva, dove aveva tanto lavorato.
La tomba dell'Angelico, Santa Maria sopra Minerva, Roma
Sulla lastra tombale del suo sepolcro, che si trova vicino all’altare maggiore, furono scritti due epitaffi, probabilmente da Lorenzo Valla. Il primo, perduto, conteneva queste parole:
«La gloria, lo specchio, l'ornamento dei pittori, Giovanni il Fiorentino è conservato in questo luogo. Religioso, egli fu un fratello del santo ordine di San Domenico, e fu lui stesso un vero servo di Dio. I suoi discepoli piangono la morte di un così grande maestro, perché chi troverà un altro pennello come il suo? La sua patria e il suo ordine piangono la morte di un insigne pittore, che non aveva uguali nella sua arte».
La seconda epigrafe, sulla lapide di marmo, dove c’è un rilievo del corpo del pittore con abito domenicano, dice:
«Qui giace il venerabile pittore Fra Giovanni dell'Ordine dei Predicatori. Che io non sia lodato perché sembrai un altro Apelle, ma perché detti tutte le mie ricchezze, o Cristo, a te. Per alcuni le opere sopravvivono sulla terra, per altri in cielo. La città di Firenze dette a me, Giovanni, i natali.»
La sua arte fu seguita da Benozzo Gozzoli e da Filippo Lippi (il suo amico), da Pietro della Francesca e da Melozzo di Forlì, che presero da lui la maniera di trattare la luce. Citato dopo la morte nel De Vita et Obitu B. Mariae del domenicano Domenico da Corella come: Angelicus pictor [...] Johannes nomine, non Jotto, non Cimabove minor, l’artista fu preso come modello dai seguaci di Savonarola, per la sua superiorità di uomo religioso. Giovanni Santi mise il suo nome in un poema accanto ai nomi di altri artisti: Pisanello, Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Pesellino e Domenico Veneziano, mentre Leandro Alberti gli dedicò altrettanto pagine encomiastiche in un volume pubblicato nel 1517, da cui Giorgio Vasari s’ispirò nello scrivere la sua biografia nelle Le Vite del 1550.
Nel XIX secolo la vita spirituale di Fra’ Angelico, diventata romantica e leggendaria, fu diffusa in tutta Europa. Nel 1955, in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte, «la sua salma fu esumata e si procedette alla ricognizione canonica delle reliquie. Con il motu proprio Qui res Christi gerit del 3 ottobre 1982, papa Giovanni Paolo II ha concesso per indulto all'ordine domenicano la celebrazione della messa e dell'ufficio in onore dell'Angelico» [5] e sabato 18 febbraio 1984, in Santa Maria sopra Minerva, il beato è stato proclamato patrono presso Dio degli artisti, specialmente dei pittori. [6]
A mo’ di conclusione: «L’Angelico era un santo, dunque la sua pittura è santa; prima di mettersi a dipingere pregava e piangeva, dunque le sue pitture riflettono le visioni paradisiache dei suoi rapimenti estatici e perciò le sue figure sono divinamente belle, i suoi colori armoniosi, le sue forme piene di grazia». [7]
Otilia Doroteea Borcia
(n. 9, settembre 2021, anno XI)
NOTE
1. George Lăzărescu, Italia – Cultura e civiltà, Pro Universitaria, Bucureşti, 2007, p. 103
2. Vari filosofi e teologi della Scolastica medievale avevano elaborato una «teologia della luce».
3. S. Orlandi, Beato Angelico, Firenze, 1964, pp. 2-5, 174-179, doc. VIII.
4. Giulio Carlo Argan, Storia dell'arte italiana, Sansoni, Firenze, 1977, p.146. Molti filosofi e teologi della Scolastica medievale avevano trattato il motivo della «metafisica della luce», legato al concetto di Luce trascendente, Luce eterna e divina; tra di loro, oltre a san Tommaso d'Aquino, anche San Bonaventura e Roberto Grossatesta.
5. Qui res Christi gerit - Littera apostolica motu proprio data, su w2.vatican.va. URL consultato l'8 novembre 2015.
6. Prima messa votiva durante la quale si proclama il Beato Angelico patrono degli artisti, su w2.vatican.va. URL consultato l'8 novembre 2015.
7. Fra’ Angelico e il suo tempo, studio critico a cura di Giulio Carlo Argan, Fabbri Skira, Italia, 1965, p. 10.
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