La novità dell’arte di Giotto, il primo grande artista dell’Italia preumanistica e prerinascimentale

Giotto Di Bondone (forse ipocoristico di Ambrogio (Ambrogiotto), Angelo, Parigiotto, Ruggero (Ruggerotto) [1] oppure Biagio [2], (Giotto potrebbe essere un nome proprio), è stato un grande pittore, scultore e architetto italiano. Nacque a Colle di Vespignano nel 1267, e morì a Firenze, l’8 gennaio 1337.
Secondo la maggioranza degli esperti e di Giorgio Vasari Giotto nacque nel 1267, a Colle di Vespignano (attualmente il comune di Vicchio nel Mugello), da una famiglia di piccoli possidenti terrieri (Bondone era appunto il padre) che si trasferì poi a Firenze. Giotto fu affidato dai genitori alla bottega di Cimabue. Sui primi anni della sua infanzia, Giorgio Vasari racconta che egli fosse capace di tracciare una perfetta circonferenza senza bisogno del compasso, la famosa «O» di Giotto. Si narra che Cimabue avesse scoperto la bravura di Giotto mentre disegnava delle pecore con del carbone su un sasso (aneddoto riportato da Lorenzo Ghiberti e da Giorgio Vasari) [3]. Altrettanto leggendario è l'episodio di uno scherzo fatto da Giotto a Cimabue dipingendo su una tavola una mosca che sarebbe stata così realistica che Cimabue tornando a lavorare sulla tavola avrebbe cercato di scacciarla. Le novelle raccontano verosimilmente soprattutto la grande capacità tecnica e la naturalezza dell'arte di Giotto.
Verso il 1287 l’artista sposò Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela, con la quale ebbe quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne a sua volta pittore.


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Statua di Giotto, Galleria degli Uffizi, Firenze


Recenti studi indicano il frammento della Madonna conservato proprio in Mugello nella Pieve di Borgo San Lorenzo, del 1290, come la sua prima opera. Giotto aveva aperto una bottega, dove era circondato da alunni; qui progettava opere e impostava le composizioni più importanti mentre agli alunni lasciava quelle secondarie. Superando la smaterializzazione dell'immagine, l'astrattismo proprio dell'arte bizantina, egli si riappropriò magistralmente della «realtà naturale» narrando con grande arte scene realistiche, con gruppi di figure che dialogano fra loro, inserite in uno spazio al quale aprì «la terza dimensione, cioè la profondità». Il naturalismo giottesco dà ai personaggi una notevole espressività di sentimenti e stati d'animo, e le loro figure sono rese con plasticità, con solido accento scultorio.


La prima tavola dipinta da Giotto senza aiuti è la Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa (Firenze, oggi al Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte), che potrebbe essere anteriore agli affreschi di Assisi. Altri critici considerano la prima sua opera il Crocifisso di Santa Maria Novella.


Maestro d'Isacco, Esaù respinto da Isacco


La Basilica di San Francesco era nel 1253 la sede centrale dell'ordine e luogo di sepoltura del fondatore. La sua decorazione sembra risalire alla metà del XIII secolo (la Basilica inferiore) e agli anni 1288-1292 (la Basilica superiore). I primi affreschi nella Chiesa Superiore vennero realizzati da pittori oltremontani e poi dalla bottega di Cimabue, dove si trovava anche il giovane Giotto tra gli anni 1288-1292 e che ha lavorato due scene nella parte alta della navata destra con le Storie di Isacco (Benedizione di Isacco a Giacobbe e Esaù respinto da Isacco.


Preghiera in San Damiano


Giotto ha affrescato la fascia inferiore della navata con le ventotto Storie di san Francesco segnando una svolta nella pittura occidentale, con l’illustrazione del testo della Leggenda compilata da san Buonaventura. Questo ciclo è considerato l'inizio della modernità e del dipingere latino. La tradizione iconografica sacra poggiava su quella bizantina con un repertorio iconografico codificato nei secoli; il soggetto attuale di presentare un santo moderno e un repertorio di episodi straordinari (come di san Francesco che riceve le stigmate) è molto originale.


Crocifisso di Santa Maria Novella

(1290-1300)


Il primo capolavoro fiorentino è il grande Crocifisso di Santa Maria Novella, citato in un documento del 1312 (da Ricuccio di Puccio del Mugnaio e da Ghiberti), e contemporaneo alle Storie di San Francesco della Basilica superiore. È il primo soggetto che Giotto affronta in maniera rivoluzionaria, in contrasto con l'iconografia canonizzata da Giunta Pisano del Christus patiens inarcato sinuosamente a sinistra per l'osservatore. Giotto ha dipinto il corpo morto in maniera verticale, con le gambe piegate che ne fanno intuire tutto il peso. Cristo riceve la sua dimensione terrena e il senso spirituale dell’opera più profondo. Solo l'aureola ricorda la sua natura divina, ma mostra le sembianze di un uomo umile realmente sofferente, con il quale l'osservatore può confrontare le sue pene.



Stigmate di san Francesco, Louvre (1300 circa)


La tavola firmata proveniente da Pisa e conservata al Louvre di Parigi raffigura le Stigmate di san Francesco in cui le storie della predella sono riprese dalle scene di Assisi.
Giotto lavorò a Roma ai tempi di Papa Bonifacio VIII, pontefice dal 1295 al 1303. Qui compose il mosaico della Navicella, opera spostata e restaurata più volte e oggi collocata nel portico della Basilica. Può darsi che abbia lavorato a Roma fino al 1300 circa, anno del Giubileo, influenzando la scuola romana. Da documenti catastali si conoscono varie proprietà dell’artista a Firenze, dove egli era già a capo di una bottega che dava prestigiose commissioni del tempo. In questo periodo dipinse il Polittico di Badia (Galleria degli Uffizi) e, in virtù della fama diffusa in tutta l'Italia, venne chiamato a lavorare a Rimini e Padova.



Il crocifisso di Rimini


Del 1300 è un Cristo Benedicente simile al Redentore raffigurato nella Cimasa originale della croce nella collezione Jeckyll di Londra. A Rimini, come ad Assisi, Giotto lavorò in un contesto francescano, nella chiesa già di san Francesco (nota come Tempio Malatestiano), dove dipinse un ciclo di affreschi perduto, del quale è rimasta la Croce.
Giotto lavorò in molte città italiane. Fu a Padova tra il 1303 e il 1305 e del soggiorno padovano sono perduti gli affreschi del Palazzo della Ragione e gran parte degli affreschi della Basilica di Sant'Antonio (dei quali sono rimasti solo alcuni busti di sante nella Cappella delle Benedizioni e alcune scene nella Sala Capitolare (Stigmate di San Francesco, Martirio di Francescani a Ceuta, Crocifissione e Teste di Profeti). Anche i pittori dell'Italia del nord subirono l'influenza di Giotto: Guariento di Arpo, Giusto de' Menabuoi, Jacopo Avanzi e Altichiero fusero infatti il suo linguaggio plastico e naturalistico con le tradizioni locali.



L'interno della Cappella degli Scrovegni


A Padova resta intatto il ciclo di affreschi con Storie di Anna e Gioacchino, di Maria, di Gesù, Allegorie dei Vizi e delle Virtù e Il Giudizio Universale della Cappella di Enrico Scrovegni, dipinta tra il 1303 e il 1305. L'intero ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura e, soprattutto, il metro di paragone per tutte le opere di dubbia attribuzione giottesca, visto che sull'autografia del maestro fiorentino in questo ciclo non ci sono dubbi. Enrico Scrovegni, ricchissimo banchiere di Padova, acquistò il terreno dell'antica arena romana di Padova il 6 febbraio 1300 e verosimilmente nel 1301 cominciò la costruzione di un sontuoso Palazzo, di cui la cappella era l'oratorio privato, destinato un giorno ad accogliere la tomba sua e di sua moglie. La cappella fu consacrata il 25 marzo 1303 e l'edificio, completato, il 25 marzo 1305. Giotto dipinse l'intera superficie con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologo agostiniano di raffinata competenza, Alberto da Padova. Tra le fonti utilizzate ci sono molti testi agostiniani, tra cui il De doctrina Christiana, il De libero arbitrio, il De quantitate animae, il De Genesi contra Manicheos, ecc., i Vangeli apocrifi dello Pseudo-Matteo e di Nicodemo, la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze e, per piccoli dettagli iconografici, le Meditazioni sulla vita di Gesù dello Pseudo-Bonaventura. Ma anche testi della tradizione medievale cristiana, tra cui Il Fisiologo. Giotto dipinse, dividendolo in quaranta scene, un ciclo incentrato sul tema della Salvezza. [4]


Compianto sul Cristo morto - Cappella degli Scrovegni


Nella lunetta in alto sull'arco trionfale Dio si riconcilia con l'uomo; poi si vedono le storie di Gioacchino e Anna e le storie di Maria. Sull'arco trionfale ci sono la scena dell'Annunciazione e il riquadro della Visitazione. Da qui inizia la vicenda terrena di Gesù, lungo i due registri centrali delle pareti, con i suoi discepoli e con il Tradimento di Giuda. L'ultimo riquadro presenta la Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli (Pentecoste). Sono simboleggiati i Vizi e le Virtù, le allegorie dei sette vizi (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio), quelle delle sette virtù, le quattro cardinali (Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia) e le tre teologali (Fides, Karitas, Spes).



Cacciata di Gioacchino dal Tempio, Cappella degli Scrovegni, Padova


L'ultima scena, che occupa l'intera controfacciata rappresenta il Giudizio universale e la visione del Paradiso. Qui appare la grande novità scoperta da Giuliano Pisani: le figure sotto il trono di Cristo Giudice non rappresentano i simboli dei quattro evangelisti, ma, partendo da sinistra, un'orsa con un luccio, un centauro, un'aquila/fenice e un leone, simboli dell'essenza di Cristo. «Orsa e pesce, centauro, aquila e leone sono simboli cristologici che la cultura medievale, specie dopo il Mille, in epoca romanica, riprende dalla più antica tradizione cristiana: rappresentano allegoricamente il battesimo, il dono dell'immortalità, la vittoria sulla morte, la giustizia» [5]. La pittura di Giotto è di una piena maturità espressiva con il rapporto organico tra architettura e pittura in una visione unitaria, prospettica e cromatica, dominata dall’intensissimo blu della volta che si ripete in ogni scena. Le figure sono solide e voluminose rese in variazioni cromatiche, in una maniera umana realistica.



Bacio di Giuda

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Presentazione di Maria al Tempio


Nel Museo civico di Padova è conservata una Croce dipinta negli anni 1303-1305, proveniente dall'altare della Cappella degli Scrovegni, con una raffinatissima ricchezza decorativa dei colori smaltati. Impressiona il realismo nella figura del Cristo e nell'atteggiamento sofferente di Maria e di San Giovanni nei tabelloni laterali.
Lo Sposalizio di San Francesco con la Povertà, del 1316-1318, sulla volta nella Basilica inferiore di Assisi, è attribuito al «Parente di Giotto», su disegno del maestro. Tra il 1306 e il 1311 Giotto fu di nuovo ad Assisi per eseguire gli affreschi della zona del transetto della Basilica inferiore che comprendono: le Storie dell'infanzia di Cristo, le Allegorie francescane sulle vele, e la Cappella della Maddalena; questi furono invece eseguiti da artisti della sua cerchia. Giotto trasportò ad Assisi l’esperienza di Padova, nelle soluzioni scenografiche e nella spazialità, nella tecnica e, soprattutto, nella qualità dei colori chiari e caldi. Se il progetto generale degli affreschi fu suo, la realizzazione pittorica fu dei membri della bottega. Nel 1311 tornato a Firenze, egli si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali che, per la prima volta, accoglieva i pittori. La pulcra tabula commissionata a Giotto di Bondone per la chiesa di San Domenico a Prato nel giugno del 1312 fu distrutta forse nell’incendio della grande chiesa del 12 settembre 1647.



Mosaico della Navicella degli Apostoli


Nel terzo soggiorno romano, del 1313, Giotto eseguì il Mosaico della Navicella degli Apostoli per il portico dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano su commissione del Cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi. Dai disegni, fatti prima della sua distruzione, si può ricostruire la composizione: la barca degli apostoli in piena tempesta, sulla destra Pietro salvato da Cristo mentre a sinistra si vedeva una città turrita (soggetto ispirato da opere tardoantiche e paleocristiane, che Giotto aveva visto a Roma, continuamente attirato dal mondo classico.



Maestà degli Uffizi (Madonna di Ognissanti)


A Roma Giotto rimase poco tempo, perché a Firenze visse di più dipingendo le opere della sua maturità artistica: la Maestà di Ognissanti, la Dormitio Virginis della Gemäldegalerie di Berlino, il Crocifisso di Ognissanti. Nella Dormitio Virginis il tema e una composizione antica fu innovata grazie alla disposizione dei personaggi nello spazio. Il Crocifisso di Ognissanti fu dipinto per gli Umiliati ed è simile alle analoghe figure di Assisi.



Dormitio Virginis (dettaglio)


La Maestà della Galleria degli Uffizi, con un  linguaggio molto moderno, va confrontata con due celebri precedenti di Cimabue e Duccio di Buoninsegna, nella stessa sala del Museo. Il trono di gusto gotico in cui s’inserisce la figura monumentale di Maria è disegnato con una prospettiva centrale, accerchiata da una schiera di Angeli e da quattro santi che si evidenziano plasticamente sul fondo oro [6]. Nel 1318 Giotto cominciò a dipingere – come attesta Ghiberti – quattro cappelle e altrettanti polittici per quattro diverse famiglie fiorentine nella chiesa dei francescani di Santa Croce: la Cappella Bardi (Vita di San Francesco), la Cappella Peruzzi (Vita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista più il polittico con Taddeo Gaddi), e le perdute Cappelle Giugni (Storie degli Apostoli) e Tosinghi Spinelli (Storie della Vergine) di cui rimane l'Assunta del Maestro di Figline. Di queste restano solo le prime: le Cappelle Bardi e Peruzzi.



Assunzione di san Giovanni Evangelista, Cappella Peruzzi


La Cappella Peruzzi, con gli affreschi della Vita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista, molto apprezzata nel Rinascimento, anche se compromessa da diversi fattori del tempo, permette di vedersi la qualità delle figure plasticamente presentate nel chiaroscuro spaziale. All’arte di Giotto s’ispirarono gli artisti successivi come ad esempio Masaccio per gli affreschi della Cappella Brancacci nella Chiesa del Carmine e Michelangelo che dopo due secoli ne copiò varie figure. Dalla stessa cappella proviene il Polittico Peruzzi smembrato e disperso in diverse collezioni fino al Museo d'arte della Carolina del Nord di Raleigh che rappresenta la Madonna con figure di Santi tra cui i due Giovanni e San Francesco.



Cappella Bardi, Esequie di San Francesco


Bardi, l'altra Cappella di Santa Croce, narra episodi della Vita di San Francesco e figure di Santi francescani. Recuperata nel 1852 dà alle figure umane valori più espressivi soprattutto nella loro disposizione con una profondità spaziale. Nelle Esequie di San Francesco, le emozioni dei confratelli del santo sono espresse con gesti eloquenti e realistici mentre si disperano davanti alla salma distesa.



Il Polittico Baroncelli


Sull'altare della Cappella Baroncelli (poi affrescata da Taddeo Gaddi) si trova il Polittico databile del 1328, la cui cornice originale fu sostituita da una quattrocentesca. Il soggetto rappresentato è l'Incoronazione della Vergine nel centro di una folla di Gloria di Angeli e Santi. Per molte altre tavole giottesche, spesso smembrate, il problema dell'autografia non è mai sicura. Una di queste è la Croce dipinta di San Felice di Piazza. Il Polittico di Santa Reparata è attribuito al Maestro con la collaborazione del Parente di Giotto, il Santo Stefano della Collezione Horne di Firenze è probabilmente opera autografa e viene associata come resto di un'unica opera a due frammenti: il San Giovanni Evangelista e il San Lorenzo entrambi del Museo Jacquemart-André di Chaalis (Francia) e la bellissima Madonna col Bambino della National Gallery di Washington.



Santo Stefano, Museo Horne

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Madonna col Bambino, National Gallery di Washington

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La Crocifissione, Alte Pinakothek di Monaco di Baviera


In vari musei si trovano tavolette di piccole dimensioni: la Natività e l’Adorazione dei Magi del Metropolitan Museum of Art di New York (simile alle scene di Assisi e Padova), la Presentazione di Gesù al Tempio (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum), l'Ultima Cena, Crocifissione e Discesa al Limbo della Alte Pinakothek, la Deposizione della Collezione Berenson a Firenze e la Pentecoste (National Gallery di Londra), che secondo lo storico Ferdinando Bologna faceva parte di un polittico ricordato dal Vasari a Sansepolcro.



Trittico Stefaneschi, recto


Il Polittico Stefaneschi (Musei Vaticani), che fu commissionato a Giotto nel 1320 per l'altare maggiore della Basilica di San Pietro dal cardinale Jacopo Stefaneschi, fu ideato dal maestro, ma dipinto insieme agli aiuti, con una grande varietà cromatica. Ci si vedono: il Cristo in trono con i martiri di San Pietro e di San Paolo (simboli della Chiesa stessa), sul recto San Pietro in Trono, negli scomparti e nelle predelle la Vergine col bambino in Trono con diverse figure di Santi e Apostoli.
Nel 1328, dopo aver terminato il Polittico Baroncelli, chiamato dal re Roberto d'Angiò Giotto andò a Napoli, dove vi rimase fino al 1333. Il re lo nominò «famigliare» e «primo pittore di corte e nostro fedele» e gli assegnò anche uno stipendio annuo. [7] Della sua opera a Napoli oggi è rimasto poco: un frammento di affresco raffigurantela Lamentazione sul Cristo Morto in Santa Chiara e le figure di Uomini Illustri dipinte nella Cappella di Santa Barbara in Castelnuovo, insieme ai suoi allievi. La sua presenza a Napoli fu importante per la formazione dei pittori locali, come il Maestro di Giovanni Barrile, Roberto d'Oderisio e Pietro Orimina.
Dopo il 1333 l’artista si recò a Bologna, dove rimane oggi il Polittico firmato proveniente dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli, su fondo oro, con lo scomparto centrale raffigurante la Madonna in trono e santi, tutte figure solide, dell’ultima fase della sua attività come nella figura di Michele Arcangelo che ricorda gli angeli di Guariento.
Le opere tarde della sua carriera sono: la Crocifissione di Strasburgo (Museo Civico) e quella della Gemäldegalerie di Berlino.



Campanile di Giotto (Firenze)


Gli ultimi anni della sua vita Giotto li trascorse lavorando anche come architetto, quasi sempre a Firenze dove fu nominato il 12 aprile 1334 Capomaestro dell'Opera di Santa Reparata (dei cantieri aperti in piazza del Duomo) e soprintendente delle opere pubbliche del Comune. Secondo Giovanni Villani cominciò il 18 luglio dello stesso anno il lavoro di fondazione del Campanile del Duomo che diresse fino alla costruzione dell'ordine inferiore con i bassorilievi.
Prima del 1337, data della morte, Giotto andò a Milano presso Azzone Visconti, ma le opere di questa fase sono tutte scomparse. Testimonia la sua presenza l'influenza esercitata sui pittori lombardi del Trecento, come nel caso della Crocifissione della chiesa di San Gottardo in Corte. L'ultima opera fiorentina terminata dagli aiuti di Giotto è la Cappella del Podestà nel palazzo del Bargello, dove si trovano alcuni affreschi, oggi danneggiati, raffiguranti le Storie della Maddalena e Il Giudizio Universale. In questo ciclo è famoso il più antico ritratto di Dante Alighieri, dipinto senza il tradizionale naso aquilino. L’artista morì l'8 gennaio 1337 (il Villani riporta la data della morte avvenuta alla fine del 1336 secondo il calendario fiorentino) e venne sepolto in Santa Reparata con una cerimonia solenne a spese del Comune.

Giotto divenne già in vita un artista simbolo, un vero e proprio mito culturale, di una considerazione che crebbe nei secoli successivi. Giovanni Villani scrisse: «Il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al naturale». [8] Per Cennino Cennini egli «Rimutò l'arte di greco in latino e ridusse al moderno» [9] superando gli schemi bizantini e aprendo una rappresentazione dello spazio, del volume e del colore come si farà nell'Umanesimo (Berenson). [10] Le architetture dipinte da Giotto assumono un valore realistico negli spazi abitabili che sono concreti, non più simbolici com’erano nei lavori di Cimabue. I personaggi dei suoi dipinti hanno una psicologia ben trattata e laicizzata. Questi temi, ripresi e sviluppati da Masaccio negli affreschi della Cappella Brancacci, apriranno così le porte al Rinascimento.
Mentre il sistema di Dante Alighieri ha una struttura dottrinale modellata sul pensiero di San Tommaso d'Aquino, il sistema di Giotto ha una struttura etica influenzata da San Francesco d'Assisi. Il linguaggio giottesco è gotico ed elimina dalla cultura gotica europea quanto di bizantino era rimasto. Per Giotto il fatto storico è quello che attua e rivela un disegno divino e il suo modo di pensare storico è uno antico e cristiano: per Giotto l'antico è esperienza storica da investire nel presente. La naturalezza è recuperata dall'antico attraverso il processo intellettuale del pensiero storico.
Il Vasari, nel capitolo che gli dedicò nelle Vite, lo indicò come «pittore, scultore et architetto» [11], accennando a vari progetti di edifici. Confermato questo nelle fonti trecentesche, solo dal 1963 si tentò di sistemare criticamente la sua vita, grazie ai contributi di Gioseffi [12] e di altri autori. Si è cercato di trovare le caratteristiche stilistiche di possibili progetti architettonici di Giotto, anche dopo le modifiche e le aggiunte successive avvenute nei secoli.
Giotto poteva essere l’autore dell'edificio della cappella dell'Arena a Padova, del primitivo ponte alla Carraia a Firenze e della perduta Fortezza Augusta a Lucca, ma il progetto a cui fu più legato, anche nel nome, è il campanile di Santa Maria del Fiore. Già riferito all'autore dall'anonimo commentatore fiorentino della Commedia (1395-1400 circa), è citato poi nel Centiloquio di Antonio Pucci, che gli attribuisce anche i primi rilievi decorativi, dal Ghiberti e da altri, che parlano della sua ideazione e della conduzione del cantiere fino al primo ordine. Una pergamena nel Museo dell'Opera del Duomo di Siena conserva uno schema del campanile considerato legato al progetto originario di Giotto, un’ipotesi non accettata da tutti i critici. Le idee di Giotto si baserebbero sull'esempio di Arnolfo di Cambio e sarebbero improntate a un'audacia sul piano statico che tende a ridurre lo spessore delle parti portanti. Ragghianti [13] attribuì a Giotto il disegno dei primi rilievi di Andrea Pisano e altri, tra cui la Creazione di Adamo e di Eva, il Lavoro dei progenitori, la Caccia, la Musica e la Vendemmia.


Opera di un seguace: Liberazione dell'Eretico, Basilica superiore di Assisi,
forse del Maestro della Santa Cecilia


Come nota Giorgio Vasari, Giotto avrebbe fatto anche il disegno del monumento e dei rilievi della Tomba Tarlati nel Duomo di Arezzo. L’artista ebbe numerosi collaboratori che lavoravano per la pittura, scultura e architettura nei cantieri e nelle cattedrali romaniche e gotiche e per questo è difficile attribuirgli molte opere. Vasari citò tra i più stretti aiutanti (seguaci), i nomi di: Taddeo Gaddi, Puccio Capanna, Ottaviano da Faenza, Guglielmo da Forlì e altri.
A Firenze e in Toscana questi furono: Maso di Banco, Giottino, Bernardo Daddi, il Maestro della Santa Cecilia, il Maestro di Figline, Pacino di Buonaguida, Jacopo del Casentino, Stefano Fiorentino. In Umbria, lo stile suo è riconoscibile nelle opere del Maestro di Santa Chiara da Montefalco, del Maestro espressionista di Santa Chiara, dello stesso Puccio Capanna e del cosiddetto Maestro colorista (un artista di grande livello).
La scuola di Rimini nacque con Neri da Rimini, Giuliano Da Rimini, Giovanni da Rimini, il Maestro dell'Arengario. La scuola emiliano-romagnola produsse dei capolavori anche nel campo della miniatura. L'influenza di Giotto si estese poi alle scuole settentrionali con gli artisti Altichiero, Guariento e Giusto de' Menabuoi. Anche a Napoli la presenza di Giotto lasciò un'impronta duratura, con le opere di artisti quali Roberto d'Oderisio, che decorò la chiesa dell'Incoronata con affreschi di aristocratica eleganza (oggi staccati e conservati a Santa Chiara). Alla scuola romana formò gli artisti: Pietro Cavallini, Jacopo Torriti, e altri, non tanti, perché le attività artistiche a Roma decaddero molto dopo il trasferimento del papato ad Avignone nel 1309. Con i suoi numerosi viaggi, egli creò uno stile «italiano» in pittura, usato da Milano a Napoli, passando per varie regioni. Influenzò anche autori di altre scuole, come la parallela scuola senese, secondo le impostazioni architettoniche di alcune opere per esempio di Pietro e Ambrogio Lorenzetti. L'esperienza giottesca fu inoltre alla base della successiva rivoluzione rinascimentale fiorentina.



Otilia Doroteea Borcia
(n. 9, settembre 2021, anno XI)





NOTE

1. Cesare Brandi in Biografia, in Grandi Monografie- Giotto, Milano, Mondadori Electa, 2006, p. 139 e p. 309.
2. Conformemente a un documento dalla chiesa Santa Maria del Fiore, in cui si parla di Blaxio Angeli, vocato Giotto, cfr. Wikipedia enciclopedia libera
3. Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori e scultori e architetti, I Classici Rusconi, 1966, p. 64.
4. Giuliano Pisani, Il capolavoro di Giotto. La Cappella degli Scrovegni, Editoriale programma, 2015, p. 98.
5. Idem 4.
6. Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol., 2, Sansoni per la Scuola, 1995, p. 15.
7. Giorgio Vasari, op. cit., p. 73.
8. Arte in Toscana - Giotto di Bandone
9. Dizionario biografico degli italiani
10. B. Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, Bur 2009, cap. II.
11. Georgio Vasari, op. cit.p. 75.
12. Cesare Brandi, op. cit. p. 139
13. Licia Collobi Ragghianti, Giotto, Università Internazionale dell’Arte. 1987, p. 38.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol., 2, Sansoni per la Scuola, 1995
Cesare Brandi, Biografia, in Grandi Monografie - Giotto, Milano, Mondadori Electa, 2006
Luciabo Bellosi, Giotto, ed. Scala, Milano 2004
Bernard Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, Bur, 2009, cap. II.
Giuliano Pisani, Il capolavoro di Giotto. La Cappella degli Scrovegni, Editoriale Programma, 2015
Licia Collobi Ragghianti, Giotto, Università Internazionale dell’Arte. 1987
Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori scultori e architetti, I Classici Rusconi
*** Arte in Toscana - Giotto di Bandone
*** Dizionario biografico degli italiani
Wikipedia enciclopedia libera
Arte in Toscana | Giotto di Bondone | http://www.travelingintuscany.com› giotto