|
|
Le più belle Madonne della pittura italiana umanistica e rinascimentale
I protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento
In Italia, i protagonisti del più bel periodo della storia dell’arte chiamato Umanesimo e Rinascimento sono stati:
Leon Battista ALBERTI (Genova 1404 - Roma 1472), che oltre a essere architetto e scrittore, è considerato il più grande teorico dell’architettura del suo tempo. Fu il primo studioso dell'arte rinascimentale e autore di progetti improntati ai canoni di uno stile classico puro, derivato dall'antica architettura romana. La sua figura è da annoverare tra i più fulgidi esempi di uomo rinascimentale, il classico genio poliedrico. Visse a Roma, Bologna, Firenze e Rimini. Le novità stilistiche e concettuali della scultura umanistica hanno influenzato anche le opere pittoriche.
Piero Della Francesca (Borgo S. Sepolcro, Arezzo, 1410-1492), sulla cui attività artistica non si hanno notizie certe fino al 1439, quando è ricordato come collaboratore del Veneziano a Firenze. Si è affermato che i suoi capolavori sono frutto di un’arte «difficile». Elementi comuni nelle sue opere che definiscono il suo stile sono la presentazione geometrica della prospettiva, l’assoluta immobilità, la sensazione di pace e di silenzio che comunicano i suoi personaggi, il colore e le linee. Piero dipinse la serie dei capolavori delle Storie della Croce (1452), la Madonna della Misericordia e la Resurrezione.
Leonardo da Vinci (Vinci 1452 - Parigi 1519). Nato ad Archiano di Vinci e trasferitosi con il padre a Firenze, divenne nel 1469 l’allievo del Verrocchio. Si formò come artista in un ambiente dove si insegnava a concepire la figura umana, scolpita o dipinta, non immobile ma inserita nello spazio. L'amore per la conoscenza e la ricerca segnarono profondamente la sua produzione artistica e scientifica. Le sue innovazioni nella pittura influenzarono l'arte italiana per oltre un secolo e i suoi studi scientifici, soprattutto di anatomia, ottica e idraulica, anticiparono molte conquiste della scienza moderna. Leonardo passò gli ultimi periodi della sua vita in Francia, dove portò alcuni quadri dipinti in Italia, tra cui la famosissima Gioconda.
Michelangelo Buonarroti (Caprese AR 1475 - Roma 1564), fu il sommo pittore, scultore e architetto e anche letterato, dedicato sin dall’adolescenza al disegno come allievo di Davide e di Domenico del Ghirlandaio. Tra le sue maggiori opere vi sono il David, composto durante il secondo periodo Fiorentino (1501) e la decorazione della Cappella Sistina, con l’affrescatura, per il solo Giudizio Universale, di più di 500 metri quadrati di superficie.
Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520) visse tre momenti fondamentali in cui creò i suoi capolavori artistici su tela e sulla parete: quello umbro (fino al 1504), quello fiorentino (1504-1508) e quello romano, nel quale raggiunse i vertici della sua arte con la decorazione delle Stanze nei Palazzi Vaticani. Fu una figura centrale dell’arte italiana rinascimentale.
Le loro opere artistiche e scientifiche hanno creato l’ambiente culturale ideale per lo sviluppo delle idee della nuova filosofia antropocentrica, che metteva l’uomo al centro dell’universo come opera più alta del Signore, che doveva essere conosciuta, ammirata e presa come modello dagli umanisti. Questi artisti, ma anche altri, non meno importanti, che vissero in questo periodo e pure prima del Quattrocento, ci hanno lasciato magnifiche opere d’arte soprattutto sacra, dedicate ai santi, a Gesù Cristo e alla Vergine Maria, Sua madre.
La vita della Beata Vergine Maria di Nazareth
Molti secoli erano passati da quando Dio, nei primi tempi del Paradiso, aveva promesso l’arrivo del Messia. Da centinaia di anni la speranza del popolo di Israele, depositario della promessa divina si era concentrata su una vergine della stirpe di Davide, che doveva concepire e partorire un figlio, che chiamerà Emmanuele (Isaia 7, 14) - che significa “Dio è con noi” e i pii israeliti aspettavano ancora la nascita della Madre del Messia, secondo la profezia di Isaia (cfr. Michea 5, 2). Uno scritto apocrifo del II secolo, conosciuto come il Protovangelo di san Giacomo, ci ha trasmesso i nomi dei genitori di Maria – Gioacchino e Anna –, che la Chiesa ha iscritto nel calendario liturgico. Diverse tradizioni collocano il luogo della sua nascita in Galilea o, con maggiore probabilità, nella città santa di Gerusalemme, dove sono state trovate le rovine di una basilica bizantina del V secolo, edificata sulla cosiddetta casa di Sant’Anna. La liturgia mette sulle labbra di Maria una frase dell’Antico Testamento: mi sono stabilita in Sion. Nella città amata mi ha fatto abitare; in Gerusalemme è il mio potere (Siracide 24, 15).
Maria nacque dunque a Nazareth dai devoti genitori Gioacchino, della stirpe di Davide (Luca 1,32) e Anna, della stirpe di Aronne (Luca 1,5;1,36). Di modeste condizioni economiche, questi erano tuttavia «ricchi in santità e di virtù».
Sui genitori della beata Vergine Maria non ci sono riferimenti nella Bibbia e non si hanno notizie certe; quelle giunte fino a oggi sono ricavate da testi apocrifi come il già nominato Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello pseudo-Matteo, oltre che dalla tradizione. Anna sembra essere stata figlia di Achar e sorella di Esmeria, madre di Elisabetta e dunque nonna di Giovanni Battista. Gioacchino era un uomo virtuoso e molto ricco della stirpe di Davide, «che era solito offrire una parte del ricavato dei suoi beni al popolo e una parte in sacrificio a Dio». Gli sposi vivevano a Gerusalemme ma per oltre vent’anni non ebbero figli. Non generare prole, per gli ebrei, in quell’epoca era «segno della mancanza della benedizione e del favore di Dio; perciò, un giorno, nel portare le sue offerte al Tempio, Gioacchino venne redarguito da un tale Ruben (forse un sacerdote o uno scriba): indegno per non avere procreato, infatti, secondo lui non aveva il diritto di presentare le sue offerte. Gioacchino, umiliato e sconvolto da quelle parole, decise di ritirarsi nel deserto e per quaranta giorni e quaranta notti implorò Dio, fra lacrime e digiuni, di dargli una discendenza». Anche Anna trascorse giorni in preghiera chiedendo a Dio la grazia della maternità.
Le suppliche di Gioacchino e Anna vennero ascoltate lassù; così un angelo apparve a ognuno di loro e li avvertì che stavano per diventare genitori. L’incontro sulla porta di casa fra i due, dopo l’annuncio, si arricchisce di dettagli leggendari. «Il bacio che i due sposi si sarebbero scambiati è stato tramandato dinanzi alla Porta Aurea di Gerusalemme, il luogo in cui, secondo una tradizione ebraica, si manifestava la presenza divina e si sarebbe manifestato l’avvento del Messia. Ampia l’iconografia di tale bacio davanti alla nota porta che i cristiani ritengono quella attraverso la quale Gesù avrebbe fatto il suo ingresso nella Città Santa, la Domenica delle Palme». Dopo il ritorno di Gioacchino, Anna diede alla luce Maria. La bimba venne cresciuta tra le affettuose premure del padre e le amorevoli attenzioni della madre. Qui, nel XII secolo, i crociati hanno costruito una chiesa, che esiste tuttora, dedicata ad Anna, che educò sua figlia alle arti domestiche. Quando Maria compì tre anni, per ringraziare Dio, Gioacchino e Anna la presentarono al Tempio per consacrarLa al servizio del Tempio stesso, così come avevano promesso nelle loro preghiere. [1]
Di Gioacchino gli apocrifi non riferiscono altro, mentre di Anna si dice abbia vissuto fino all’età di ottant’anni. Le sue reliquie vennero custodite a lungo in Terra Santa, poi traslate in Francia e tumulate in una cappella scavata sotto la cattedrale di Apt. Il ritrovamento e l’identificazione, successivamente, sarebbero stati accompagnati da alcuni miracoli. [2]
Maria bambina fu offerta al tempio per l'educazione e venne alloggiata in uno degli edifici adiacenti al tempio, dove vivevano donne addette alla cura degli arredi (Esodo 38,8) e alla preghiera (Luca 2,36). All'età di quattordici anni fu data in sposa a Giuseppe, che era un falegname che abitava anch'egli a Nazareth; ciò nonostante, lei continuò a dimorare nella sua casa di famiglia per un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l'entrata nella casa dello sposo. E fu proprio in questo luogo che ricevette l'annuncio dell'Angelo, che la salutò chiamandola «Piena di Grazia» (Luca 1,26) comunicandole che sarà la Madre del Messia, del Figlio di Dio. Attonita, lei chiese come ciò potesse realizzarsi, e avuto dall'Angelo l'assicurazione che la Sua maternità sarà opera dello Spirito Santo, acconsentì: «Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola» (Luca 1,38). Maria accettò pur avendo la consapevolezza, dovuta dalla profonda conoscenza delle Sante Scritture, e dalle illuminazioni particolari della grazia, di quali sofferenze andrà incontro il Messia, (Isaia 53) il Salvatore. Poi andò dalla cugina Elisabetta che era nei suoi ultimi tre mesi di gravidanza e ci rimase fino alla nascita di Giovanni Battista. Elisabetta risiedeva ad Ain Karim in Giudea abbastanza lontano da Nazareth in Galilea. Al suo arrivo questa la salutò: «Madre del mio Signore» e la elogiò per la sua fede «Beata te che hai creduto» (Luca 1,43). Maria non riuscì a trattenere la sua gioia ed eruppe a Dio nel Cantico: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore».
Ritornata a Nazareth, sperimentò la dolorosissima esperienza della perplessità di Giuseppe che non conosceva la causa della Sua maternità (Matteo 1,18). Maria soffrì in silenzio e attese che Dio Le venisse in aiuto e, infatti, un Angelo dissipò in sogno i timori di Giuseppe che affrettò la cerimonia della festa d’ingresso nella casa dello sposo. Un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento (Luca 2,1) obbligò i due sposi a recarsi alla città di origine della dinastia a Betlemme di Giuda. Il viaggio fu faticoso sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità. Come a Betlemme non trovarono posto per alloggiare, Lei diede alla luce Suo figlio in una grotta nella campagna (Luca 2,7) e alcuni pastori accorsero per fargli visita e aiutarli. (Luca 2,16).
Venuto poi il tempo della purificazione, secondo la legge di Mosè, si recarono al tempio per offrire il loro primogenito al Signore; nel tempio incontrarono Simeone, il quale annunciò a Maria che una spada Le avrà trapassato l'anima. Poi giunsero dei Magi dall'Oriente (Matteo 2,2) che cercarono il neonato, re dei Giudei; all'udire questo Erode fu preso da grande spavento. Trovato il bambino, i Magi Gli offrirono i loro doni e portarono un sollievo alla Santa Famiglia. Dopo la loro partenza, un Angelo del Signore apparve a Giuseppe e lo esortò a fuggire con la famiglia in Egitto, perché Erode cercava il bambino per ucciderlo. Il viaggio fu lungo, in gran parte nel deserto. In Egitto vissero la penosa esperienza di profughi. (Matteo 2,14). Morto Erode, la Santa Famiglia si stabilì a Nazareth (Matteo 2,13) facendo una vita povera, laboriosa e devota.
Gesù fu ritrovato nel tempio all'età di dodici anni, nell'episodio del suo smarrimento e ritrovamento, che già pensava a servire «il Padre Suo». (Luca 2,41). E perché non vengono descritti altri episodi, si presume siano trascorsi altri venti anni di lavoro, dopo i quali, Gesù lasciò la Mamma, oramai vedova, per iniziare la Sua missione di predicatore. Maria apparve poi alle nozze di Cana, dove ottenne da Gesù, il Suo primo miracolo, in favore degli sposi (Giovanni 2,1). Lei rivedeva saltuariamente Gesù (Matteo 12,46), talora lo seguiva nelle sue peregrinazioni apostoliche. (Giovanni 2,12; Luca 8,3). Durante la Passione di Gesù, seguì la cospirazione del Sinedrio, gli eventi del Giovedì Santo, della notte e la condanna a morte di Gesù, la flagellazione e la crocifissione. Fu sotto la croce del Figlio morente che le rivolse le ultime parole per affidarla al discepolo prediletto, e a lui assegnò Lei come Madre (Giovanni 19,25) ed ebbe così inizio la sua maternità spirituale. Dopo l'Ascensione, gli Atti (1,14) ricordano Maria assieme ai discepoli radunati in preghiera comune in attesa dello Spirito Santo. Così Maria è al centro della vita della Chiesa nascente. Secondo la tradizione Maria seguì l'apostolo Giovanni e infine si addormentò nel Signore ove poco dopo risuscitò e fu assunta in cielo. [3]
La Madonna nell’iconografia
«Sino alla nascita di Maria la terra era rimasta al buio, avvolta nelle tenebre del peccato. Con la sua nascita è sorta nel mondo l’aurora della salvezza, come un presagio dell’avvicinarsi del giorno. Lo riconosce la Chiesa nella festa della Natività della Beata Vergine Maria: Con la tua nascita, Vergine Madre di Dio, hai annunciato la gioia a tutti: da te è nato il Sole di giustizia, Cristo nostro Dio (Ufficio delle Lodi). Ma il mondo, allora, non lo seppe. La terra dormiva».
La Madonna è stata raffigurata sin dai primi secoli nell’iconografia cristiana occidentale e orientale, poche volte sola (come nella pittura di Antonello da Messina), con Gesù Bambino nelle sue braccia o anche circondata da santi, angeli e personaggi dalla Bibbia. Le opere pittoriche dedicate alla Vergine Maria sono tantissime e arricchiscono le chiese e i musei. Quasi tutti gli artisti Le hanno dedicato una tela, un quadro, avendo come titolo oltre al Suo nome, anche un altro, dell’autore o del committente. Nella pittura che La rappresenta, possono apparire poi altri personaggi, un ambiente o un paesaggio, un simbolo (un oggetto con un determinato significato); l’artista ha voluto immortalare il Suo viso di Santa dei Santi, perché madre del figlio di Dio. Per questo le Madonne dipinte non sono delle semplici opere d’arte, ma delle icone, spesso evocando i più importanti episodi dalla vita cristiana (Natività, Sacra Famiglia, Fuga in Egitto, Presentazione al Tempio, ecc.), alla quale partecipano anche santi e beati.
Nell’iconografia mariana esistono delle tipologie e dei filoni rispettati dagli artisti secondo certe regole, che spiegano il perché delle similitudini di molte dalle immagini. Nelle icone bizantine, per esempio, il primo tipo è la «Brephocratousa o Madonna col Bambino, (colei che porta il Bambino), che ha tre varianti legate ai suoi attributi prevalenti: di essere la Theotókos (Madre di Dio), l’Aeiparthenos (la Semprevergine) e la Panaghia (tutta santa); poi la Madonna Odigitria (condottiera, guida, colei che mostra la via), o la Déesis (Madonna della supplica), l’Eleousa e la Glycofilousa (della tenerezza), la Tricherousa (la Madonna delle tre mani)». [5]
Nel mondo occidentale alcuni filoni sono ispirati a delle regole meno rigide rispetto al mondo orientale ed Ella sarà rappresentata come la Madonna col Bambino in gloria, la Madonna orante, la Madonna della Misericordia, protettrice di fedeli, o anche la Patrona di una o più città, protagonista della Sacra conversazione, o Madonna in trono, con il Bambino, circondata da Santi e Padri della Chiesa, da angeli e bambini cantori, tipologia già molto diffusa nell’arte paleocristiana.
Altre immagini sono della Madonna adorante il Bambino, della Natività con l’Adorazione dei Magi, della Visitazione, Pietà e Madonna Addolorata, la Madonna delle Grazie, la Madonna del Soccorso, la Madonna della Consolazione, la Madonna del Latte, la Madonna dell’Umiltà, la Madonna del Rosario. Spesso incoronata su un trono, Maria appare anche seduta su un cuscino o addirittura sull’erba. A volte tiene in mano la corona, il Rosario, un fiore, un frutto, un uccello o un oggetto, il cui significato è la Passione di Cristo e l’Unità della chiesa. Quando sta leggendo un libro, questo è la Sacra Scrittura, simbolo della preghiera, della fede e della sapienza, «perché la Vergine è invocata nei canti come Sedes Sapientae nelle litanie». [6]
Alcune icone rivelano la funzione di Maria di Theotókos (Genitrice di Dio), cioè di colei che lega il cielo con la terra, il divino con l’umano.
Le più belle Madonne dipinte nel periodo umanistico e rinascimentale
I cattolici si rivolgono alla Vergine Maria con molti titoli. In Italia, ma non nella liturgia, Lei viene normalmente chiamata “Madonna” (dal latino mea domina, «mia signora»). Per questo anche gli artisti hanno dato questo nome alle loro opere che La rappresentano.
Duccio di Buoninsegna, Madonna con il Bambino e sei Angeli, 1300-1305,
tempera su tavola, 97 x 93 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
La Madonna con il Bambino e sei Angeli è una composizione gotica che si trovava nella sagrestia del convento perugino di San Domenico. Soltanto agli inizi del secolo scorso fu riferita a Duccio di Buoninsegna. La forma dell’opera è leggermente diversa dal dipinto dalla prima Madonna di Duccio, sotto l’influsso dell’arte giottesca. La prima ripulitura, del 1919, fu inefficace e fece emergere un profondo solco verticale, che necessitò l’intervento, nel 1947, dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Dopo il restauro venne portata alla luce gran parte della stesura originale, non solo nelle figure centrali ma anche nella parte alta della composizione, dove sono collocati gli angeli, anch’essi ripassati dall’inopportuna stesura quattrocentesca. Rimosse le cornici indegnamente integrate nel 1919, la tavola fu portata alle reali dimensioni, che dimostrò che essa aveva fatto parte «dello scomparto centrale di un polittico andato perduto (fonte: Catalogo della V Mostra di Restauri dell’Istituto Centrale di Roma, 1948). La composizione ha lo stesso motivo e gli stessi ritmi della Madonna di Crevole (Siena), ma evidenzia un naturalismo più genuino nel rapporto fra il Bambino e Sua Madre». [7]
Giotto, La Maestà di Ognissanti, tempera e oro su tavola, 1310 circa, 325 x 204 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi
La pittura, che prima si trovava nella chiesa di Ognissanti a Firenze, da cui prese il nome, è collocata vicino alle pale di Cimabue (Madonna di Santa Trinità) e Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai). La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato dal contrasto tra ombre e lumeggiature. Il peso delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono che ha delle decorazioni geometriche alla base. I colori sono raffinati, come il bianco madreperlaceo della veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera. Maria, in maniera molto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo leggermente le labbra. Le figure sono incorniciate da un trono che accentua la profondità spaziale, nella maniera di Cimabue. Molto originale è la disposizione dei due santi nell'ultima fila, che si vedono solo attraverso il traforo del trono. Tutti gli sguardi degli angeli convergono verso il centro del dipinto, «con l'innovativa rappresentazione di profilo di alcuni di essi, una posizione riservata solo alle figure sinistre (Giuda, i diavoli...) nell'arte bizantina. Essi hanno in mano doni per la Madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli (simboli della sua purezza) e rose (fiore mariano): i vasi sono tra i primi esempi in ambito medievale di ‘natura morta’, già sperimentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni». [8] La tecnica pittorica è molto avanzata e ha sorpassato quella del Duecento, la cui sfumatura delicata ma incisiva dà un nuovo volume alle figure.
Simone Martini, La Maestà, 1315, affresco, 970 x 763 cm, Palazzo Pubblico, Siena
L’affresco, che occupa tutta la parete nord della Sala del Mappamondo (detta anche Sala del Consiglio) del Palazzo Pubblico di Siena, è considerato una delle più importanti opere non solo dell’artista, ma anche di tutta l’arte trecentesca italiana. La Vergine in trono col Bambino è raffigurata sotto un variopinto baldacchino sorretto da angeli, santi e apostoli. Questi sono: i santi Paolo, Maria Maddalena, Giovanni Evangelista, Caterina di Alessandria e l’arcangelo Gabriele, a destra, i santi Pietro, Agnese, Giovanni Battista, Barbara e l’arcangelo Michele a sinistra e i santi patroni di Siena, Crescenzo, Vittore, Savino, Ansano e due angeli ai piedi del trono. Il baldacchino ricorda le processioni durante le quali la Madonna riceveva l'omaggio floreale degli angeli. Un largo bordo incornicia la composizione dell’opera e sulla bordatura vi sono dei medaglioni che raffigurano nella zona superiore centrale il busto di Cristo, nella zona inferiore centrale un busto muliebre bicipite, con un volto senile e uno giovanile, simboleggianti la Vecchia e la Nuova Legge; nelle altre zone vi sono raffigurati i busti dei profeti con il cartiglio e i busti dei santi. Questi si alternano agli stemmi del Comune di Siena, contornati da motivi floreali.
Vitale da Bologna, Madonna dei battuti, 1355 circa, Roma, Pinacoteca vaticana
Vitale da Bologna, il cui vero nome era Vitale degli Equi, è stato probabilmente il più importante pittore bolognese del Trecento. Attivo non solo a Bologna ma anche in Friuli, dove realizzò affreschi nel Duomo di Udine, influenzando in modo profondo la scuola locale (così come quella bolognese), si formò osservando la pittura del grande Giotto, ma fu influenzato anche dalla pittura gotica francese e dalla miniatura. Il risultato che ne segue è molto originale: «una pittura che alterna brani di eccezionale raffinatezza a momenti d’intenso espressionismo, carico di drammaticità e tensione dinamica. La Madonna tiene tra le sue braccia Gesù bambino che benedice alcuni fedeli inginocchiati, i cui corpi sono molto piccoli in rapporto alla grandezza di Maria e di suo Figlio. Il manto della Madonna di colore scuro ha sopra dipinte delle stelle dorate che sembrano far parte del fondo d’oro della tela. L’atmosfera di quest’opera è serena, come lo dimostra anche il sorriso della madre». [9]
L’artista ha dedicato alla Madonna anche altre opere: Madonna con Bambino in trono e donatori (Madonna dei Denti) (1345), Bologna, Museo Civico Davia Bargellini; Madonna con Bambino e un san Luigi che presenta il cardinale Pasteur de Sarrats, Viterbo, Museo Civico; Madonna col Bambino e due santi (Madonna dell'Umiltà) (1353 circa), Milano, Museo Poldi Pezzoli; Madonna col Bambino e confratelli (Madonna dei Battuti), Città del Vaticano, Pinacoteca vaticana; Madonna dell'umiltà con santa Caterina e una santa martire, Milano, Museo Poldi Pezzoli; Madonna della Pace, Forlì, Pinacoteca civica.
Gentile da Fabriano, La Madonna dell’Umiltà, 1420-1423, tempera su tavola, 56 x 41 cm, Pisa, Museo nazionale di San Matteo
L’opera, che fu prelevata nel XIX secolo dalla Pia Casa della Misericordia di Pisa, sembra essere stata destinata, per le sue dimensioni, alla devozione privata, forse richiesta da Alemanno Adimari, cardinale di origine fiorentina e arcivescovo della città. Il nome, La Madonna dell'Umiltà, si deve alla presentazione di Maria seduta in terra su un cuscino, tema molto caro alla pittura del primo XV secolo. Ella è raffigurata in adorazione del figlio che tiene sulle sue ginocchia, su un prezioso drappo dorato, con fini decorazioni, come sono anche quelle sullo sfondo del quadro e sui tessuti. La posa del Bambino ricalca l'Adorazione del Bambino, dipinta nello stesso periodo, tavola che si trova nel J. Paul Getty Museum di Los Angeles, dove però la Vergine è pienamente frontale. Nella tavola di Pisa Maria è disposta quasi di profilo, con le mani incrociate, trasmettendo molta tenerezza. Il Bambino, che sembra sorridere alla madre, le tocca gentilmente l'orlo dorato del vestito. La ricchezza cromatica – l'oro, il rosso e i punti di vernice verde – sorpassa gli accenni alla profondità del cuscino e della tenda di sfondo. Lungo il bordo del manto della Vergine corre l'iscrizione "AVE M[A]T[ER] DIEGNA [D]EI». [10]
Beato Angelico, Annunciazione del corridoio Nord, 1425-1426, affresco, 230 x 321 cm, Convento di San Marco, corridoio del primo piano, Firenze
L’Annunciazione del corridoio Nord di Beato Angelico è situata al primo piano, nel Convento, proprio davanti alle scale. È un affresco di datazione incerta, lavorato dopo il ritorno dal soggiorno romano. Si tratta di una delle opere più famose del maestro e uno dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto. L’Arcangelo Gabriele e Maria si trovano nel centro della scena religiosa. Seduta su uno sgabello a tre gambe con le mani incrociate sul grembo, Maria è rivolta verso l’Angelo, inginocchiato a sinistra, che le porta il messaggio divino che darà nascita al Figlio di Dio. Lei ha un abito chiaro, un mantello blu e un’aureola circolare e dorata sulla testa, mentre lui indossa una lunga tunica e ha le ali multicolori. Come la Vergine, reca un’aureola circolare. Dietro il loggiato con colonne in stile corinzio s’intravede una parte del verde giardino (l’hortus conclusus) che è separato dal bosco di cipressi e di altri alberi. «I due personaggi sono disposti nella stessa maniera in cui saranno rappresentati nelle sue due Annunciazioni da Leonardo».
Le parole dell'Annunciazione sono dipinte in basso, alla base della colonna centrale sotto la quale si trova la preghiera: VIRGINIS INTACTAE CUM VENERIS ANTE FIGURAM PRETEREUNDO CAVE NE SILEATUR AVE («Quando passerai davanti alla figura della Vergine intatta, stai attento di non dimenticare di dire l'Ave Maria»). In questo dipinto «il pittore ha usato la costosa azzurrite e inserti in oro. Le figure sono monumentali, isolate nello schema prospettico del porticato, con un forte senso di silenziosa spiritualità». [11]
Masaccio, Madonna Casini, 1426-1427, tempera su tavola a fondo d’oro, 24,50 x 18,20 cm, Gallerie degli Uffizi, Firenze
La Madonna Casini di Masaccio (soprannominata la Madonna del solletico) è un’opera atipica, dipinta con molta luce per la devozione privata del cardinale Antonio Casini, il cui stemma si trova sul verso. Il primo ad attribuirla a Masaccio fu Roberto Longhi [12] nel 1950, avvicinandola per lo stile, al Desco da parto, dove è presente un bambino altrettanto vivace. L'iconografia è piuttosto insolita, legata a una committenza privata. La Madonna regge in braccio il Bambino in fasce e con la destra lo benedice alzando due dita, ma il gesto può essere famigliare, forse di solletico, mentre Lui afferra il polso della madre con le Sue manine.
Lo sfondo è uno strato d'oro, su cui sono incise finemente le aureole. Il volto di Maria è serio, come imponeva l'iconografia, per la futura sorte tragica del Figlio. Nonostante il piatto sfondo oro, il gruppo della Madonna col Bambino è costruito in maniera innovativa, ruotato di tre quarti per suggerire un'idea di movimento di passaggio del gruppo; la composizione ha un effetto molto naturale con la luce che illumina alcune parti lasciandone altre in ombra, come i volti dei protagonisti. Tipica dello stile di Masaccio è la mano sinistra della Vergine, molto espressiva, appena sbozzata, che sostiene il peso del Figlio. Il manto della Vergine «ha spessore, grazie al risalto dell'orlo dorato che piegandosi aderisce al volume del suo corpo». La ricchezza di particolari è legata al piccolo formato e alla destinazione privata dell'opera, che doveva essere contemplata da vicino.
Filippo Lippi, La Madonna col Bambino e angeli, detta Filippina, tempera su tavola, 1465, 92 x 63,5 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi
La Madonna col Bambino e angeli è l’opera più celebre di Filippo Lippi, caratterizzata dalla straordinaria spontaneità della rappresentazione. «La Madonna siede su un trono di cui s’intravedono solo il morbido cuscino ricamato e il bracciolo intagliato, intenta a contemplare il Bambino, verso il quale rivolge un gesto di preghiera. La sua espressione è dolce e indulgente, quasi malinconica, come se Ella presagisse il doloroso destino del Figlio. Il piccolo Gesù, coperto solo dalle fasce, risponde allo sguardo di Maria e protende le braccia verso di lei, sostenuto da due angeli». Quello in primo piano rivolge lo sguardo all’esterno, a coinvolgere lo spettatore, con volto sorridente. La finestra si apre davanti a un vasto e ricco paesaggio affacciato sul mare, con rocce, vegetazione e con edifici. «L’immagine sacra è di profonda umanità, conferita sia dall’espressione degli affetti, sia dalla scelta delle vesti e delle acconciature, ispirate alla moda coeva: raffinatissima quella della Vergine, con una coroncina di perle e veli intrecciati ai capelli, come le nobildonne fiorentine del secondo Quattrocento. Le aureole sono appena accennate, i sottili cerchi e raggi di luce non coprono il paesaggio retrostante». [13] Non è stata finora confermata l’ipotesi che il volto della Vergine sia quello di Lucrezia Buti, la giovane monaca pratese che divenne moglie di Filippo Lippi. La composizione ebbe grande successo e fu presa a modello da molti artisti, fra i quali il giovane Botticelli, allievo del frate pittore. Non si conosce l’originaria destinazione di questa immagine sacra, che alla fine del XVIII secolo, si trovava nella Villa medicea del Poggio Imperiale a Firenze.
Piero della Francesca, La Pala di Brera, o Pala Montefeltro, 1472, tempera e olio su tavola, 248 x 170 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
La Pala di Brera, o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), prese il nome dalla Pinacoteca di Brera da Milano. Essa fu commissionata al grande pittore rinascimentale Piero della Francesca da Federico da Montefeltro, Signore di Urbino, per celebrare la nascita dell’erede maschio Guidobaldo nel 1472 e per commemorare la morte della moglie Battista Sforza, deceduta dopo il parto. Destinata inizialmente a un mausoleo mai realizzato e collocata nella Chiesa di San Bernardino a Urbino, dove riposano il duca e sua moglie, la tavola fu prelevata nell’Ottocento dagli esperti d’arte francesi mandati in Italia da Napoleone a cercare opere di gran valore, ma a causa della scarsa considerazione che godeva il suo autore all’epoca, fu destinata alla Pinacoteca milanese di Brera (museo napoleonico «minore») e non al Louvre.
«L’opera raffigura tredici figure: la Madonna, Gesù Bambino, sei santi, quattro angeli e il committente. Maria è seduta su un trono basso e tiene le mani giunte, mentre il Bambino è addormentato sulle sue ginocchia. Nudo, Egli è nudo, ornato solo da una collanina di corallo (usato come amuleto sin dai tempi antichi). Il sonno del piccolo Gesù prefigura, simbolicamente, la Sua futura morte: il ramoscello pendente di corallo, gli disegna sul piccolo corpo la ferita sanguinante del costato. Gli angeli sono ornati da perle e rubini (simboli della purezza e dell’amore)» [14]. Federico da Montefeltro è inginocchiato in primo piano e indossa l’armatura, a indicare il suo impegno a difendere la Chiesa. I personaggi si trovano «davanti a un coro ornato da marmi policromi, e concluso da un’abside con una nicchia a conchiglia, simbolo della natura generatrice della Vergine; da questa conchiglia pende un uovo di struzzo, un altro simbolo della miracolosa gravidanza della Vergine (perché un tempo si credeva che gli struzzi fossero capaci di fecondarsi da soli) che rimanda anche all’emblema dei Montefeltro, nel quale lo struzzo è presente con un pezzo di lancia nel becco. L’architettura del quadro nel quale si trovano i personaggi è di stampo albertiano». [15] L’effetto prospettico della luce da sinistra crea una tridimensionalità. L’uovo che si trova alle spalle della Vergine e sul fondo di un ambiente senza finestre, è illuminato come la testa di Maria che diventa il simbolo della Chiesa stessa. Per questo nelle proporzioni scelte dall’artista, Lei è più grande di tutti i santi. Il duca è rappresentato anche qui dal medesimo lato per ragioni di decoro (perché aveva perduto l’occhio destro durante un torneo).
Antonello da Messina, L’Annunciata, 1475, olio su tavola, 45 x 34,5 cm, Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo
La Vergine annunziata, o l’Annunciata di Palermo è celebre; siciliana nelle caratteristiche fisiche, nella serietà morale, nella cosciente accettazione del dramma, l’opera rappresenta uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana. La purezza formale, lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto. Il titolo del dipinto è di grande novità. Il quadro non presenta più la solita scena dell’incontro tra la Vergine e l’arcangelo Gabriele nel momento dell’Annunciazione, ma è solo un ritratto di Maria che guarda silenziosa dopo aver ricevuto la notizia. «Maria, assorta nella lettura è colta nell'attimo in cui l'angelo se n'è appena andato (oppure nel momento dell'interrogazione); dalla sagoma quasi piramidale del manto emerge il perfetto ovale del volto della Vergine (con le sopracciglia arcuate, gli occhi con le palpebre ombrate, le narici, le labbra), in cui l'asse della composizione è dato dalla verticale che va dalla piega del manto nella fronte all'angolo del leggio; al contrario, il lento girare della figura, e il gesto della mano, danno movimento alla composizione». Il tavolo e il leggio con il libro sono appena accennati, determinando un’impostazione tridimensionale della scena. «Lo sguardo magnetico della Vergine e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto della pittura rinascimentale italiana». [15]
Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat (Madonna con il Bambino e cinque angeli), 1481,
tempera su tavola, diametro 118 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi
Tra le più belle Madonne di Sandro Botticelli si trova la Madonna del Magnificat. I colori preziosi e brillanti, il disegno perfetto, la linea di contorno nitida ed elegante, sono le caratteristiche della tavola che ricorda l’esempio di Filippo Lippi, il primo maestro di Botticelli. Da questo deriva anche la perfetta bellezza della Vergine, che ha un tono aristocratico e quasi irraggiungibile. Con il Bambino sulle ginocchia e incoronata da due angeli, Ella sta scrivendo su un libro le parole del Vangelo di Luca: «Magnificat anima mea Dominum» (L'anima mia magnifica il Signore). È questo il verso iniziale del cantico con il quale durante la sua visita a sant'Elisabetta «ringraziava il Signore per essere stata scelta come veicolo dell'Incarnazione divina» (Luca, I, 46). Maria indossa vestiti belli e preziosi e la testa è coperta da veli trasparenti. I suoi capelli biondi s’intrecciano con una sciarpa annodata sul petto. Il Bambino guida il suo braccio verso il libro tenuto da altri due angeli insieme al calamaio, in cui Ella inserisce la penna. La melagrana dalla mano di Gesù è un simbolo di regalità e di fertilità, perché i suoi grani rossi rimandano al sangue della Passione, mentre i chicchi tenuti, insieme sotto la scorza, ricordano l'unità della Chiesa. La composizione della scena in forma circolare è perfetta, partendo dalla dolce curva della schiena della Madonna, che si piega come a proteggere il Bambino. Sullo sfondo c’è una finestra ad arco oltre la quale si scorge un sereno paesaggio fluviale. La Vergine e il Bambino sono più grandi rispetto agli altri personaggi, conformemente alle consuetudini devozionali del medioevo.
Michelangelo Buonarroti, Il Tondo Doni, tempera su tavola, 1503-1504, diametro 120 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi
Conservato nella cornice originale, probabilmente disegnata dallo stesso Michelangelo, Il Tondo Doni è l’unica opera su supporto mobile, certa e compiuta, dell’artista. Il dipinto è anche di fondamentale importanza nella storia dell’arte, poiché pone le basi per quello che sarà il manierismo: sicuramente è uno dei dipinti più rappresentativi e importanti del Cinquecento italiano. Questa tela, che è una Sacra Famiglia, è stata dipinta per Agnolo Doni, mercante fiorentino (dal quale prese il nome), in occasione del suo matrimonio con Maddalena Strozzi A quell’epoca a Firenze si trovavano Leonardo, Michelangelo e Raffaello, i grandi artisti che diedero alla città un altissimo fervore culturale. Il tondo di Michelangelo è sicuramente l’unico che egli dipinse in questa forma, molto apprezzata nel primo Rinascimento per gli arredi devozionali domestici: nei marmi del Tondo Pitti (dal Museo Nazionale del Bargello) e del Tondo Taddei (da Royal Academy di Londra) la Madonna, il Bambino e San Giovannino occupano tutta la superficie del rilievo. Anche il Tondo Doni è concepito come una scultura, in cui la composizione piramidale del gruppo s’impone su tutta l’altezza e la larghezza della tavola, come in una cupola, animata dalle torsioni dei corpi e dalla concatenazione dei gesti, per il passaggio delicatissimo del Bambino dalle mani di San Giuseppe a quelle della Vergine.
Michelangelo conosceva molto bene i grandi marmi del periodo ellenistico (III-I secolo a. C.), con movimenti molto espressivi, che erano stati ritrovati nelle ville romane, come l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte, scavato nel gennaio 1506. I giovani nudi, la cui identificazione è complessa, sembrano rappresentare l’umanità pagana, separata dalla Sacra Famiglia da un piccolo muro che rappresenta il peccato originale. La cornice del tondo, probabilmente su disegno di Michelangelo è stata intagliata da Francesco del Tasso, esponente della più alta tradizione dell'intaglio ligneo fiorentino. [16]
Bernardino Luini, Madonna del Roseto, olio su tavola, 70 x 63 cm, 1510, Milano, Pinacoteca di Brera
Questa Madonna di Bernardino Luini è una delle più belle opere dell’artista, vero capolavoro della sua fase giovanile. Fu acquistata dalla galleria nel 1826, dalla collezione di Giuseppe Bianchi. Maria è raffigurata seduta con il Bambino in braccio, davanti ad una spalliera di rose bianche, il tipico fiore mariano, che appariva nell’arte del Medioevo. La descrizione delle piante è legata al naturalismo lombardo, di origini tardogotiche.
Lo sfondo è scuro mentre le figure in primo piano sono delicatamente illuminate. Il volto della Madonna ricorda il modello leonardesco, con un dolce sfumato. Anche il Bambino fa pensare a certe tele di Leonardo. Egli indica il vaso di una pianta, «riferimento al ‘vaso mistico’ di Maria, e stringe con la destra la pianta che ne esce, un'aquilegia che rappresenta, per il colore rossastro, il sangue della Passione, quindi la prefigurazione del destino di Gesù». [17]
Tiziano, L’Assunta, 1516-1518, olio su tavola, 690 x 360 cm, Venezia, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari
In questa chiesa l’opera di Tiziano decora l’altare centrale. È un capolavoro dell’artista, che ha consacrato definitivamente Tiziano, a poco più di trent’anni, nell’Olimpo dei grandi maestri del Rinascimento. Il 20 marzo 1518 questa pala commissionata a Tiziano dal padre Germano, il priore del convento francescano dei Frari, fu solennemente inaugurata e collocata in una monumentale edicola marmorea appositamente costruita. Presentando una nuova visione dell’Assunta, rispetto alla pittura sacra veneziana dell'epoca, l’opera creò scandalo tra i pittori della Laguna, che erano abituati alla pacata tradizione precedente delle fredde immagini senza movimento e rilievo (di Giovanni Bellini, di Gentile e del Vivarino, e di altri), ma non tardi le venne riconosciuto il valore, incontestabile per il Rinascimento veneziano ed europeo. «Il soggetto dell'assunzione della Vergine, cioè della salita in cielo di Maria al cospetto degli Apostoli, accolta in paradiso, venne risolto in maniera innovativa: scomparso il tradizionale sarcofago di Maria, simbolo della sua morte, viene presentato solamente il moto ascensionale di Maria in una sfolgorante apparizione divina. I momenti dell'assunzione e dell'incoronazione sono accostati con originalità. [18]
Ci sono tre registri sovrapposti: gli Apostoli in basso, Maria trasportata su una nube spinta da angeli al centro e Dio Padre tra angeli in alto. In basso il monumentale apostolo vestito di rosso, presentato di spalle in primo piano, come un fulcro visivo, con le braccia protese in alto verso il corpo di Maria, sembra voler scagliarla in cielo, nel suo moto ascensionale, verso l’Eternità. Su un cielo azzurro ceruleo, nella zona inferiore, gli apostoli assistono increduli all'evento miracoloso. Maria viene portata su una nuvola in cui c’è uno stormo d'angeli. L'occhio dello spettatore è attratto dal nodo focale, una sfera di luce, tra la testa di Maria e di Dio Padre, come per rappresentare i cerchi del Paradiso, come ruote di serafini sempre più luminose, fino al chiarissimo spazio centrale. La Vergine non ha ancora completato la sua ascesa all'Empireo, e per questo il suo volto non è totalmente illuminato dalla luce divina. I colori delle vesti di Maria, il rosso ed il blu, simboleggiano dai primi secoli del culto, la divinità e la Passione (il rosso) e la sua umanità (il blu). La figura del Creatore appare in controluce, per garantire una fonte luminosa autonoma al dipinto. Il Padre Eterno è rappresentato immobile, segno della Sua essenza divina.
Pontormo, La Sacra Famiglia con san Giovannino, olio su tavola, 1522-1523 circa, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
L'opera creata nella giovinezza dell'artista, si trova nel museo russo dal 1923, attraverso l'acquisto della collezione della contessa E. I. Mordvinova. Ne esiste un disegno preparatorio nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. Su uno sfondo scuro, Maria seduta presenta il Bambino allo spettatore. Egli, accovacciato tra le braccia della madre, solleva un cardellino, prefigurazione della sua passione. Ai lati nel buio, si vedono san Giuseppe, che si volta schivo di spalle, e san Giovannino. Maria, forse perché conosce il tragico destino del Figlio, appare fredda e distante, con gli occhi quasi umidi di lacrime, a differenza dei due bambini i cui volti sono pieni d'allegria. La scena è presentata in maniera molto diversa rispetto alle opere del Rinascimento per le contraddizioni di tema e stile; il Bambino e il volto della Madonna, ad esempio, hanno un volume più grande del panneggio, il cui disegno delle pieghe è piatto, quasi inconsistente. «Molto intenso è il contrasto tra i colori complementari del verde e del rosso nella veste di Maria, il primo in una tonalità petrolio, il secondo di un'intensità quasi satura». [19]
La Madonna di San Girolamo, 1528, olio su su tavola, 205 × 141 cm, Parma, Galleria Nazionale
La Madonna di San Girolamo o Il Giorno (in contrapposizione alla Notte, conservata a Dresda) è stata molto apprezzata, prima da Vasari che ne ammirò «il mirabile colorito» e il sorriso dell’angelo che porge la Bibbia capace, a suo dire, «di rallegrare anche il più malinconico degli osservatori». Anche gli artisti furono affascinati da quest’opera e il pittore cretese El Greco s’incantò davanti a Maddalena esclamando che per lui era «l’unica figura della Pittura!». [20] Grazie agli elogi dei critici e a una bella incisione di Agostino Carracci, la fama del quadro si diffuse nel corso del Seicento a Milano, a Venezia e a Roma e da qui nelle grandi capitali artistiche europee. È stato forse «il più bel dipinto che uscisse mai di mano d'uomo», scrisse l'Algarotti. [21] Il soggetto scelto, poco frequentato dall'iconografia ecclesiastica, è la presentazione a Gesù, da parte di san Girolamo, al quale si deve la traduzione della Bibbia dall'ebraico al latino popolare, secondo Vulgata.[22] Vecchio, dai capelli e dalla barba ispida il santo è accompagnato dal leone con il quale viveva nella grotta. L'angelo sorregge la Bibbia rivolgendosi alla Madonna e al Bambino. Il rotolo, l'antica stesura della Bibbia, è ancora nella mano di Girolamo. Le figure sono disposte a semicerchio, secondo uno schema già usato dal pittore nella Madonna di San Sebastiano, oggi a Dresda.
I loro gesti sono molto significativi: la Vergine vuole coprire, forse anche asciugare il Bambino, che guarda curioso la grande Bibbia tenuta dall’angelo, san Girolamo è assorto in meditazione e Maddalena, protesa verso il Bambino, si lascia quasi in abbandono. Il suo gesto verso il piede di Gesù Bambino è molto tenero come tenero è anche il gesto del Figlio che le accarezza i capelli folti. Tutto questo simboleggia l'intenso legame tra i personaggi. I colori delle loro vesti sono molto dolci, come «il rosso del tendaggio che ritorna nel manto del santo a sinistra, o come il giallo oro che dal manto della Maddalena si riverbera nel libro e nel volto dell'Angelo».
Lorenzo Lotto, L’Annunciazione di Recanati, 1534, olio su tela, 166 x 114 cm, Recanati, Museo civico Villa Colloredo Mels
L’Annunciazione di Lorenzo Lotto è una delle opere più famose dell’artista, creata nel periodo in cui questo si trovava nelle Marche, i cui committenti originari erano membri della Confraternita dei mercanti di Recanati. In una stanza, la camera da letto della Vergine, l'Annunciazione è presentata con elementi di grande novità: a destra l'angelo, tenendo il giglio bianco, entra da una loggia aperta su un giardino (l'hortus conclusus) indicando, con il braccio destro, il Dio Padre che sembra annunciare da una nuvola bianca l'Incarnazione. Maria, in primo piano a sinistra, si volge verso lo spettatore, «dando le spalle all'annuncio, e solleva sorpresa le mani, infossando la testa tra le spalle, con un'espressione tra l'umile, il turbato e il succube». [23] Lo stile dell’artista è sorprendente: le teste sono sottodimensionate e le figure, molto espressive, sono bloccate in gesti rigidi. I dettagli della stanza sono di matrice nordica: «il letto a baldacchino, la finestrella coi vetri piombati, la mensola con la piccola natura morta e altri, lo sgabello con la clessidra e soprattutto il gatto che fugge spaventato inarcando la schiena, un simbolo della sconfitta del male ma anche un garbato elemento di ironia».
Le fonti d’ispirazione di Lotto furono un rilievo di Andrea Sansovino a Loreto (per il baldacchino) e l’Angelo e la Madonna voltata verso lo spettatore, di Tiziano. Scrisse Carlo Argan: «la Vergine di Tiziano è una regina in preghiera che si volge nobilmente a ricevere nel suo palazzo il messaggero divino. La Vergine del Lotto è una brava ragazza; il messaggio la coglie di sorpresa mentre prega nella sua stanza; non osa neppure volgere il capo; il suo gesto, quasi di difesa, è quello di chi si sente colpito alle spalle da un richiamo improvviso». [24]
Caravaggio, L’Annunciazione, olio su tela, 1609, 285 x 205 cm, Nancy (Francia), Musée des Beaux-Arts
Una delle più belle Madonne di sempre è considerata l’Annunciazione di Caravaggio, realizzata nella fase tarda dell’attività sua, forse in Sicilia o durante il secondo soggiorno napoletano, probabilmente commissionata dal duca di Lorena. In quest’opera il pittore propone il tema scelto in una nuova prospettiva molto rivoluzionaria. Mentre nell’iconografia classica l’angelo è raffigurato di fronte a Maria, in piedi o in ginocchio, leggermente inchinato verso la donna, qui egli è presentato ancora in volo volgendo le spalle a chi lo guarda. In questa prospettiva dall’alto, in cui si trova pure lo spettatore, la sua figura diventa più grande di quella di Maria, che s’inchina di fronte al messaggero di Dio, e non viceversa, come nelle Annunciazioni tradizionali. L'opera è stata quasi sicuramente lasciata incompiuta dall’artista, probabilmente a causa della sua continua fuga dopo il soggiorno a Malta, terminata dopo da qualche suo allievo. Questo si nota guardando attentamente le figure dell'angelo (distinto dal potente chiaroscuro) e della Vergine che sullo sfondo, ha il viso e le mani illuminate come la veste e la mano dell’angelo annunciante.
Conclusioni
Le opere pittoriche dedicate alla Vergine Maria sono tantissime e arricchiscono le chiese e i musei. Quasi tutti gli artisti Le hanno dedicato una tela, un quadro, avendo come titolo oltre al Suo nome, anche un altro, dell’autore o del committente. Nella pittura che La rappresenta, possono apparire poi altri personaggi, un ambiente o un paesaggio, un simbolo (un oggetto con un determinato significato); l’artista ha voluto immortalare il Suo viso di Santa dei Santi, perché madre del figlio di Dio. Per questo le Madonne dipinte non sono delle semplici opere d’arte, ma delle icone, spesso evocanti i più importanti episodi dalla vita cristiana (Natività, Sacra Famiglia, Fuga in Egitto, Presentazione al Tempio, ecc.), alla quale partecipano anche santi e beati.
Alle Madonne presentate in questo lavoro come le più belle dipinte dai maestri italiani nel periodo umanistico e rinascimentale se ne possono aggiungere ancora tante altre, perché la figura della più nobile e candida madre dell’umanità che è stata la madre di Gesù, celebrata come la Santissima, ha rappresentato e continua a rappresentare per tutti gli esseri, cristiani e non cristiani, il vero e pieno amore, nato dalla fede e pace celeste.
Otilia Doroteea Borcia
(n. 5, maggio 2023, anno XIII)
NOTE
[1] Santi Gioacchino e Anna, genitori della Beata Vergine Maria vaticannews.va https://www.vaticannews.va› santo-del-giorno › santi- …
[2] Il culto ai nonni di Gesù si è sviluppato prima in Oriente, poi in Occidente e lungo i secoli la Chiesa li ha ricordati in date diverse. Nel 1481 Papa Sisto IV che introdusse la festa di Sant’Anna nel Breviario Romano, fissò la data della memoria liturgica al 26 luglio, tramandata come giorno della morte; nel 1584 Gregorio XIII inserì la celebrazione liturgica di Sant’Anna nel Messale Romano estendendola a tutta la Chiesa. Nel 1510 fu Giulio II, invece, a inserire nel calendario liturgico la memoria di San Gioacchino il 20 marzo, poi più volte spostata nei secoli successivi. Con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, nel 1969, i genitori di Maria sono stati “ricongiunti” in un’unica celebrazione il 26 luglio. Il 31 gennaio 2021, infine, Papa Francesco annunciò l’istituzione della Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, da celebrare la quarta domenica di luglio – proprio in prossimità della festa dei nonni di Gesù – per ricordare il dono della vecchiaia e celebrare coloro i quali tramandano la fede alle generazioni successive, cfr. https://www.vaticannews.va› santo-del-giorno › santi- …
[3] Vita di Maria libero.it https://digilander.libero.it› monast › maria › vita
[4] Vita di Maria (II): La Nascita della Madonna - Opus Dei https://opusdei.org› Vita cristiana › Testi per pregare
[5] Enzo Caffarelli, Le «madonne col bambino» nella pittura italiana (secc. XII-XIX). Per un primo approccio alla denominazione delle raffigurazioni mariane, https://innt.it› innt › article ›
[6] Sedili dei sapienti nelle litanie, cfr. 5.
[7] https://www.frammentiarte.it› 04-madonna-col-bambino...
[8] Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004, p. 150.
[9] Per lunghi secoli in Italia la più importante fu la confraternita (o Schola) dei Battuti, che, ispirata dalla splendida immagine della Madonna della Misericordia, protettrice dell'umanità da tutti i mali, si impegnava alla preghiera ed all'assistenza dei poveri, degli ammalati e dei viaggiatori.
I Battuti erano gli appartenenti a diverse confraternite di laici attive dal medioevo. Il nome deriva inizialmente dalla penitenza della flagellazione che almeno alcuni gruppi fra essi si imponevano come regola, ma rimane poi anche quando tale usanza cade in disuso, il che avviene ben presto, assumendo il senso morale di afflitti. In questo senso, i battuti si distinguono dai flagellanti di Raniero Fasani: ad esempio, a Forlì erano già attivi nel 1252, cioè prima dell'inizio del movimento di Fasani; in G. Missirini, Guida raccontata di Forlì, Libreria L. Cappelli, Forlì 1971, p. 114, cfr. Wikipedia, enciclopedia libera.
[10] Mauro Minardi, Gentile da Fabriano, collana I Classici dell'arte, RCS, Milano 2005.
[11] Guido Cornini, Beato Angelico, Edizione illustrata, Giunti, Firenze 2000, p. 23, v. anche Otilia Doroteea Borcia, La vita e la passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021, p. 22.
[12] Fatti di Masolino e Masaccio e altri studi sul Quattrocento, 1910 – 1967, Firenze, Sansoni, 1975, p. 126.
[13] https://www.uffizi.it› opere › lippi-madonna-col-bambino...
[14] La Pala di Brera di Piero della Francesca - Arte Svelata https://www.artesvelata.it› pala-brera-piero-della-franc...
[15] Idem 14.
[15] Antonello da Messina, Aldo.Arte.Sicilia, Monumenti, Archeologia, Storia, del 13.05.2012, in Otilia Doroteea Borcia, op. cit., p. 38.
[16] Sacra famiglia, detta “Tondo Doni” | Opere - Gallerie degli Uffizi https://www.uffizi.it› opere› sacra-famiglia-detta-tondi...
[17] AA.VV., Brera, guida alla pinacoteca, Electa, Milano 2004.
[18] Stefano Zuffi, Tiziano, Mondadori Arte, Milano 2008, p. 52.
[19] Elisabetta Marchetti Letta, Pontormo, Rosso Fiorentino, Scala, Firenze 1994., cfr Sacra Famiglia con san Giovannino (Pontormo) –https://it.wikipedia.org› wiki › Sacra_Famiglia_con_san_...
[20] Madonna di San Girolamo – Wikipedia https://it.wikipedia.org› wiki › Madonna_di_San_Girolamo
[21] Idem 21
[22] La leggenda voleva che il Santo, ritiratosi in Palestina con una piccola comunità, e poi per far penitenza nella Grotta di Betlemme, insieme ad un leone da lui guarito, avesse tradotto qui il testo sacro, chiestogli da papa Damaso I.
[23] Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol. 3, Sansoni per la Scuola, Firenze, 1995, p. 152. Annunciazione di Recanati – Wikipedia https://it.wikipedia.org› wiki › Annunciazione_di_Rec...[24] Idem 24.
Bibliografia
Enzo Caffarelli, Le «madonne col bambino» nella pittura italiana (secc. XII-XIX).
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004.
G. Missirini, Guida raccontata di Forlì, Libreria L. Cappelli, Forlì 1971.
Mauro Minardi, Gentile da Fabriano, collana I Classici dell'arte, RCS, Milano 2005.
Guido Cornini, Beato Angelico, Edizione illustrata, Giunti, Firenze 2000.
Otilia Doroteea Borcia, La vita e la passione di Cristo nella pittura italiana dal Trecento al Seicento, Eikon, Bucarest, 2021.
Fatti di Masolino e Masaccio e altri studi sul Quattrocento, 1910-1967, Firenze, Sansoni, 1975.
La Pala di Brera di Piero della Francesca - Arte Svelata
Stefano Zuffi, Tiziano, Mondadori Arte, Milano 2008
Antonello da Messina, Aldo. Arte. Sicilia, Monumenti, Archeologia, Storia, del 13.05.2012.
Sacra famiglia, detta “Tondo Doni” | Opere - Gallerie degli Uffizi
AA.VV., Brera, guida alla pinacoteca, Electa, Milano 2004.
Elisabetta Marchetti Letta, Pontormo, Rosso Fiorentino, Scala, Firenze 1994.
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol. 3, Sansoni per la Scuola, Firenze, 1995.
Sitografia
Sachino e Anna, genitori della Beata Vergine Marianti Gioac vaticannews.va https://www.vaticannews.va› santo-del-giorno › santi- …
Vita di Maria libero.it https://digilander.libero.it› monast › maria › vita
Vita di Maria (II): La Nascita della Madonna - Opus Dei https://opusdei.org› Vita cristiana› Testi per pregare
https://innt.it› innt › article ›
https://www.frammentiarte.it› 04-madonna-col-bambin...
https://www.uffizi.it› opere › lippi-madonna-col-bambino...
https://www.artesvelata.it› pala-brera-piero-della-franc...
https://www.uffizi.it› opere › sacra-famiglia-detta-tond..
https://it.wikipedia.org› wiki ›
https://it.wikipedia.org› wiki › Madonna_di_San_Girolamo
https://it.wikipedia.org› wiki › Annunciazione_di_Rec...
|
|