Dante e gli appellativi per invocare Dio

Anche se i tempi cambiano e alle vecchie religioni si aggiungono altre forme di culto e le nuove filosofie prendono il posto di altre, la parola «Dio» ha attraversato i millenni per arrivare fino a noi, in modo più o meno invariato. Chi studia l’evoluzione delle lingue moderne è consapevole del fatto che le parole nascono con un significato che finisce poi per smarrirsi nel tempo. Le parole che comunemente usiamo sembrano ormai rappresentare solo un concetto, un’idea che noi abbiamo su un argomento, e che forse all’inizio avevano un significato molto più complesso. Un tempo, la parola Dio era Dyeus, la figura divina indoeuropea più importante di cui però oggi non sappiamo molto, se non quanto ci hanno trasmesso radici linguistiche comuni provenienti dalle lingue antiche. [1]
La fortunata espressione – scrivere come Dio – appartiene allo scrittore svedese Olof Lagercrantz, il quale, in un suo libro [2], partendo da una tradizionale e ormai classica interpretazione della Commedia come una specie di Bibbia, ripercorre, in questa chiave, il viaggio del poeta, appunto dall’Inferno al Paradiso, per selezionare i passi e le prove a favore dell’argomento della propria ipotesi.
Il fatto che la Sacra Scrittura, oltre a essere fonte basilare per gran parte del poema, abbia rappresentato per Dante un modello, non solo di informazione, ma anche di scrittura, è una verità indiscutibile. E nella vasta esegesi della sua opera le ricerche non mancano, anzi spuntano a ogni passo, ma anche la loro distribuzione è diversissima a seconda dei punti di vista, prospettive, modelli di analisi, e soprattutto dell’ambiente in cui ci si mette.
A questo punto, utile e – allo stesso tempo – fruibile per il lettore della nostra ricerca, ci pare seguire, passo passo, i più famosi e bellissimi antroponimi usati dal Sommo Poeta per rendere l’immagine del Creatore. Nella Divina Commedia, incontriamo il lessema Dio 129 volte: 25 nell’Inferno, 41 nel Purgatorio e 63 nel Paradiso – in diversi sintagmi.
Due volte, nel Purgatorio incontriamo Deo e il plurale Dei lo incontriamo dieci volte: tre volte nell’Inferno, quattro nel Purgatorio e tre nel Paradiso.

Nella cantica Inferno, che ha la forma di un imbuto con nove cerchi concentrici alla cui fine sta conficcato Lucifero, l’angelo cacciato da Dio per la sua fierezza, Dio è chiamato: l’Imperator che lassù regna (I 124); la Provvidenza (XXIII 55); la somma Sapienza (III 6, XIX 10); il Signore (II, 73); il sommo Duce (X 102); il Fattore (III 4), (XXXIV 35); il Sire (XXIX 56); la divina Bontade (XI 96); la Deitade (XI 46); la divina Potestate (III 5); il Re dell’universo (V 91); la Virtù divina (V 36); Ben dell’intelletto (III 18). Dio è triuno, ma per l’uomo il mistero della Trinità è incomprensibile (III 5). [3]
Nel Purgatorio – la montagna che, secondo Dante, si è formata dalla terra che si era ritirata dopo la caduta di Lucifero –  Dio è chiamato: Sommo Giove (VI 118); L’infinito ed ineffabil Bene ( XV 67); il sommo Bene (XXVIII 91); il Bene di là dal qual non è a che si aspiri (XXXI 23); la Bontà infinita (III 122); il Creatore (XVII 91) il Fattore (XVI 80); il Giudice (XXXI 39); l’ineffabil Bene (XV 67); lo Motor primo (XXV 70); il Padre nostro (XI 1); lo Rege eterno (XIX 63); il sommo Rege (XXI 83); l’alto Sire (XV112); il giusto Sire (XIX 125); l’eterno Valore (XV 72), oppure l’infinito (XV 67). Dio abita nei cieli, non circoscritto, ma circoscrivendo tutto l’universo (O Padre nostro, che ne’ cieli stai,/ non circunscritto, ma per più amore/  ch’ai primi effetti di là sù tu hai), non chiuso entro limiti di spazio, ma per il più vivo amore che porta alle prime creature [4].

Nel Paradiso – visto da Dante come un mondo immateriale e diviso in nove cieli – nell’appellativo che si riferisce a Dio, incontriamo la parola amore. Lui è l’Amore con maiuscola, quella che governa e che quieta il cielo: l’amor che ‘l ciel governi (I 74); l’amor che queta questo cielo (XXX 52); il primo Amore (XXXII 142); il primo Amante (IV 118) e nel verso considerato il più bello e complesso in riferimento alla fede e all’amore rivolto a Dio – dopo la fugace visione di Dio, realizzazione piena del suo “itinerarium mentis in Deum” come fu chiamato, Dante definisce Dio come un fortissimo sentimento d’amore che muove il cielo e i corpi celesti –  l’Amor che muove il Sole e l’altre stelle (XXXIII 145).

Dio è il principio e la fine e in questo senso è chiamato Alfa ed Omega (XXVI 17), (XXVI 136), cioè «Dio è principio e fine dei nostri affetti sia piccoli o grandi» [5] e rappresenta sempre il bene: il sommo ben (III 90), (VII 80), (XIV 47), (XXVI 134); il ben (VIII 97), (XIX 87); lo ben (XXVI 16); la somma Beninanza (VII 143), cioè la somma bontà divina; la divina bontà (VII 64) (VII 109); il Bene che non ha fine, e se con se misura (XIX 50), cioè un bene infinito e incommensurabile.
Sempre nel Paradiso, Dio è invocato con parole che si ritrovano anche nelle Sacre Scritture: il Creatore (XXX 101), il Padre (I 28); l’alto Padre (X 50); il pio Padre (XVIII 129) oppure che rendono l’idea di Creatore: il Primo (VIII 111); l’Essenza (II 41); la somma Essenza (XXI 87); il Fattore (VII 31), (VII 35), (IX 128), (XXVI 83), (XXX 21), (XXXII 5).
I sintagmi che si riferiscono a Dio prendono le più alte forme metaforiche e di sublime: la Mente ch’è da se perfetta (VIII 101), l’Ortolano eterno (XXVI 65); il Punto a cui tutti li tempi son presenti (XVII 17) (XXVIII 41), il sommo Rege (III 84); (XXXII 61); l’ultima Salute (XXII 124) (XXXIII 27); il Sire (XXIX 28); il Valore (IX 105); l’eterno Valore (I 107), lo primo ed ineffabile Valore (X 3); il Vero (IV 125), il primo Vero (IV 96); la prima Virtù (XIII 80); la prima Volontà (XIX 86), la Provvidenza (I 121) (XI 28) (XXVII 16 (XXVII 61); il verace Autore (XXVI 40); il sommo Duce (XXV 72); la prima Egualità (XV 74); lo Imperator che sempre regna (XII 40).

Secondo il pensiero di Dante, la Ragione e la Rivelazione guidano l’uomo alla fede nel Dio Uno: E io rispondo: Io credo in uno Dio/ solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move,/ non moto, con amore e con disio;[6]il Poeta segue Aristotele [7] e principalmente San Tommaso, il quale porta per il poeta le “prove fisiche e metafisiche” dell’esistenza del Dio Uno [8].
Dio è l’alta luce, che da sé è vera [9], è il Ben dell’intelletto [10], il sommo Bene, del quale tutti gli altri beni non sono altro che un raggio, una pallida immagine, il Bene sufficiente ad ogni cosa [11], e al quale ogni cosa aspira, come al suo principio e fine ultimo: Qui veggion l’alte creature l’orma/ de l’etterno valore, il qual è fine/ al quale è fatta la toccata norma. [12] In questo ordine, le creature dotate d’intelligenza, cioè gli angeli e gli uomini, scorgono l’impronta, cioè l’«orma», della virtù di Dio, il quale costituisce il fine ultimo.

Nella Divina Commedia la gloria di Dio percorre tutto l’universo, risplendendo però in una parte più, in altra meno: La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove [13]. Colui che tutto muove è Dio, il motore supremo dell’Universo; che «penetra e risplende» in tutte le creature ma più in quelle perfette, e meno in quelle che sono maggiormente lontane dalla perfezione.
Dio abita nei cieli, non circoscritto, ma circoscrivendo tutto l’universo: O Padre nostro, che ne’ cieli stai,/ non circunscritto, ma per più amore/ ch’ai primi effetti di là sù tu hai [14], cioè non chiuso entro limiti di spazio, ma per il più vivo amore che porta alle prime creature, che sono gli ‘effetti’. Dio è la Trinità, uno e trino: Quell’uno e due e tre che sempre vive/  e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno,/  non circunscritto, e tutto circunscrive [15], e nei cieli Egli rivela la pienezza del Suo amore.

Per Dante, Dio è immutabile, eterno, infinito, perfetto: Poi cominciai così: L’affetto e ‘l senno,/ come la prima equalità v’apparse, d’un peso per ciascun di voi si fenno [16]. Con le parole affetto e ‘l senno, il sommo poeta vuol dire che quando Dio, in cui si assommano tutte le uguaglianze, vi si manifestò, la capacità di sentire, cioè «l’affetto» e il potere di agire, cioè «‘l senno», si identificarono «d’un peso...»; poiché Dio, cioè «‘l sol...» è così uguale, rispetto al sentire e all’agire, che non c’è altro termine di somiglianza, o uguaglianza. Ma, nei mortali, l’intenzione deter­minata dal sentimento e la «voglia» non si identificano, per cui quello che è mortale si trova in questa disparità di forze, e perciò ringrazia soltanto col sentimento, cioè «col core», non essendo capace di esprimersi adeguatamente. [17]
Dio è il Punto dal quale dipende il cielo e tutta la natura: (…) disse: «Da quel punto/ depende il cielo e tutta la natura» [18] ed è triuno, ma per l’uomo il mistero della Trinità è incomprensibile: Giustizia mosse il mio alto fattore:/ fecemi la divina podestate,/ la somma sapienza e ‘l primo amore. [19] L’«alto fattore» è sempre Dio, che, secondo Dante, aveva creato l’Inferno, mosso da sensi di giustizia; Dio è potenza, cioè podestate, ma anche sapienza e amore sono gli attributi teologici della Trinità e riferibili facilmente al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. [20]
Dio è l’Ente infinito, sommo bene e prima causa del tutto. Qui non ha il plurale; né riceve articolo se non quando gli sia apposto qualche aggiunto; e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, / non adorar debitamente a Dio: / e di questi cotai son io medesmo. [21]

Lo ritroviamo con aggiunti o predicati, o in costruzioni con astratti, i quali esprimono dei divini attributi, oppure sono ispirati dai concetti e dalle immagini della Sacra Scrittura: Lo maggior don che Dio per sua larghezza/ fesse creando, e a la sua bontate/ più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, [22]; E io rispondo: Io credo in uno Dio/ solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move,/  non moto, con amore e con disio. [23]
In proposizioni o locuzioni attinenti ad alcuni dei misteri e a quelli della Santissima Trinità, lo rintracciamo nelle seguenti situazioni: Io sentia voci, e ciascuna pareva/ pregar per pace e per misericordia/ l’Agnel di Dio che le peccata leva [24]; onde l’umana specie inferma giacque/ giù per secoli molti in grande errore,/ fin ch’al Verbo di Dio discender piacque [25]; e tutti li altri modi erano scarsi/  a la giustizia, se ‘l Figliuol di Dio/  non fosse umiliato ad incarnarsi; [26] ma dice nel pensier, fin che si mostra:/ ‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,/ or fu sì fatta la sembianza vostra?’ [27].

Quando è retto dalla preposizione di, si aggiunge a dei sostantivi, col significato di suprema autorità sulla persona o cosa da quelli espressa: di appartenenza, devozione, consacrazione, o simili di esse a Dio e in proposizioni o locuzioni attinenti alla Chiesa. [28] Con alcuni sostantivi si formano locuzioni: gridò: Fa, fa che le ginocchia cali./  Ecco l’angel di Dio: piega le mani;/  omai vedrai di sì fatti officiali [29]; Indi, come orologio che ne chiami/  ne l’ora che la sposa di Dio surge / a mattinar lo sposo perché l’ami [30]; Ruppe il silenzio ne’ concordi numi/  poscia la luce in che mirabil vita/  del poverel di Dio narrata fumi [31].
Lo ritroviamo nella seguente situazione con dei sostantivi che esprimono i naturali sentimenti o il culto dell’uomo verso Dio: Così ricominciommi il terzo sermo;/ e poi, continuando, disse: «Quivi/ al servigio di Dio mi fe’ sì fermo». [32]
Con sostantivi che esprimono cosa che viene da Dio, emana da lui, o simili, lo ritroviamo nelle terzine: ma esce di fontana salda e certa,/ che tanto dal voler di Dio riprende,/ quant’ella versa da due parti aperta; [33] Alto fato di Dio sarebbe rotto,/ se Leté si passasse e tal vivanda/ fosse gustata sanza alcuno scotto/ di pentimento che lagrime spanda. [34]; a lui lasc’io, ché non li saran forti/ né di iattanza; ed elli a ciò risponda,/ e la grazia di Dio ciò li comporti. [35]

Si attribuiscono a Dio in modo figurato delle qualità sensibili e corporee, con cui si formano delle locuzioni: Per questo la Scrittura condescende/ a vostra facultate, e piedi e mano/ attribuisce a Dio, e altro intende [36]; Lo real manto di tutti i volumi/ del mondo, che più ferve e più s’avviva/ ne l’alito di Dio e nei costumi [37]; Né prima quasi torpente si giacque;/  ché né prima né poscia procedette/ lo discorrer di Dio sovra quest’acque [38].
Certe volte, nella Divina Commedia, a Dio si attribuiscono anche dei sentimenti, degli affetti e degli atti umani: O vendetta di Dio, quanto tu dei/ esser temuta da ciascun che legge/ ciò che fu manifesto a li occhi miei! [39]; Lo maggior don che Dio per sua larghezza/ fesse creando, e a la sua bontate/ più conformato, e quel ch’e’ più apprezza [40]; o che Dio solo per sua cortesia/ dimesso avesse, o che l’uom per sé isso/ avesse sodisfatto a sua follia [41]; Sù sono specchi, voi dicete Troni,/ onde refulge a noi Dio giudicante;/ sì che questi parlar ne paion buoni [42]; In vesta di pastor lupi rapaci/ si veggion di qua sù per tutti i paschi:/ o difesa di Dio, perché pur giaci? [43]
Con i verbi darsi e consacrarsi o in locuzioni equivalenti, ‘a Dio’ significa lo stesso come ‘a vita spirituale’, e più propriamente ‘a vita religiosa e destinata al culto e al servizio divino’; e talvolta anche semplicemente a pensieri di pietà, di pentimento, e simili: Di tal superbia qui si paga il fio;/  e ancor non sarei qui, se non fosse/ che, possendo peccar, mi volsi a Dio [44]; Cor di mortal non fu mai sì digesto/  a divozione e a rendersi a Dio/  con tutto ‘l suo gradir cotanto presto [45],  Però ricominciai: «Tutti quei morsi/  che posson far lo cor volgere a Dio,/ a la mia caritate son concorsi». [46]

Nelle situazioni quando si adoperano verbi come piacere e volere: come, quando, Dio vuole, o volle, e simili, sono maniere che significano la disposizione o volontà di Dio, sono usati anche semplicemente per una certa enfasi: Veramente Iordan vòlto retrorso/ più fu, e ‘l mar fuggir, quando Dio volse,/  mirabile a veder che qui ‘l soccorso [47].
Con l’espressione Dio lodiamo, usato a modo di sostantivo, significa ‘Quel cantico della Chiesa’, dalle parole Te Deum laudamus. È stato adoperato anche nella maniera ‘suonare a Dio lodiamo’, che valeva ‘suonare a festa’, e propriamente parlandosi di funzione religiosa fatta per ringraziare Dio: Finito questo, l’alta corte santa/ risonò per le spere un ‘Dio laudamo’/ ne la melode che là sù si canta. [48]
Con il modo di dire ‘Dio sia con voi’, incontriamo la maniera con la quale si augura ogni maggior bene, e serve pure come saluto o come congedo: Per altro sopranome io nol conosco, s’io nol togliessi da sua figlia Gaia./ Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. [49]
Quando Dante usa la forma ‘in Dio’ come compimento, e specialmente quando si tratta di verbi, questa serve in varie locuzioni figurate, più frequenti nel linguaggio biblico, significative della rassegnazione dell’uomo ai divini voleri, della comune origine delle creature da Dio, della grazia divina: Questa è quella magnificenza, de la quale parlò il Salmista, quando dice a Dio: «Levata è la magnificenza tua sopra li cieli» [50].

Nelle costruzioni con la preposizione per, essa serve per rendere forte un’esclamazione che significa ‘in nome di Dio’ oppure ‘al nome di Dio’: Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;/ non mi far dir mentr’io mi maraviglio,/ ché mal può dir chi è pien d’altra voglia. [51] Lo stesso si può dire quando si tratta di ‘per amor di Dio’, ‘per carità’: ché quantunque la Chiesa guarda, tutto/ è de la gente che per Dio dimanda;/ non di parenti né d’altro più brutto. [52]
La grazia di Dio, la sua merce, sono esempi per riferire a Dio con animo grato la cosa della quale si parla: I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,/  che la vostra miseria non mi tange,/  né fiamma d’esto incendio non m’assale. [53]
Le espressioni ‘Se Dio t’aiuti’, ‘ti lasci’, ‘vi salvi’, ‘vi lasci’, sono locuzioni deprecative, usate nel poema come modo cortese di rivolgersi altrui: Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto/ di tua lezione, or pensa per te stesso/ com’io potea tener lo viso asciutto. [54]
In riferimento all’idolatria, Dante prosegue e passa a interpretare le figure dell’Apocalisse, dove compare una donna con sette teste che significano i sette colli di Roma, e dieci corna interpretati dalla critica sia come i dieci Re di Roma, sia come i dieci comandamenti. Il poeta viene con un’invettiva indirizzata a quelli che adorano un Dio d’oro e d’argento, e qui si fa riferimento all’episodio biblico del Vitello d’oro: Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento; e che altro è da voi a l’idolatre,/ se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? [55]

In altre terzine della Divina Commedia, Dio è chiamato Iddio (forma derivante probabilmente dalla crasi con l’art. ‘il’, oppure per prostesi di i eufonica):  Eran li cittadin miei presso a Colle/  in campo giunti co’ loro avversari,/  e io pregavo Iddio di quel ch’e’ volle [56]; ed ènne dolce così fatto scemo,/ perché il ben nostro in questo ben s’affina,/ che quel che vole Iddio, e noi volemo; [57] Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,/ fuor mi rapiron de la dolce chiostra:/ Iddio si sa qual poi mia vita fusi. [58]
Le frasi come ‘Dio lo sa’, ‘Dio si sa’ e simili, sono modalità di invocazione a Dio come testimone per qualsiasi fatto. E ci sono anche delle locuzioni, le quali valgono, quasi per figura di reticenza, che chi parla non può tutto o adeguatamente dire, né tutto o bene intendere o sentire chi ascolta: Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,/ fuor mi rapiron de la dolce chiostra:/ Iddio si sa qual poi mia vita fusi. [59]
Si adopera persino la forma ‘A Dio’, come saluto o formula di licenza o congedo, che si scrive anche congiuntamente ‘addio’: Era già l’ora che volge il disio/ ai navicanti e ‘ntenerisce il core/ lo dì c’han detto ai dolci amici addio. [60]
Nel Paradiso, Dante chiama Dio con l’appellativo Elios: ché con tanto lucore e tanto/ robbi m’apparvero splendor dentro a due raggi,/ ch’io dissi: «O Eliòs che sì li addobbi!» [61], dove ‘O Eliòs’ significa ‘o, sole spirituale di Dio, di quali colori sai rivestire i tuoi eletti!’ [62]. Forse accennava ai Vangeli di Matteo e di Marco, dove Dio è chiamato adoperando questo appellativo [63]: Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? [64]

Tutti i critici letterari italiani antichi identificarono Elios con Dio nell’opera dantesca:Francesco da Buti: «Heliòs, cioè Iddio: Heliòs in lingua ebrea è a dire Iddio» [65]; Giovanni da Serravalle: «Elyòs, idest Excelse Deus» [66]; Ottavio Zanotti Bianco, che si occupò anche delle cognizioni astronomiche di Dante Alighieri: «Elyòs, cioè, o Dio forte». [67]
Antonio Cesari afferma che – negli affetti veementi – il primo esalare del cuore è un’esclamazione: «Elios è Sole: e con quel nome era chiamato Dio: nome qui assai appropriato, perché egli addobba, abbellisce, irraggia del suo lume quegli astri». Nelle Magnae Derivationes di Uguccione da Pisa, che Dante ben conosceva, il termine greco helios (sole) era arbitrariamente accostato al termine ebraico Ali, El (Dio), cosicché il Poeta lo adopera per indicare Dio. [68] Accanto ad altri nomi divini collegati a quelli riportati da Dante, nelle sue opere ci sono anche: El, che vuol dire ‘forte’; Eloi Eloe che significa ‘timore’, Elion, che si traduce con ‘eccelso’; Eie, cioè ‘colui che è’ ed Ja, il cui significato nell’opera dantesca è molto controverso. Alcuni critici pensano che Dante, avendo approfondito certi testi patristici e scolastici, ha accolto questa immagine di Dio sul nome di Ia. [69]
Tra questi appellativi è coinvolto, come un logico corollario della mutevolezza d’ogni lingua naturale, anche un altro nome di Dio: non più El, di cui abbiamo già parlato, ma I [70]: Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,/ s’appellava in terra il sommo bene/ onde vien la letizia che mi fascia;/ e El si chiamò poi: e ciò convene,/ ché l’uso de’ mortali è come fronda/ in ramo, che sen va e altra vene. [71]Questa lettera con la sua vocale d’appoggio era universalmente ritenuta anche come parte integrante di ‘alleluia’, una delle esclamazioni religiose ebraiche che ritroviamo anche nella liturgia cristiana e che vengono dalla tradizione che dai primi secoli si estende per tutto il Medioevo.
Quest’idea è riportata anche nell’Ottimo commento della Divina Commedia: «l’autore dice, che il primo nome per lo quale Adamo nominò Iddio fu J, cioè invisibile; e dice, che quanto elli visse, tanto lo chiamò così; ma i suoi successori il chiamarono El, cioè Dio forte» [72].

In tre capitoli del De vulgari eloquentia, Dante cerca di determinare quale è la lingua adamitica e quale fosse la prima parola uscita dalla bocca di Adamo. [73] La tesi linguistica di Dante si aggira sulla concezione che la lingua sia inalterabile, essendo opera divina, concreata con l’anima di Adamo. Dante afferma inoltre che El fu la prima parola che Adamo pronunziò. Tuttavia, nel tempo che trascorse dalla formulazione dei primi suoi scritti e gli ultimi canti del Paradiso, la concezione linguistica di Dante venne a maturarsi per altre vie, forse dopo il riapprofondimento di alcuni testi patristici. [74]
Certe volte, nell’opera dantesca si usa il pronome Colui in riferimento a Dio: Colui, lo cui saver tutto trascende/ fece li cieli e diè lor chi conduce/ sì ch’ogne parte ad ogne parte splende [75], si vuole dire cioè ‘Quegli, il cui sapere è superiore a ogni cosa’; Per quel singular grado/ che tu dei a colui che sì nasconde/ lo suo primo perché, che non lì è guado [76], cioè ‘Quegli, che tiene occulta la prima cagione di ciò che Egli fa’; Colui che mai non vide cosa nova/ produsse esto visibile parlare,/ novello a noi perché qui non si trova [77], cioè ‘Quegli, cui nessuna cosa può essere nuova, vedendo Egli ogni cosa ab eterno’; O creatura che ti mondi/  per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai, se mi secondi [78], cioè ‘Quegli, che ti ha creato, Il tuo creatore’; La gloria di colui che tutto move/  per l’universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove [79], cioè Dio è visto come ‘il Primo Motore dell’Universo’; Se disiassimo esser più superne,/ foran discordi li nostri disiri/ dal voler di colui che qui ne cerne [80], cioè ‘Quegli che ci ha assegnato questo grado di beatitudine’; e quella donna ch’a Dio mi menava/  disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono/  presso a colui ch’ogne torto disgrava» [81], cioè ‘Quegli che ricompensa giustamente’.

Dio è chiamato anche ‘Quei che puote’: (...) e di sùbito parve giorno a giorno/ essere aggiunto, come quei che puote/ avesse il ciel d’un altro sole addorno [82], ma anche ‘Quei che vede e puote’: non è l’affezion mia tanto profonda,/  che basti a render voi grazia per grazia;/  ma quei che vede e puote a ciò risponda. [83]
Nel Convivio, il prosimetro dove le canzoni sono commentate, e che è immaginato come una mensa – cioè, il convivio che offre ai partecipanti desiderosi il potere della sapienza e della conoscenza – Dio è chiamato: il primo Agente (I 14, 24); l’universalissimo Benefattore (I 8); la divina Bontade (III 7) (X 5); la prima Bontà (III 7); la smisurabile Bontà divina (IV, 5, 12); l’universalissima cagione di tutte le cose (VI 4); la Deitade (XI 10) la Somma deitade (III 10),  (XXI 11); la somma Deità (II 4); il Dispensatore del universo (III 3); il sommo Intelligibile (XXII 13); la prima Mente (III 11); il Principio de le nostre anime (XII 14).
Nel trattato di riflessione politica De Monarchia, Dio è chiamato L’unico Dittatore [84] (III, 4, 60) ed Il Governatore di tutte le cose [85](III 16, 96).
In Vita Nova, la produzione letteraria ibrida del periodo Stilnovistico di Dante, scritta prima di cominciare l’esilio e il suo peregrinare per le città della Penisola e composta di versi e prosa – 42 capitoli e 31 liriche (25 sonetti, 1 ballata e 5 canzoni) – Dio è invocato come l’altissimo Sire (VI 7).
In De Vulgari eloquentia, il primo trattato di linguistica e dialettologia, che – anche se affronta il tema della lingua volgare, cioè la lingua de popolo, la lingua parlata – è scritto in latino perché gli interlocutori a cui si rivolge appartengono all’élite culturale del tempo, Dio è chiamato Il Fabbro [86], (IV 8); Il Fattore [87] (I VII 24); autore della natura [88] (I VII20).

Ritornando alla Divina Commedia, il canto XXV del Paradiso dimostra che la fonte da cui nasce la poesia dantesca è una personale, umanissima meditazione teologica, che, prendendo l’avvio da una sofferta esperienza personale, sale ad illustrare quei momenti «in cui l’anima trema ed esulta nella parentela nuova che con Dio istituisce» [89].
L’ultima parte della Divina Commedia si svolge nell’Empireo, la sede di tutti i santi; e finisce con una preghiera indirizzata da San Bernardo alla Vergine Maria e con la visione di Dio e della Trinità. La prima parte della preghiera è un canto di lode, mentre la seconda è la vera e propria orazione. La suprema visione di Dio, l’impossibilità di rendere tale visione a parole, il tema dell’ineffabilità, della limitatezza della comprensione umana e dei suoi mezzi linguistici per tali esperienze provate da Dante, percorre l’intera ultima cantica del Paradiso.
La sublimità della visione di Dio – intercessa dalla Vergine Madre – che non può essere visto che come un punto di luce, data l’imperfezione della condizione umana del poeta, gli dà pace. È l’omaggio di amore e di fede reso di Dante alla sublimità di Dio e alla sua creazione: Un punto solo m’è maggior letargo/ che venticinque secoli a la ‘mpresa [90].
La seconda visione di Dante è quella della Trinità, vista come tre cerchi di uguale grandezza e diverso colore, dei quali il secondo, cioè il Figlio, riflette il primo – il Padre – e il terzo – lo Spirito Santo – spira da entrambi. Dopo questa seconda visione, Dante si renderà conto quanto sia insufficiente – senza l’illuminazione della grazia di Dio – il dire e il pensare di fronte alla divinità: Oh quanto è corto il dire e come fioco/ al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,/ è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
Attraverso il suo monumentale poema, Dante ci trasmette l’importanza e l’eterna attualità di un Valore [91], la Fede in qualcosa che superi, trascenda la realtà, illuminandola di luce divina. Lo scopo di Dante in questo capolavoro della letteratura universale è stato fondamentalmente quello di condurre l’umanità dalle lotte e dai dolori terreni verso la pace, dal terreno al celeste, verso la purezza della luce divina, in una visione insolita, in cui Dio illumina e vive nel tutto.



Nicoleta Presură Călina
(n. 12, dicembre 2021, anno XI)


* Questo testo è tratto dal libro Nomi biblici nell’opera di Dante Alighieri, Nicoleta Presură Călina, Ed. Didactică și Pedagogică, București, 2013.


NOTE

1. Paola Fantin, Perché Dio è chiamato “Dio”?
2. Scrivere come Dio. Dall'Inferno al Paradiso, trad. C. Giorgettti Cima, Ed. Marietti, 1999 (prima edizione, 1983)
3. P. Paganini, op. cit., p. 164
4. Dante Alighieri, op. cit., Purg XI 2
5. La Commedia di Dante Alighieri col commento di N. Tommaseo, Ed. Fr. Pagnoni, Milano, 1865, p. 268
6. Dante Alighieri, op. cit., Par XXIV 130
7. Aristotele, Metafisica, XII, 6, 11
8. S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, P. I, Quest. II, art. 3.
9. Dante Alighieri, op. cit., Par XXXIII 54
10. Dante Alighieri, op. cit., Inf III 18
11. Dante Alighieri, op. cit., Par IX 9
12. Dante Alighieri, op. cit., Par I 107
13. Dante Alighieri, op. cit., Par I 1-3
14. Dante Alighieri, op. cit., Purg XI 1
15. Dante Alighieri, op. cit., Par XIV 30
16. Dante Alighieri, op. cit., Par XV 76
17. G. S. Scartazzini, Enciclopedia dantesca, Dizionario critico e ragionato di quanto concerne, la vita e le opere di Dante Alighieri, Ulrico Hoepli Editore-libraio della Real Casa, Milano, 1896, p. 1128
18. Dante Alighieri, op. cit., Par XXVIII 41
19. Dante Alighieri, op. cit., Inf III 5
20. P. Paganini, op. cit, p. 186
21. Dante Alighieri, op. cit., Inf IV 38
22. Dante Alighieri, op. cit., Par V 19
23. Dante Alighieri, op. cit., Par XXIV 130
24. Dante Alighieri, op. cit., Purg XVI 18
25. Dante Alighieri, op. cit., Par VII 30
26. Dante Alighieri, op. cit., Par VII 119
27. Dante Alighieri, op. cit., Par XXXI 107
28. G. S. Scartazzini, Enciclopedia dantesca, Dizionario critico e ragionato di quanto concerne, la vita e le opere di Dante Alighieri, Ulrico Hoepli Editore-libraio della Real Casa, Milano, 1896, p. 1084
29. Dante Alighieri, op. cit., Purg II 29
30. Dante Alighieri, op. cit., Par X 140
31. Dante Alighieri, op. cit., Par XIII 33
32. Dante Alighieri, op. cit., Par XXI 114
33. Dante Alighieri, op. cit., Purg XXVIII 125
34. Dante Alighieri, op. cit., Purg XXX 142
35. Dante Alighieri, op. cit., Par XXV 63
36. Dante Alighieri, op. cit., Par IV 45
37. Dante Alighieri, op. cit., Par XXIII 114
38. Dante Alighieri, op. cit., Par XXIX, 21, 77
39. Dante Alighieri, op. cit., Inf XIV 16
40. Dante Alighieri, op. cit., Par V 19
41. Dante Alighieri, op. cit., Par VII 91
42. Dante Alighieri, op. cit., Par IX 62
43. Dante Alighieri, op. cit., Par XXVII 57
44. Dante Alighieri, op. cit., Purg XI 90
45. Dante Alighieri, op. cit., Par X 56
46. Dante Alighieri, op. cit., Par XXVI 56
47. Dante Alighieri, op. cit., Par XXII 95
48. Dante Alighieri, op. cit., Par XXIV 113
49. Dante Alighieri, op. cit., Purg XVI 141
50. Dante Alighieri, Il Convivio, IV, 11
51. Dante Alighieri, op. cit., Purg XXIII 58
52. Dante Alighieri, op. cit., Par XXII 83
53. Dante Alighieri, op. cit., Inf II 91
54. Dante Alighieri, op. cit., Inf XX 19
55. Dante Alighieri, op. cit., Inf XIX 112
56. Dante Alighieri, op. cit., Purg XIII 117
57. Dante Alighieri, op. cit., Par XX 138
58. Dante Alighieri, op. cit., Par III 108
59. Dante Alighieri, op. cit., Par III 108
60. Dante Alighieri, op. cit., Purg VIII 3
61. Dante Alighieri, op. cit., Par XIV 96
62. Carlo Steiner, La Divina Commedia/ Dante Alighieri, commentata da Carlo Steiner, Torino, G. B. Paravia & C., 1922, p. 59
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69. Gino Casagrande, I’ s’appellava in terra il Sommo bene, in «Parole di Dante – contributi di filologia dantesca», p. 4
70. Ph. Damon, Adam and the Primal Language: «Paradiso», in «Italica», XXXVIII, 1961, pp. 60-62
71. Dante Alighieri, op. cit., Par XXVI 133-138
72. L’Ottimo commento della Divina Commedia. Testo inedito di un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca, a cura di A. Torri, Pisa 1827-1829, p. 202
73. Gino Casagrande, op. cit., p. 5
74. Gino Casagrande, op. cit., p. 8
75. Dante Alighieri, op. cit., Inf VII 73
76. Dante Alighieri, op. cit., Purg VIII 68
77. Dante Alighieri, op. cit., Purg X 94
78. Dante Alighieri, op. cit., Purg XVI 32
79. Dante Alighieri, op. cit., Par I 1
80. Dante Alighieri, op. cit., Par III 75
81. Dante Alighieri, op. cit., Par XVIII 6
82. Dante Alighieri, op. cit., Par I 62
83. Dante Alighieri, op. cit., Par IV 123
84. unicus tamen dictator est deus, qui beneplacitum suum nobis per multorum calamos explicare dignatus est.
85. cui ab illo solo prefectus est, qui est omnium spiritualium et temporalium gubernator
86.  Si ergo faber ille atque perfectionis principium et amator
87. intendens, inscius, non equare, sed suum superare Factorem. 
88. Presumpsit ergo in corde suo incurabilis homo, sub persuasione gigantis, arte sua, non solum superare naturam, sed etiam ipsum naturantem, qui Deus est
89. Giovanni Getto, Dante Alighieri. Il Canto XXV del ParadisoCoperta unu, Società Editrice Internazionale, 1965, p. 22
90. Dante Alighieri, op. cit., Par XXXIII 94
91. Luigi de Bellis, op. cit., p.1

 

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