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Dal folklore romeno alla letteratura gotica. Il vampiro oltre Dracula
Bram Stoker menzionava, in un’intervista pubblicata poco dopo l’uscita del romanzo Dracula, l’influenza del folklore della Transilvania sulla rappresentazionedel vampiro che aveva immaginato. Tuttavia, le informazioni raccolte su alcuni usi di questa regione sono solo una tessera del puzzle che il romanziere ha progettato per caratterizzare questo personaggio entrato nella mitologia e la relazione tra il suo vampiro e lo strigoi romeno è discutibile [1].
Dracula fu costruito sulla base di alcune letture di carattere enciclopedico [2]. Come mostrano le note del romanziere, Stoker aveva studiato numerose ricerche sulle leggende legate a questo argomento provenienti da diverse parti del mondo: si evince, leggendo le sue note al romanzo, che, sebbene l’azione si svolga in Transilvania, il Conte Dracula è, possibilmente, un personaggio universale, di sintesi.
Gli studi di cui si è detto poco sopra sottolineano la pratica da parte dello scrittore irlandese di copioso materiale sul vampiro folklorico, personaggio misterioso nelle leggende di diversi paesi e continenti [3]. L’autore di Dracula, tuttavia, per la caratterizzazione del suo personaggio, oltre al folklore, dovette certamente attingere anche al vampiro come soggetto presente nella letteratura colta. Per il mondo teatrale di fine Ottocento, il vampiro era da tempo una figura affascinante. Dopo il successo della rappresentazione del Faust, come direttore del teatro Lyceum di Londra, Stoker cercò, non solo di trovare una nuova risposta letteraria alle domande fondamentali dell’esistenza umana – il rapporto tra vita e morte, ragione e sentimento, materia e spirito –, ma anche di offrire una narrazione spettacolare, degna delle rappresentazioni teatrali che lui coordinava con grande abilità manageriale. Si fece strada in lui l’idea di un vampiro, concretizzato in un romanzo che gli avrebbe dato prestigio sulla scena letteraria, dove erano attivi numerosi amici. Questa figura oscura aveva alle spalle una carriera significativa, sia nei testi consacrati della letteratura inglese sia negli spettacoli teatrali, ma il romanzo di Stoker sarebbe diventato la più famosa creazione vampirica di tutti i tempi.
Le note di lavoro di Bram Stoker ci mostrano che, nella prima versione del romanzo, il personaggio principale si sarebbe dovuto chiamare Count Wampyr: lo scrittore irlandese gli cambiò poi il nome probabilmente dopo aver letto del principe – voivod in lingua romena – Dracula nel libro An Account of the Principalities of Wallachia & Moldavia di William Wilkinson: una breve storia della Valacchia e della Moldavia scritta dal diplomatico inglese inviato a Bucarest come rappresentante della Compagnia del Levante nel 1813. Wilkinson tradusse scorrettamente l’appellativo, attribuendogli il significato di diavolo: «Dracula in the Wallachian language means Devil. The Wallachians were, at that time, as they are at present, used to give this as a surname to any person who renderer himself conspicuous either by courage, cruel actions, or cunning» [4]. Stoker, che non era intenzionato a scrivere un romanzo storico ma una novella sulla lotta eterna tra il bene e il male, affascinato però dalla figura del sanguinario e violento condottiero, cambiò in Conte Dracula il nome del suo vampiro.
Il principe a cui Bram Stoker “rubò” il nome era un certo Vlad III di Valacchia – soprannominato anche Țepeș, impalatore, per l’abitudine a giustiziare con questo tipo di supplizio i nemici. Era egli figlio di Vlad Dracul, membro dell’Ordine del Drago e da questa onorificenza del padre, viene il nome di Dracula, appunto, figlio del Drago. Dracula era descritto brevemente come un combattente antiottomano che aveva ottenuto alcune vittorie contro i turchi e infine era stato sconfitto. Non vi erano riferimenti, nel libro di Wilkinson, alla sua crudeltà, né al soprannome Țepeș. Dracula aveva molto poco in comune con il principe Vlad Țepeș e, per questo, è necessario distinguere tra il voivoda − personaggio storico − e il vampiro immaginato da Bram Stoker [5].
Gli appunti di Stoker [6] dimostrano che lo schema epico era già in atto prima della scelta della Transilvania quale sede del castello dei vampiri: seguendo il modello di Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu, l’azione avrebbe dovuto svolgersi in Stiria, Austria. Alla ricerca di una bibliografia quanto più ampia possibile sulle manifestazioni vampiriche, Stoker trovò un articolo nella rivista di divulgazione scientifica «The Nineteenth Century». Scritto da Emily Gerard − la scrittrice scozzese visse due anni in Transilvania −, il testo aveva un titolo molto interessante per il cercatore di leggende londinese che stava tracciando con cura le linee del suo futuro romanzo sui vampiri: Transylvanian Superstitions [7]. E certamente Stoker non fu deluso dopo aver letto questo lavoro: le informazioni raccolte con entusiasmo dalla visitatrice britannica Emily Gerard spinsero Stoker a cambiare definitivamente l’ambientazione dalla Stiria alla Transilvania. Qui Stoker, per la prima volta, sentì parlare di strigoi. Dopo aver avvertito i suoi lettori che molte usanze erano il riflesso della paura dei demoni e delle streghe, Gerard si soffermava sul fatto che le superstizioni del contadino romeno trovano la loro espressione più forte nelle cerimonie funebri, basate su una concezione originale della morte: «nowhere does the inherent superstition of the Roumenian peasant find stronger expression than in his mourning and funeral ceremonies, which are based upon a totally original conception of death».
Si riporta di seguito il frammento che influenzò maggiormente Bram Stoker per immaginare quella figura di vampiro: «or nosferatu, in whom every Roumenian peasant believes as firmly as he does in heaven or hell. […] every person killed by a nosferatu becomes likewise a vampire after death, and will continue to suck the blood of other innocent people till the spirit has been exorcized, either by opening the grave of the person suspected and driving a stake through the corpse, or firing a pistol shot into the coffin. In very obstinate cases it is further recommended to cut off the head and replace it in the coffin with the mouth filled with garlic, or to extract the heart and burn it, strewing the ashes over the grave» [8].
Va detto che la parola nosferatu non esiste nella lingua romena. Probabilmente Emily Gerard la confuse con la parola năcuratu, una variante popolare per definire il diavolo, o nesuferitul, che può essere tradotto come “l’insopportabile”. Entrambe le varianti si riferiscono alle forze del male, ma non implicano l’associazione con l’idea di vampiro.
Gerard si dedicò all’etnografia interessandosi alla vita della gente di campagna mentre si trovava in Transilvania al seguito del marito, un ufficiale dell’Impero austro-ungarico. I contadini rumeni la conquistavano con la loro ospitalità e il loro calore, ma le loro tradizioni rimanevano per lei una semplice curiosità.
Senza pensarci troppo, Gerard cataloga come vampirismo le manifestazioni indicate sopra, e per lei vampiro e strigoi sono a tutti gli effetti sinonimi.
Questa visione sulla relazione semantica tra vampiro e non morto è stata sviluppata in diversi studi, come The Vampire in Roumania di Agnes Murgoci [9], The Romanian Folkloric Vampire di Jan Perkowski [10], o Mythologie du Vampire en Roumanie di Adrien Cremene [11]. Sintetizzando la visione di questi tre lavori, ma anche di altre ricerche su questo tema, Patrick Johnson [12] individua tredici somiglianze tra vampiro e strigoi. Johnson osserva che entrambe le entità succhiano sangue e la vittima assume la natura dell’aggressore, trasformandosi in un non morto. Su questo tema si basano anche i racconti di “epidemie vampiriche” del Settecento. Altre somiglianze notate da Johnson che accomunano entrambe le entità sono le loro capacità metamorfiche e il potere di influenzare il tempo, il metodo di esorcismo con il quale vengono neutralizzate – esercitato sul cadavere che viene trafitto da un paletto affilato o sparandogli un proiettile nella bara −, l’avversione per l’aglio, l’incapacità di attraversare l’acqua corrente, la preferenza per la notte e l’incapacità di agire di giorno, l’assenza del proprio riflesso nello specchio. Lo strigoi è poi in grado di integrarsi nella società, persino di fondare una famiglia. La conclusione di Johnson è che, sebbene nessun vampiro del folklore possieda tutti gli attributi del vampiro Dracula immaginato da Stoker, i tratti del famoso conte costituiscano una sintesi dei racconti folklorici sull’argomento.
D’altra parte, l’associazione tra vampiro e strigoi è contestata da alcuni antropologi romeni o stranieri. Elizabeth Miller, professoressa universitaria canadese che ha avuto una grande influenza sulla critica letteraria mondiale sul tema di Dracula, affermava che il vampiro non fosse una creazione del folklore romeno, ma un concetto occidentale introdotto qui in maniera artificiosa [13]. Sintetizzando una ricca letteratura specialistica, Rodica Iulian concludeva che, così come viene percepito dopo una grossolana volgarizzazione, il vampiro si discosta enormemente dalla interpretazione contadina dei non morti: studi antropologici sul campo dimostrano come il termine vampiro fosse ignorato dagli abitanti della campagna romena [14].
Che strigoi e vampiro siano due entità differenti ci è suggerito anche da Sabina Ispas. L’immagine letteraria del vampiro non è compatibile con la prospettiva culturale sul rapporto vita-morte, a causa della percezione cristiano-ortodossa che fa parte dell’identità del popolo romeno: «Dal nostro punto di vista, la principale ragione per cui non è stato possibile riconciliare l’offerta letteraria con la sua rappresentazione nella cultura romena è la fede cristiana, di matrice ortodossa, riguardante il rapporto carne-spirito − con implicazioni su vita-morte, tempo umano-eternità − che si ritrova nel simbolismo del sangue» [15]. Sviluppando l’idea che il sangue con cui si nutre Dracula acquisisce le valenze di una sostanza diabolica, l’autrice dimostra che un personaggio del tipo di quello immaginato da Bram Stoker non è specifico della tradizione romena, e che questo conte vampiro “nato” nel 1897 è in realtà «un personaggio elaborato, artificiale» [16].
Per quanto riguarda il rapporto tra vampiro e strigoi, si deve quindi sottolineare la distinzione tra il vampiro folklorico e il vampiro letterario. Nessuna analisi di questo tipo sarebbe priva di difficoltà, poiché le rappresentazioni della letteratura colta sono influenzate dal filone folklorico, ma allo stesso tempo si basano sul perfezionamento dell’esperienza letteraria, colta, consolidata. Il vampiro di Stoker rappresenta una straordinaria sintesi tra il vampiro presente in diverse culture e i personaggi concepiti dai suoi precursori nelle letterature dell’Europa occidentale. La diffusione del mito vampirico in molti spazi geografici diversi rende difficile trovare un denominatore comune con i tratti di un vampiro universale. Secondo Susannah Clements, autrice di The Vampire Defanged: How the Embodiment of Evil Became a Romantic Hero [17], si possono distinguere i due tratti fondamentali dei vampiri: bevono sangue umano e non sono comuni mortali, ma cadaveri animati. Hanno, poi, caratteristiche comuni come già suggeriva Johnson.
La sovrapposizione di elementi cristiani al substrato ancestrale ha portato all’integrazione di alcuni elementi nella lotta al vampiro come le croci o gli oggetti sacri, ma ha anche determinato l’associazione del vampiro con le forze demoniache.
Per quanto riguarda il vampiro folklorico, uno dei libri romeni che offre una visione ben definita è Strigoii di Otilia Hedeșan [18]. La parola vampir è un neologismo per la lingua romena, usato una prima volta nel 1872 da Costache Negruzzi per tradurre La ronde du sabbat − in romeno Hora sabatului −, ballata di Victor Hugo, che descrive un sabba ove si adunano «Vampiri, ștafii și balauri, strigoi, larve, negri gnomuri | Monstruri care numai Iadul a visat a lor fantomuri» [19].
Il termine deriva dalla lingua francese vampire che a sua volta lo prende in prestito dal tedesco – vampyr − contesto linguistico in cui, nella prima parte del Settecento, vennero presentate alcune relazioni sulle credenze nei vampiri. Le informazioni su queste pratiche abituali presso gli abitanti delle regioni che erano state da poco integrate nell’Impero Asburgico, nota Hedeșan, servivano all’assimilazione economica e culturale che la nuova amministrazione stava attuando. Il concetto di vampiro penetra nella lingua tedesca da un idioma slavo, dalla lingua serba o dal polacco antico, ma le sue vere origini sono da ricercare nel russo con la parola oupir [20].
In lingua romena, il termine strigoi − da strigă, strega − proviene dal latino striga, che significa uccello notturno o strega, ed è registrata per la prima volta nel Nomocanone di Matei Basarab del 1652 [21]. La determinazione delle caratteristiche dello strigoi riguarda anche l’elemento genetico, poiché gli strigoi nascono con una porzione di placenta o di pellicina sulla testa a formare una sorta di cuffia o calotta e la loro spina dorsale ha un’estensione a forma di piccola coda coperta di peli [22]. Anche il bambino morto e non battezzato può trasformarsi in strigoi. Vengono neutralizzati con uno spicchio d’aglio in bocca o con un paletto conficcato nel cuore. Sebbene la visione classica degli antropologi romeni suggerisca una dissociazione tra vampiro e strigoi, ancora Hedeșan propone di aprire la discussione, relativizzando questo atteggiamento categorico. Il dibattito è stato avviato con il suo intervento, Complexul vampiric românesc. Mitologie şi geografie (Il complesso vampirico romeno. Mitologia e geografia), nell’ambito della conferenza internazionale Impactul unui mit: Dracula și imaginea României în literaturile britanică și americană (L’impatto di un mito: Dracula e l’immagine della Romania nella letteratura britannica e americana), tenutasi presso la Universitatea de Vest di Timișoara nel 2013. La prima osservazione della Hedeșan è che in lingua romena abbiamo diverse parole che designano il complesso mitologico del vampiro: strigoi, moroi, priculici, bosorcoi, vârcolac.
Si nota una certa esitazione nella definizione del termine “vampiro” nei dizionari romeni, il che suggerisce una tendenza a eludere la relazione con lo strigoi. Questa mancanza di precisione dei dizionari esprime, di fatto, una presa di distanza dal personaggio di Dracula. Nella visione di Otilia Hedeșan, il vampiro è presentato come un personaggio senza determinazioni aggiuntive che compie un’azione su qualcuno prosciugandone la vitalità e assumendola per sé. Operando un trasferimento di vitalità, il vampiro agisce spesso senza violenza, ma con una aggressione discreta e sottile [23].
Hedeșan ritiene che nella cultura popolare romena esistano dei personaggi che potrebbero essere collocati come forme concrete di manifestazione in questo quadro molto generale. Le parole appartenenti a questo nucleo mitologico hanno un’etimologia complessa: strigoi proviene dal latino, moroi dal vecchio slavo, bosorcoi dall’ungherese, vampir dal francese, mentre l’origine della parola priculici rimane incerta.
L’immagine dello strigoi si basa sulle osservazioni degli ufficiali asburgici inviati appositamente nel Banato [24] durante il Settecento: il medico Georg Tallar osserva che coloro che restano in vita, i parenti aggrediti dallo strigoi, hanno un aspetto livido, mentre lo strigoi, quando viene aperta la tomba, ha il viso rosso, pieno di vita. Come spiega Hedeșan, questa contraddizione suggerisce il trasferimento di sangue o vita, confermando, nella cultura popolare, l’esistenza dello strigoi. Nel caso del moroi, il trasferimento è di altra natura, poiché esso ruba il latte. Tuttavia, ciò che manca nei racconti su questi personaggi è la scena del trasferimento. La tradizione popolare non dice nulla sul modo in cui il sangue passa dalla vittima al corpo dello strigoi. Non vi sono personaggi che pungono, mordono o fanno scorrere il sangue, né si conosce come avvenga il trasferimento del latte, perché in queste narrazioni manca totalmente la descrizione dell’atto di appropriarsi, di rubare, di prendere, ma si basano su un elemento magico: si crede che accada, senza raccontare come.
Un altro aspetto riguarda l’atteggiamento riservato degli abitanti di queste aree rurali rispetto all’argomento. Durante il periodo comunista, i contadini evitavano di rispondere alle domande sui non morti quando interrogati in merito alla reale, o meno, esistenza degli strigoi. Secondo la Hedeșan, questo atteggiamento si spiega con il fatto che lo strigoi è di per sé una realtà sovradimensionata: nessuno ha incontrato uno strigoi, ma solo le loro “personificazioni” e queste portano nomi concreti di individui che a un certo punto sono entrate in una tale struttura narrativa.
Rodica Iulian vede nella rappresentazione del vampiro un simbolo del marginale vittimizzato: «Capro espiatorio in vita, il “marginale” sarà raddoppiato da un capro espiatorio morto» [25]. Uno dei casi più rappresentativi di vampirismo in area balcanica è stato quello di Peter Plogojowitz del villaggio serbo di Kisilova, considerato dalla comunità responsabile di numerosi decessi avvenuti nella località dopo la sua sepoltura.
Il racconto del funzionario imperiale che assistette, nel 1725, alla macabra cerimonia, redigendo un rapporto in cui non mancava alcun dettaglio del rituale di esorcismo, divenne celebre. Una delle opere del Settecento che presenta una visione d’insieme su queste pratiche è Dissertations sur les apparitions des anges, des démons et des esprits, et sur les revenants et vampires [26], di Augustin Calmet, il quale catalogava tutte le informazioni disponibili all’epoca.
Il tema preoccupava anche il grande pensatore illuminista Voltaire, che ai vampiri dedicò un capitolo nel suo Dizionario filosofico. Egli associava le pratiche vampiriche con l’ambiente rurale, sottolineando l’opposizione tra la mentalità degli abitanti del villaggio e quella degli abitanti della città: «È in Polonia, in Ungheria, in Slesia, in Moravia, in Austria, in Lorena che i morti hanno portato così tanto buon umore. Non abbiamo sentito parlare di vampiri né a Londra e nemmeno a Parigi». Voltaire aggiunge, tuttavia: «Confesso che in queste due città c’erano speculatori, commercianti, uomini d’affari, che succhiavano il sangue del popolo in pieno giorno; ma non erano morti, benché corrotti. Questi veri polloni non vivevano nei cimiteri, ma in palazzi molto piacevoli» [27].
L’interpretazione del vampiro come simbolo sociale dei benestanti che si arricchiscono con il lavoro del popolo ha avuto grande successo in letteratura. Voltaire non avrebbe mai immaginato che presto affermati scrittori avrebbero dimenticato il personaggio del folklore e reinventato un nuovo vampiro urbano, colto raffinato e talvolta affascinante vestito con il frac e abitante di un lussuoso castello.
Egli di notte si trasforma in un mostro dotato di canini terrificanti e lunghi artigli.
A differenza dei mortali, questo vampiro, si nutre solo del sangue delle sue vittime. Così, il vampiro aristocratico diventa un personaggio molto presente nella letteratura dell’Ottocento.
Nella letteratura dell’Ottocento il vampiro a partire dalla prima narrazione colta che può essere considerata The Vampyre di John William Polidori, medico e amico del poeta romantico George Gordon Byron, è percepito come il personaggio negativo per eccellenza, e opere come Varney the Vampire (1845-1847) di Thomas Preskett Prest e James Malcolm Rymer o Carmilla (1872) di Joseph Sheridan Le Fanu rafforzano questo stereotipo. La loro presenza è stata spesso associata alle forze del male, al sentimento della paura e alla sessualità. Ogni specie di vampiro rappresenta i timori della società in cui agisce e le figure a essa correlate: la femme fatale in opere come Carmilla di Le Fanu simboleggia la paura della sessualità femminile, Dracula di Stoker, la paura del diverso, dell’ignoto, oppure, e la cito per esempio, la pellicola di Abel Ferrara, The addiction, che vede la luce nel 1995, nel pieno della paranoia susseguente la diffusione dell’AIDS, gioca sulla paura per una malattia allora considerata incurabile.
La natura sessuale dell’atto vampirico è stata presentata in modo negativo. Il vampiro era la caduta nel peccato, la tentazione che attraeva, ma, all’interno di rigide regole morali, portava alla distruzione. Nella letteratura contemporanea si ha un netto cambio di direzione, l’associazione tra il vampiro e le forze del male si è gradualmente attenuata. Romanzi come Twilight di Stephenie Meyer rappresentano una completa rimozione dal mito del vampiro di qualsiasi significato cristiano o teologico. Insieme con i denti acuminati e gli artigli, si è liberato del peso della tradizione letteraria, dell’associazione stigmatizzante con il peccato e la tentazione. Questa evoluzione del personaggio porta all’associazione del vampiro con la fantasia romantica degli adolescenti.
Così, i discendenti di Dracula nella letteratura fantasy o nei numerosi film contemporanei sembrano più destinati a divertire il pubblico che non a spaventarlo. Il ritornante succhiasangue diventa addirittura una figura simpatica come nella serie cinematografica di Hotel Transylvania. E non sbaglia Nina Auerbach quando scrive, nel suo Our Vampires, Ourselves: «Every age embraces the vampire it needs» [28].
Marius-Mircea Crişan
(n. 11, novembre 2024, anno XIV)
Lo studio di Marius-Mircea Crisan, Dal folklore romeno alla letteratura gotica. Il vampiro oltre Dracula, è stato pubblicato in Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte, a cura di Edoardo Fontana, Lidia Gallanti e Silvia Scaravaggi, catalogo della mostra al Museo Civico di Crema e del Cremasco, 19 ottobre 2024-12 gennaio 2025, Crema, Edizioni Museo Civico Crema, 2024, pp. 67-75.
NOTE
[1] Questo saggio trae spunto e aggiorna alcuni concetti contenuti nei volumi dell’autore: Impactul unui mit. Dracula și reprezentarea ficțională a spațiului românesc, București, Editura Pro Universitaria, 2013; The Birth of the Dracula Myth. Bram Stoker’s Transylvania, București, Editura Pro Universitaria, 2013.
La traduzione del testo originale romeno è stata curata da Carla Caccia.
[2] Bram Stoker, Dracula, London, Archibald Constable and Company, 1897.
[3] Jean-Baptiste Thiers, Traité des superstitions qui regardent les sacrements selon l’Écriture sainte, les décrets des conciles, et les sentiments des Saints pères, et des théologiens, Paris, Jean de Nully, 1679; Sabine Baring Gould, The Book of Werewolves. Being an Account of a Terrible Superstition, London, Smith, Elder and Co., 1865; Fredrick George Lee, The Other Worl; Or, Glimpses of the Supernatural. Being Facts, Records and Traditions, London, Henry S. King and Co., 1875; Rushton Mather Dorman, The Origin of Primitive Superstitions and Their Development into the Worship of Spirits and the Doctrine of Spiritual Agency among the Aborigines of America, Philadelphia, London, B. Lippincott & Co., 1881; Isabella Bird, The Golden Chersonese, London, John Murray ed., 1883; Steward Bassett, Legends and Superstitions of the Sea and of Sailors. In All Lands and at All Times, Chicago, New York, Belford, Clarck and Co., 1885; William Henry Jones, Lajos Kropf, The Folk-Tales of the Magyars, London, The Folk-lore Society, 1889.
[4] William Wilkinson, An Account of the Principalities of Wallachia & Moldavia. Including Various Political Observations Relating to Them, London, Longman, Hurst, Rees, Orme, and Brown, 1820, p. 19.
[5] Marius-Mircea Crișan, Carol Senf, Bram Stoker’s Dracula. The Transformation of Tradition, in The Palgrave Handbook of Steam Age Gothic, a cura di Clive Bloom, London, Palgrave Macmillan, 2021, p. 652.
[6] Spunti sull’utilizzo di materiale documentario ed esperienze personali che si compiranno poi nelle novelle e nel romanzo Dracula si possono trovare in Bram Stoker’s Notes for Dracula. A Facsimile Edition. Annotated and transcribed by Robert Eighteen-Bisang and Elizabeth Miller, Jefferson, McFarland & Company, inc. Publisher, 2008.
[7] Emily Gerard, Transylvanian Superstitions, in «The Nineteenth Century», vol. XVIII, luglio-dicembre 1885, pp. 130-150.
[8] Ivi, pp. 142-143.
[9] Agnes Murgoci, The Vampire in Roumania, in «Folklore», vol. XXXVII, n. 4 (31 dicembre 1926), pp. 320-349.
[10] Jan Perkowski, The Romanian Folkloric Vampire, in «East European Quarterly», vol. XVI, n. 3 (autunno 1982), pp. 311-322.
[11] Adrien Cremene, Mythologie du Vampire en Roumanie, Monaco, Editions du Rocher, 1981.
[12] Patrick Johnson, Count Dracula and the Folkloric Vampire. Thirteen Comparisons, in «Journal of Dracula Studies», vol. III, n. I, (gennaio 2001).
[13] Elizabeth Miller, Dracula: Sense and Nonsense, Southend-on-Sea, Desert Island Books, 2006.
[14] Rodica Iulian, Dracula sau triumful modern al Vampirului, Bucureşti, Compania, 2004.
[15] Sabina Ispas, Dracula, o mască occidentală, in «Anuarul Muzeului Etnografic al Moldovei», vol. X (2010), p. 421.
[16] Ivi, p. 426.
[17] Susannah Clements, The Vampire Defanged: How the Embodiment of Evil Became a Romantic Hero, Grand Rapids, Brazos Press, 2011.
[18] Otilia Hedeşan, Strigoii, Cluj-Napoca, Editura Dacia XXI, 2011.
[19] Victor Hugo, Hora sabatului (Balada XIV), traduzione di Constantin Negruzzi, in Scrierile lui Costache Negruzzi, Poesii, București, Librăria Socecu & Compania, 1872, vol. II, p. 121. Di seguito si riporta il testo originale francese: «Les larves, les dragons, les vampires, les gnômes, | Des monstres dont l’enfer rêve seul les fantômes» (Victor Hugo, La ronde du sabbat, in Odes et ballades (ballade quatozième), Paris, H. Bossange, 1828, p. 438).
[20] O. Hedeşan, Strigoii, 2011, cit., pp. 18-19.
[21] Conosciuta come Îndreptarea legii cu Dumnezeu o Pravila Mare di Matei Basarab, è una raccolta di leggi stampata nel 1652 a Târgoviște ai tempi di Matei Basarab, principe di Valacchia e Moldavia. Rappresenta anche un manuale di fede, grazie al suo contenuto dogmatico, essendo un mezzo di difesa dell’ortodossia contro le influenze calviniste e cattoliche [N.d.T.].
[22] Nella cultura popolare romena, i termini căiță o tichie indicano la membrana che può avvolgere la testa di alcuni neonati [N.d.T.]. Elementi genetici dello strigoi si trovano in alcuni studi specialistici fra cui: N. I. Dumitraşcu, Strigoii. Din credințele, datinile și povestirile poporului român, București, Cultura națională, 1929, p. 3; Irina Nicolau, Carmen Huluţă, Credințe și superstiții românești, București, Humanitas, 2000, p. 250; O. Hedeşan, Strigoii, 2011, cit., p. 8.
[23] Otilia Hedeşan, Complexul vampiric românesc. Mitologie şi geografie, in Dracula și imaginea României în literaturile britanică și americană, testo per la conferenza tenuta presso Universitatea de Vest din Timișoara, 2013, <http://themythoftransylvania.ro/#events2013> (ultima consultazione 18.06.2024).
[24] Il Banato è una regione che oggi si estende nel territorio di Romania, Serbia e Ungheria, la cui capitale storica è Timişoara [N.d.T.].
[25] R. Iulian, Dracula sau triumful modern al Vampirului, 2004, cit., p. 36.
[26] Augustin Calmet, Dissertations sur les apparitions des anges, des démons et des esprits, et sur les revenants et vampires de Hongrie, de Bohême, de Moravie et de Silésie, par le R. P. Dom Augustin Calmet, Paris, De Bure, 1746.
[27] Voltaire, Vampires, voce in Ouvres Complete de M. de Voltaire: Dictionnaire Philosophique, Basle, J. J. Thourneisen Imprimeur-Libraire, 1792, vol. XII, p. 182. La traduzione in italiano è quella di Giovanni Balducci, tratta da Articolo di Voltaire sul vampirismo,in Collin De Plancy, Storia dei Vampiri e degli spiriti malefici. Con uno studio di Voltaire sul vampirismo, Milano, Luni Editrice, 2023, p. 127.
[28] Nina Auerbach, Our Vampires, Ourselves, Chicago, University of Chicago Press, 1995, p. 145. |
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