Roberto Benigni e i trovatori d’oggi di Dante

Era dura la vita da artista nel Medioevo! Lo stesso personaggio doveva comporre, recitare, suonare, ballare e improvvisare per far divertire gli ospiti. Internet non funzionava, la televisione non era stata ancora inventata. L’arte era sincretica e la nobiltà grossolana. A parte la ricchezza e il divertimento, non erano interessati ad altro. In simili condizioni, piuttosto sfavorevoli, la gente comune ha sentito il bisogno di capire che cosa si nascondesse dietro una poesia profonda, dalla quale si ascoltavano cose buone. Con una petizione si sono rivolti ai priori e ai notabili, chiedendo loro «che abbiate la premura di ottenere e di approvare solennemente la scelta di un uomo capace e sapiente, ben istruito nella scienza di questo tipo di poesia, per il tempo che desiderate, ma non più di un anno, per leggere il libro volgarmente chiamato El Dante nella città di Firenze a tutti coloro che ne hanno voglia, tutti i giorni non festivi, in un ciclo di lezioni continue come di solito avviene in simili circostanze», come osserva Franco Nembrini.


L'inizio delle letture pubbliche

Il 9 agosto 1373 il consiglio fiorentino approva la richiesta e nomina Giovanni Boccaccio per leggere e commentare dinanzi al pubblico la Divina Commedia. Il prosatore entra in carica il 23 ottobre 1373, interpretando i passaggi danteschi nella chiesa di Santo Stefano di Badia, in 60 lezioni, arriva fino al XVII canto dell’Inferno. Dopodiché la malattia e la morte lo sopraffanno. Tuttavia, una nuova disciplina intitolata Lectura Dantis, che avrebbe conseguito un incredibile sviluppo nel corso dei secoli, veniva inaugurata.
Le letture pubbliche di opere letterarie o scientifiche iniziarono a tenersi allora. In realtà, l’atto della lettura si svolgeva a voce alta ed era inconcepibile che un uomo potesse stare, da solo, a decifrare in tranquillità i segni di un libro. La storia della cultura registra l’emozione di Sant’Agostino, il quale vedendo leggere Sant’Ambrogio in silenzio, senza il linguaggio articolato, rimase sbalordito da una cosa simile. «Quando leggeva, i suoi occhi scivolavano sopra le pagine, e il suo spirito accorciava il significato delle righe, mentre la voce e la lingua si riposavano. Spesso, quando mi trovavo anch’io nei dintorni – poiché non c’era nessuno di guardia alla porta e non c’era neppure l’usanza di annunciare un nuovo arrivato – vedevo come leggeva in silenzio, mai in maniera diversa. Restavo seduto, in un lungo silenzio – perché, chi mai avrebbe osato disturbare un così grande approfondimento nello studio?! – poi andavo via, presupponendo che non volesse essere disturbato nel breve intervallo in cui leggeva; lontano dal chiasso delle faccende degli altri, poteva dedicarsi a rigenerare il proprio spirito. Non leggeva a voce alta, forse per evitare che un ascoltatore attento e interessato potesse costringerlo a impegnarsi in lunghe spiegazioni o dibattiti al margine di un passaggio più oscuro, perdendo così una parte del tempo dedicato ai libri che voleva studiare. Un altro motivo, forse più fondato, per il quale leggeva in silenzio, era il bisogno di risparmiare la voce, la quale si deteriorava con facilità. Infine, qualunque sia stato il suo motivo, doveva essere molto fondato per un uomo come Ambrogio».
Riguardo alla lettura della Divina Commedia dinanzi al popolo, essa era dovuta a una situazione speciale. La curiosità della folla non istruita si scontrava con la difficoltà dei significati sopraelevati del capolavoro. Ecco perché la lettura deve essere accompagnata da commenti. Lo sguardo scivola sempre dalla sostanza dei versi ai connotati esplicativi dei piè di pagina. L’intervento intellettuale perde la sua «linearità», acquista un movimento circolare, nel quale la bellezza estetica si verifica tramite la profondità dei suoi significati. Il testo dantesco rivela la sua unicità nell’insieme delle opere letterarie del mondo: per essere compreso correttamente, non deve essere percorso nella solitudine della lettura tradizionale, bensì assaporato nell’ambito degli spettacoli pubblici.

«Letture dantesche» nel tempo

Dopo il coinvolgimento di Boccaccio nella Lettura Dantis, un altro momento propizio è apparso nel XVI secolo, sotto gli auspici dell’Accademia Fiorentina. Un gruppo di dantologi appassionati (F. Verini, I. Mazzoni, G.B. Gelli, P.F. Giambullari, B. Varchi, G. Galilei e altri) furono accompagnati nelle loro letture del Purgatorio e del Paradiso da un pubblico curioso, il quale coinvoltosi nelle discussioni nel periodo che va dal 1590 al 1589.
Già dalla seconda metà del XIX secolo il fenomeno si istituzionalizza: si costituisce la Società Dantesca Italiana come anche la Deutsche Dante Gesellschaft. Il famoso ricercatore Francesco De Sanctis tiene i suoi corsi di dantologia a Torino e Zurigo. S’inaugurano le riviste specialistiche «Bollettino della Società Dantesca», «Giornale dantesco», «Studi danteschi» ecc. La fase moderna delle letture prende il via nel XX secolo, insieme alla miriade di commentatori che si dedica a questa nobile attività. In diverse località italiane (Roma, Firenze, Milano, Genova, Napoli) si organizzano conferenze pubbliche o sessioni scientifiche considerevoli, sfociate in «letture dantesche» di alcuni passaggi controversi, dove si sono affermati prestigiosi specialisti (Isidoro Del Lungo, Francesco Torraca, Attilio Momigliano, Nicola Zingarelli, Michele Barbi, Bruno Nardi ecc.). Lo studio sul testo prende forma in una prestigiosa edizione scientifica: Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi.
Ma, in questo contesto, non mi interessa la direzione filologico-accademica di consolidamento dell’opera dantesca, bensì il suo filone orale di propagazione. Nel Medioevo le letture di strada e nelle piazze erano destinate a portare la poesia al cospetto del pubblico analfabeta. Nel XX secolo celebri recital mettono in sintonia la spiritualità profonda con il pubblico trafelato dai ritmi dell’esistenza. I nuovi mezzi tecnologici vengono messi all’opera. Le letture dantesche di Vittorio Gassman, trasmesse attraverso la televisione pubblica della RAI e registrate sui dischi in vinile, sono rimaste nella memoria collettiva. Lo scrittore Vittorio Sermonti ha dedicato qualche decennio alla lettura della Divina Commedia, e dai suoi pellegrinaggi sono risultati tre libri di notevole spessore e una collezione di audiocassette.

Il successo di Roberto Benigni

Senza dubbio il successo maggiore con il pubblico lo ha raccolto, con le letture pubbliche dantesche degli ultimi anni, Roberto Benigni. Tutto ha avuto inizio con un evento apparentemente casuale, la declamazione di alcuni versi della Divina Commedia nel corso di una trasmissione televisiva. La sorpresa è stata totale. L’attore comico, che tutti erano abituati a vedere contorcersi e ciondolare sul palco, adotta improvvisamente un tono sobrio e grave, articolando perfettamente i versi medioevali. Trasporta gli spettatori, per alcuni attimi, in un altro mondo, in un tempo lontano. Quando il silenzio domina e la tensione vibra nell’aria, il saltimbanco scoppia di nuovo a ridere a crepapelle stroncando l’incantesimo attraverso un’allusione politica licenziosa. I tre momenti dello spettacolo ideati da Roberto Benigni prendono, ognuno, un ruolo ben preciso. La prima parte ha la funzione di «catturare la buona volontà», tramite la facile conversazione del protagonista con il pubblico, il lancio di battute ambigue, lo sforzo di ricostituire le realtà sociali, politiche, artistiche e mentali del Medioevo, paragonate talvolta a quelle del presente. La seconda parte segue da vicino il testo dantesco, per mezzo della lettura del canto della serata in questione, spiegando i suoi significati, le brevi digressioni ai margini della simbologia afferente, l’evocazione di alcuni giudizi critici significativi. Nella terza parte – di notevole sobrietà e carica artistica – sono recitati a memoria i versi appena commentati: qui la poesia occupa il suo ruolo primordiale e l’emozione lirica è commovente.
La prima edizione dello spettacolo Tutto Dante è stata organizzata in Piazza Santa Croce a Firenze, nel luglio 2006, nell’arco di 13 serate, quando sono stati presentati i canti più significativi dell’Inferno e l’ultimo del Paradiso. Ogni sera, più di 5.000 spettatori hanno seguito l’esibizione dell’attore. Il tour italiano ha compreso 130 spettacoli in 50 città, con oltre 600.000 spettatori. Il tour internazionale ha toccato le città più importanti del mondo, dove l’artista è stato applaudito da più di 100.000 spettatori. La registrazione del suo show è stata trasmessa dalla televisione pubblica della RAI, negli anni 2007-2008, raggiungendo un record d’ascolti favoloso: la prima emissione ha avuto oltre 10 milioni di telespettatori. La serie dei DVD realizzati è stata venduta come il pane, in allegato alle testate giornalistiche d’alta tiratura «La Repubblica» e «L’Espresso».
La seconda edizione di Tutto Dante si è tenuta tra luglio e agosto 2012, nella stessa piazza storica di Firenze, inserendo la presentazione dei canti XI-XXII dell’Inferno. Il successo è stato altrettanto significativo. I media hanno messo in evidenza l’entusiasmo travolgente di Roberto Benigni e il suo incredibile talento nel conciliare la smorfia della Commedia dell’Arte alla filosofia dantesca del Medioevo. La terza edizione, svoltasi in 12 spettacoli nell’estate del 2013, nel prestigioso scenario fiorentino, ha presentato al pubblico i canti XXIII-XXXIV dell’Inferno. Da indiscrezioni della stampa internazionale, sembrerebbe che Roberto Benigni darà frutto alla sua esperienza sulle letture dantesche nel film a cui sta lavorando in questo periodo.

Gli incontri di Franco Nembrini

Franco Nembrini è nato nel 1955 da una famiglia modesta, con molti figli. Fin dai primi anni di vita ha dovuto affrontare numerose difficoltà economiche, costretto dalle circostanze a lavorare per potersi sostenere. La vita, vista come una preda, scoperta e conquistata passo dopo passo, l’ha accostato moralmente all’esperienza di Dante, aiutandolo a trovare la via verso la Divina Commedia e a farne di essa una passione. Nembrini segue gli studi privati e al contempo svolge lavori umili, terminando il liceo e poi il dipartimento di pedagogia dell’Università Cattolica di Milano. Si sposa, ha numerosi figli, che decide di istruire personalmente in casa, raccontandogli del poeta fiorentino. A poco a poco si avvicinano, alle lezioni di salotto, i colleghi dei suoi figli, i cugini e i loro amici, le mamme e le zie di questi. La comunità cresce, nasce l’associazione giovanile Centocanti: gli amanti della poesia si iscrivono con passione, soprattutto perché lo statuto prevede l’obbligo da parte di ciascun membro di conoscere a memoria uno dei canti della Divina Commedia. I giovani si sparpagliano in altre scuole, centri culturali e località, dove portano con sé il fervente spirito delle riunioni, diffondono gli insegnamenti di questo ciclo d’incontri chiamati semplicemente Dante per le massaie.
Dal lavoro effettivo presso la cattedra di Franco Nembrini, incrementato delle sue riflessioni dantesche, sono nati i tre volumi Alla ricerca dell’io perduto, seguiti subito da altri tre, i quali sintetizzano le letture del poema medioevale: Dante, poeta del desiderio. Gli incontri di Nembrini continuano tuttora, nelle piccole località italiane, teatri, palestre o auditorium liceali, con una frequenza mensile o bimestrale. L’oratore è un uomo forte, con la barba e un’eloquenza imponente, dalla voce tagliente e il tono nitido. Condivide con i presenti il suo «umile e appassionato» legame con Dante, dal quale ha imparato molte cose. Il messaggio dell’artista medioevale viene attualizzato e tradotto in maniera tale da essere compreso dall’uomo moderno, con i problemi che tormentano tutti noi: l’amore, l’amicizia, la fede, il bene pubblico ecc.
Franco Nembrini, da vero capo locale dell’organizzazione cattolica Comunione e Liberazione, ci dà lezioni di vita, dei nostri giorni, estrapolate e adattate dal testo dantesco: viviamo ciecamente, inseguiamo solo il benessere materiale immediato, abbiamo bisogno di una luce trascendente che ci guidi. Il sacerdote semi-laico perora con pathos, cita enfaticamente i versi del capolavoro, che poi rigira immediatamente nel suo lavoro pedagogico di monologo, per aiutarci a riflettere sul rapporto tra il coraggio e la viltà, la fede e il suo contrario. Ogni sorriso è inesistente, le risa e gli applausi di entusiasmo – che dominavano presso Roberto Benigni e le migliaia di spettatori – qui sarebbero un sacrilegio. Nembrini continua indisturbato la sua energica catechesi. La poesia declamata minacciosamente dall’alto del palco provinciale, riflette, giustamente, con fedeltà, una delle caratteristiche della Divina Commedia. Tuttavia, mentre i minuti dello spettacolo trascorrono e nuove pagine del libro si accumulano, capiamo che si tratta di un predicatore noioso.

Gli happening danteschi avviati da Franco Palmieri

Franco Palmieri è nato nel 1955 a Forlì. La sua ascesa professionale è legata al mondo artistico, dove lavora come attore e regista. Dopo la laurea conseguita a Bologna nel campo della storia drammatica, collabora con diversi teatri di Bologna, Milano e Firenze, è direttore artistico di alcuni spettacoli a New York, Madrid, Parigi e Malaga, realizza progetti educativi in Romania, Israele, Armenia e Stati Uniti.
La sua (ri)scoperta di Dante è stata casuale ed è raccontata in tutta la sua naturalezza nel suo nuovo libro Incantati dalla Commedia. In un pomeriggio d’autunno era seduto in una terrazza di New York e stava ordinando un caffè; un’americana, sentendolo parlare, gli ha chiesto se era italiano. Alla sua risposta, la donna ha sfilato dalla borsetta un’edizione tascabile della Divina Commedia e lo ha pregato di leggere alcuni versi. Senza farci caso ha aperto il libro al famoso episodio di Ulisse, peregrino per mari e oceani fino alla morte.
Un’idea a volte nasce dal nulla. Ed è così che nella mente di Palmieri ha preso forma l’iniziativa di organizzare una serie di letture che portassero nelle strade e nelle piazze il suono della poesia dantesca. Da 100 cantori che si sono esibiti nel centro di Firenze il 9 maggio del 2006, si è arrivati col passar del tempo ai 1265 del 19 maggio 2012. (Naturalmente anche i numeri hanno un simbolismo proprio, a partire dal numero dei canti del poema fino all’anno di nascita del poeta.) Gli interpreti più strani si fermano di fronte ai passanti – in base al rituale stabilito – declamando le terzine della Divina Commedia. Non conta la loro identità, spesso definita solo attraverso nomi: Raffaella, Maria Vittoria, Massimo, Luigi, Anna, Patrizia. Gli si affianca il lavoratore Luciano Melisi, un bambino, il professore di fisica Riccardo Pratesi, la farmacista Valeria Ghinassi, il sindaco di Firenze, un pensionato di 80 anni, il cardinale Antonelli e il cantautore Lucio Dalla. La bellezza della poesia annulla le differenze sociali e unisce gli spettatori. L’imbarazzo è ugualmente grande anche tra i detenuti multietnici delle carceri di Prato e Sollicciano i quali, pur di recitare Dante, provano a tradurre il primo canto del Purgatorio in otto lingue e cinque dialetti diversi (tra i quali cinese, romeno e calabrese). Cristina Acidini, soprindentente del Polo Museale di Firenze, racconta di aver letto, con la voce strozzata in gola dall’emozione di fonte alle telecamere e tenendo alla sua sinistra la Madonna della Santa Trinità del Cimabue e alle sue spalle la Madonna di Ognissanti di Giotto, il celebre passo in cui Dante esorta i lettori all’umiltà cristiana, poiché il passare del tempo soffoca ogni fama:

«Credette Cimabue ne la pittura

tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,

sì che la fama di colui è scura».

Dall’esaltante esperienza delle letture pubbliche è nato in pochi anni «questo volumetto che è il quaderno di scena del dietro le quinte», proiettando dei flash sulle emozioni di alcuni e l’entusiasmo di altri, mentre la pioggia cadeva senza riuscire a interrompere quanto stava avvenendo. Palmieri riconosce francamente di non essere uno studioso forsennato né un esegeta dantesco. Ciò che gli interessa è il pulsare delle strade, avendo l’intuizione per lo spettacolo teatrale e tanto amore per il più grande poeta italiano. I numerosi versi citati nel suo libro ci portano Dante più vicino, ci aiutano a capire i suoi pensieri e sentimenti.

I trovatori italiani d’oggi – che si tratti di un comico, di un professore patetico oppure di un regista dedito – mantengono vivo il fenomeno artistico, attraverso la sua comunicazione diretta con gli spettatori. Lungo il filone dei significati profondi degli studi accademici, questa direzione popolare di valersi della Divina Commedia deve essere conosciuta e apprezzata nel suo vero valore.



Laszlo Alexandru
Traduzione a cura di Serafina Pastore
(n. 3, marzo 2014, anno IV)