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Badea Cârțan, il contadino autodidatta arrivato a piedi a Roma
Gheorghe Cârţan è nato il 24 gennaio 1849, nel villaggio di Oprea nella provincia di Cârţişoara Făgăraş, nella famiglia del pastore Nicolae Cârţan. Ha avuto altri sei tra fratelli e sorelle. Da bambino, Gheorghiţă ascoltava le fiabe e le leggende del luogo natío, quelle dei monti Carpazi, dei fiumi e delle foreste, quelle raccontate dal compare Avram e da Arsenie Cârţan – suo zio, cantante nel coro della chiesa – ma soprattutto quelle raccontate da «zia» Raşila, che fu per i sette fratelli sia «madre che madrina».
Suo nonno, Avram Budac, avrebbe voluto mandarlo a scuola a Pojorâta, ma Gheorghită non aveva neanche un briciolo di interesse per lo studio. Preferiva andare su e giù per i sentieri e i boschi del villaggio insieme a Nică Vlad e a Burcuş, il cane della casa, e d’inverno insieme a Ursan, l’altro cane, sceso dalla montagna insieme al gregge.
Gheorghiţă era stato affascinato dal mondo del villaggio, con i suoi riti e le sue tradizioni. Ogni anno, il 24 aprile si svolgeva la grande festa in onore di San Gheorghe. Le donne portavano le vivande, i padroni lasciavano liberi i pastori, il prete benediceva la tavola, le persone e le pecore, e dopo aver misurato la quantità del latte si iniziava a ballare la «hora mocănească» [ tipico ballo romeno]. Il trasferimento delle greggi verso i pascoli di montagna avveniva tra il 24 aprile e il 21 maggio.
A dieci anni Gheorghiţă portava a pascolare le pecore sterili rimaste a casa. Un anno più tardi, a 11 anni, nel 1860, lui, suo padre Nicolae e il suo amico Victor Vlad, figlio di Dinu, furono presi a lavorare dal padrone Axinte. Fu proprio allora che Gheorghiţă iniziò la vita da pastore, una vita difficile, una lotta con la natura che niente risparmia; arriverà a conoscere meglio di chiunque altro i segreti della vita selvaggia di questa natura, i nascondigli delle sue rocce, la maestosità delle sue vette e il cameratismo umano nei pericoli. Amava la natura, le montagne, soprattutto i monti Făgăraş, Viştea, Bâlea, Caraiman, Ţara Bârsa (Terra Borza), Ţara Oltului, ma soprattutto il «Paese dall’altra parte», non solo perché lo considerava la sua «vera madre», non solo perché ci andava d’inverno con le sue pecore, ma perché lì c’era il «Paese dei Romeni/ la Romania», Paese per il quale era pronto a sacrificare la propria vita.
In Romania, nella zona del Bărăgan, Gheorghiţă trascorse buona parte della sua vita. Rimase a Ciulniţa, non lontano dalla città di Slobozia, a breve distanza dalla chiesa di Matei Basarab, fondata nel 1634 in ricordo della liberazione degli zingari dalla schiavitù nel 1864. Durante i rigidi inverni trascorsi all’alpeggio ben custodito dai cani, e grazie all’aiuto del pastore Ion Cotigă, Gheorghiţă imparò a scrivere e a leggere. Il primo libro letto fu Istoria poporului roman, di Tito Livio, tradotta e spiegata da Ioane Antoneli, Blasiu (Blaj) [1], 1860. Sempre all’alpeggio imparò a suonare il flauto.
Nel 1865 morì il pastore Nicolae Cârţan, che lasciò in eredità a Gheorghiţă 50 pecore.
Nel 1870 Gheorghe Cârţan fu chiamato alle armi e da allora per 7 anni «i gendarmi lo hanno cercato per mandarlo come oste nell’imperiale e regio esercito asburgico», ma il giovane era lontano con le pecore nella zona del Bărăgan. Se proprio doveva andare nell’esercito, allora preferiva quello romeno. Nel 1877, dopo aver venduto le pecore, lasciandone alcune in custodia al pastore Ion Cotigă, Gheroghe Cârţan si arruolò «volontario» nell’esercito romeno, a Roşiori de Vede, da dove fu poi riassegnato per essere addestrato in una compagnia di riserva. Anche se voleva combattere a Plevna per l’indipendenza della Romania, il suo sogno non si è mai avverato, perché nel 1878, con la fine della guerra, i volontari furono smobilitati. Nel 1878, tornato a Oprea Cârţişoara, dove scoprì di essere ricercato dalle autorità, si presentò al commissariato di Făgăraş e fu arruolato all’interno del Regimento fanteria 31 di Zemm, vicino a Belgrado. Nel 1881 fu congedato dall’esercito dell’imperatore.
«Un senso alla vita»: la diffusione dei libri in lingua romena
Dopo il congedo, Gheorghe Cârţan volle dare «un senso alla sua vita». Dopo essere passato da Oprea Cârţişoara, si diresse verso il Bărăgan dove incontrò il suo amico, Ion Cotigă, a cui aveva chiesto di custodire le sue pecore. Verso l’inizio del XXesimo secolo, Cărţan ricordava: «In Bărăgan ho letto per la prima volta l’Istoria Romanilor (La storia dei Romani) e poi quella dei Romeni, a volte perdevo le pecore, come il cieco la farina. Ero all’alpeggio con un certo Ion Cotigă, natio di Săcele. Suo padre era sottoprefetto del paese, lui… pastore! Aveva un asino carico con un sacco pieno di libri. Brava persona, lui. Ma se qualcuno toccava gli animali, lo picchiava a morte. Tra i libri nel sacco ho trovato i libri di cui vi ho parlato” [2]. Dalla pianura di Bărăgan prese con sé 400 pecore per portarle a Oprea Cârţişoara. Ma non fu fortunato. Durante il viaggio gli vennero confiscate alcune delle pecore e fu costretto a pagare multe e risarcimenti. Si rivolse alle autorità, ma queste glielo negarono. Decise di andare a Vienna per lamentarsi al cospetto dell’imperatore. Il 10 ottobre 1882 presentò una petizione all’imperatore: «Io, Gheorghe Cărţan, pastore di Oprea Cârţişoara, nella provincia di Făgăraş, nella primavera del 1882, quando tornavo dal Bărăgan con un gregge di 400 pecore, esse mi sono state rubate e sono stato derubato a Bârsa, con la scusa che le pecore erano entrate nei terreni dei padroni. Io ho pagato i danni, ma i sindaci e i notai mi hanno derubato portandomi via le pecore, perché i danni sono stati calcolati per un valore di dieci, venti volte superiore a quelli effettivi, sono arrivati con i gendarmi, mi hanno preso le pecore e le hanno date ai proprietari. Per Andraşu Frierieu di Prejmar hanno calcolato un danno di 584 fiorini, il valore del suo intero raccolto, mentre le pecore hanno appena toccato il suo trifoglio, e a me hanno sequestrato 101 pecore. A Johan Binder di Hărman hanno valutato un danno pari a 147 fiorini e 76 soldi e gli hanno preso 70 pecore. A Candit Vâlcu di Ghimbav un danno di 389 fiorini e gli hanno preso 77 pecore; a Matei Klein di Cristian un danno di 297 fiorini e 82 soldi e gli hanno tolto 100 pecore; a Peter Gross di Codlea un danno di 857 fiorini e gli hanno tolto 200 zloty e 27 pecore. A Dionisie Marcu di Târţari un danno di 243 fiorini, e gli hanno tolto anche 200 zloty e 20 pecore. A Ion Comşa di Vlădeni un danno di 85 fiorini e 10 soldi, e gli hanno tolto 5 pecore. Dopo essere stato derubato da sindaci e notai con l’aiuto dei gendarmi, li ho segnalati al comitato, ma invece di giudici ho trovato accusatori. Sono stato tre volte al comitato ma non è servito a nulla. La terza volta il presidente del comitato diede degli ordini, ma i pretori non hanno voluto saperne nulla dei suoi ordini. I sindaci, i notai e i pretori magiari dicevano di fregarsene, sono loro i ministri, sono loro a giudicarmi. Ho insistito. Mi è stato detto di andare a Făgăraş. Qui ho detto che avrei spifferato tutto al re, ma niente da fare. Ora, il 10 ottobre, protesto per la terza volta davanti all’imperatore e aspetto risposta, il qui sottoscritto. George Cărţan” [3]. Siccome la petizione era scritta in lingua romena, non fu presa in considerazione. Un ufficiale romeno di Vienna gli preparò la petizione in lingua tedesca. Cârţan aspettò giorno dopo giorno di essere convocato dal re. Ma niente, fu arrestato per sette giorni, l’ottavo fu mandato a Pesta. Capì che non poteva trovare giustizia dall’imperatore.
Di ritorno a casa continuò a svolgere la professione di pastore, ma pianificò di diffondere i libri in lingua romena. Presentò addirittura richiesta per l’approvazione di uno spaccio per «portare la lettera e il pensiero romeno tra i romeni della Transilvania in modo legale». Non ricevendo l’autorizzazione, Cârţan iniziò da solo a diffondere i libri romeni, portandoli lui stesso attraverso i «sentieri nascosti degli orsi» e le «dogane delle pecore». Ha affrontato molte situazioni, fu insultato, torturato, arrestato dalle autorità, accusato di spionaggio e di essere un sovvertitore contro lo stato ungherese. Il pastore autodidatta trasportò sulle spalle 100.000 abbecedari e libri in lingua romena portati dal «Paese», aprendo biblioteche di campagna e diffondendo «la luce» tra i romeni.
Nel 1892 i rappresentanti dei romeni della Transilvania avevano presentato all’imperatore un Memorandum per richiedere diritti e libertà per i romeni. I petitori furono fermati, processati, condannati e arrestati. Cârţan Gheorghe, presente in aula, da bravo romeno ritenne suo dovere andare a visitarli nelle prigioni di Seghedin e Vaţ. Se a Seghedin fu fatto entrare, a Vaţ il direttore gli negò il permesso perché era stato un sovvertitore.
Un aneddoto degno di essere ricordato è stato colto dal pubblicista D. Comşa: «Allora Badea Cârţan per dimostrare che non aveva dimenticato i martiri della sua stirpe, si sedette, quieto, davanti ai cancelli del penitenziario e, tirato fuori il flauto dalla cintola, iniziò a suonare a lungo una melodia come un lamento, per la sorpresa dei passanti ungheresi e per la gioia dei rinchiusi, usciti nel cortile e sui quali questo segno di vita trasmesso da al di là dei muri ebbe un profondo impatto [4]».
Nel 1895 Gheorghe Cârţan andò nella capitale della Romania, a Bucarest. Aveva letto Cronica di Gheorghe Şincai, rilesse Istoria Românilor supt Mihai Vodă Viteazul (La storia del Popolo Romeno sotto il Voivoda Michele il Coraggioso) scritta da Nicolae Balcescu e volle vedere la statua del grande regnante.
Arrivato davanti alla statua si inginocchiò come in un rituale: «Lode a te mio Signore, padrone di tutti i popoli, per aver aiutato il grande regnante Mihai il Coraggioso a sottomettere i turchi pagani e gli ungheresi truffatori. Fa sì che i suoi successori possano nuovamente attraversare le vette dei Carpazi e con le loro armate scacciare dalle pianure di Făgăraşi e dell’Ardeal tutti gli invasori e fa sì che nella fortezza di Alba Iulia possa nuovamente sorgere il sole della giustizia romena. Mio Signore, un gregge senza pastore si perde e viene divorato dai lupi, fa sì Signore che il nostro popola abbia bravi pastori che lo proteggano dai lupi. E lo portino alla liberazione. Amen [5]». Quella sera dormì sotto la statua di Michele il Coraggioso.
A Bucarest ebbe la fortuna di conoscere Ion Grama, proveniente dalla regione dell’Ardeal, impiegato presso il professore V. Alexandrescu Urechia, scrittore, storico, ministro della pubblica istruzione, accademico e presidente della lega per l’unità culturale dei romeni di tutto il mondo. Fu il professore a chiamarlo «Badea Cârţan» e questo gli rimase sia come nome che cognome. A Bucarest conobbe gli intellettuali dell’epoca, membri della «Lega culturale». Alcuni giornali hanno pubblicato degli articoli sul pastore proveniente dall’Ardeal che era venuto a Bucarest per vedere la statua di Mihai il Coraggioso. Andò via da Bucarest con giornali, ma soprattutto libri: di storia, geografia, grammatica e letteratura romena.
Il cammino verso Roma, verso la Colonna Traiana
Badea Cârţan è rimasto nella leggenda per il suo viaggio a piedi verso Roma, verso la Colonna Traiana, «atto di nascita del popolo romeno». Partì a piedi il 3 gennaio 1896 portando con sé un pugno di terra dal giardino di casa e del grano come dono per gli avi romani, una volta arrivato in Italia. Attraversò Timişoara, dove pernottò in una delle case che circondano la piazza che oggi porta il suo nome. Qui andò a cercare Valeriu Branişte, il direttore del giornale «Dreptatea», ma costui era ancora in prigione a Vaţ e contattò il redattore George Candrea, a cui promise di scrivere da Roma. Da Timişoara si diresse verso Budapest attraversando Becicherecul Mic, Periam, Sânnicolau Mare, Macău, Seghedin, Felegyhaza, Kecskemet, Cegled, dove arrivò il 17 gennaio. Senza soldi, iniziò a lavorare presso un ceramista magiaro. Dopo aver messo da parte del denaro, si rimise in cammino, attraversando Tata, Gyor, Neusidel, arrivando a Vienna il primo febbraio. Da Vienna si diresse verso l’Italia. Arrivato a Roma, dopo quarantatré giorni, si inginocchiò davanti alla base della Colonna: «Sia il grano sia la terra provengono dai successori di Sua Altezza, dalla Dacia, mio Imperatore. È grano bagnato con il nostro sudore, è terra bagnata con il nostro sangue! E Sua Altezza deve sapere che anche il nostro animo lo è: buono come il pane e paziente come la terra, ma con la speranza che il giorno della giustizia arriverà, una giustizia per cui i nostri hanno versato troppo sangue» [6]. Trascorse lì la notte, vicino alla Colonna. Al mattino, un ufficiale stava spiegando a un gruppo di bersaglieri le immagini della guerra daco-romana. Anche Badea Cârţan era sveglio. Alla sua vista, sorpresa. Si sentì una voce: «Un daco è sceso dalla Colonna! Un daco vivo!». Badea Cârţan replicò: «Io fratello, voi Roma, io România, pastore român». Il giorno dopo Badea Cârţan era già una leggenda, tutti i giornali parlavano del pastore romeno. Fu addirittura ricevuto in Vaticano, il cardinale Rompolla gli chiese se era romeno, e Badea Cârţan gli rispose in latino: «Cives romanus sum»!
Il 12 ottobre 1899 si svolse a Roma una manifestazione all’insegna dell’amicizia tra i due popoli, furono pronunciati discorsi, si cantò Ginta Latină di Vasile Alecsandri, l’inno Deşteaptă-te române!, furono conferite decorazioni e Badea Cârţan portò una corona di fiori alla base della «Colonna del Popolo», come è soprannominata dai romeni la Colonna Traiana.
Il pastore dell’Ardeal ebbe l’ambizione di arrivare in Francia, e ci arrivò. A Parigi, incontrando gli studenti francesi, disse: «Non dimenticate la sorte toccata a noi, romeni, rimasti soli di fronte all’invasione dei popoli barbari. Se non ci fossimo stati noi ad affrontarli, cosa ne sarebbe stato di voi? Protetti da noi avete avuto tempo per rafforzarvi e diventare sapienti. È giunto il momento che ci aiutiate a unirci e diventare un solo Paese”.
Il pastore romeno arrivò anche a Gerusalemme, al Santo Sepolcro, al Monte Sion e al fiume Giordano dove pregò in «lingua romena», come lui stesso aveva poi confessato. Nel corso della sua vita, Badea Cârţan, pastore dell’Ardeal, viaggiò andando in Romania, nell’Austro-Ungheria, in Italia, Svizzera, Germania, Francia, Palestina ed Egitto.
Una persona semplice, nota e stimata da politici, storici e scrittori come G. Tocilescu, N. Iorga, V.A. Urechea, G. Coşbuc, Spiru Haret, Take Ionescu ecc.
Gheorghe Cârţan spirò il 7 agosto 1911 a Sinaia, dove è stato sepolto. L’epigrafe sulla sua croce recita: «Qui dorme Badea Cârţan, sognando l’unità del popolo. Non dimentichiamolo».
Il grande storico Nicolae Iorga afferma con grande ammirazione: «Dietro di sé ha lasciato: la profonda convinzione di un contadino per i sogni dei pecorai del suo tempo e l’immensa fede nel libro in cui vedeva il perdono degli essere umani».
Nel 1968 a Cârţişoara (Sibiu) è stato aperto il Museo Etnografico Badea Cârţan.
L'edificio del museo donato da Silvia Frâncu, figlia del prete Vulcanu di Cârţişoara
Questo è Badea Cârţan, un pastore, un romeno che ha trasformato il suo nome in fama, un uomo che ha onorato il suo popolo.
Ionel Cionchin
Traduzione dal romeno di Elena Levarda
(n. 1, gennaio 2022, anno XII)
NOTE
1. Magda Ghinea, Badea Cârţan – cerşetorul de lumină, in „Dacoromânia”, Bucureşti, 2001, an VI, n. 4 (21-24), p. 9.
2. Ion Dianu, Pe urmele lui Badea Cârţan, Editura Sport-Turism, Bucureşti, 1979, pp. 102-103.
3. Ibidem, pp. 105-106.
4. Vasile Netea, Istoria Memorandului, Bucureşti, 1946, p. 56.
5. Ion Dianu, op. cit., p. 135.
6. Ibidem, p. 146.
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