La «rivoluzione culturale» della neoavanguardia

«Le ferite che noi avevamo tentato di provocare nell'establishment sono state tutte rapidamente ricucite. La grande speranza di allargare il movimento... in realtà non si concretizzò: fummo meno contagiosi di quanto avremmo sperato. La nostra avventura rimase un episodio isolato, ripetendo quindi il destino delle vecchie avanguardie. Non che noi volessimo proprio cambiare il mondo e la vita, ma certo avevamo il desiderio di una nostra vera rivoluzione culturale». (F. Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Anabasi, Milano 1993, p. 7)

È noto che ogni iniziativa che riguarda la neoavanguardia italiana e il gruppo ’63 è spesso accompagnata da polemiche e vivaci discussioni. Ma perché tanto chiasso intorno a delle questioni che sembrano ormai invecchiate e superate? La spiegazione sta principalmente nel fatto che con l'affermazione della neoavanguardia si è creata all'interno della società letteraria italiana una frattura ancora per molti versi aperta, e mentre molti dei suoi rappresentanti ancora oggi difendono la validità e l'attualità di molte delle loro battaglie di allora, i loro più agguerriti avversari ne continuano a condannare l'improvvisazione, l'eclettismo, lo specialismo, l'opportunismo ecc. ecc. In realtà sul gruppo '63 poco rimane da aggiungere a quello che è stato abbondantemente detto e scritto nello scorso cinquantennio.
La neoavanguardia iniziò a fare i primi passi a metà degli anni Cinquanta, quando, in concomitanza della crisi del marxismo tradizionale e dell'affermazione del cosiddetto miracolo economico, della società di massa e della moderna industria culturale, si manifestavano i primi segni di una nuova sensibilità, di un nuovo modo di intendere la realtà, l'arte e la letteratura. Infatti, la crisi dell'idealismo, del marxismo ufficiale, dell'ermetismo e del neorealismo spinse molti giovani scrittori italiani a cercare nuove strade, nuove forme espressive, ad utilizzare nuovi strumenti di conoscenza e di interpretazione dei fenomeni culturali, letterari e artistici.
Il movimento neoavanguardistico venne in qualche modo patrocinato da Luciano Anceschi, docente di Estetica a Bologna e allievo di Antonio Banfi, che proprio nel 1956 fondò la rivista «Il Verri», intorno alla quale incominciarono a raccogliersi i primi rappresentanti del futuro gruppo '63 e che divenne ben presto un importante strumento di battaglia culturale.
Di fatto ciò che sin dall'inizio caratterizzò la neoavanguardia fu il secco rifiuto dei valori della tradizione culturale, delle forme e delle strutture artistiche e letterarie codificate con l'obiettivo di creare una letteratura e un’arte sperimentale, di aggredire l'arretratezza e il provincialismo della cultura italiana, cioè di aggiornarla, di modernizzarla, di metterla al passo con la più avanzata cultura internazionale. Nelle affermazioni dei neoavanguardisti c'era la determinazione che bisognava partire da una sorta di azzeramento della storia e della cultura: il passato appariva ai loro occhi come un cumulo di rovine, un insieme di valori da rinnegare e da sbeffeggiare, anche se della tradizione venivano riconsiderate e rivalutate la produzione artistica e letteraria delle avanguardie storiche e di alcune figure di precursori e di isolati, rinnegate ingiustamente prima dal fascismo e dall'idealismo e poi dal comunismo ortodosso.
Di qui la dura e reiterata polemica nei confronti dello storicismo crociano e marxista, della retorica nazional-popolare e dei buoni sentimenti, della letteratura d'intrattenimento: così vengono via via stroncate le opere di Tomasi di Lampedusa, Cassola e Bassani (successivamente definiti da Sanguineti le nuove ‘Liale’), che secondo i neoavanguardisti si ostinavano a ripetere moduli narrativi e poetici logori e superati, rimanendo prigionieri di una vecchia visione del mondo, dell'arte e della letteratura.
Tuttavia bisogna subito dire che sebbene il loro lavoro di revisione e la loro battaglia critica partissero da un'esigenza reale, cioè dalla necessità di scaricare la vecchia zavorra e cogliessero spesso nel segno, la loro polemica sfociava, alle volte, nella chiacchiera e nella banalità, in una liquidazione sommaria e terroristica anche di quelle significative esperienze, dei vari Fortini, Pasolini, Volponi e Roversi, che, seppure con grande fatica, partecipavano dalle pagine di «Officina» e di altre riviste a quel moto di rinnovamento della cultura e della letteratura avviato proprio nella seconda metà degli anni cinquanta.
In realtà la polemica dei neoavanguardisti con l'andare del tempo aveva finito per coinvolgere qualsiasi tipo di ‘impegno’ a favore, appunto, di una letteratura ‘a-ideologica’, ‘autonoma’, ‘disimpegnata’, mentre sul piano teorico e metodologico venivano utilizzati tutti gli strumenti ‘moderni’ e ‘scientifici’ per analizzare e interpretare il testo letterario o artistico, del quale venivano per lo più posti in risalto gli aspetti formali e strutturali e quasi mai rapportato alla storia, come se fosse un prodotto dello ‘spirito’. Insomma, lo ‘specialismo’ e ‘l'eclettismo’ erano i principali supporti di quel metodo critico che rimaneva tutto interno al testo. È ovvio che tra i vari rappresentanti del gruppo – ad esempio, tra la linea a-ideologica rappresentata principalmente da Angelo Guglielmi, la linea fenomenologica da Barilli e la linea marxista-materialista da Sanguineti (che rimane la personalità più lucida e complessa della neoavanguardia) – esistevano sostanziali differenze, che via via si accentuarono sempre più, ma è pur vero che queste diversità venivano inglobate e neutralizzate dalla loro attività collettiva, che sul piano pratico-politico mancava di una comune prospettiva di critica radicale del tradizionale ruolo dello scrittore e della società capitalistica. Tanto è vero che la spinta innovatrice si risolveva nei più in una frenetica, superficiale e acritica attività di aggiornamento e ammodernamento teorico e metodologico e formale, in cui posizioni diverse e contrastanti convivevano e si confondevano dentro una visione aideologica, astorica e neutrale della cultura e della letteratura.
Da questo punto di vista possiamo senz'altro affermare che la neoavanguardia aiutò il processo di svecchiamento culturale, l'affermazione delle scienze umane (linguistica, sociologia, psicoanalisi, antropologia ecc.), che proprio in quegli anni cominciavano a essere riconosciute ufficialmente dal sistema culturale italiano, il rinnovamento delle forme della comunicazione, del linguaggio critico, poetico e narrativo svolgendo una funzione molto positiva, ma senza una chiara volontà di rottura la loro azione collettiva risultò, a conti fatti, ‘organica’ alla politica modernizzante del sistema neocapitalistico, alla ‘programmazione democratica’, alla ‘operazione Gattopardo’ del centro-sinistra.
E se paragonati ai contemporanei esperimenti dei francesi del nouveau roman o dei tedeschi Uwe Jonson, Gunther Grass e Hans Magnus Enzensberger, per non parlare dei grandi modelli dell'avanguardia storica, le conclamate innovazioni di molti testi creativi degli esponenti della nuova avanguardia non appaiono così ‘rivoluzionari’ come a quel tempo loro volevano farli sembrare; anzi possono addirittura apparire, se inseriti in un quadro internazionale, abbastanza provinciali, tanto che se si eccettuano alcune opere di critica, più che di poesia e di narrativa, pochissimo ha resistito all'usura del tempo, anche se non bisogna neppure negare che se oggi molte di quelle prove poetiche e narrative fanno sorridere persino i lettori più benevoli a quel tempo non mancarono di una certa forza d'urto.
In effetti tutta l’operazione della neoavanguardia (e prima delle avanguardie storiche) nasce dalla fiducia nella funzione provocatoria e critica dell'arte e della letteratura sperimentale, e quindi nella sua capacità di incidere sulla realtà, dalla convinzione e dalla illusione di poter sottrarre l'opera d'arte al processo di reificazione rendendola meno consumabile, cioè sconvolgendo il senso e l'ordine del discorso, i generi, le strutture e le forme codificate della tradizione, modificando il rapporto tra le diverse arti, tra autore e pubblico, tra testo e contesto.
Non a caso la ricerca dello choc, dello scandalo e della provocazione, con l'uso del collage, del nonsense, dell'asintattismo, del plurilinguismo ecc., rappresenta la manifestazione più singolare e appariscente dell'arte e della letteratura d'avanguardia. Da questo punto di vista la neoavanguardia non fa che riprendere, imitare, estremizzare, sicuramente con maggior calcolo e consapevolezza, le invenzioni linguistiche, le tecniche compositive, gli atteggiamenti manifestati dagli autori delle avanguardie storiche. Inoltre, bisogna tenere presente che anche la neoavanguardia rimase, come le vecchie avanguardie un fenomeno culturale elitario, circoscritto nell'ambito di un ristretto pubblico borghese e piccolo-borghese, un movimento promosso da una équipe di intellettuali che intendeva rivolgersi principalmente ad altri intellettuali.
La pubblicazione dell'antologia I novissimi (Rusconi e Paolazzi, 1961, poi Einaudi, 1965) segnò la trasformazione della neoavanguardia da movimento di opinione in gruppo, in un collettivo organizzato la cui azione era rivolta alla ricerca di un riconoscimento da parte del pubblico e del contesto culturale. E due anni dopo la fondazione del gruppo '63, avvenuta al convegno di Palermo dei primi di ottobre dello stesso anno, sancì ufficialmente questo passaggio, la trasformazione della neoavanguardia in una moderna impresa culturale con la «consapevolezza della società neocapitalistica in cui si trovava a operare» e che cercava «di adeguare ad essa i suoi mezzi, la sua tattica e strategia politico-culturale» (Giancarlo Ferretti, La letteratura del rifiuto e altri scritti, Mursia, Milano J 981, 2° ed. accresciuta, p. 285).
Il modello più vicino al quale si fece riferimento fu il gruppo ’47 tedesco, ma il gruppo '63 presentava diverse analogie anche con i gruppi organizzati delle avanguardie storiche, e specialmente con il futurismo italiano, inventato e guidato da quel grande impresario e organizzatore culturale che fu Filippo Tommaso Marinetti. Infatti, come la prima avanguardia anche la nuova avanguardia si era organizzata intorno alla figura di un leader, ma mentre nel futurismo il leader si trovava alla guida di una setta, provvista di un'ideologia ‘globale’ e totalitaria, e ne garantiva l'ortodossia, la seconda non riuscì mai a dotarsi di un'ideologia organica e unitaria, anche se gli sforzi in questa direzione non sono di certo mancati, e la figura del leader-maestro (Anceschi) aveva assunto un ruolo principalmente simbolico e i vari esponenti partecipavano all’attività e allo sviluppo dell'impresa culturale in maniera paritaria e democratica. Inoltre, e questa è la più importante analogia, come il futurismo anche la neoavanguardia usò tutti gli strumenti moderni (giornali, Rai-Tv, riviste, pubblicità ecc.) ai fini autopromozionali.
L'idea del convegno palermitano venne a Enrico Filippini, che l'anno prima aveva partecipato a Berlino a una riunione del gruppo ’47, ma fu principalmente Nanni Balestrini a tessere la tela dell'organizzazione. La scelta del luogo di incontro cadde su Palermo perché proprio in quel periodo, dal 1960, vi si teneva la «Settimana della nuova musica», che era diventato un evento culturale di largo interesse con la presenza di numerosi artisti, scrittori e giornalisti, non solo italiani; quindi esisteva il vantaggio di inserirsi in un'esperienza già consolidata, la possibilità di acquistare subito una certa notorietà e di fare notizia. Durante le discussioni e gli incontri volarono alcune battute trasgressive e polemiche nei confronti di alcuni scrittori ‘blasonati’ e di successo, così alcuni giornalisti colorarono il convegno e lo descrissero come un avvenimento mondano, e in poco tempo il gruppo '63 da movimento letterario venne trasformato in fenomeno di costume. Comunque, al di là di questi aspetti esteriori e meno significativi, nei sei anni successivi intorno a Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Umberto Eco e Renato Barilli si raccolse una quarantina di scrittori poeti e critici, e così il laboratorio della neoavanguardia divenne sempre più ampio mettendo in campo una moltitudine di iniziative: si organizzarono convegni, dibattiti, letture pubbliche, happening, si fondarono nuove riviste, si pubblicarono alcune antologie (spesso discutibili), si allacciarono nuovi rapporti editoriali e si avviarono contatti con le neoavanguardie internazionali. Solo per ricordare alcuni dati: Feltrinelli, Einaudi, «Il Corriere della Sera» e la rivista «il menabò» di Vittorini e Calvino aprirono le porte agli autori del gruppo ’63, nel convegno palermitano del 1965 venne scelto come tema il «romanzo sperimentale», nel 1963 nacque a Genova la rivista «Marcatré», l’anno seguente vennero fondate «Malebolge» e «Grammatica» ecc. Inoltre, bisogna considerare che l’avvento del gruppo ‘63 costrinse molti scrittori e critici letterari e artistici a fare i conti con il passato e con la loro condizione e a confrontarsi con questa multiforme attività culturale e letteraria, che aveva l’obiettivo di dare una spallata al vecchio establishment, a sostituire i cosiddetti notabili della cultura, di cui, però, si continuarono a ricalcare, magari con un po' più di boria e spregiudicatezza, i vecchi vizi e i vecchi privilegi, con troppo rispetto delle regole e dei valori dell'industria culturale e della società capitalistica (ovviamente questo atteggiamento contraddittorio, non fece che attutire, smorzare la forza delle loro provocazioni, offuscare il senso della loro rivolta letteraria).
Non a caso il gruppo ’63 venne spazzato via dalla contestazione studentesca e operaia del 1968-69 che mise in discussione proprio i valori della società capitalistica, i vecchi privilegi, l'autonomia dell'intellettuale e il primato della letteratura, ponendo di nuovo all'ordine del giorno il rapporto tra letteratura e politica, tra cultura e rivoluzione, anche se con la rivista «Quindici» la neoavanguardia cercò affannosamente di mettersi al passo coi tempi. Si esaurì così l'esperienza del gruppo '63, la cui attività testimonia ancora una volta che con i proclami e le parole d'ordine si possono compilare solo dei manifesti, ma non si scrive della buona letteratura, tanto è vero che la maggior parte dei poeti e degli scrittori della neoavanguardia (per i critici il discorso è diverso) ha composto le opere più significative dopo la fine dell'esperienza di gruppo.



Giuseppe Muraca
(n. 11, novembre 2024, anno XIV)