Il 4 marzo 1989 Gilles Deleuze scriveva a Gherasim Luca queste parole:
«La serata […] è stata sconvolgente. Voi date alla poesia una vita, una forza, un rigore che è pari solo ai più grandi poeti. Voi appartenete proprio a questi. Provo un’ammirazione e un rispetto per il vostro genio che ogni volta che vi ascolto o vi leggo, è una scoperta assoluta. Grazie per avermi mandato Le Tourbillon qui repose: è splendido. Nella vostra opera, sono sempre più colpito dalla potenza di una logica singolare, che muove ogni poema. Credete, vi prego, al mio attaccamento profondo».
Già alcuni anni prima, nel 1973, Gilles Deleuze aveva scritto questo:
«Oggi il più grande poeta francese vivente è un romeno. […] Gherasim Luca è un grande poeta fra i più grandi: ha inventato un balbettamento prodigioso, il suo. Gli è capitato di fare delle letture pubbliche dei suoi poemi: duecento persone, e tuttavia bisogna considerarlo un evento, è un evento che passerà attraverso questi duecento senza far parte di nessuna scuola o movimento. Le cose non capitano mai là dove ci si aspetta, né attraverso i percorsi previsti».
Ancora oggi abbiamo la possibilità di ascoltare la voce balbettante di Gherasim Luca mentre interpreta il suo poema più famoso che si intitola Passionnément. Passionnément è una performance poetica e teatrale che verrà ripresa e interpretata anche da altri poeti e artisti. Questo poema, che è stato giustamente definito deleuziano, fu pubblicato per la prima volta dall’autore su «Infra-Noir» nel 1947 a Bucarest e fu composto in Romania direttamente in francese. Passionnément è una singolare dichiarazione di amore, un piccolo incantesimo che si ripete a distanza. A partire da un timido e angosciato balbettamento, che tradisce una voce straniera poeticamente innamorata, si assiste miracolosamente alla creazione del mondo: je t’aime passionnénent. Je t’aime passionnénent è il performativo assoluto dell’amore che segnerà l’ingresso di Gherasim Luca nella sua cabala fonetica, in questo rapporto fisico con le parole dove i suoni riproducono infinitamente il taglio del reale.
Ma prima di arrivare a questo modo prodigioso di aprire le parole, attraverso i tagli operati dalla ripetizione acustica sulla lingua, Gherasim Luca aveva percorso in Romania una traiettoria crudelmente rivoluzionaria. La testimonianza più estrema di questa esperienza incandescente di scrittura è contenuta nel testo Inventatorul Iubirii [L’Inventore dell’Amore].
Quest’opera, scritta durante l’orrore della guerra e pubblicata per la prima volta in romeno nel 1945, è ancora oggi scandalosa. L’Inventore dell’Amore è una prosa poetica attraversata da un’implacabile dialettica negativa e da una terribile passione per il sacrilegio. Indossando la maschera trasgressiva del vampiro, il poeta aveva spettacolarmente allestito scene di violenza degne del divino marchese de Sade. Con questo documento Gherasim Luca aveva esaltato eccesso, la crudeltà erotica, il gusto del macabro, la sfida demoniaca.
L’Inventore dell’Amore è comunque anche un testo allegorico. Il protagonista assoluto di questo lungo poema è «Non-Edipo». Chi è «Non-Edipo»? «Non-Edipo» è un nome d’invenzione e rappresenta l’esatta antitesi dell’Edipo freudiano. «Non-Edipo» è l’incarnazione del nuovo soggetto amoroso che, nel fantasma del suo nome, orienta i desideri più esorbitanti e scabrosi del genere umano. Secondo Luca, «Non-Edipo» si oppone al «fantasma regressivo dell’edipo», il quale non è altro che la formazione carceraria di un inconscio sociale, di tipo reazionario, che si è gradualmente sedimentato nel corso della storia dell’umanità.
Gherasim Luca sa bene che nessuno può sfuggire all’Edipo freudiano. L’Edipo, come si sa, è un complesso che non solo descrive uno stato di fatto psicologico, ma designa una struttura di linguaggio che indica il fondo enigmatico del desiderio e anche ciò che sta alla base delle sofferenze nevrotiche.
Partendo da Il tramonto del complesso edipico di Freud, l’intenzione teorica che anima L’Inventore dell’Amore è quello di liberare il soggetto dell’inconscio dalle maglie troppo strette e soffocanti della «posizione edipica», stabilendo così un inedito scenario per il dispiegarsi di insoliti desideri. Per affrancarsi dall’Edipo, secondo Luca, è necessario un duro e faticoso processo di soggettivazione del desiderio in grado di sconvolgere le frontiere tra ciò che si conosce e l’ignoto. Ciò sarebbe possibile solo se l’umanità è disposta a mettere in moto le sue risorse dialettiche, negative e desideranti, in grado di produrre sempre nuove connessioni e aperture, realizzando così una rivoluzione permanente non solo in ambito poetico ed artistico ma anche sul piano politico.
«Non-Edipo» dovrebbe quindi rappresentare la nuova posizione soggettiva dell’umanità in contrapposizione a quella edipica, che è fonte di ogni ostacolo per il progresso emancipativo e trasformativo del mondo. Ma per far questo l’umanità dovrebbe accettare il rischio della follia, attraversare quella follia per separarsene, e solo in questo modo, con «un salto formidabile», avrebbe la possibilità di «scoprire» e insieme di «inventare un nuovo mondo», ponendosi all’altezza del «desiderio di desiderare».
In un secolo – come il nostro – segnato dal terribile tracollo delle utopie emancipative e dalla crescente pervasività del sistema economico capitalista, credo che sia necessario dare asilo politico a Gherasim Luca, lasciare un posto libero alla sua soggettività, non solo poetica, ma anche a quella più appassionatamente politica, senza troppe censure.
Gherasim Luca, dopo essere scampato all’eccidio ebraico durante la dittatura nazifascista e non essendo poi più libero di esprimersi nella Romania stalinista, nel 1952 fu costretto a fuggire in esilio a Parigi, attraverso un visto per Israele.
In Francia, non avendo documenti di identità, a chi gli chiedeva la sua provenienza, il poeta rispondeva di essere un étranjuif. Con questo termine Gherasim Luca riconosceva di essere e insieme di non essere in rapporto con l’ebraismo, e indicava allo stesso tempo la sua duplice appartenenza e disappartenenza identitaria e religiosa. Essere étranjuif significa per Luca non solo esilio forzato, perdita di identità, vertigine, scivolamento, caduta dell’Io, ma indica soprattutto l’assunzione della verità inconscia del «proprio» desiderio come segno irrinunciabile di libertà.
Durante la sua vita, Gherasim Luca ha occupato il posto della singolarità, dell’eccezione, del desiderio di desiderare, del miracolo della parola, ma anche quello dell’esilio, di ciò che è escluso, di colui che non ha ricevuto il diritto d’asilo, di cittadinanza. L’unico posto a lui riservato nel mondo era quello della poesia.
Secondo i quotidiani parigini, Gherasim Luca, prima di morire, consegnò in un foglio questa frase: «Volevo solo abbandonare un mondo dove non c’è più posto per i poeti». Questo è l’ultimo messaggio che Gherasim Luca scrisse alla sua compagna prima di lasciarsi sommergere dalla Senna nel 1994, all’età di 81 anni.
È proprio a partire da questo riferimento iperbolico registrato sulla stampa – cioè a partire da una soggettività desiderante che assume appassionatamente la scissione e il fallimento del soggetto stesso – che è necessario oggi produrre o reinventare un inconscio, un inconscio che sia capace di proiezione verso il futuro e che sia garante di una politica di emancipazione, un inconscio che dia ancora voce a chi non è rappresentato e che di fatto vive invisibile, in maniera quasi spettrale, ai margini del nostro campo sociale.
In questo senso Gherasim Luca fa ancora traccia al di qua e al di là della sua straordinaria opera poetica e artistica. Gherasim Luca ci ha consegnato una testimonianza incredibile che suona per noi come una sirena d’allarme e che ci richiama quindi, responsabilmente, al compito del pensiero.
Giovanni Rotiroti
(n. 4, aprile 2012, anno II)