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Eminescu, l’eterno mattino della creazione tra proiezioni e maschere
Le poesie e le prose giovanili di Mihai Eminescu sono altrettante proiezioni, maschere, avatar lirico-drammatici e filosofici dell’autore stesso. Personaggi come Toma Nour, Ioan (del romanzo Geniu pustiu tradotto dal compianto Marin Mincu con “Genio desolato”), Andrei Mureşanu oppure Horia, che incarnano tanto il tentativo titanico o luciferico del demonio romantico, rivoltoso, quanto la ricerca dell’assoluto (nel racconto d’ispirazione fantastica Sărmanul Dionis – Povero Dionigi, una natura faustica, un metafisico interessato dalla necromanzia, dall’astrologia, tentato dalla regressione nel tempo, ma anche dall’ascensione cosmica, fonte mitopoetica del “mago viaggiatore tra le stelle”. Il discorso di questo tipo d’eroe è uno eclettico, che riflette la slancio dell’autore autodidatta e insieme il suo patos cognitivo.
Oltre la prosa fantastica, molte volte speciosa, il poeta abborda le grandi idee della poetica del sogno romantico (Mortua est, Memento mori ecc.). Lettore appassionato della filosofia di Kant e Schopenhauer, dà vita ad un personaggio come Ieronim (nella novella Cesara), un giovane e affascinante asceta scettico il cui credo è lo sbarazzarsi dagli istinti a favore di una purezza sovrumana vicina all’assoluto sotto il raggio immacolato dei primordi. Abbiamo così una chiave dell’estetica del romanticismo, dell’espansione cosmica e del delirio uranico, del ritiro nell’isola paradisiaca dell’evasionismo (di Euthanasius) e dell’anelito della dispersione-scioglimento in tutto e nel nulla – cupio dissolvi – (vedasi il testo poetico La preghiera di un daco).
La visione addolorata di Eminescu tratta dalle leggi della storia e dell’universo trova conforto sia nella “nazione e religione” che nel mito (“con sorgive di pensieri e con fiumi di canzoni”) o nell’amore, altrettanti nuclei della creatività contro “il genio della morte”, il non-essere, le chimere. Il giovane Eminescu non esita a fare del sogno un mezzo per abolire il tempo e lo spazio, lo prova il crono-viaggio del monaco Dan, studioso di cabala e metempsicosi. Lo stile del poeta, e soprattutto del prosatore, ancora in cerca di sé, spesso digressivo e oscuro, si sta illuminando in una prima, fondamentale rivoluzione del linguaggio, visibile nella grande stagione della poesia erotica (a partire da Venere e Madonna) e non solo. Un tema apparentato sarà quello della meditazione filosofica e dell’ironia romantica. Le sue poesie d’amore, la cui genesi si può ritrovare talvolta nelle esperienze personali, raggiungono accenti dell’adorazione senza limiti, sovrumani, come ad esempio gli innamorati che seppure popolano la realtà tangibile, decollano nell’onirico, nella magia cosmica, nell’età d’oro (Freamăt de codru - Fremito di bosco, Floare albastră - Fiore azzurro, Dorinţa - Il desiderio, I Sonetti, Sara pe deal - Sull’imbrunir, De câte ori, iubito - Ogni qual volta, amore, Atât de fragedă - Così soave ecc.). Sono titoli di alcuni gioielli melodici che fanno da sublime eco al vitale, elegiaco anelito-tensione dell’idillio e delle nozze, della dispersione-scioglimento nell’armonia e nell’essenza autentica del mondo.
Ambienti e stati d’animo, gli stessi da sempre ma irrepetibili, avventura e disavventura, solitudine, separazione, gioire e gaudio condiviso, lucidità, frustrazione, amore e morte, illusione e disinganno (Venere e Madonna, Scrisoarea IV, V – Epistola IV, V) compongono un compendio dell’anelito emineschiano (irrefrenabile desiderio-nostalgia chiamato in romeno dor, che ha un equivalente solo nel portoghese saudade). Sentimento che anticipa la sfida romantica e il divorzio irreversibile dal gretto universo umano (vedasi le poesie Glossa, Mai am un singur dor - Ho più un sol desio (più le varianti) e il poema-capolavoro Iperione.
Dalle poesie epiche (ricordiamo che la ballata, la doina, accanto alla fiaba, furono le prime forme della nostra letteratura folklorica), ampie, brillanti anche per la loro prosodia classica, i cui protagonisti sono lo scienziato-filosofo (Epistola I), il letterato (Epistola II), il patriota (Epistola III), l’innamorato (Epistola IV e Epistola V), il genio sovrumano attratto da un essere umano (Iperione) che mettono in scena l’assoluto morale ed estetico malgrado la degradazione dei valori e dei costumi dell’epoca, fino all’anelito della scomparsa (“E nell’eterno buio senz’orma mi dileguo”), il supremo traguardo della Nirvana del buddismo (vedasi la poesia La preghiera di un daco),non è che un passo.
L’ingegnosità contrastiva delle metafore fornite di virtù aforistiche riesce a perfezionare la visione del poeta, atte a ideare la morte del tempo, del cosmo e del logos, e al tempo stesso, a dipingere l’eterno mattino della creazione. L’artista disilluso dalla nullità dei suoi contemporanei (in sede politica, erotica, etica) non ha altra via da scegliere se non quella del ricorso mitopoetico, id est la proiezione ideale della patria e della nazione, dei “sacri ingegni visionari”, al seno di cui gli accenti del suo esilio sulla terra, assalito dai grotteschi avversari e detrattori, si attenuano e si convertono in leggenda, serenità, sogno regressivo.
Il vero trionfo, però, il poeta lo consegue nel mondo delle idee, con il poema Iperione (1883), una sintesi della creazione emineschiana che vi raggiunge la piena maturità espressiva. Qui il poeta-albatro allarga le sue ali in tutta la loro magnifica ampiezza. La metafora rivelatrice del suo capolavoro è appunto il volo salvifico, il distacco del genio (Iperione) dalla labile contingenza incarnata dalla terrestre Catalina. La doppia valenza, tra angelo e demonio, l’essere immortale del mite Iperione fa nascere nella bella fanciulla sognatrice d’astri la determinazione di rompere quell’impossibile rapporto. Rassegnata, riconosce la propria fatalità biologica di essere mortale e accetta la corte fattale da un suo prossimo mortale (simile a lei), non altro che il paggio, infante assai furbo, Catalin.
La fanciulla di cui si è innamorato casualmente Iperione rappresenta l’angusto cerchio, la congiura umana, storica e ontologica, addirittura buffa e meschina nei confronti del sovrumano destino di Iperione. Dice il compianto Marin Mincu nel suo studio Il dilemma emineschiano: “Catalina possiede la vita effimera e la morte eterna. Iperione possiede la vita eterna e desidera la morte effimera e ipotetica dell’amore. Catalina è per Iperione una mortale, Iperione è per Catalina un “morto”. (...). Il loro dialogo comprende, inconsciamente, il dilemma romantico dell’essenza della vita e della morte”.
Fiducioso nella coscienza che è di per se stessa il proprio mondo, capace quindi di generare il sogno poetico e l’estetica della forma, Eminescu ritrova l’essenza della vita, Tat twam asi (nel sanscrito: tu sei l’essere fonte di senso), alla confluenza delle Upanishad con la filosofia kantiana.
Conservatore per vocazione, anche grazie alle sue letture buddiste e kantiane che legittimavano la sovranità delle gerarchie e delle élites, dei caratteri forti destinati a padroneggiare gli istinti, le passioni, gli sfoghi spesse volte irragionevoli e violenti, Mihai Eminescu si fa sentire non solo nel ritorno d’Iperione alla sua autentica essenza di pensiero pensante, ma anche nella saggezza del Cesare, uno dei protagonisti del poema Împărat şi proletar – Imperatore e proletario: per lui esiste solo la legge morale interiore che esclude la furia vendicatrice e egualitaria, il pragmatismo e la contingenza.
Il dirottamento retorico del piano semantico, premeditato da Eminescu stesso, genera la confusione d’appartenenza delle due coscienze, quella empirica del proletario, e quella trascendente del Cesare, in cui dobbiamo riconoscere la sensibilità delle forme intuitive e il pensiero etico e morale del poeta, nonché i suoi concetti aprioristici di spazio-tempo-causalità che hanno segnato tutte le opere del Nostro.
Geo Vasile
(n. 1, gennaio 2012, anno II) |
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