L’egemonia dello Stato sul corpo femminile

Recentemente è uscito per Fazi Editore il romanzo della scrittrice svedese Ninni Holmqvist con la traduzione di Margherita Podestà Heir, il romanzo distopico L’Unità (Ehhet, 2024). Il romanzo di Holmqvist possiede temi in comune con Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (The handmaid’s Tale, 1985) e anche con Filio non è a casa della scrittrice e autrice slovena Berta Boeta Bojetu (Filio ni doma, 1990) pubblicato in Italia nel 2023 con la traduzione di Patrizia Raveggi dalla casa editrice Voland. Il punto in comune che hanno queste scrittrici insieme all’autrice romena Liliana Lazar è che mettono in rilievo la questione della condizione femminile, in particolare per quanto riguarda il corpo. La donna poiché detiene il potere di generare: «necessita da sempre un serrato controllo sociale» [1]. In questo scenario è possibile richiamare l’attenzione dell’attivista, giornalista e saggista italiana Lea Melandri: «Il corpo non ha mai smesso di essere vissuto come qualcosa di esterno/interno, una localizzazione forzata, un involucro che ha leggi e limiti propri» [2]. È sulla scia della sociologa Borgna che si può, ancora una volta osservare come il corpo femminile diventi una proprietà dello Stato: «Lo Stato scrive Foucault è sovrastrutturale in rapporto a tutt’una serie di reti di potere che passano attraverso i corpi, la sessualità, la famiglia, gli atteggiamenti, le tecniche, ecc.» [3]. Il corpo femminile capace di generare porta allo Stato a farlo diventare un problema «pubblico» e non privato. Prima di andare a discorrere sui romanzi menzionati sopra, è utile comprendere come il corpo femminile sia, ancora oggi un problema della società, e che non ci sia ancora una vera e propria «riappropriazione» del corpo, specialmente per quanto riguarda il problema dell’aborto. Il punto dell’aborto diventa un problema focale nelle opere citate. Abortire è una questione che sollecita una «riflessione» non solo da parte della società che guarda a ciò come uno «stigma» ma anche alla religione. «I greci, i quali sembra fossero molto versati nell’uso di mezzi di comunicazione visiva, dettero origine alla parola “stigma”’ per indicare quei segni fisici che caratterizzano quel tanto insolito e criticabile della condizione morale di chi ne ha. Questi segni venivano incisi col coltello o impressi a fuoco nel fuoco e rendevano chiaro a tutti che chi li portava era uno schiavo, un criminale, o comunque una persona segnata» [4]. Chi provocava un aborto era «una persona segnata» e questo è ancora un problema aperto, e anche oggetto di studi. Il controllo sociale da parte dell’uomo e dello Stato sul corpo femminile è per l’uomo una situazione dove egli deve cercare di mantenere «ordine sociale», siccome: «le donne sono concepite come incapaci di essere libere quanto gli uomini, e poiché questa libertà è percepita potenzialmente pericolosa» [5]. Il titolo della scrittrice romena nata in una regione della Moldavia, Liliana Lazar, scrive il romanzo come si evince dal titolo in francese e non nella sua lingua madre. Nella lingua italiana con la traduzione di Camilla Diez e pubblicato dall’editrice 66thand2nd sta a significare: «I figli del diavolo» ed è un chiaro riferimento alla questione dei bambini, siccome il tema messo in rilievo dall’autrice sono i bambini che vengono mandati in orfanotrofio. Il corpo generatore doveva essere capace di «proteggere» la nazione accontentando il «Decreto 770-1966» promulgata da Nicolae Ceaușescu. Il Decreto riguardava la questione della natalità nella Romania di Ceaușescu, far crescere la nazione attraverso la procreazione, qui, come si vede, è il corpo femminile che viene messo sotto al controllo sociale. Appena entriamo nel mondo circoscritto dalla scrittrice, comprendiamo già quale sarà la portata del romanzo, poiché l’epigrafe ci dice tutto: «Dio disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela» (Genesi, 1, 28). Il romanzo parla di una ostetrica di nome Elena Cosma che desidera diventare madre, ma non può esserlo, e per questo motivo, viene vista con una certa condanna da parte della società e delle donne. Il contributo di Elena Cosma alla nazione lo dà mediante il suo lavoro di ostetrica, siccome come abbiamo accennato, il corpo femminile viene sottoposto al controllo non solo dallo Stato, ma anche dalla medicina. Il lavoro di Elena la porta a far acuire ancora di più il desiderio di diventare madre, tanto a portarla a fare un patto con una donna. Inoltre, il suo mestiere la relega in quella posizione di potere, siccome: «detiene il potere di cancellare e di controllare lo stato delle nascite». Fa parte dello Stato ma allo stesso tempo quando diventa madre, passa da quella che fa la «spia» per coloro che contravvengono al decreto a quelli della Securitate a quella che invece è lei stessa ad aver commesso un «crimine». L’accordo che fa diventare Elena Cosma una criminale riguarda la questione del «decreto», questo riguardava la possibilità di contribuire alla crescita della nazione attraverso i bambini. Le famiglie che detenevano quattro figli potevano al seguito, abortire, al contrario di questo, non avevano, invece la possibilità di farlo. «I metodi contraccettivi sono riservati alle donne con almeno quattro figli. L’aborto è proibito alle donne con meno di quarantacinque anni che non hanno dato luce quattro figli». In questo caso la situazione di Elena ci porta a empatizzare con lei, siccome si trova nella posizione di non poter realizzare il suo desiderio di diventare madre, finché un giorno non si ritrova a suggellare l’accordo con una donna di nome Zelda P.

«Sposata con un ufficiale dell’esercito, Zelda P. aveva appena perso il marito in un incidente stradale. Dopo soli sei anni di matrimonio rimaneva vedova, con due bambini piccoli e senza un soldo. […] Come tante altre era venuta da lei nella speranza di abortire in segreto. Elena Cosma era una delle poche professioniste a praticare interruzioni di gravidanza per le mogli dei quadri di Partito. […] Sbarazzare le altre di ciò che lei non poteva avere era una specie di rivalsa, le dava un senso di potere». [6]

La situazione della Romania presente nel romanzo di Liliana Lazar ci porta ad analizzare una situazione in cui il corpo femminile diventa un vero esproprio dalla possibilità di scegliere cosa fare del proprio corpo. In questo frangente Elena Cosma prende la decisione di sottrarre il figlio di Zelda P., portandola a fingere la gravidanza. È questa la situazione di Elena Cosma che ha la capacità di coinvolgere, ancora oggi, tutte quelle donne considerate «Childless»:

«Una donna può raggiungere qualsiasi traguardo ma la maternità sarà comunque il dato primario e costitutivo della sua identità. […]. Una donna senza figli non ha evidentemente diritto a un nome, se non per negazione o sottrazione». [7]
Questo è possibile osservarlo anche nel romanzo citato sopra, Filio non è a casa della scrittrice slovena Berta Boeta Bojetu. In questo studio è possibile effettuare un’analisi comparata con questi romanzi con lo scopo di far emergere di come il tema del corpo, sia ancora oggetto di studio e di dibattito, e anche in una situazione distopica. Private dalla possibilità di scegliere di come far emergere il corpo femminile, Elena Cosma, porta avanti il suo piano di fingere la gravidanza e allo stesso tempo di far incrementare la popolazione senza far attirare l’attenzione su di lei. Il corpo è un oggetto «sorvegliato».

«Malgrado la sua insignificanza politica, Elena gioca un ruolo importante nella sua orchestrazione repressiva. Lei supervisiona le nascite nell’ospedale in cui lavora, organizza, in seguito dei controlli ginecologici per le donne del villaggio di Prigor, denuncia ufficialmente una donna che s’era brutalmente provocata un aborto, per questa ragione, la donna finisce in prigione. Il suo rispetto assoluto e lobotomizzato degli ordini del Partito, si concretizza da ridicoli segni di riconoscimento: una medaglia e un invito a una manifestazione in presenza stessa del grande leader comunista». [8] I bambini nati da gravidanze indesiderate vengono mandati all’orfanotrofio di Prigor, il luogo in cui subiscono ogni tipo di atrocità a partire dalle violenze sessuali agli esperimenti riguardo alle «trasfusioni di sangue». È in una scena parte del romanzo della Lazar che è possibile osservare come le donne non hanno possibilità di scelta e quando non si ha una possibilità di scelta, si arriva anche a morire. «La situazione era così disperata che ormai non aveva altra scelta. L’uomo le diede dei farmaci che di solito venivano utilizzati per aiutare le bestie a espellere la placenta o per farle abortire. Rona li assunse a più riprese, e tre giorni dopo eliminò il feto.» [9]. Il «Decreto 770» promulgato da Nicolae Ceaușescu anziché portare prosperità alla Nazione, porta solo la distruzione del potere di scegliere, ossia che il corpo femminile, considerato anticamente sacro, viene, invece, «dissacrato», in una situazione di disperata, in cui una donna come Rona Ferman, chiede solo di effettuare la sua scelta di decidere del proprio corpo, anche a costo di commettere quello che viene considerato a tutti gli effetti, ancora oggi, un omicidio. Il romanzo della Lazar va a combaciare per quanto riguarda l’argomento del corpo come controllo di potere con il romanzo della Bojetu e della Holmqvist.

L’aborto emerge anche nel romanzo della scrittrice slovena Berta Boeta Bojetu, nota per il suo romanzo Filio non è a casa, di cui esiste anche il sequel. Dal genere distopico come nel caso The Handmaid’s tale della Atwood e di Ninni Holmqvist con Ehhet, l’autrice rende evidente come il dominio maschile diventi a tutti gli effetti socialmente accettato da parte della «comunità». Possiamo vederla in questo modo come una «comunità» chiusa in sé stessa, in cui Donne e Uomini vivono separati, separati da una semplice «striscia» denominata: ‹città bassa e città alta». Emerge una inclinazione naturale a sottomettersi e senza la possibilità di ribellarsi, eccetto per una persona che è la protagonista che detiene il nome eponimo. Da quello che emerge dal romanzo della Bojetu osserviamo come le donne siano inclini ad assoggettarsi e ad annullarsi per seguire il loro genere all’autorità maschile. Come afferma Volpato: «La violenza è uno strumento di oppressione e controllo, impiegato per affermare il potere maschile, mostrandone forza, ampiezza, profondità; riguarda donne e minori, ma anche molti uomini, le cosiddette mascolinità subalterne, poiché serve a stabilire e ribadire la gerarchia sociale» [10]. Le voci narranti nel romanzo della Bojetu sono tre: Filio, Helena Brass (nonna) e Uri. Filio è ormai una donna che ha lasciato la famiglia alle sue spalle, in particolare l’Isola, il luogo in cui è cresciuta e dalla quale è fuggita, in seguito a un evento traumatico effettuato sul suo corpo, tale è l’aborto forzato. In quest’isola remota dalla realtà, in cui vige la separazione tra gli uomini e le donne, in cui vige il totalirismo, Filio per assistere al funerale di sua nonna Helena Brass. Veniamo a conoscenza di quest’isola dall’espediente del «diario» di Helena Brass, un simbolo che rappresenta la possibilità di contravvenire alla legge, vale a dire che alla donna non era permesso di occuparsi di niente altro che delle faccende domestiche. Il tratto distintivo di queste donne è reso specialmente dall’abbigliamento come è possibile vedere nel romanzo dell’Atwood, in particolare per quanto riguarda le donne che non avevano la capacità di generare figli, esse sono le non-donne e vestite di grigio. Le donne dovevano indossare le «pantofole alte fino alla caviglia» per non dare la possibilità di ferire attraverso delle semplici scarpe. Come si può vedere anche nell’abbigliamento vige uno stretto controllo. Le pantofole fanno emergere la donna come dedita al focolaio domestico. Non conoscono un altro modo per generare figli se non mediante la violenza sessuale che avviene di notte, al buio, senza la possibilità di scorgere il proprio stupratore. «Gli uomini sono incoraggiati ad essere violenti con le donne e ad approfittarne. Le ragazze sono cresciute per essere obbedienti e per perpetrare l’ordine stabilito una volta che sono vincolate, come donne, a sopportare ripetute aggressioni sessuali da parte degli uomini, accettando anche di crescere i loro figli per gli scopi a loro sconosciuti» [11]. Come afferma Manon Garcia: «la sottomissione femminile non proviene da un’inclinazione universale delle donne per la sottomissione, ma dal fatto, che il mondo in cui gli esseri umani di sesso femminile nascono è sempre già strutturato da una norma della femminilità che è una norma di sottomissione» [12]. Filio in seguito alla scoperta della gravidanza subisce barbaramente l’aborto da parte delle «guardiane» dell’Isola, senza la possibilità di scegliere. In seguito a quest’evento inizia a pianificare la fuga dall’isola. è Filio stessa a farci sapere il motivo della sua fuga: «Infatti, io ero fuggita dall’isola dopo quanto mi era accaduto con Kate e Lukrija, il perché lo so. […]. I bambini concepiti durante le notti venivano partoriti se conveniva a qualcuno sull’isola, in caso contrario le donne ne venivano spietatamente svuotate» [13]. Come emerge da questi due romanzi le donne come Filio, Rona Ferman (Lazar, 2018) ed Elena Cosma non hanno alcuna possibilità di scegliere, vengono sopraffatte dall’egemonia da parte, non solo dallo Stato ma anche dalla società. Un’ampia prospettiva su quest’argomento che è il corpo femminile oggettificato solo dal punto di vista biologico e sociale, è data dal romanzo uscito in Italia quest’anno per mezzo della casa editrice Fazi L’Unità di Ninni Holmqvist. Il romanzo della Holmqvist va a trovare il genere distopico presente anche nei romanzi della Bojetu e dell’Atwood. «La distopia è un mondo immaginario in cui i sogni utopici diventano incubi» [14]. La distopia in questo caso può essere raccolta nel genere femminista, della quale se n’è ampiamente occupata la studiosa Martina Marras: «È possibile parlare di distopia femminista tanto nei casi in cui siano le donne a trovarsi in una condizione subalterna, quanto nei casi in cui siano le donne le artefici di un ordine dispotico o terribile in cui le figure femminili, assumendo il ruolo del carnefice, incarnano i peggiori stereotipi maschili» [15]. Nel circoscritto romanzo della Holmqvist si può parlare di «distopia femminista», poiché il mondo incarnato dalla società svedese, e in particolare modo dallo Stato Totalitario, fa emergere una situazione in cui la donna è relegata in un ruolo subalterno. Inoltre, il ruolo che predispone la donna la porta a dare in qualche modo il proprio contributo alla nazione, come si è visto nel romanzo della scrittrice romena Liliana Lazar. E come possono contribuire le donne a costruire una società perfetta? Lo fanno attraverso il corpo, siccome come già detto, il corpo femminile è solo un corpo «biologico». L’Unità è una struttura in cui le donne e gli uomini che hanno “deciso” di non contribuire alla società costruendo una famiglia, vengono sottoposti a degli esperimenti fisici e psicologici. La particolarità è che le donne donano parti del loro corpo come i reni e il cuore a coloro che hanno una famiglia, una prole e un desiderio di diventare madre. In conclusione, si può osservare come in modi sempre più disparati siano sempre le donne le vittime predilette, in questi casi. Come sostiene Melandri: «La donna resta purtroppo anche nel sentire e nel modo di pensare di molte donne, per ragioni di adattamento e di sopravvivenza, una funzione sessuale e procreativa». [16]


Emilia Pietropaolo
(n. 7-8, luglio-agosto 2024, anno XIV)



NOTE

[1] Meo M., Il corpo politico: biopotere, generazione e produzione di soggettività femminili, Mimesis, Milano/Udine 2012, p. 70.
[2] Melandri L., Amore e violenza: il fattore molesto della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino 2024, p. 38.
[3] Borgna P., Sociologia del corpo, Laterza, Roma 2014, p. 30,
[4] Goffman E., Stigma: l'identità negata, Laterza, Bari 1970, p. 11.
[5] Garcia M., Sottomessa non si nasce, lo si diventa, Nottetempo, (trad.) F. Caiazzo e N. Magerand, Milano 2013, p. 19.
[6] Lazar L., I figli del diavolo, 66thand2nd, (trad) C. Diez, Roma 2018, p. 13.
[7] Dondi M., Libere di scegliere se e come avere figli, Einaudi, Torino 2024, p. 16.
[8] Lazar L., I figli del diavolo, cit., p. 17.
[9] Ibidem, cit., p. 36.
[10] Volpato C., Psicosociologia del maschilismo, Laterza, Roma, p. 73.
[11] Zupančič, M., Berta Bojetu-Boeta, messages still not heard, (trad. mia) Women’s Studies International Forum, University of Alabama of Tuscaloosa, 2009, p. 344.
[12] Garcia M., Sottomessa non si nasce, lo si diventa, Nottetempo, p. 97.
[13] Bojetu B., Filio non è a casa, Voland, (trad) Patrizia Raveggi, Roma 2013, pp. 17-20.
[14] Stevanovski, Andraž, Dva otoka – Pa tako različna (primerjava romana Filio ni doma Berte Bojetu Boeta in Osmi poverjenik Renata Baretića), (trad. mia), Philological Studies, 2019, p. 222.
[15] Marras M., Distopia femminista analisi di un genere, Meltemi, Milano 2023, p. 5.
[16] Melandri L., Amore e violenza: il fattore molesto della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino 2024, p. 56