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Silvio Guarnieri visto dai suoi contemporanei. Testimonianze sul periodo romeno
Nel 2022 ricorrono 30 anni dalla scomparsa di Silvio Guarnieri (Feltre, 5 aprile 1910 - Treviso, 28 giugno 1992), uomo di lettere, docente universitario, scrittore, critico letterario e d’arte che diede un notevole contributo alla vita intellettuale del Novecento, dall'esordio presso la fiorentina «Solaria» al decennio trascorso in Romania quale direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Timisoara, fino alle ultime opere pubblicate.
A Guarnieri, Doina Condrea Derer, prestigiosa italianista romena, ha dedicato un importante volume monografico, Silvio Guarnieri. Universitario in Romania e in Italia (Aracne, 2013), tradotto dal romeno da Paola Polito. L'originale, dal titolo Silvio Guarnieri. Universitar în Romania și Italia, è stato pubblicato nel 2009 sotto l’egida dell’Istituto Culturale Romeno di Bucarest.
Continuiamo in questo numero la pubblicazione di una serie di estratti tematici dal volume italiano di Aracne, che ringraziamo per la gentile concessione. Qui la seconda parte del Capitolo I.
Guarnieri e la Romania
L’impegno e i risultati di Silvio Guarnieri nei dieci anni d’intensa attività prestata per la diffusione della cultura italiana in Romania non passarono inosservati nel paese ospitante, anche se avrebbero meritato un’attenzione maggiore. Si possono evocare alcune testimonianze di quel periodo (l’ultima delle quali nel 1944), cui se ne aggiunsero altre due molto più tardi (nel 1966 e nel 1986).
Segnalando l’articolo del diplomatico italiano a Timișoara, Românii și italienii în Banat (Romeni e italiani nel Banato), apparso nella rivista «Curent literar», Petre Pascu definisce lo scrittore italiano come un «giovane erudito e intelligente», «dal pensiero preciso e formato» [1]. Pascu riprende in tal modo l’opinione del poeta e traduttore Dragoș¸ Vrânceanu (del quale riporta anche un lungo estratto) e completa la propria recensione informando i lettori che Guarnieri non era al suo primo articolo «su di noi», su «lo spirito e la vita romeni» (ivi p. 7).
Dragoş Vrânceanu sul libro Il costume letterario di Guarnieri
Nella «Revista Fundațiilor Regale» [2], Dragoş Vrânceanu commenta il libro di Silvio Guarnieri Il costume letterario (Firenze, Parenti, 1937) con un ampio articolo dallo stesso titolo, eccellente pretesto per esprimere la propria opinione sugli ambienti bohémiens della Penisola, che aveva avuto occasione di osservare e frequentare di persona. L’impressione che il lungo intervento ci lascia è che Vrânceanu abbia cercato tra le righe del giovane scrittore italiano (elogiato fin da subito per la sua «fecondità critica») elementi a riprova e sostegno della propria opinione personale. Il critico trova la polemica del volume recensito rivolta non tanto contro «la figura letteraria del vecchio bardo» Gabriele d’Annunzio, ma piuttosto verso qualcosa di «oggettivo», a lui esterno e in parte indipendente: il dannunzianesimo (ivi, p. 682).
Lo stile narrativo di Guarnieri ricorda al critico e poeta romeno «Proust che, al fianco di Joyce, Gide, Valéry, costituiva la ‘tutela europeizzante’ del gruppo di “Solaria”» (ivi, p. 683).
Avventurandosi a ricercare la ragione recondita che potesse aver spinto Guarnieri a descrivere e giudicare proprio quell’universo artistico, il recensore ritiene si tratti, al tempo stesso, di «una vendetta e una ricompensa, dovute dall’autore all’ambiente letterario per spiegare sé stesso» (ib.), giacché «l’ermetismo del mondo letterario italiano [...] impone prove difficili e provoca sofferenze morali tra le più violente e interessanti nei giovani esordienti» (ib.).
Autocompiacendosi nell’evocazione e nel giudizio in prima persona di quella stessa società letteraria, Vrânceanu ne ricorda lo spirito aristocratico, che attribuisce a un orgoglio personale «suscitatore di tormenti interiori e spirito di casta» (p. 684). A suo avviso, Silvio Guarnieri aveva posto la società borghese e quella letteraria l’una di fronte all’altra, preoccupato per entrambe «ora con dolore, ora con giubilo» (p. 685). Tre fattori problematici – l’isolamento, la società borghese e quella letteraria – avrebbero spinto il giovane verso “una dialettica lenta, complessa, talvolta delirante per l’abbondanza di conclusioni”, alla quale tuttavia egli riusciva a resistere grazie alla sua costituzione «intellettuale e morale» (ib.).
Confortato dalle prime confessioni del Feltrino circa i propri contatti iniziali con l’ambiente scombussolante dell’élite fiorentina, il romeno calca l’accento sulla tensione che allora serpeggiava sotterraneamente nel mondo letterario italiano e, continuando a mostrare la propria conoscenza diretta dei comportamenti dei gruppi letterari italiani, ci informa del come gravitassero loro intorno anche persone che, seppur prive di doti creative, cercavano di conformarsi alla condotta degli intellettuali di professione. Gli scrittori italiani, aristocratici e al contempo bohémiens – se pure di una Bohème sui generis, in quanto «organizzata» – rammentano a Vrânceanu le corporazioni dei pittori del Due, Tre e Quattrocento, che avevano allo stesso tempo «un senso collettivo e individuale della propria arte» (ivi, p. 687).
Ispirato anche dalla prefazione di Alfredo Gargiulo alla prima raccolta poetica montaliana, Ossi di seppia, che cita in nota, Vrânceanu prende a esempio il poeta genovese per illustrare un atteggiamento diffuso ricavabile dalle memorie di Guarnieri, e osserva che «la natura umana e psicologica dell’artista italiano [...], conosciuta più in profondità, risulta animata di uno spirito inquieto, radicale, addirittura tormentato, dominata com’è spesso da una staticità estrema, dall’odio per il movimento che sposta le linee, spinto fino all’impotenza, all’impossibilità di prendere contatto con la vita che invece richiede un minimo di passione e di entusiasmo; da un gusto per l’aridità diventata uno stato archetipico della poesia» (ivi, p. 688). Il critico prosegue facendo riferimento all’amoralità caratteristica non solo della prosa di Alberto Moravia, ma anche di altri letterati, amoralità conosciuta da Silvio Guarnieri, che a essa – come ben considera il recensore – ben seppe reagire.
Infine, apprezzando «lo sguardo fresco di Guarnieri» sul microuniverso letterario italiano (ivi, p. 689), Vrânceanu sottolinea le virtù evocative de Il costume letterario e l’invidiabile capacità analitica del suo autore. Va detto che, oltre all’esperienza diretta, forse anche l’intuizione potrà aver aiutato Dragoș Vrânceanu a spiegarsi le motivazioni psichiche del giovanissimo memorialista.
La testimonianza del compositore Wolf von Aichelburg
La conferenza tenuta da Guarnieri nel maggio 1941 a Bucarest, nella sede della prestigiosa Fondazione «Carol I», su Aspetti e sviluppi della letteratura italiana, fu oggetto di una presentazione dettagliata a firma dello scrittore e compositore romeno di origine tedesca Wolf von Aichelburg [3].
Precisando come l’oratore, trentunenne, appartenesse alla nuova generazione, l’autore dell’articolo introduce il suo resoconto menzionando subito al lettore la dichiarazione preliminare fatta da Guarnieri all’auditorium circa la propria intenzione di sviluppare un’esposizione «selettiva, arbitraria e polemica» (ivi, p. 465).
«Notevole e inedita» è definita da von Aichelburg la concezione dell’oratore sul Rinascimento, da lui etichettato senza mezzi termini come una «gloriosa decadenza» sopraggiunta dopo i secoli XIII e XIV, caratterizzati invece da un ideale universalista, poi perdutosi col tempo.
Dalla testimonianza risulta che in quell’occasione Silvio Guarnieri presentò Dante Alighieri come una «figura tragica», «all’incrocio di due epoche», come colui che intuì la rinuncia del suo tempo allo spirito universalista – a una visione che «comprendeva l’umanità intera» e vedeva l’uomo soltanto in rapporto con la divinità, «al di là di ogni limitazione di classe e di dottrina» – in favore di un «ideale umanitario», divenuto il dominio riservato di un’unica classe, e cioè la borghesia italiana (ib.).
Dal resoconto apprendiamo che Guarnieri, per illustrare la sua interpretazione della cultura italiana in dimensione storica, presentò altre figure emblematiche: a Dante seguirono Machiavelli ed altri, secondo quanto segue.
Del Principe l’oratore dichiarò di non condividere l’opinione largamente diffusa che ne faceva «un manuale astratto dell’arte del governare», considerandolo al contrario un’opera ispirata da patriottismo. Al politologo fiorentino non era rimasto insomma nient’altro che il desiderio di salvare l’indipendenza della penisola, la sola cosa ancora possibile nelle circostanze date.
Giordano Bruno fu invece colui che «vagheggiò l’ideale di una comunità universale, proiettandolo nella sua eccezionale visione panteista», ma, a differenza dell’Alighieri, non fu inteso dal popolo che, vivendo «in un mondo diviso, pragmatico ed egoista», non poteva più condividere un «ideale intransigente» (ivi, p. 466).
In filigrana, al di là dei dati della storiografia culturale, intravediamo – basandoci sulla relazione di von Aichelburg – quali fossero i principi guida, anche sul piano personale, di Silvio Guarnieri e in particolare la sua idea che i secoli di decadenza dell’Italia fossero stati originati dalle debolezze interne, non dagli attacchi stranieri, come era invece ufficialmente accreditato, e che «l’abisso tra l’individualità geniale e il popolo fosse andato facendosi così grande al punto che la lingua del filosofo Vico era diventata confusa, difficile e ostica» (ib.).
Così, apprendiamo che il classicista preromantico Ugo Foscolo e il romantico Giacomo Leopardi vennero presentati da Guarnieri come precursori del Risorgimento, allorché la vecchia virtù rinata pose in ombra lo spirito mercantile; Giosuè Carducci, nonostante avesse abbracciato la causa risorgimentale, come «un retrospettivo, un contemplativo inerme» (ib.), e d’Annunzio come troppo individualista per servire da modello agli idealisti del «nuovo comunitarismo» (ib.).
Infine, nominando alcuni contemporanei della generazione più vecchia, il giovane italiano dichiarava di considerare Benedetto Croce, benché «annunciatore di buon senso», come il portatore di una concezione troppo astratta della letteratura, mentre Pascoli, Pirandello e Papini erano stati spettatori passivi, quando ironici e sarcastici, quando troppo obiettivi e professorali. Il conferenziere concludeva il suo discorso – secondo la testimonianza di von Aichelburg – sostenendo che soltanto i più giovani, nel panorama italiano, avevano la capacità di esprimere il loro «ideale intransigente, attivo e dinamico» (ib.).
L’accuratezza con cui Wolf von Aichelburg ha consegnato, nella loro successione, le idee dell’oratore italiano, senza obiettare ad alcuna delle sue asserzioni, dimostra con evidenza la solidità di quel discorso. Abbiamo, nella forma più sintetica, non soltanto la visione guarnieriana della letteratura italiana ma anche un’immagine della posizione e del metodo critico formatisi nella giovinezza e dai quali Guarnieri non si distaccò neppure quando la corsa ai nuovi approcci e all’originalità esegetica convertì i più.
Un’intervista con Silvio Guarnieri
Sempre in Romania, ma per iniziativa di un francese, il professor Desmoulin, apparve un’intervista sui temi della cultura italiana, col titolo De vorba cu d. Prof. Silvio Guarnieri, directorul Institutului de Cultura Italiană din Timişoara despre literatura italianǎ contâmporană (Conversazione con il Prof. Silvio Guarnieri, direttore dell’Istituto di Cultura Italiana di Timişoara, sulla letteratura italiana contemporanea) [4].
Occasione dell’intervista era il progetto di pubblicazione di due antologie, una di poesia e l’altra di narrativa italiana contemporanea (la seconda a cura dello stesso Guarnieri), in considerazione della necessità che alcuni scrittori di grande valore (Saba e Montale, tra gli altri), emarginati dalla dittatura a favore di assolute mediocrità, fossero invece conosciuti anche all’estero.
Alla domanda diretta dell’intervistatore sulla misura in cui la posizione politica degli autori avesse influenzato la loro creazione, Guarnieri risponde stabilendo alcune categorie distinte, che avrebbe conservato in ogni suo ulteriore intervento sulla questione: a) la categoria dei grandi scrittori che, benché favorevoli al regime, non avevano trasferito in alcun modo lo spirito fascista nelle loro opere; b) la categoria degli autori premiati ai concorsi ufficiali, che però avevano deluso le speranze; c) la categoria numerosa degli oppositori al fascismo che avevano preferito il rifugio in un universo parallelo (e a questo punto menzionava la poesia metafisica italiana, in niente inferiore all’europea). Il critico osservava inoltre che, se molti prosatori avevano preferito «la narrazione breve, dal contenuto lirico, di ricerca profonda, psicologica o metafisica» o l’evasione nel fantastico o nel surrealismo, alcuni scrittori realisti erano per contro rimasti relegati a «un piano di inattualità» (interv. cit.).
Le risposte dell’intervistato riguardano soprattutto gli autori ormai giunti alla maturità, ma testimoniano anche la fiducia del critico letterario verso i più giovani, elogiati per le loro molteplici modalità d’espressione. E, visto che a Timişoara esistevano «buoni conoscitori della lingua italiana» e non mancavano i traduttori, Silvio Guarnieri promette di offrire ai lettori romeni la possibilità di conoscere gli autori del suo paese.
La testimonianza di Florian Potra, amico di Guarnieri
I lettori romeni devono numerose informazioni inedite su Guarnieri al suo amico romeno di sempre, il critico cinematografico e letterato Florian Potra, che concentrò il suo contributo in due testi: la pagina di presentazione alla traduzione a firma Iulian Popa del racconto guarnieriano Înmormîntare în sat (Funerali al paese), apparso nel 1966 [5], e la prefazione alla traduzione romena di alcuni saggi della raccolta La condizione della letteratura) [6].
Florian Potra incomincia le proprie annotazioni informando che l’appassionato cultore delle lettere italiane era «anche un attento, sensibile conoscitore dei valori della cultura romena» (art. cit., p. 76). E, a sostegno di queste asserzioni, ci informa di come la presenza del diplomatico italiano avesse reso possibile la conoscenza in Romania di importanti scrittori dell’ultima generazione, ma anche di come il Feltrino avesse scoperto alcuni scrittori e pensatori contemporanei romeni ritenuti da lui «di calibro internazionale» (ib.), tra cui Matei Caragiale, Pavel Dan, Lucian Blaga.
Riconoscendo il fortemente marcato materialismo storico e dialettico di ogni suo scritto, Potra attribuiva l’interesse di Guarnieri per il «fenomeno contemporaneo» a quella stessa corrente di pensiero, senza considerare neppure per un momento che, prima di optare per una corrente ideologica, il suo amico era passato per la scuola delle «Giubbe rosse» e di «Solaria», dove la questione della letteratura contemporanea, del rinnovamento, era all’ordine del giorno – e Guarnieri stesso aveva dato un notevole apporto in quella direzione grazie a pertinenti recensioni in numerose riviste. In compenso, per meglio definire lo scrittore Silvio Guarnieri, il critico romeno riproduce la caratterizzazione datane da Elio Vittorini sulla bandella di Utopia e realtà, la stessa cui si riferiva il già menzionato Sergio Antonielli nel volume gratulatorio del 1982.
Più estesa è la presentazione anteposta da Potra all’antologia di testi estratti e tradotti dal cospicuo volume italiano di S. Guarnieri La condizione della letteratura. La prefazione, come risulta dalla nota finale, è tributaria dei due libri a lui dedicati per il settantesimo compleanno, Per Silvio Guarnieri. Omaggi e testimonianze e Saluto Per Silvio Guarnieri. Del resto, anche nel titolo del testo introduttivo, Cînd «paznicul farului din anii îndepărtaţi» era în România (Quando «il guardiano del faro degli anni lontani» era in Romania), ritroviamo tra virgolette una parte del titolo di una delle evocazioni del primo volume sopra citato.
Ora che abbiamo accesso alle fonti, la prefazione ci appare come un mosaico composto non soltanto di idee ma anche di consistenti frammenti estratti dai testi dei molti ammiratori del professore di Pisa, ma ad essa va il merito di valorizzare le più rilevanti affermazioni prodotte su Guarnieri alla conclusione della sua attività universitaria – attività svolta con competenza e ripagata dagli studenti ma non da coloro che gli rifiutarono la promozione perché era un uomo scomodo, come ebbe a dichiarare il più qualificato a pronunciarsi sull’argomento, per la sua conoscenza dei retroscena: il preside della Facoltà di Lettere di Pisa, Umberto Carpi, citato da Florian Potra.
Iniziando con una parafrasi e una citazione della rievocazione di Blasucci, che aveva messo in evidenza la personalità complessa di Silvio Guarnieri, critico militante, narratore sui generis (proustiano e antiproustiano, stendhaliano e antiflaubertiano, saggista eticopolitico, docente con migliaia di studenti e centinaia di laureati), oltre che consigliere comunale, Potra prosegue riproducendo un lungo passo (di un’intera pagina) del discorso tenuto da Guarnieri in occasione dei festeggiamenti pisani, incluso nell’opuscoletto Saluto a Silvio Guarnieri (Pisa, Industrie Grafiche F. Lischi e Figli, 1983), dove è svelato come l’intento del suo apostolato didattico consistesse nello stimolare e mantenere lo slancio dei giovani a guidare la propria esistenza scoprendo il messaggio degli scrittori attraverso l’esercizio critico.
Più personale la continuazione, in cui il prefatore romeno si concentra sul soggiorno a Timișoara del collega italiano, durante il quale «si cristallizzò e consolidò in terra romena» il suo credo (prefaz. cit., p. 9). Gli anni trascorsi in Romania, secondo l’interprete, avrebbero rappresentato, «senza dubbio, un anello in mancanza del quale la catena della biografia di Guarnieri resterebbe monca di una parte vitale di esperienze, prove e realizzazioni umane determinanti, in certo qual modo uniche, motivate da tutto quello che era stato in precedenza, anticipatrici di tutto quello che sarebbe accaduto in seguito» (ib.), anche se un grande peso avevano avuto gli anni trascorsi in Toscana, anni di formazione personale, ma anche di «consulenza e collaborazione diretta prestata a molti scrittori» (ib.).
Rispetto ad alcune affermazioni del critico romeno, si può dargli ragione là dov’egli sostiene che la scuola fiorentina – in cui include anche Guarnieri – voleva superare lo storicismo di Taine in un percorso che andasse dall’opera allo scrittore e poi di nuovo all’opera, ma sbaglia nel credere che l’amico italiano si fosse ispirato per questo anche a Antonio Gramsci, e ciò per il semplice motivo che, prima della guerra, Guarnieri non aveva avuto la possibilità di conoscerne le opinioni. Le pagine del Feltrino mostrano infatti che l’incontro col pensatore sardo si produsse molto più tardi, alla fine della Seconda guerra mondiale. Il primo articolo consacrato all’ideologo risale al periodo trascorso in Romania, al 1945. Seppure intitolato Antonio Gramsci, l’articolo dedica molto spazio ai movimenti di protesta postrisorgimentale in Italia, alla creazione dei partiti di sinistra, ad alcuni dati biografici legati specialmente alle azioni politiche del fondatore del PCI e alle condizioni disumane da questi patite negli undici anni di carcere fascista. Non contiene però riferimenti, neppure generici, alla concezione gramsciana.
Nella varietà dei temi affrontati da Silvio Guarnieri tra il 1937 (quando scrisse su d’Annunzio) e il 1950 (quando salutava ne «Le journal des poètes» la presenza di Ungaretti in Belgio), attraverso le pagine su Badea Cârțan (1939), Florian Potra trova il segno della disponibilità culturale del suo amico, e in Utopia e realtà e in Cronache feltrine la continuazione dei volumi dell’Autobiografia giovanile di anonimo scrittore contemporaneo (I, 1941, II, 1943); nel loro complesso, sostiene, queste opere formerebbero un Bildungsroman che segue «un processo di conoscenza e autoconoscenza spietato, senza indulgenze, in vista della completa realizzazione etica e spirituale dell’autore» (ivi, p. 11), sempre alla ricerca della solidarietà umana.
Apprezzando le qualità di operatore culturale di Silvio Guarnieri per la diffusione sia in Italia che in Romania delle novità culturali italiane, Potra gli tributa anche il merito di essersi integrato nella vita culturale timisciorena, e così apprendiamo dei legami di amicizia stretti dall’italiano con artisti, scienziati e letterati romeni, tra cui Zeno Vancea, Ilie Murgulescu, Iulian Popa e Petru Vintila, e del fatto che fu professore di Nicolaie Toia, poeta scomparso prematuramente.
Infine, al critico romeno preme informare il suo pubblico che «a Pisa [...] questo apostolo laico, militante, accanto al suo corso di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, teneva anche un corso (volontario, non retribuito) di letteratura e cultura romena, in nome di un vecchio debito – come egli stesso affermava, con una speciale, vibrante emozione – verso i romeni, verso la loro umanità dimostrata in tempi difficili». (Ivi, p. 15).
A tale proposito, vale la pena di ricordare che, a ogni incontro col pubblico di Bucarest, il professor Guarnieri era solito cominciare la sua conferenza precisando che senza il sostegno di molti romeni lui e la sua famiglia non avrebbero potuto far fronte alle difficoltà della guerra che l’aveva sorpreso in Romania.
Della moltitudine di scritti dell’amico italiano Florian Potra ne menziona soltanto alcuni, tra i quali Carattere degli italiani (Torino, Einaudi, 1948) che, a suo avviso, scaturisce dalla nostalgia per la terra natale provata da Guarnieri negli anni della conflagrazione mondiale, quando per tre anni rimase con la famiglia ostaggio in Romania.
Quanto alla «concezione moral-estetica» esposta ne La condizione della letteratura, Potra la giudica di «una purezza spesso ingenua». (Ivi, p. 16).
L’affettuosa conclusione della prefazione merita di essere riprodotta perché, liberato della preoccupazione di mostrare la propria erudizione, Florian Potra simpaticamente definisce Guarnieri a confronto con sé stesso, allorché dichiara di considerare le proprie righe l’«omaggio di un apprendista eretico e frivolo (eretico perché sprovvisto del potere di ascesi del maestro, frivolo, ad esempio, per l’abbondanza di citazioni nella caratterizzazione di uno scrittore che mai fu prono alla citazione!)» (Ib.).
Purtroppo, non sono molto numerosi i contributi romeni al riconoscimento del valore del distinto letterato italiano, che avrebbe meritato molto di più da coloro cui dedicò con generosità parte della sua scienza e del suo tempo.
Noi romeni gli dobbiamo, tra l’altro, anche l’introduzione dello studio della lingua e della letteratura romene all’Università di Pisa. È poco?
Doina Condrea Derer
Traduzione a cura di Paola Polito
(n. 6, giugno 2022, anno XII)
NOTE
1. Si veda l’ampia rubrica «Vitrina înnoirii», nella rivista «Înnoirea», III, nr. 4-5, ianuarie 1940.
2. VII, nr. 9, 1940, pp. 681-689.
3. Nella rubrica «Note» della «Revista Fundaţiilor Regale», VIII, nr. 5, mai 1941.
4. Nel quotidiano di Timişoara «Vestul» (1930-1845), e precisamente in XIV, nr. 3165, 26 noemvrie 1944, p. 2.
5. In «Secolul 20», nr. 3, 1966.
6. Condiţia literaturii, traduzione di Adriana Lazǎrescu, pp. I-XVI + 188 pp., Bucureşti, Univers 1986. L’antologia contiene: Abbozzo di bilancio della letteratura italiana del Novecento, Senso della letteratura italiana contemporanea, Letteratura italiana e letterature europee, Invito alla narrativa italiana, Disponibilità della narrativa, Cinema e letteratura, Motivi e caratteri della poesia italiana da Gozzano a Montale, Tesi per una storia della poesia italiana del Novecento.
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