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Dino Terra: per rileggere il Novecento letterario
In collaborazione con la Fondazione Dino Terra che ringraziamo per il prezioso contributo, inauguriamo in questo numero uno spazio monografico Dino Terra, vòlto a diffondere la sua opera e a rafforzare gli studi a lui dedicati. In apertura, l'introduzione della prof.ssa Daniela Marcheschi.
1 – Dino Terra, pseudonimo di Armando Simonetti (Roma 1903-Firenze 1995), è uno di quegli autori che, per l’ampiezza della sua cultura non solo letteraria (ebbe conoscenze solide di Filosofia, Psicanalisi, Antropologia, Medicina, Fisica), e dei suoi rapporti intellettuali, per le sue scelte formali, consentono di rileggere alcuni capitoli del Novecento italiano e dei suoi nodi di maggior rilievo critico.
Nato al di fuori del matrimonio, Terra era figlio dell’importante pittore-antiquario internazionale Attilio Simonetti (socio del celebre Fortuny) e della lucchese Ofelia Masetti. Il padre lo riconobbe legalmente e ciò avrebbe consentito a Terra, al momento della morte di lui nel 1925, di entrare in possesso di una cospicua fortuna, godendo di indipendenza e libertà di movimento in Italia e all’estero. Legatissimo alla madre e alla Toscana dove veniva molto spesso, Terra volle essere sepolto accanto a lei sulle colline lucchesi, e lasciare il suo archivio di documenti e la sua biblioteca alla città di Lucca, dove istituì una Fondazione con il suo nome.
Durante gli studi liceali a Roma, Terra aveva esordito a sedici anni con il pamphlet, poi rifiutato, D’Annunzio e il caso Fiume (Roma, Tipografia dell’Unione, 1919; e ora, a cura di Paolo Buchignani e con una Avvertenza al testo di chi scrive, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2018): un J'accuse contro sia il superomismo e la retorica del Vate sia l’azione politica di d’Annunzio. Aveva studiato per un periodo Medicina a Parigi, quindi, dopo il rientro a Roma, si era indirizzato verso gli studi di Lettere, ma non aveva mai tralasciato la politica: aderendo nel 1920 alla gioventù socialista, in cui militava anche Ignazio Silone; divenendo poi il referente italiano del movimento pacifista Clarté, fondato da Henri Barbusse (le lettere del secondo, indirizzate a Terra nel 1921 e 1922, sono state pubblicate in Umberto Carpi, Bolscevico Immaginista. Comunismo e avanguardie artistiche nell’Italia degli anni Venti, Napoli, Liguori, 1981, pp. 68-69); infine, essendo un antifascista convinto e attivo. Ciò non gli sarà perdonato da molti che, invece, con il Fascismo convissero grazie a qualche compromesso, non sempre onorevole. Viaggiando spesso fra Parigi e Roma, Terra teneva i contatti fra chi, durante la dittatura, era rimasto in Italia e chi, invece, era andato all’estero nell’impossibilità di tornare in patria per le proprie idee politiche: Chiaromonte, ma anche i fratelli Rosselli. Il 6 agosto 1936, gli sono trovati nella posta proprio due numeri di «Giustizia e Libertà»: Contro l’Impero, per la Nazione e Risposta a Mussolini [1], e ciò sembra che gli abbia procurato il confino a Ovindoli.
Terra frequentava l’ambiente di ricerca teatrale e artistica dei fratelli Bragaglia; intellettuali e scrittori come Tilgher, Pirandello, Moravia di cui fu molto amico, André Gide, l’antropologo Lucien Lévy-Bruhl e tanti altri fra i maggiori della sua epoca: Cremieux, Paul Valéry, Ungaretti, Montale, Gadda, Palazzeschi, Prezzolini, Zavattini, Carocci, Huxley, Mann, ecc.; musicisti e pittori come Alfredo Casella, Vinicio Paladini, Aldo Ronco, Carlo Levi, suo stretto amico al pari di Giorgio de Chirico, per non dire di Scipione, De Pisis o Arturo Martini. Fu pittore lui stesso e critico d’arte; ma anche critico musicale e letterario: ad esempio per «Il Popolo» (1948-1952). La firma di Terra apparve anche su altri quotidiani, settimanali e riviste in auge prima e dopo la II Guerra Mondiale: «L’Impero», «La Presse Littéraire», «Il Popolo di Calabria», «Mercurio», «Il Momento», «Avanti», che contribuì a rifondare, «La Nazione del Popolo», «Tempo», «Il Giornale della Sera», «Risorgimento». Amò poi il cinema come altri della sua generazione e fu critico cinematografico prima nel «Raduno» e in «Cinematografo» (aprile 1928-aprile 1929), poi per il giornale «Il Tevere» (settembre 1929-aprile del 1931). Nelle sue rubriche affrontava temi svariati: problemi d’ordine generale, critica di singoli film. Si dedicò pure alla stesura di progetti e soggetti per film: ad esempio Notti romane, pubblicato in «Quadrivio», 20 agosto 1933; ma altri ne restano tuttavia fra le sue carte: la farsa Tra un’ora e l’altra «con molte maschere»; Il Barone di Milazzo pensato per la regia di Carlo Bragaglia e per la sceneggiatura di Flaiano o Cecchi D’Amico; L’imbroglio ecc. Nel 1952 Terra interpreterà perfino un ruolo nel film La carne inquieta di Musso e Prestifilippo, tratto dal romanzo omonimo di Leonida Repaci.
Il ruolo di Terra spicca quando si pensi alla assimilazione in termini tutt’altro che approssimativi della Psicanalisi, che contribuì a diffondere a Roma grazie anche all’amicizia con l’ungherese Miklós Sisa, già Commissario del Popolo per l’Igiene per il governo Béla Kun, ma soprattutto primo allievo di Ferenczi e di Freud a Vienna. Alla memoria di Sisa dedicò nel 1933 l’ambizioso romanzo Metamorfosi (Milano, Ceschina), uno dei cui protagonisti, Mario, incarna proprio la limpida passione civile dello psicanalista magiaro in un quadro in cui vite individuali e avvenimenti storici si intrecciano in modo decisivo. Non a caso si narra nel romanzo anche di un incontro di Mario con un capo rivoluzionario: nella realtà Antonio Gramsci, che Terra aveva conosciuto, come racconta nell’autobiografico Fantasmi veri. Personaggi del '900 nei ricordi di un protagonista (Pisa, ETS, 2004). Tra le varie, ulteriori, figure del romanzo si possono intravedere anche altri amici di Terra di quegli anni: appunto Carlo Levi, Chiaromonte, ancora Moravia, e Leo Ferrero e Antonio Aniante. Amici che, come mostrano i carteggi conservati nell’Archivio Terra, leggevano l’uno le opere dell’altro, discutevano di letteratura, di etica, di filosofia, di amori e problemi economici, ma anche di quale fosse il senso della vita, di quale direzione profonda dovesse essere impressa alle loro esistenze.
E avrebbero continuato a leggersi sempre, fra sentimenti contrastanti, quegli amici. Nel romanzo di Moravia 1934 (Milano, Bompiani, 1982), il disperato protagonista Lucio va a far visita a Shapiro, ricco e studioso d’arte. Metamorfosi si apre con la visita di Mario al colto e studioso, amante dell’arte, Titus Sapiro; e l’uomo comune Guido – il conformista inventato da Terra, che rappresenta il livello di esistenza infimo in un mondo «affogato» dal Fascismo – ricorderà a un certo punto la «sporcacciona Carla», una «donna libidinosa», la cui faccia «in quei certi momenti» era «trasfigurata» [2]. E Leo che cosa diceva fra sé e sé della giovane Carla, oramai divenuta sua amante, negli Indifferenti?
Uno degli atti notevoli del giovane Terra fu pure la fondazione a Roma, insieme con Paladini e Umberto Barbaro fra gli altri, del movimento immaginista, con lo scopo di unificare in un unico movimento tutte le ricerche artistiche d’avanguardia, intesa come metodo, come arte sperimentale per dare vita all’uomo dell’avvenire. L’organo a stampa dell’Immaginismo fu la rivista di avanguardia «La Ruota Dentata» che ne fu portavoce per l’unico numero pubblicato il 1° febbraio 1927. Nello stesso 1927 esordiva con il dramma L’amico dell’Angelo (Roma, La Ruota Dentata, 1927; ora a cura di Sara Calderoni, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2016), in cui si avvertono i semi del freudismo e la tensione verso una «morale splendente», che scaturisce «dalla coscienza della morte»: ciò che induce al recupero della corporeità come pienezza. Negli anni Cinquanta, Terra tornerà al teatro con alcune commedie di notevole successo di pubblico e di critica: Faustino (1952), La coda santa (1953), La vedovella (1956), Carambola (1957), L’occasione (1960; tradotta e rappresentata nel 1973 in Portorico). Le commedie apparivano quasi capitoli o sviluppi o variazioni sul tema e sullo stile di romanzi degli anni Trenta: oltre del citato Metamorfosi, di Anima e corpo o il libro di Elena (Milano, Bompiani, 1934) ad esempio, o di Qualcuno si diverte (Milano, Ceschina, 1937; ora a cura di Antonio R. Daniele, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2020), dove vari eventi (privati e pubblici) e scelte individuali ruotano intorno alla fondamentale funzione dell’etica nel farsi dell’esperienza umana. In Qualcuno si diverte (1937), precorrendo il moraviano Agostino (Roma, Documento, 1944), uno dei “momenti di vita” còlti e meglio riusciti rappresenta la bambina Giulia che, giocando da sola a vestirsi da grande, trova casualmente delle lettere d’amore scambiate fra la madre vedova e l’amante. Giulia prova disgusto e si sente «sudicia, sì, sudicia anche lei come i grandi; ribrezzo di sé, di quell’immagine che aveva imitato». Comprende che non avrebbe mai più avuto «la sua mammina» [3], perché si è rotto l’incanto dell’esclusività protettiva dell’amore fra madre e figlia, e perché la piccola ha il sentore di qualcosa che riguarda il suo stesso destino di donna e ancora non conosce.
In ogni caso, sia nelle opere del 1927 sia in quelle successive, Terra tende a comporre romanzi e pièces teatrali dalla forma corale, duttile, pronta alle intersezioni “avanguardistiche” fra generi diversi. La sua produzione induce a riflettere ancora di più sulla ricchezza dei suggerimenti formali offerti dalla cultura italiana nel primo Novecento e di cui non sempre la storiografia ha reso adeguato conto. La realtà per Terra non è quella naturalistica, mimetica, tutta risolta nell’apparenza, bensì quella complessa e stratificata in cui possono incontrarsi e scontrarsi non solo registri, generi e stili differenti – prosa e poesia, romanzo e teatro (Moravia ne avrebbe pure tenuto conto), ironia e comico, favola e racconto realistico come in Riflessi (Roma, La Ruota Dentata, 1927; ora a cura di Sara Calderoni, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2016) ecc. –, ma anche naturale e soprannaturale (nel senso di Durkheim), reale e meraviglioso, conscio e inconscio, magia e divino anche pagano, ciò che si vede e ciò che non è visibile. Shakespeare, Goethe, Schiller, ma anche Sterne e Swift, sembrano i numi tutelari della scrittura di Terra, nel caso sia del teatro sia dei romanzi: ad esempio, in Fuori Tempo (Firenze, Parenti, 1938; ora a cura di Gandolfo Cascio, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2021) e La Grazia (Milano, Garzanti, 1941; ora a cura di Gianni A. Palumbo, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2023), sogno, fantasia, realtà si intrecciano per contribuire «a una più ampia visione delle cose». Autore di avanguardia apprezzato e anche imitato per le sue aperture innovative negli anni Venti-Trenta, Terra non fu letto con l’attenzione che meritava gli anni Sessanta, in cui il revival (regressivo) delle estetiche tardo-naturalistiche e irrazionalistiche relegavano di fatto i classici in un “angolo”, nel prevalere di un’idea riduttiva di temporalità letteraria.
Convinto che la letteratura possa e debba essere un sapere con propri statuti e possibilità, quindi lontana da individualismi e chiusure auto-referenziali, attento all’esperienza di Elio Vittorini e del suo «Politecnico», nel giugno 1947 Terra pubblicò il volume collettivo Dopo il Diluvio (Milano, Garzanti; poi a cura di Salvatore Silvano Nigro, Palermo, Sellerio, 2014), in cui spicca il suosaggio Il residuo littorio. In quest’ultimo Terra osservava come il Fascismo avesse alimentato la corruzione, l’illegalità, l’ipocrisia del popolo italiano, rendendo «sudditi» i cittadini, e soprattutto causando una decadenza della politica in quanto espressione morale (perché relativa ai rapporti degli uomini con lo stato), che avrebbe avuto gravi conseguenze per la vita del Paese. Dopo il Diluvio, promosso e curato dallo stesso Terra – che aveva chiamato a collaborarvi scrittori e intellettuali quali Angioletti, Apollonio, Bacchelli, Benedetti, Bernari, Cecchi, Carlo Levi, Moravia, Petroni, Ungaretti e numerosi altri –, voleva essere un «sommario» critico dell’Italia contemporanea, in cui li si invitava a rispondere a domande quali: «Che cosa è oggi l’Italia? Che vale?», «Che cosa possiamo fare per impiantare un nuovo mondo»?
Terra credette sempre nel «rischio del pensiero» e, quanto più avanzavano la chiacchiera salottiera e la banalizzazione della cultura, tanto più aggiornò in solitudine gli studi iniziati da giovane approfondendo materie come la Biologia, la Medicina o l’Antropologia, convinto che l’essere umano, il soggetto – invece di scegliere la deriva o l’individualismo ad oltranza, di ridursi a frammento impazzito – debba tentare di ricostruire comunque un ponte concettuale o un sistema in cui frammento e totalità siano posti in tensione. Era convinto che la letteratura si deve fare con tutto e non per niente nel saggio Vademecum per disorientati del 1981 (Lucca, San Marco Litotipo, 1996) avrebbe ulteriormente dimostrato una conoscenza diretta e un’assimilazione sicura delle problematiche della Fisica e della speculazione del Novecento, da Einstein a Bergson: caso raro fra i letterati italiani. Una simile ampiezza di interessi culturali, la sua varia attività, introducono nelle opere di Terra concretezza di sapere e molteplici punti “di fuga”, e non sempre i lettori sono stati dotati degli strumenti necessari per comprenderne a fondo l’alterità estetica rispetto a quelle di ascendenza naturalistica (che hanno spesso trovato maggiore adesione da parte dei critici e degli storici della letteratura).
La stessa presa di distanza dall’amico di gioventù Moravia rientra in quanto osservato finora. Terra lo giudicava una persona simpatica e «non mediocre», ma lo accusava di «cinismo» e di aver preso a «decorare» i ricevimenti dell’alta borghesia, come leggiamo nel romanzo terrano L’inatteso (Milano, Ceschina, 1973) – in cui l’autore degli Indifferenti, che durante il Ventennio portava da Parigi ed imbucava in Italia le lettere di Chiaromonte per non farle intercettare dalla polizia fascista – figura come personaggio fin troppo riconoscibile con il nome di Bonargi.
2 – Nel 1929 Terra aveva pubblicato anche il romanzo Ioni, uscito presso Alpes, a Milano, un mese prima degli Indifferenti di Moravia. Si trattava del tentativo originale sia di profondo rinnovamento tecnico-formale della letteratura e del teatro sia di meditazione sul male e la morte, sull’essere dell’uomo come corpo e nel corpo, sulla carne vista come illusione dei sensi e sull’abbandono gioioso al corpo. Tutto ciò a partire dalla consapevolezza del limite della vita e dell’umano precario esserci, ma anche dalla responsabilità morale della verità che il soggetto deve ad ogni costo perseguire. Abbondano i riferimenti alla Psicanalisi freudiana (il sogno, le pulsioni, l’inconscio ecc.), al meraviglioso e alla magia, come accadrà pure nei romanzi già menzionati Fuori tempo e La grazia ad esempio; un muoversi dell’invenzione fantastica, dell’immaginazione tra Maupassant e Lesage, fra lo Shakespeare del Sogno di una notte di mezza estate e il Goethe del Faust, tra la mitologia classica e la visione antropologica di Lévy-Bruhl. Il sogno stesso, per Terra, non è più soltanto, al modo di Freud, il ritorno del rimosso, ma diviene anche, alla maniera di Jung e nel solco dell’antichità classica, il tramite archetipico fra cielo e terra, asciuttezza dello sguardo e speranza di scoperta, riflessione sul senso-non senso della vita, giacché agli uomini è dato solamente vivere, non sapere fino in fondo.
Ioni è organizzato in micro e macro-sequenze, in una pluralità dei punti di vista e nella contaminazione fra letteratura e musica, che già Gide aveva sperimentato nelle opere Les Faux-Monnayeurs del 1925 e Journal des Faux-Monnayeurs del 1926. Il romanzo doveva così offrire diversi livelli di lettura e un intreccio aperto alle sorprese della scrittura finalmente libera da ogni remora naturalistica. Ciò che colpisce è appunto lo sperimentalismo tecnico, l’abilità di montaggio e smontaggio dell’opera letteraria. La costruzione di Ioni consiste in una narrazione in parti o sezioni poste l’una accanto all’altra, che svolgono le vicende principali: da un lato, l’amore «festa dei corpi» del borghese Ramik con Jone, coppia che si attrae e si perde proprio come può accadere agli ioni della Chimica e della Fisica; dall’altro, e prima ancora, quella del demone che racconta e ha un ruolo fondamentale in quell’amore (viene in mente ancora Gide con La porte étroite del 1909). Una alternanza di piani, di quadri, di voci, realizzata quasi con una tecnica cubista, a creare sezioni di racconto incrociate e discontinue: un racconto di racconti, un metaracconto.
La costruzione per quadri/sequenza separati da un semplice spazio, nel vario intersecarsi di personaggi e vicende diverse che vengono infine a comporre un tutto armonico, sarà evidente ancora, oltre che in Metamorfosi e Anima e Corpo, anche in La pietra di David (il meno riuscito dei tre: steso nel 1943, ma Milano, Garzanti, 1946, e in nuova edizione 1948), a costituire una trilogia pensata per rappresentare diversi «stati d’animo» del proprio tempo e per fornire un vero e proprio romanzo collettivo (ambientato durante il Fascismo e la sua crisi), secondo indicazioni che erano state anche di Umberto Barbaro. Per tali ragioni Terra adotta una simile tecnica compositiva a mosaico e con “colori” e toni diversi, tesi a restituire una impressione il più possibile generale della vita umana in tutte le sue forme. Allora troviamo la cronaca, gli istinti individuali profondi, il sogno, la razionalità e la progettualità, ma anche il soprannaturale, il fantastico, il comico, la favola, la parodia, così come si alterneranno nell’ “antologia di racconti” Gli Inquieti (Firenze, Sansoni, 1956). Terra teneva molto alla trilogia a causa dei significati civili e culturali di ampia portata che aveva tentato di infondere nei tre romanzi che ne componevano l’affresco, e lo dimostra il lavoro di riscrittura, in diversi casi peggiorativo, realizzato per la loro riunione nel volume unico L’ombrellino di carta colorata (Milano, Ceschina, 1967). Notevole è che uno dei temi presenti nella trilogia, in particolare in Anima e corpo, sia «la noia», che sembrerebbe aver ispirato decenni più tardi l’omonimo romanzo di Moravia La noia, Milano, Bompiani, 1960 (il protagonista si chiama Dino, un ricco borghese trentacinquenne che, lasciando comodità e privilegi, si dedica alla pittura; e nel fallimento si è legato a una donna altrettanto vacua). La «noia» è per Terra una condizione di vuoto e lontananza da sé e dal mondo, riempita via via con l’«appetito sessuale», l’avarizia, l’ambizione ecc., quando il soggetto non riesca a proporre un alto fine a sé stesso e a dare «un senso alla vita», mettendosi in una relazione eticamente forte con ciò che lo circonda [4].
Negli anni Sessanta e Settanta, Terra compone principalmente favole per adulti, rielaborando temi, vicende e tecniche degli anni Venti: dalle commedie elencate in precedenza a romanzi quali Una storia meravigliosa (Milano, Ceschina, 1964, con prefazione di Giorgio Bassani), Le buone Intenzioni (Milano, Ceschina, 1959), La fortuna e il momento (Milano, Ceschina, 1971) e il già citato L’inatteso, fino a l’inchiesta-saggio-dizionario dei luoghi comuni della cultura novecentesca Eteromorfismo. Una guida al viver civile (Firenze, Sansoni, 1975), una summa della teoresi di Dino Terra. Infine segnaliamo Un uomo e l’inferno (San Casciano, Orion, 1981): un romanzo a specchio o parallelo, che è non a caso modellato su Riflessi. Infatti il lavoro di Terra sembra come esplodere e allo stesso tempo implodere negli anni Venti-Quaranta, perché ruoterà sempre su un nucleo unitario d’ispirazione. Anche, però, su una profonda coscienza tecnico-artistica, per cui scrivere diventa ri-scrivere, ripensare, cioè, e re-inventare di continuo le soluzioni possibili per una compiuta espressione di nodi tematici e speculativi cruciali e del proprio sentire.
Bassani, nella prefazione a Una storia meravigliosa, ha parlato a ragione di smagliature nel tessuto narrativo costruito da Terra; ed è vero. C’è qualcosa “di troppo” nella sua scrittura; ma c’è sempre anche qualcosa di attraente, perché pensato e profondo, e si legge con piacere, perché Terra si muove in un mondo narrativo che avvertiamo comunque tutto suo, ben individuato, motivato e sostanziato di vasta cultura.
Daniela Marcheschi
(n. 4, aprile 2024, anno XIV)
NOTE
1. La notizia figura anonima in «Avanti», 26 agosto 1972. Nell’articolo si legge che nella lista dei 38 nomi di scrittori (ai quali era inviata probabilmente «stampa di natura antifascista»), segnati da Carlo Rosselli in un suo taccuino sequestrato dall’OVRA, manca Moravia e figurano invece, oltre a Terra, Alvaro, Bacchelli, Cajumi, Comisso, Contini, Debenedetti, Tecchi, Vergani, Vittorini, Zavattini e altri.
2. La pietra di David cit., pp. 268-269.
3. Qualcuno si diverte cit., p. 103.
4. Così in Anima e corpo, cit., p. 73.
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