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Un mediatore culturale ante litteram della Romania: Arturo Graf
Si torna a parlare, oggi più che mai in tempi di crisi della politica economica europea, dell'esistenza di diversi modelli di «Europa», di una Europa del Sud, mediterranea, l'Europa dei popoli neolatini, da contrapporre all'austerità calvinista del modello nordico, tedesco-anglosassone. Ma l’idea è tutt'altro che nuova. Nell'Italia della metà del XIX secolo si era concepita l'iniziativa di rafforzare i legami naturali con gli altri popoli latini tramite uno sforzo di avvicinamento culturale e di migliore conoscenza di essi, per poter promuovere interessi comuni della nuova geopolitica europea dove il pangermanesimo e il panslavismo si sentivano forti. I promotori di questa idea si formano negli ambienti degli studi filologici, soprattutto all'Università di Napoli, dove personalità come Francesco De Sanctis coltivavano, sugl’indirizzi della scuola positivistica del tempo, l'idea di una unità della gens latina. Si può intravedere in ciò anche un legame con la visione geopolitica del sardo-piemontese Cavour: De Sanctis fu Ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Cavour e nel primo governo Ricasoli. In questo allargato contesto politico-culturale devono essere inquadrati i propositi di alcuni intellettuali italiani legati da esperienze diverse alla Romania; a Napoli e all'idea d'unità latina, per far conoscere meglio la Romania agli italiani, si rapportano Bruto Amante, che scrive un libro monografico, La Romania Illustrata, come continuazione delle iniziative del padre Errico di fondare una Lega latina, e Arturo Graf, che visse per dieci anni tra i romeni e scrisse a Braila, alle foci del Danubio, le sue prime opere letterarie. Tutti sono stati legati a Francesco De Sanctis: Bruto Amante, tramite il ricordo del padre Enrico che fu amico strettissimo del famoso letterato e lui stesso lo fu poi, e Graf che studiò a Napoli ed ebbe come maestro proprio il De Sanctis.
I primi scritti pubblicati a Braila
L’intensificarsi delle relazioni e lo sviluppo delle attività economiche degli Italiani nei porti franchi romeni di Braila e Galați portarono anche i semi più fertili della cultura. All’interno di questa nuova realtà è presente uno dei poeti e critici letterari più in vista tra il XIX e il XX secolo, Arturo Graf. La sua biografia rappresenta un pezzo dell’italianità «di frontiera». Nato ad Atene da padre tedesco, come lascia intendere il suo cognome, e da madre italiana di Ancona, ma di antica famiglia fiorentina, si trasferisce con la famiglia a Trieste e, dopo la morte prematura del padre, va a vivere presso la casa dello zio materno che risiedeva a Braila, da dove ritorna in Italia solo nel 1863 per frequentare il liceo a Napoli. Qui conoscerà il suo maestro, Francesco De Sanctis, e completerà gli studi di giurisprudenza nel 1870.
Interessante è il modo come appaiono in Romania le prime produzioni poetiche di Arturo Graf, a Braila. Nel 1861, Graf pubblica il primo volume di versi, sotto pseudonimo, Poesie, di Filerete Franchi, quattordicenne, seguito due anni dopo da un secondo volume, Arturo Graf, Poesie, Braila, G. M. Pestemalgioglu, 1863. Graf pubblica quindi con il contributo di un amico anche lui dal nome «meticcio», Pericle (più greco di così non si può), ma dal cognome turco, Pestemalgioglu, che non ha niente a che fare con l’assonanza italiana alludente alla micidiale epidemia, ma, semplicemente per la terminazione – oglu che denomina «il figlio di», nel nostro caso Pestemalgi corrisponde ad un modestissimo «venditore di fazzoletti». Un esempio magistralis del cosmopolitismo di cui godevano i porti romeni alle foci del Danubio, dove Turchi e Italiani facevano pubblicare i libri nelle stamperie che fino ad allora stampavano solamente cedole per usi commerciali.
Ma la città lasciava molto a desiderare riguardo al confort. Graf la descrive come un posto «semibarbaro», dove sulle «vie» bivaccavano cani e maiali, e solo i fiori di acacia «imbalsamavano l’aria» con la forza della natura [1].
Graf vive tra i Romeni, come tutti gli stranieri di ogni tempo, il dramma dell’esilio. E come ogni italiano si commuove al sentire la melodia di un’opera italiana che aleggia nelle strade di quel paese, per lui straniero [2]. Graf, come tutti i cosmopoliti, è sentito in Patria, a sua volta, da straniero, e per di più da Valacco [3]. I due soggiorni romeni sono lunghi come durata, in totale un decennio – il primo dura più di sette anni e il secondo quasi tre anni, ma corrisponde al periodo più significativo per la cristallizzazione dell’interiorità di un adolescente e poi di un giovane [4]. Nel primo periodo del soggiorno romeno, l’unica uscita fuori da Braila fu a Constanța, sul Mar Nero, che la ricorda sempre legata a un altro famoso letterato esiliato dell’Antichità: «In tutti questi anni – scrive Graf – che furono sette, io non uscii di Braila se non una volta sola, e fu per andare, nel cuor del verno, a Constanța (Custenge) sul Mar Nero; se non proprio il luogo dove fu relegato Ovidio, certo, poco distante da quello; ed era, allora, sotto il dominio turco» [5]. Andrà di nuovo a Constanța nel secondo soggiorno, così come racconta nella lettera spedita il 7 agosto 1874 da Braila alla signora Erminia Fuà-Fusinato [6], dove descrive la visita a Tomis, l’antica città greca, che gli ispirerà la poesia Ad un cipresso, e dove parlerà dell’«aura dolce d’April» [7].
Sempre attraverso le sue memorie sappiamo che Arturo Graf ha studiato a Braila con Luigi Frollo, veneziano, che prima fa da precettore ai giovani rampolli e poi diventerà professore all’Università di Bucarest [8], e dal quale Graf impara a versificare. La sua formazione si arricchisce grazie alla biblioteca cospicua del padre, di circa 500 volumi, che si fa portare da Trieste. Interessante è anche l’amicizia che Graf fa, da italiano, con un ebreo, il suo giovane editore, Vittorio Mendl, che si aggiunge all’altra amicizia con il greco-turco Pericle Pestemalgioglu. Un mondo cosmopolita che viveva alle foci del Danubio, nelle terre romene con statuto di porto franco. È così che Graf ricorda il suo amico ebreo: «Un giovane, che mi aveva preso a benvolere, di cui qui scrivo il nome con sensi d’incancellabile gratitudine, Vittorio Mendl più giovane di me di qualche anno, volle, ad ogni patto, in un paese dove non erano né editori, né librerie, farsi mio editore. Ed ecco quello stesso Pericle Pestemalgiogliu, che, dodici anni innanzi, aveva stampato i miei primi saggi poetici, stampare, con la miglior eleganza possibile, un volumetto di versi. Quando mi trovai in possesso di un paio di centinaia di copie del nuovo volume, mi sentii imbarazzato. Distribuitene alcune ad amici vicini e lontani, delle rimanenti non sapevo troppo che fare» [9]. Sappiamo che li manderà al ministro dell’Istruzione Pubblica, Ruggero Bonghi [10], a Francesco De Sanctis [11] e ai conti Fusinato.
Arturo Graf è un attento osservatore della poesia popolare, specialmente di quella romena, come risulta anche dallo studio, che sarà un importante titolo per la sua futura carriera universitaria, Della poesia popolare romena [12], pubblicato nella Nuova Antologia, che rappresenta una valida sintesi delle poesie popolari pubblicate prima nella raccolta di Alecsandri e in quella più famosa di Crăciunescu, Le peuple roumain d’après ses chants nationaux [13]. Nel saggio di Graf appaiano per la prima volta le immagini piene di mistero e di fascino di un tesoro culturale inestimabile: il folclore romeno. Graf analizza le tipologie delle poesie popolari romene dalle doine, balade, colinde (canti propiziatori del Natale per l'anno nuovo che verrà), ma anche i versi degli incantesimi e delle parole magiche invocate dalle streghe, vere taumaturghe e maghe della medicina alternativa [14]. Osserva i personaggi negativi e i loro vizi – i ciocoi [15]– gli arrampicatori sociali sfruttatori del popolo [16], la malvagità di certi greci [17] stranieri che appartengono a quel mondo fanariota che fu causa dell’arretramento del paese e dell’aumento delle tasse. Presenta per la prima volta una delle più importante creazioni popolari – La leggenda del capomastro Manole [18], a cui si attribuisce la realizzazione della chiesa monumento dalla antica residenza principesca della Muntenia – Curtea de Argeș – che fu obbligato a sacrificare la propria moglie murandola viva nelle fondamenta del monastero per scongiurare la dannazione del posto che faceva sì che ogni notte crollasse quello che era stato edificato il giorno prima. Il mito del sacrificio umano che sta alla base dell'arte è la quintessenza di questa leggenda popolare. Osserva che se la poesia popolare romena è il principale frutto della creazione, l'epica non ha una rilevanza tale. Come ogni latinista osserva tracce nella memoria collettiva immagazzinata nella poesia popolare dell'origine del popolo e il vivo ricordo dell’imperatore Traiano [19] che è stato tramandato nei secoli. Cita Alecsandri, il poeta e rappresentante diplomatico romeno a Torino, nella capitala del Re sabaudo, quando dice che la mancanza dell'elemento epico può essere una conseguenza del fatto che per tanto tempo i romeni, parte dell’Europa, sono stati dimenticati alle porte dell’Oriente [20].
Tutto quello che descrive, e da cui si ispira Graf, prende spunto dalla sua esperienza giovanile di infelicità e di lavoro assiduo che lo avvicina ai più sfortunati, ai poveri; è un socialista che ammira Bakunin e condivide i suoi ideali [21]. Conoscerà Bakunin a Napoli, nel 1868, quando l'anarchico russo era in città «spinto da chi sa per quali oscuri proposti» [22]. Anche la sua opera deve essere capita tramite questo profondo pessimismo metafisico che è lo sfondo della sua vita reale, ma rimane un razionale anche nelle questioni di presa di posizione come le sue convinzioni di matrice socialista [23]. Il fatalismo orientale fa sì che restassero impresse per tutta la vita le parole di un capitano del piroscafo francese, con cui partì da Braila per la seconda volta, il quale disse: «Macchina, avanti! À la grâce de Dieu!» [24] Dalla vena socialista gli arriverà poi, quando si stabilirà a Torino, l'influenza del positivismo legato alla tecnica e alla scienza [25]. I suoi spostamenti dell’infanzia e dell’adolescenza diventano veri racconti di viaggio: Atene, Napoli, Ischia, Bordighera, Stresa, Venezia, Roma. [26] Però di tutti questi racconti, i più intensi sono, come nella psicanalisi, quelli dell’infanzia passata a Braila, tra i romeni, dove scopre l’amore per la natura, dove appaiono i suoi primi scritti, prova del fatto che proprio qui lui scoprirà se stesso e la sua vocazione [27].
Le descrizioni della città di Braila
Le descrizioni di Braila fatte da Graf non sono le solite lamentele di uno straniero che disdegna una città, ma le preoccupazioni di uno spirito civico che sa fare le giuste osservazioni. Certo che quella del primo soggiorno è tremenda: «Braila era, allora, una città semibarbara, dove alla popolazione indigena si mescolavano numerosi stranieri: greci, slavi di più patrie, turchi, italiani, ecc. Non aveva alcuna delle eleganze e delle comodità che oramai sono fatte comuni nelle città incivilite, o che passano per tali. Le vie, o eran selciate, in modo da far desiderare che non fossero, e solo le spazzava, di tanto in tanto, qualche furioso acquazzone, e vi erravan cani famelici, d’ogni pelo, e, insieme con i cani, vi erravano, qualche volta i porci. L’illuminazione publica [sic] consisteva in poche sgangherate lanterne, entro le quali alcune magre candele di sego ardean due o tre ore, e rendevan visibili, assai più che non le dissipassero, le tenebre. L’acqua si attingeva in botti ad una gora melmosa del fiume, e, per poterla bere, era filtrata in certi filtri di molle pietra calcare, dai quali stillava a goccia a goccia. La vasta e nuda pianura che, a perdita d’occhio, si stende a ponente della città, non aveva altre strade che quelle tracciate dai numerosi carri che, di continuo, recan le biade al mercato ed ai magazzini del porto. Non v’era ancora le ferrovia. Chi voleva andare a Galatz per terra, anziché per acqua, doveva attraversare il Sereth sopra una zattera non essendovi ponte. Chi voleva recarsi a Bucarest, doveva cacciarsi in un carrozzone coperto di forma preistorica, al quale si attaccavano dieci o dodici cavalli, e farsi trascinare e strabalzare per una trentina d’ore». [28]
Quando, però, per la seconda volta soggiorna a Braila, Graf osserva e mette in risalto i progressi fatti dalla città. Si innamora della natura romena: «Andammo a stare in una casa comoda e spaziosa, che aveva a fianco un giardino ed un vasto cortile. In mezzo al cortile era un pozzo; da un lato, nel fondo, erano il lavatoio, la legnaia, la stalla, il pollaio. Quante mezze giornate passai in quel giardino, scoprendo piante ed insetti!» [29]. Ha una vita sociale che non ha niente da invidiare o rimpiangere a quella italiana: «Si menava una vita molto libera e quasi patriarcale. Meno che in due vie, le case erano tutte isolate e basse, tra orti e cortili, piene d’aria e di sole; ed ogni famiglia aveva la sua; e chi sia nato e cresciuto in una parte di piano di uno di questi casermoni nostri, circonvallati e fronteggiati da tutte le parti, non può facilmente immaginare che gran sollievo sia quello. In casa si tenevano grandi provviste, si faceva il bucato, si preparavan conserve di ogni sorta, si provvedeva la legna necessaria per l’intera annata, e ce ne voleva di molta avendo ogni stanza la sua stufa. Con il sopravvenir del dicembre, gelando il fiume, quasi ogni lavoro cessava, e la città rimaneva per settimane intere, mezzo sepolta nella neve, che a nessuno veniva in mente di togliere e su cui si correva con le slitte. In maggio, tutta la città verdeggiava, e le innumerevoli acacie imbalsamavano l’aria» [30].
Il secondo soggiorno è una vera nuova scoperta della città: «Che mutazione! Mi pareva quasi di non ritrovar più nemmeno me stesso» [31]. Ma questa volta sarà più breve anche perché l’Occidente inteso come Italia [32] l’aspettava e perché per gli Italiani di Braila l’età della prosperità era tramontata da un bel po’. Il fratello Otto impoveriva a vista d’occhio e lui, Arturo, si sentiva di troppo nella casa di lui: «Il mio pensiero dominante era uno solo: non perdere il frutto di così lunghi amori e di così lunghe fatiche: uscir di Braila; tornare in Italia; aprirmi una nuova vita. Certo, mi rincresceva nell’anima di dover lasciare la Madre ed il fratello; ma sentivo che a quella vita io non potevo durare un pezzo; che, certamente sarei, e tra breve, di struggimento. Quante volte ebbi a recarmi tutto solo fuor delle porte della città, a contemplare il sole che tramontava in fondo alla deserta pianura, e l’anima mia pareva avventarsi dietro ed esso, sulle vie dell’occidente! In una lirica che, allora, composi, l’insistente pensiero esprimevasi con angoscia:
Lo spirito mio, sempre a un pensier rivolto,
Sonno trovar non sa:
Seggo nel letto ed ascolto
Gli orioli squillar della città». [33]
Ramiro Ortiz trovava nella tristezza della poesia di Graf un influsso della poesia popolare romena. Di sicuro hanno la stessa matrice metafisica per ciò che riguarda il grande tema della morte e della volontà di andarsene da questa terra (intesa da Graf anche come terra dell’«esilio» tra i romeni). Dice Graf in una poesia che è del 1872: «Je voudrais m’en aller, / Dans cette terre de sommeil / Qu’on appelle la mort…». [34]
Oltre Ricordo di Tomi, scritto dopo la seconda visita a Constanța (l’antica colonia greca di Tomis) fatta nel aprile del 1873, c’è anche la poesia Ad un cipresso, del 1871, frutto del primo viaggio, ispirato da Ovidio, nobile antenato italico e modello eterno di tutti i poeti, esule anche lui da quelle parti: «Me lo figuravo errante per la sterile landa, o lungo la riva del mare; e, pensando che, forse, io posavo i piedi dov’egli, diciotto secoli innanzi, li aveva posati; e che, forse, io non avrei riveduto mai più l’Italia, come’egli non l’aveva mai riveduta, non posso dire quanto fosse amara la mia passione» [35].
Il sentimento dell’estraneità, della nostalgia dell’esiliato per l’Italia perduta, si fa più struggente nei suoi ricordi del secondo soggiorno a Braila. Il dolore e la mancanza della Patria è comprensibile solo da chi, come Graf, ha mangiato il pane amaro dell’esilio e si è commosso al solo udire la musica della sua infanzia. Dimitrie Bodin identifica queste tracce di memorie romene nei versi della poesia Fantasmi [36]: «Ricordo una placida notte del mese di dicembre. La neve, caduta in gran copia il giorno innanzi, copriva i tetti e le vie; nel cielo sereno splendeva nittidissima [sic] la luna. Io sedevo in una stanza apportata [sic], accanto alla finestra, tutto solo con i miei pensieri, nel silenzio profondo, mentre nella stufa l’ultima bragia finiva di consumarsi. A uno tratto, in quella immensa quiete, si levò la voce tremula di un vecchio organino, sonato, senza dubbio, da qualche vagabondo italiano. Sonò la ‘Casta Diva’; poi il famoso coro del ‘Nabucco’. Alle prime note mi corse un brivido per le carni. Il rimpianto del passato, lo sgomento dell’avvenire, una pietà di me stesso, mi fecero nodo alla gola e scopiai [sic] in singhiozzi» [37].
Altri tratti romeni fotografati da Graf
Interessante è anche il modo con il quale Graf descrive i Romeni: «Il Rumeno è d’indole mite e riposata, laborioso e sobrio, di cuore aperto e facile alla confidenza: una delle particolarità del suo carattere, che maggiormente s’avverte dagli stranieri, è un certo abito di tranquilla malinconia, il quale fa sì ch’egli rifugga da ogni maniera di spassi immoderati e chiassosi, e rado si scosti dalla decenza. Mal si avviserebbe tuttavia chi volesse perciò giudicarlo d’animo troppo umile e rimesso: una storia gloriosa di più che tre secoli, durante i quali il popolo rumeno si vede (per non parlare delle guerre ch’ebbe perpetue contro ai Polacchi e agli Ungheresi) tener testa alla potenza dei Turchi, vincerli a più riprese, attraversarsi come un baluardo all’irrompere loro verso il cuor dell’Europa, e salvare insomma, se non intera, ma pur di poco menomata, l’indipendenza nazionale, una tale Storia sarebbe, a parer mio, prova sufficiente del contrario» [38].
C’è anche un’osservazione molto mirata sull’influsso delle idee della Rivoluzione Francese che passa attraverso le novità del calendario e dello scorrere del tempo determinati dalla meteorologia e dai connessi lavori agricoli. Anche nel nostro caso, i mesi dei calendari popolari romeni (gli almanacchi), riportano i nomi collegati alle attività della campagna del contadino romeno e al loro ripetersi in eterno nel ciclo annuale dell’agricoltura [39]. Gli almanacchi romeni venivano stampati a Buda (Alba-Iulia) in Transilvania, culla della Scuola Transilvana, da dove si diffondevano oltre i Carpazi anche le aspirazioni risorgimentali richiamando le origini latine con lo scopo di risvegliare l’idea dell’Unità Nazionale sotto una sola grande Patria, come annunciava «il nuovo vangelo dei popoli» diffuso con la Rivoluzione Francese, che mosse le frontiere della Vecchia Europa per sempre [40].
Graf è un fervente ammiratore dei capi degli haiduci, una specie di briganti romeni, che per un socialista come lui non potevano essere meglio motivati nelle loro azioni militari di ribellione e nella loro determinazione, mossi «dalla carità di patria e d’amor della giustizia» [41].
Graf conosce la bellezza dei canti popolari romeni [42], conosce la sorgente di questa creazione poetica molto nobile che è il «dorul de Teră» (sic, «dorul de Ţară» = la nostalgia struggente per la Patria) che fa sì, scrive, che i disertori romeni dell’esercito austro-ungherese fossero soggetti a pene più miti che quelli delle altre nazioni dell’Impero [43]. Da un rapido sguardo possiamo concludere che Graf è un «frutto» culturale di massimo peso letterario e scientifico di una realtà italiana fuori dall’Italia, del contatto continuo e intenso di una minoranza italiana che viveva, produceva e pensava in uno spazio romeno. La poesia di Graf mostra profonde reminescenze della lirica popolare romena, ma soprattutto ha in sé il velo di quello che è il permanente sfondo della cultura e della letteratura romena, la malinconia e il dor, cioè il sentimento della mancanza struggente (dipende dal tema) della terra o della persona amata. In Graf c’è il seme romeno in un’espressione lirica italiana; tuttavia Graf è anche un caso unico di prodotto della ʻmulticulturalitàʼ ante litteram. Infine, c’è anche da osservare che Braila e Galați producevano non solo ricchezza per gli Italiani, ma anche poeti e futuri propagatori della cultura romena in Italia, visto che Graf è un poeta di espressione italiana, ma anche uno dei più rinomati professori di lingue romanze (alle Università di Roma e poi di Torino) e perciò professore anche di romeno, che lo conosceva come un bilingue. Da questo incontro culturale l’Italia ha guadagnato un poeta e i Romeni uno studioso che ha promosso la lingua e la cultura romena all’estero.
Corina Tucu
(n. 7-8, luglio-agosto 2014, anno IV)
NOTE
1. In Dimitrie Bodin, Precizări privitoare la legăturile lui Arturo Gaf cu românii (“Revista Istorică Română V-VI, 1935-1936, Bucureşti, M. O. Imprimeria Naţională, 1936, 3-30): «Braila era, allora, una città semibarbara, dove alla popolazione indigena si mescolavano numerosi stranieri: greci, slavi di più patrie, turchi, italiani, ecc. Non aveva alcuna delle eleganze e delle comodità che oramai sono fatte comuni nelle città incivilite. Le vie, o non erano selciate, in modo di far desiderare che non fossero, e solo le spazzava, di tanto in tanto, qualche furiosa acquazzone, e vi erravan cani famelici, d’ogni pelo, e, insieme con i cani, vi erravano, qualche volta i porci […] Si menava una vita molto libera e quasi patriarcale. […] Con il sopravvenir del dicembre, gelando il fiume, quasi ogni lavoro cessava, e la città rimaneva per settimane intere, mezzo sepolta nella neve, che a nessuno veniva in mente di togliere e su cui si correva con le slitte. In maggio tutta la città verdeggiava, e le innumerevoli acacie imbalsamavano l’aria” (18-20).
2. Bodin 1936, 24.
3. Bodin 1936, 27: «Recensendo i Versi di Graf nel 1874 un suo amico, Fanfani, che conosceva bene l’autore, annota nella recensione che gli fa nel Borghini: ‘Mi piace più questo Vallacco [sic!] che tanti nostri italiani che vanno per la maggiore’». Bodin ricorda che nella prefazione all’edizione di Roma del 1876 delle sue Poesie e novelle, Graf si esprime con queste parole: «Io non sono nè Romeno, nè Triestino, e neanchè [sic!] greco… e nemmeno gran fatto Tedesco…; ma sì ben Italiano quanto m’han potuto fare la madre, gli studi, la lunga dimora, la lingua che parlo e che ho sempre parlato».
4. Bodin 1936, 6: «Mă opresc asupra traiului său printre Români, Arturo Graf a fost, s’a văzut, de două ori la Brăila. Prima dată cam de la jumătatea lui Mai 1856 şi până în Iunie 1863, şapte ani deci şi mai bine, timp pe care-l petrece în casa unchiului său după mamă. Dela 8 până la 15 ani, Arturo Graf stă la Brăila. Revine însă în acelaş oraş, în casa fratelui său Otto, de astă dată pe la 20 Mai 1871 şi părăseşte, pentru totdeauna Brăila, la 4 Noemvrie 1874. Stă adică a doua oară de la 23 la 26 de ani. În total 10 ani» [trad.: Mi fermo solo sulla sua permanenza tra i Romeni: Arturo Graf è stato, si è visto già, due volte a Braila. La prima volta verso la metà del mese di maggio 1856 e fino a giugno 1863, sette anni e un po’ di più, tempo trascorso nella casa dello zio materno. Dall’8 ai 15 anni, Arturo Graf abita a Braila. Ritorna in questa stessa città, nella casa del suo fratello Otto, questa volta verso il 20 maggio del 1871 e lascia, per sempre, Braila, il 4 novembre del 1874. Rimane questa seconda volta dall’età di 23 ai 26 anni. In totale sono 10 anni di permanenza].
5. Arturo Graf in Onorato Roux, Memorie autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici, patrioti e pubblicisti, raccolte e corredate di cenni biografici, I. Firenze, 1909-1910, 87 e ss.; ved. anche Bodin 1936, 6-7.
6. Bodin 1936, 7: «Aveva conosciuto la signora Erminia Fuà-Fusinato quando aveva visitato Castelfranco». Il Bodin riprende da Anna Defferrari, Arturo Graf. La vita e l’opera letteraria. Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1930, pp. 34-35 e 35 nota 1; Fusinato Fuà Erminia in Dizionario del Risorgimento italiano, III, 156; Enrico Liburdi, Poeti romantici. Erminia Fuà-Fusinato, Corriere delle maestre XXXIX n. 13 (1936), 109-110; Rassegna Storica del Risorgimento, XXIII (1936), fasc. III, 390 nota 17.
7. Bodin 1936, 23-24.
8. Bodin 1936, 8 nota 2, con riferimento alla lettera tra Graf e Giovanni Luigi Frollo, scritta in Braila il 12 Febbraio 1872; stralci della lettera in Bodin 1936, 8-9: «Quei nostri congiunti... (Stefano Palma e il marchese Beccadelli) avevano fatto venire da Venezia un giovane precettore, per nome Luigi Frollo, che fu, più tardi, professore all’Università di Bucarest, e pubblicò, circa il 1867, un poderoso dizionario italiano-romeno. Era uomo di varia e non superficiale coltura letteraria e giuridica, conosceva parecchie lingue, verseggiava molto pulitamente, disegnava, miniava. Solo gli mancava un po’ l’arte di farsi obbedire. Per tre anni, senza frequentare altra scuola, lo ebbi maestro in compagnia di parecchi cugini; poi, senza di essi, per altri quattro… Da Luigi Frollo appresi un po’ di latino, di francese e di tedesco, un po’ di storia e di geografia, a disegnare e a far versi»; Alexandru Marcu, Arturo Graf. La vita e l’opera letteraria, Milano, Dante Alighieri, 1930, in nt. 5, p. 272.
9. Bodin 1936, 13, che richiama in nota Roux 1909-1910, 116-117.
10. Bodin 1936, 13 nota 2: «Acest volum l-am folosit eu; se găseşte la ‘Biblioteca Nazionale’ din Roma sub cota 201.6.A.4 şi poartă dedicaţia: ‘A Sua Eccellenza il Ministro della Pubblica Istruzione Prof. R. Bonghi, omaggio dell’autore’» [trad.: Questo volume l’ho usato io; si trova nella Biblioteca Nazionale di Roma sotto la collocazione 201.6.A.4 e riporta la dedica: ‘A Sua… etc.’].
11. Bodin 1936, 13 nota 5, dove richiama: «Defferrari, p. 46 e la nota 3: scrisoarea, Brăila, 18 Oct. 1874».
12. Bodin 1936, 25: «Della poesia popolare romena, 1875. Studiul acesta ne arată el singur cât de mult s’a alipit Graf nu numai de pământul ţării noastre – pe care l-a descris cum am văzut – dar şi de poporul care stăpâneşte acest pământ, de Români: de istoria, de limba, şi de creaţia lui cea mai aleasă, de poesia populară. A potut-o face cu atât mai deplin cu cât cunoştea româna tot atât de bine ca şi italiana. Ba s’a ocupat şi de grafia română» [trad.: Della poesia popolare romena, 1875. Solo questo studio ci dimostra quanto Graf si è legato non solo alla terra del nostro paese – che l’ha descritta come abbiamo visto prima – ma anche al popolo che possedeva questa terra, i Romeni: alla loro storia, alla lingua e alla sua creazione più elevata, la poesia popolare. L’ha potuto fare così bene perché conosceva il romeno tanto bene quanto l’italiano. Di più si è occupato anche della grafia romena].
13. Bodin 1936, 15: «1875. Graf A., Della poesia popolare romena, în Nuova Antologia, XXX (1875), Sept., pp. 5-38».
14. Idem, pp. 37: «Queste magliare, o streghe che si voglian dire, all'esercizio dell'arte magica, propriamente detta, accompagnano quello della medicina, la quale tuttavia, ancor essa, più che nella virtu di certi semplici, si fonda nella potenza degli scongiuri, in cui le persone del volgo hanno più fede che non in tutta la materia medica moderna».
15. Idem, pp. 27-28: «Miserabile è lo spettacolo che presenta il paese sotto il governo dei Fanarioti. Costoro, non principi, ma fittaioli, doveano pagare alla Porta, da cui riconoscevano la signoria, il prezzo della investitura, non hanno altro pensiero, né altra sollecitudine che di ammassare, nel tempo breve del loro governo, quanta ricchezza è possibile, per sollevare da una parte il debito, per assicurarsi l'opulenza dall'altra. A rendere quest'opera più agevole, egli ripartano il paese ai fittaioli minori, detti con nome vituperoso ciocoi (cani da punta) , i quali, rosi dalla stessa fame, non è a dire qual trattamento facciano del misero popolo, come lo premino, lo tosino, lo aschighino, torcendo a uso panni di bucato».
16. Idem, pp. 30-31.
17. Idem, pp. 32: «Immediatamente dopo i ciocoi in ordine degli odiati vengono i greci, i quali non si può negare che in molti modi non abbian nociuto alla Rumenia. Ad essi è per lo più serbata nelle leggende la brutta parte dei traditori, ad essi è imputato di rispondere con nera ingratitudine ai maggiori benefici. Il famoso Codreanul, di cui s'è detto più addietro, fatto prigione, è condotto alla presenza del principe, vedendo che questi è già per piegare ai consigli d'un suo greco cortigiano, e punirlo di morte cosi favella: “Altezza non dare ascolto ai Greci, perché ti sarà da loro consumata la vita. Il Greco è una fiera maligna, il Greco è una lingua velenosa, il Greco è una peste, che penetra insino all'ossa».
18. Idem, pp. 32-34.
19. Idem, pp. 37-38: «Passate così a rassegna le varie specie di canti, onde si forma la poesia del popolo romeno, una questione s'affaccia spontaneamente allo spirito. Com'è che quella poesia non s'alzò dal grado della lirica a quello dell'epica. (...) le ragioni del mancamento non sono da cercare in una propria limitazione o impotenza dell’ingegno romeno, la cui attitudine all'epica e anzi assai ben dimostrata, dagli avanzi di antichissimi canti, in cui si sentono ricordar tuttavia le glorie dell'imperatore Traiano».
20. Idem, pp. 38: «Insomma, tale qual è parmi (e così parrà fors'anche al lettore) che la poesia popolare romena possa essere degnamente annoverata fra i titoli che, gli è già qualche tempo, vanno attirando l'attenzione dell'Europa sovra un paese troppo a lungo, e troppo ingiustamente, secondo che ben dice signor Alexandri, abbandonato e dimenticato sul confine d'Oriente».
21. Bodin 1936, 17: «Graf a fost o individualitate puternică. Credea în sine într’o stea mai luminosa; se preţuia. Deaceia a muncit de mic, şi foarte mult. Izolarea şi cartea l-au creat; dar l-au făcut şi un aprig individualist; rece şi distant. Iubea libertatea, ca pe cel mai scump atribut al omului care gândeşte, al personalităţii. Singurele lui aplecări în spre societate erau florile îndelungii lui tristeţi; iubia pe dezmoşteniţii soartei; admira pe Bakunini; era socialist» [trad.: Graf è stato una forte individualità. Credeva dentro di sé in una stella luminosa; apprezzava se stesso; Proprio per questo ha lavorato da piccolo, e anche moltissimo [espressione che tradisce una sintassi italianizzante, n.a.]. L’isolamento e lo studio lo hanno formato; ma lo hanno trasformato in un agguerrito individualista, freddo e distante. Amava la libertà, come il bene più caro all’uomo che pensa alla personalità. I suoi unici contatti con la società sono i frutti della sua lunga tristezza; amava i diseredati della sorte; ammirava Bakunin; era socialista].
22. Arturo Graf, Memorie giovanili (1848-1876), a cura di Girolamo de Liguori, Edizione dell'Orso, Alessandria, 2005, p. 51.
23. Defferrari A. 1930, p. 100: «Giova notare del resto che, in quello scorcio di secolo, frequenti furono le adesioni alla nuova dottrina: contribuirono alla sua diffusione, non solo l’attività esplicata da qualche cultore del Marxismo, ma anche le pubblicazioni della Critica Sociale, iniziatesi a Milano dal 1891. Così il socialismo, trovando il terreno favorevole al proprio svolgimento, si diffuse con una certa rapidità: parecchi nomi si potrebbero fare specialmente nel campo delle lettere: basti ricordare accanto a Graf, il Fogazzaro che affermava la religione cattolica essere fondamentalmente socialista, il Corrado che trovava un certo appagamento del suo ideale nelle sue affermazioni umanitarie della dottrina, Cesare Lombroso che sperava ne derivasse una ricostituzione morale ed economica, ed infine Edmondo de Amicis, che i diseredati nel loro diritto alla partecipazione del benessere sociale. Ma se De Amicis in questa sua professione di fede era mosso da un senso di simpatia, il Graf vi era portato da vero convincimento: anche il socialismo era in lui frutto di ragione».
24. Idem, p. 57.
25. Graf A., 1971, p. 11: «Oli equivoci inerenti, ad élite culturale borghese, soprattutto di Torino (per un solo nome, caro a Graf, De Amicis), e rimastogli sempre come generico umanitarismo e moralismo politico, è un tipico socialismo da società primo-industriale, e gestito da un borghese umanitario e professore: esclude la lotta di classe in quanto violente e antiumanitaria, e la sostituisce con il progresso promosso e necessario progresso anche sociale».
26. Bodin 1936, 17: «Prin prisma firii acesteia, trebue să interpretăm descrierele sale asupra locurilor prin care a trecut. Las la o parte ecourile puternice pe care le au în opera lui: Atena, cetatea natală [in nota: Atenei i-a închinat sonetul I şi IV din Dal libro dei ricordi, în Poesie, cit., p. 214, 217; cfr. P. 395, 396, 398 şi poezia Atena, ibid., p. 397. Apoi Al passo di Termopile, în Versi, 1874, Braila, p. 7-8]. Napoli, oraşul studentiei [in nota:«Napoli»–lui: Intorno al golfo, Poesie, p. 655; Napoli, p. 665-664]; Ischia [in nota: Ibidem, Ricordo d’Ischia, p. 257]; Bordighera [in nota: Ibidem, Ricordo di Bordighera, p. 279-280; vezi şi Il Riscato (sic!), p. 57: «luogo da innamorati e da poeti»], Stresa [in nota: Note di luglio a Stresa, p. 451]; Venezia [in nota: Venezia, p. 644-654], Roma [in nota: Ibidem, Colosseo, p. 585; A Roma, în Versi, 1874, Brăila, p. 22-26]» [trad.: Attraverso il suo carattere dobbiamo intepretare le sue descrizioni dei luoghi dove è passato: Atena, la città natale; Napoli, la città da studente; Ischia; Bordighera, Stresa, Venezia, Roma].
27. Bodin 1936, 18: «De Brăila îl legau pe Graf anii copilăriei şi ai adolescenţii. În portul dunărean a înmugurit în Graf dragostea pentru natură, de câmpiile întinse şi de verdeaţa pădurilor; cântecul idilic al clopotelor de biserici şi nostalgia doinelor aci l-au subjugat; dorul, dorurile toate, în Brăila i-au deşteptat inima şi i-au înfipt în conştiinţă ambiţia şi bărbăţia. De Brăila îl leagă pe Graf primele lui tipărituri. În Brăila personalitatea lui Graf şi-a început cristalizarea» [trad.: A Brăila lo legavano gli anni d’infanzia e dell’adolescenza. Nel porto danubiano sboccia in Graf l’amore per la natura, per i campi distesi e anche per il verde delle foreste; il canto idilliaco delle campane delle chiese e la nostalgia dei canti popolari romeni lo hanno, qui, incantato; la nostalgia, la nostalgia per tutto, in Brăila gli hanno svegliato il cuore e gli hanno trafitto la coscienza, l’ambizione e la mascolinità. A Brăila erano collegati i primi scritti di Graf. Nella città di Brăila la personalità di Graf ha incominciato la sua cristallizzazione].
28. In Bodin 1936, 19, che le richiama da Roux 1909-1910, 93-94.
29. Bodin 1936, 19: «Observ însă că din această descriere nu respiră desgustul străinului care a fost scârbit de un oraş ce nu i-a căzut la inimă; ci se simte grija cetăţeanului care ar dori ca oraşul în care trăieşte să se întreacă în frumuseţe şi în orârmuiri mai bune pe zi ce trece. Se vede aceasta şi din faptul că ştia să aleagă părţile rele, care se vor îndrepta – şi o constată în 1870, singur – de privilegiile pe care i le ofera Brăila, şi pe care le folosea» [trad.: Osservo però che da questa descrizione non trapela il dissapore dello straniero schifato da una città che non ha apprezzato, ma si avverte la premura del cittadino per la città nella quale desidererebbe vivere, che diventerà più bella e meglio amministrata ogni giorno che passa. Si vede questo anche nel fatto che sapeva discernere le parti negative, che saranno migliorate – e lo costata in prima persona nel 1870 – dai privilegi che Braila offriva, e dai quali godeva i vantaggi].
30. Bodin 1936, 19-20: «Pe urmă, era liber. Făcea ceeace curiozitatea îl împingea să facă. Se plimba, se ducea la teatru, cânta, trăia într’un cerc ales de cunoştinţe – dintre care aminteşte de Stefano Palma şi de marchizul Beccadelli. Citea, scria proză şi versuri: motiv pentru care ai săi îl luau în derâdere părintească şi-i îngăduiau orice capriciu. Ca viaţă sufletească, pe de-asupra, Brăila era cuibul desfătărilor micului visător» [trad.: Alla fine era libero di fare quel che voleva. Faceva quello che la sua curiosità lo spingeva a fare. Camminava, andava al teatro, suonava, viveva in un ceto di conoscenti elevati – tra i quali ricorda Stefano Palma e il marchese Beccatelli. Leggeva, scriveva in prosa e in versi: motivo per quale i suoi lo prendevano in giro con amore familiare e soddisfacevano ogni suo capriccio. Come vita interiore, in più, Brăila era il nido delle delizie del piccolo sognatore].
31. Bodin 1936, 21: «Schimbarea se făcuse în cele dorite mai demult – ne spune Bodin. În 1871 Brăila era un oraţ modern; un oraş civilizat; avea case mai mari; şosele mai bune, iluminaţie convenabilă, curăţenie mai omenească; atribute care se leagă de viaţa materială deci a colectivităţilor organizate normal. De data aceasta însă un microb mai puternic rodea buna dispoziţie a tânărului Graf: viitorul; ce va face el?» [trad.: Il cambiamento di ciò che aveva desiderato era stato già fatto – ci dice Bodin. Nel 1871 Braila era una città moderna; una città civile; aveva case più grandi; aveva strade migliori, l’illuminazione stradale più adeguata, la pulizia stradale più decente; sono aspetti collegati alla vita materiale, cioè alle comunità normalmente organizzate. Questa volta un altro virus molto più forte attaccava la buona disposizione del giovane Graf: era il futuro; cosa farà nel futuro?].
32. Questo sentimento si ricava anche dalla poesia Intorno al golfo (Arturo Graf, Poesie. Torino, Chiantore succ. E. Loescher, 1922, 655); l’Occidente inteso come Patria dei ricordi, soprattutto legati a Napoli e al suo golfo a cui era legato il titolo di una sua raccolta di versi, e la sua anima italiana: «I miei anni migliori, / I miei anni più santi, / L’età dei primi canti, / L’età dei primi amori» (da: Intorno al golfo).
33. In Bodin 1936, 21.
34. Bodin 1936, 22-23: «D. Ortiz punea odinioară (Cronici, p. 180, 188, 189) şi problema foarte interesată a notelor româneşti din creaţiile lui Graf. D-sa atrăgea atenţia că ar fi bine să se vadă ‘dacă nu cumva ceva din tristeţea poesie popolare române... nu a trecut puţin în primele sale încercări poetice’ şi stăruia şi asupra unor teme din poeziile acestuia, care ar avea culoarea locală românească» [trad.: Il signor Ortiz poneva una volta (Le Cronache, p. 180, 188, 189) anche il problema, molto stuzzicante, delle sfumature liriche romene presenti nella poetica di Graf. La sua eccellenza attirava l’attenzione che sarebbe utile a vedere ‘se qualcosa della tristezza della poesia popolare romena… non è passata un poco nelle prime ricerche poetiche’ e insisteva anche su qualche tema di alcune di queste poesie, che avrebbero preso il colore locale romeno].
35. Bodin 1936, 23-24: «E, smarrito d’animo, in certa poesia: A un cipresso, dicevo: Arbor, li rami stendi; a me fa schermo / Dal sol. Come, in quest’ora, ogni di nostra / Vita cura o pensier s’addimostra / Vaneggiar di fanciul, sogno d’infeno! I versi valevano poco; ma non avrebbero potuto esser più sinceri; e la stessa loro sincerità me li faceva parere belli».
36. Bodin 1936, 24.
37. Roux 1909-1910, 114.
38. Arturo Graf, Della poesia popolare romena, Nuova Antologia XXX. Firenze: 1875, 5 nota 1; Bodin 1936, 25-26.
39. Bodin 1936, 26: «Brumarul [Brumarul viene dal sostantivo bruma, che in romeno significa rugiada d’autunno, n.a.] è l’ottobre. I Romeni hanno per tutti i mesi dell’anno nomi rispondenti ai lavori campestri che in essi si compiono, o al carattere loro metodologico… Tali nomi s’incontrano spesso con quelli del calendario francese della rivoluzione».
40. Ved. Alexandru Duțu, Les livres de sagesse dans la culture roumaine: introduction à l’histoire des mentalités sud-est européenees, Bucarest, 1971.
41. Bodin 1936, 26: «Admira pe Bujor, pe Iancu Jianu, pe Codreanu si pe Mihul – capetenii de haiduci – pe care “la carità di patria e d’amor della giustizia”. Ii mâna să facă dreptate cu brațul și cu sufletul în locul legilor bunului plac» [trad.: Ammirava Bujor, Iancu Jianu, Codreanu e Mihul – capi dei briganti – che per ‘la carità di patria e d’amor della giustizia’ li spingeva a fare giustizia con le mani e con il cuore al posto delle leggi del buon piacimento imposte dai nobili].
42. Bodin 1936, 27: «Il paese, i costumi, le tradizioni, le grandi glorie, le grandi sciagure eran tali da metter per tempo in grado il popolo rumeno d’avere una poesia nazionale: esso l’ebbe, e i suoi canti, per bellezza e per varietà, non temono di venire al paragone con quelli di qualsivoglia altro popolo».
43. Come ricorda Bodin 1936, 26-27 (citando in nota Graf 1875, 22-23): «Fu detto da parecchi, e tra gli altri da Michelet, esser l’amore, presso i Rumeni, non solo la principalissima, e forse l’unica fonte della ispirazione poetica, ma bensì anche quasi la sola occupazione della loro vita. A ribattere la quale assurda opinione si potrebbe recar qui l’attendibile testimonio, così della storia politica, come della letteraria… Non è forse un popolo in tutta Europa (tranne il greco solo) che più del rumeno abbia sacro l’amore e il culto della patria… Rado è il caso che un Rumeno abbandoni, con proposito di più non farvi ritorno, la patria; e, quando n’è lontano, lo vince si fatalmente il Dorul de Terặ [sic], o nostalgia, che, nelle leggi militari austriache, fu stabilita una pena molto più mite per disertori transilvani che non per quelli di qualsivoglia altra provincia dell’Impero». |
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