Atti del Convegno «Luoghi e percezioni di Dante nel Sud-est Europeo». Postfazione

I presenti Atti del Convegno sono generati dall’evento organizzato dal Comitato Dante Alighieri di Bucarest e dall’AISSEE (Associazione Italiana di Studi del Sud-Est Europeo), presso la Libreria Pavesiana di Bucarest, in occasione dei 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, ma anche nell’occorrenza dei 120 anni dalla fondazione della prima Società Dante Alighieri a Bucarest.
In questo contesto è stata invitata la comunità scientifica di Bucarest a celebrare Dante e il suo legame storico, artistico, letterario e culturale con il Sud-est europeo, a sottolineare il suo messaggio universale di pace e di libertà oggi quanto più che mai si risente la mancanza di certezze e di tali valori universali.
La dinamica del Convegno è stata complessa come il capolavoro dantesco, ma anche forte come la convinzione di chi nel 1901 ci ha creduto e ha messo insieme un gruppo di fervidi romeni noti per le loro simpatie verso l’Italia e le loro benemerenze di fronte alla cultura italiana.
Così questi atti racchiudono pagine varie con argomenti che ruotano intorno al Sommo Poeta e alla bellissima iniziativa della nascita di questo Comitato, che oggi rende possibile tanto l’incontro quanto la presente scrittura.

Come in tutti i lavori abbiamo nella parte iniziale un’introduzione fatta dalla Presidente Ida Valicenti che sottolinea l’importanza del momento e introduce l’obiettivo di far conoscere l’incessante favilla di Dante oltrecortina, che ha fatto dialogare e cooperare intellettuali e comunità lontane fisicamente o storicamente, però unite dagli stessi interessi culturali e letterari.

Dopo l’introduzione della Presidente, la poetessa e scrittrice Ana Blandiana, ribadisce il forte messaggio di libertà scegliendo come punto di partenza del suo intervento la terzina sulla libertà del «Canto di Catone» nel suo articolo «Libertà va cercando, ch’è sì cara.»
Ana Blandiana testimonia che la sua scelta è stata una sorte di slancio nostalgico, nel ricordo dello stato d’animo in cui ha vissuto per una buona metà della vita, quando la libertà mancante era il valore supremo per il quale si poteva rischiare la vita.
Carico di emozione il suo discorso che ha un forte bagaglio storico di un periodo buio del nostro passato – il comunismo, decine di anni in cui «migliaia di romeni sono stati fucilati o condannati a duri anni di prigione, mentre tentavano di varcare illegalmente la frontiera per arrivare nel mondo libero». Nello stesso tempo l’autrice ricorda la condizione difficile dei poeti nei tempi non tanto remoti di Ceaușescu, ma anche la salvezza che trovavano nei versi in cui racchiudevano tra le metafore e altre figure di stile le ultime «molecole di libertà, che i lettori cercavano affinché li ispirassero e potessero così sopravvivere».
Con il suo intervento Ana Blandiana rende omaggio a Dante, alla descrizione del modo in cui si vedeva la luce della libertà, un valore connesso alla sofferenza, che si rende liberatrice e si trasforma grazie anche all’anno Dante 2021, in una meravigliosa vittoria della memoria dell’umanità con significati estesi al di là delle frontiere culturali.

Dopo l’esperienza non tanto remota vissuta dai poeti dell’est, con Francesco Guida torniamo indietro nella storia di quasi un secolo facendo conoscenza con Marco Antonio Canini, considerato un precursore mancato dall’autore, che a metà dell’Ottocento, nei Principati romeni ebbe l’idea di creare un grande istituto d’istruzione secondaria per i giovani dei Principati danubiani, con degli studi incentrati sulla cultura italiana. La sua idea si basava su un’esperienza già provata cinque anni prima a Costantinopoli, dove Canini aveva concepito qualcosa di simile con il rappresentante del Regno di Sardegna presso il Sultano, Romualdo Tecco, un istituto scolastico medio superiore che vedesse affiancate e diffuse la cultura francese laica e quella italiana. In Romania, era un periodo in cui la corrente italianistica, il cui capo era Ion Heliade Rădulescu, stava prendendo avvio e si guardava all’affinità delle lingue italiana e romena, nel momento in cui quest’ultima era in una fase di normazione, di abbandono progressivo dell’alfabeto cirillico a favore di quello latino. Il cosiddetto collegio chiamato Institutu filologo-sciinţifico-comercialu pentru educaţiunea junimei, pubblicizzato con delle brochure, ebbe anche importanti sottoscrizioni da parte di personaggi influenti, però alla fine, nel 1868, Canini lamentava non solo il fallimento dei suoi tentativi di dieci anni prima, ma anche il fatto che di lui non ci sarebbe stato alcun ricordo, come propulsore di un tale progetto.
Invece tramite il suo intervento il prof. Guida ha rimesso alla luce questo tentativo di Canini e la sua idea che non trovò compimento, che può essere, però, considerata un’anticipazione del programma culturale che fu in seguito alla base della costituzione della Società Dante Alighieri e, più specificamente, della fondazione nel 1901 della sua sezione romena.

E rimanendo sull’argomento, ma stavolta con riferimento al poeta che ha dato nome alla società, Otilia Doroteea Borcia presenta nel suo intervento l’attività svolta dai letterati e traduttori romeni dalla prima metà dell’Ottocento. Il suo articolo è strutturato come un rendiconto su tutto quanto si è scritto in Romania sul poeta: tantissimi studi, saggi, articoli e poi versioni nella loro lingua del suo capolavoro, da Ion Heliade Rădulescu, il primo poeta interessato a Dante, al transilvano Aron Densușianu, per il quale il poema dei poemi la Divina Commedia è «la stella nella quale Dante è nato e s’è incarnato per la seconda volta, e dalla quale risplenderà in eterno nel cielo dei mortali».
Vengono accennati i contributi dei poeti, scrittori e docenti di lingua italiana che hanno
sempre riconosciuto il valore universale dell’opera del gran fiorentino, ma anche due traduzioni in romeno della Divina Commedia e soprattutto un’opera unica al mondo: la messa in musica del capolavoro dantesco, in un’opera unica al mondo, intitolata «La Divina Commedia dopo Dante». È un’opera in tre atti composta da Silvia Macovei, che è riuscita a musicare in 640 pagine (scritte tra il 1997 e il 2000), la storia del viaggio dantesco nel mondo dell’aldilà, usando tecniche e procedimenti artistici molto moderni (polifonia, balletto, pantomima, ecc.), un adattamento musicale dei 14.215 versi del poema che rappresenta il più ampio testo della storia della musica (104 canti gregoriani), come segnalato dall’Unione dei Critici e dei Musicologi di Romania.

Da Dante passiamo alla Dante cioè alla Società Culturale Romeno-Italiana «Dante Alighieri», riconosciuta come Comitato Locale della Società «Dante Alighieri» di Roma, per mezzo della lettera del 3 marzo 1993, firmata dal dott. Giuseppe Cota, il Segretario Generale del tempo della Società Dante Alighieri.
Per quest’associazione, costituita il 28 novembre 1992, con un verbale di costituzione firmato da 132 membri aderenti, la presidente Elena Pîrvu tramite il suo contributo passa in rassegna le principali azioni svolte dal Comitato Locale di Craiova della Società «Dante Alighieri» di Roma nei 29 anni di esistenza (corsi gratuiti di lingua e cultura italiana, mostre come ʻPier Paolo Pasolini, poeta, scrittore e artistaʼ del 1995, viaggi video in Italia concadenza mensile, il concorso annuale di traduzione in italiano di una poesia di Mihai Eminescu, riunione tematica annuale «Creatori della cultura italiana») e ricorda i suoi collaboratori e sostenitori internazionali e nazionali o locali.

Gli Atti continuano con Marco Clementi che presenta il mondo ebraico-romano e Dante nella visione di David Prato, un livornese, classe 1882, che dopo una brillante carriera all’interno del mondo ebraico italiano venne nominato nel 1927 rabbino capo di Alessandria d’Egitto. In questa veste egli incrociò il suo destino con la comunità ebraica diventata italiana di Rodi, dove, grazie all’iniziativa del governatore di Rodi, Mario Lago, nel 1927 venne inaugurato un Collegio rabbinico che però fu chiuso nel 1938 per motivi economici.
Nel 1936, anno in cui era cominciata la rivolta araba in Palestina e il movimento sionista stava perdendo fascino agli occhi di Mussolini, Prato fu invitato a tenere una lezione magistrale nella sede della Dante Alighieri, la Castellania in città vecchia, proprio là dove iniziava il quartiere ebraico di Rodi. Il tema scelto da lui si intitolava La luce di Dante nel ghetto di Roma e si deve menzionare che l’istituzione rientrava in un contesto più ampio di diffusione della lingua italiana a Rodi, che aveva visto la fondazione del «Messaggero di Rodi», un quotidiano di quattro pagine dipendente dall’allora Comando di occupazione, quindi della sezione della Dante Alighieri, che registrava oltre 400 iscritti. La biblioteca conteneva più di 2.000 volumi di classici italiani e stranieri in italiano e proprio alla Dante Alighieri si affidarono i ragazzi e le ragazze della Juderia più interessati ad approfondire lo studio della lingua.
A tal punto l’argomento scelto da Prato andava bene per tutti perché era in tema con la sede, trattava del poeta per eccellenza ed era anche l’occasione per ribadire la profondità dei legami culturali tra il mondo dei gentili e quello ebraico della penisola.

Al termine degli Atti un intervento della sottoscritta parla dell’attualità del Sommo Poeta perenne e della sua festa, il Dantedì, inaugurata sempre nell’anno del settecentesimo centenario dalla morte, il giorno del 25 marzo, giornata proclamata dalle parole di Andrea Riccardi come una vera e propria «festa per gli italiani e per quanti guardano con simpatia al mondo italiano in tutto il suo spessore – che coinvolga scuole, teatri, biblioteche, cinema, piazze e luoghi di incontro, e si estenda oltre le frontiere».
Ciò che pure noi con il nostro incontro abbiamo fatto, e che andremo a onorare ogni anno con il Comitato di Bucarest della Società Dante Alighieri e i suoi collaboratori e ospiti, contribuendo all’universalità dell’evento.


Nicoleta Silvia Ioana
Università Nazionale delle Arti di Bucarest
(n. 12, decembre 2023, anno XIII)