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David Prato a Rodi: Il mondo ebraico romano e Dante
David Prato, livornese, classe 1882, dopo una brillante carriera all’interno del mondo ebraico italiano venne nominato nel 1927 rabbino capo di Alessandria in Egitto. In questa veste egli incrociò il suo destino con quello di un’altra comunità ebraica da pochi anni divenuta italiana, la comunità di Rodi. Note sono le vicende che condussero il Dodecaneso a diventare possedimento italiano nel 1923 grazie al trattato di Losanna. Allo stesso tempo è ben conosciuta la struttura etnica dell’isola, composta da varie comunità religiose con cui gli italiani furono quasi obbligati a collaborare [1].
Fu in questo contesto, grazie all’iniziativa del governatore di Rodi Mario Lago, e dentro la logica dei rapporti con il mondo ebraico, che negli anni di maggiore vicinanza tra Mussolini e il movimento sionista internazionale, ossia nella seconda metà degli anni Venti, sull’isola venne inaugurato un Collegio rabbinico [2]. Le vicende del Collegio sono state abbondantemente studiate in passato e non è il caso di tornarci [3]. È importante sottolineare ancora una volta, però, che il Collegio, fondato nel 1927, venne chiuso nel 1938 (o meglio, non venne riaperto per l’anno accademico 1938-1939) per motivi economici e non legati ai provvedimenti razziali assunti dal governo italiano a partire dal primo settembre di quello stesso anno.
Nel corso del decennio di attività, infatti, il Collegio era stato finanziato, oltre che dallo Stato italiano, da personaggi facoltosi originari di Rodi, come la famiglia Alhadeff, e da altre comunità del Levante, alle quali ci si rivolse costantemente da Rodi alla ricerca di sussidi [4]. Grazie agli Alhadeff, per esempio, Lago entrò in contatto con l’importante figura di Yakir Behar, presidente della Società di Beneficenza del Levante (B ’nai B ’rith in the Middle East), che a sua volta aiutò il governo del possedimento a coinvolgere importanti personalità del mondo ebraico mediterraneo per sostenere l’impresa del Collegio. Tra queste si distinse il gran rabbino di Alessandria, Prato [5].
La comunità di Rodi, una piccola comunità composta in maggioranza da persone di umili origini, aveva indicato in Prato la personalità che avrebbe potuto vincere le resistenze del mondo ebraico mediterraneo e appoggiare l’esperienza del Collegio e pochi mesi dopo l’inaugurazione del primo anno accademico Prato venne invitato a Rodi a visitare l’istituzione [6].
Nel 1929, al tempo della sua prima visita, il successo che ottenne il Collegio fu forse inatteso. Prato, infatti, era giunto a Rodi con un certo scetticismo e fu solo dopo aver constatato la qualità dell’opera educativa che si ricredette e la lodò. Queste, almeno, furono le parole riportate dal governatore Lago nelle sue relazioni [7]. I problemi, però, erano tanti, e riguardavano non solo i finanziamenti ma più in generale l’educazione ebraica che, a dire di alcuni intervenuti, si stava perdendo anche all’interno delle comunità più antiche. Il Collegio rabbinico, dichiarò Prato, nato anche per invertire questa tendenza, poteva rappresentare una svolta nella storia degli ebrei in Oriente.
Nel corso di una conferenza intitolata Spirito pubblico nella società moderna Prato esaltò l’Italia quale terra antica di civiltà, dove la vita religiosa e culturale ebraica si era sempre svolta in piena libertà, ma soprattutto – cosa che a Rodi interessava più delle parole – promise l ’appoggio all’iniziativa del Collegio [8].
Al suo ritorno in Egitto il «Messaggero Egiziano» di Alessandria pubblicò una lunga intervista nella quale Prato esaltò lo spirito di unità della comunità ebraica, la convivenza con le altre comunità religiose e la lungimiranza di Lago nel volere l’istituzione del Collegio: «come rabbino e come italiano – dichiarò – nutro vivissima ammirazione per S. E. Mario Lago. Egli è l’uomo che, avendo compreso i valori ebraici, dà loro l’importanza che meritano e li inquadra giustamente nella vita italiana» [9].
Il governo italiano fu attento nello sfruttare la visita di Prato e il segretario del PNF di Rodi e direttore de «Il Messaggero di Rodi», Alfredo Chiorando, diffuse un comunicato ripreso immediatamente dall’agenzia di stampa Stefani, pieno di riferimenti positivi; si diceva che il gran rabbino aveva visitato le istituzioni scolastiche ebraiche di Rodi, che aveva promesso l’appoggio di altre comunità del Levante per l’opera intrapresa e che durante il sermone tenuto in sinagoga aveva dimostrato la vicinanza tra l’Italia e il mondo culturale ebraico [10].
Le parole, però, non furono seguite dai fatti e nel contesto mediterraneo il Collegio rimase isolato. Non riuscendo a superare i problemi economici, nel 1932 Lago incaricò un funzionario del governo, Vitalis Strumza, uomo di grande esperienza e di fiducia del governatore proveniente dalla burocrazia ottomana, di compiere un nuovo viaggio in Egitto. Egli stette via un mese, incontrò molte personalità, ma nessuno si impegnò oltre le parole di circostanza e di rito [11].
Secondo Prato, che commentò la missione con Lago, c’erano state incomprensioni, ma la sostanza era che le cose non andavano. [12]
Quattro anni più tardi Lago stava per rientrare in Italia e Prato, dopo lunghe e complicate trattative, era stato nominato gran rabbino di Roma, anche se non aveva lasciato ufficialmente l’Egitto. Giunse così a Rodi per una seconda visita ancora come rabbino di Alessandria.
Rispetto al 1929, però, la situazione era completamente diversa. Nel 1936 era cominciata la rivolta araba in Palestina. Il movimento sionista stava perdendo fascino agli occhi di Mussolini e anche se il duce non aveva deciso la svolta razzista, la guerra in Spagna lo stava avvicinando alla Germania, che pure temeva. C’erano speranze che l’Italia non compisse il salto, ma nessuno poteva dire nulla di certo.
In questo contesto Prato fu invitato a tenere una lezione magistrale nella sede della Dante Alighieri, la Castellania in città vecchia, proprio là dove iniziava la Juderia, il quartiere ebraico di Rodi. Scelse un tema forte, che univa passato e presente, il nome di Dante e la sede romana che avrebbe presto raggiunto. La conferenza, infatti, si intitolava La luce di Dante nel ghetto di Roma [13]. Non sbagliò. La stampa esaltò, con parole fascistissime, il suo «linguaggio smagliante» la sua «superba sintesi», la «profondità di indagine storica e psicologica» la «facilità e calore di espressione», e tante altre qualità che sarebbe lungo elencare. Da parte sua, in un’intervista per il «Giornale di Oriente» del 6 novembre, Prato parlò nuovamente del Collegio rabbinico in termini entusiastici, tanto più che adesso stava per andare a Roma e da lì, disse, avrebbe potuto fare molto. E molto andava fatto, perché era ancora possibile legare gli interessi del movimento sionista a quelli più generali della politica italiana. Questo fu, in breve, il suo giudizio.
Si è detto che Prato parlò nella sede della Dante Alighieri. L’istituzione rientrava in un contesto più ampio di diffusione della lingua italiana a Rodi, che aveva visto la fondazione di un quotidiano di quattro pagine dipendente dall’allora Comando di occupazione, il «Messaggero di Rodi», quindi di un Circolo Italia e, infine, proprio della sezione della Dante Alighieri, che riscosse un grande successo, registrando complessivamente oltre 400 iscritti. La biblioteca conteneva più di 2.000 volumi di classici italiani e stranieri in italiano e proprio alla Dante Alighieri si affidarono i ragazzi e le ragazze della Juderia più interessati ad approfondire lo studio della lingua, che non avevano difficoltà a capire per la sua estrema vicinanza con il giudeo spagnolo (ladino) che parlavano in casa. Prato, dunque, scelse un argomento che andava bene per tutti: era in tema con la sede, era conosciuto all’interno della comunità, trattava del poeta per eccellenza. Inoltre, era l’occasione per ribadire la profondità dei legami culturali tra il mondo dei gentili e quello ebraico della penisola.
Nella lectio Prato introdusse la figura di un poeta romano, Immanuel Romano [Manoello Giudeo], che raggiunto dalla notizia della morte di Dante, gli dedicò un sonetto. Prima di riprendere la biografia del giovane, Prato citò alcune espressioni presenti nella Commedia, che qualcuno già all’epoca aveva ipotizzato essere di origine ebraica, come il famoso «Pape Satan Aleppe» e l’incontro di Dante e Virgilio con Nembrot, uno dei giganti posti a guardia dell’ultimo cerchio dell’inferno, che dice: «Raphèl maí amècche zabí almi», che secondo Immanuel Romano starebbe a significare: “O dio risanami. Come è terribile questa mia pena eterna” [14].
Da qui Prato si concentra sulla figura di Immanuel, che fu costretto a lasciare Roma per Verona condividendo il destino di esule già conosciuto da Dante. Nel tentativo di segnare un forte collegamento tra il mondo di Dante e quello ebraico, Prato ricorda che Immanuel scrisse poesie d’amore e satire che riunì in un’opera chiamata Mahbārōt, il cui nome ebraico corrisponde all’arabo maqāmāt (opere in prosa rimata della letteratura araba dei secoli IX-XII). Ebbene, l’ultima mahbārah contiene una descrizione degli inferi a imitazione della Commedia, dove Immanuel viene guidato dal profeta Daniele. Prato ripercorre la storia della comunità ebraica romana, mettendo in rilievo che l’Italia rappresentò la prima vera tranquilla sede per gli ebrei in Europa. Partendo da Dante, la figura di Immanuel Romano diventa il mezzo per la rappresentazione di un mondo ebraico italiano unito ai destini della patria e partecipe della crescita culturale della penisola.
L’anno successivo, quando aveva ormai occupato la cattedra di rabbino capo di Roma, Prato ripeté la stessa lectio al convegno ebraico di Milano, in un’atmosfera ben diversa e molto più precaria rispetto all’anno precedente. Nei commenti della stampa ebraica si legge che Immanuel si era sentito vicino a Dante tanto da esserne ispirato fino quasi a rifletterlo, trasferendo l’inferno dantesco in un inferno suo, dove aveva posto molti personaggi che in tempi diversi avevano animato il ghetto di Roma. E come Dante era stato il fondatore della lingua italiana, così Romano aveva inserito nella lingua poetica italiana concetti ebraici influenzando anche la lingua parlata nel ghetto con espressioni tratte dal volgare [15].
Il tentativo di Prato di esaltare un episodio poco noto e un personaggio come Immanuel Romano agli occhi degli italiani ha forti connotazioni politiche. Egli cercò di alimentare il dialogo in un momento in cui l’Italia non aveva ancora deciso la svolta razzista, ma si stava preparando a compierla per un complesso di fattori quali le guerre in Etiopia e in Spagna e il bisogno di un’idea forte che unisse il popolo, proiettandolo in una futura Europa completamente ridisegnata dal punto di vista etnico. Per questi motivi, l’impresa di Prato, come di tanti altri che come lui tentarono allora la via della moderazione, era destinata al fallimento e resta oggi come testimonianza su cui riflettere.
Marco Clementi
Università della Calabria
(n. 12, dicembre 2023, anno XIII)
NOTE [1] Sachar, Nathan, 2013, The lost worlds of Rhodes. Greeks, Italians, Jews and Turks between Tradit
[2] Carpi, Daniele, 1961, «Il problema ebraico nella politica italiana fra le due guerre mondiali» in Rivista di Studi Politici Internazionali, v. 28, n. 1.
[3] Pignataro, Luca, 2011, «Il collegio rabbinico di Rodi» in Nuova Storia Contemporanea, 15, n. 6; Rodrigue, Aaron, 2019, «The Rabbinical Seminary in Italian Rhodes, 1928-38: An Italian Fascist Project» in Jewish Social Studies, v. 25, n. 1.
[4] Archivio di Stato del Dodecaneso [GAK DOD IDD], 1928, fasc. 411 P, Lettera di A. S. Alhadeff a Mario Lago, 10 dicembre 1927.
[5] GAK DOD IDD, 1928, fasc. 411 P, Lettera di Yakir Behar a Lago, 26 marzo 1928.
[6] GAK DOD IDD, 1928, fasc. 125, a David Prato, gran rabbino di Alessandria, Rodi 2 novembre 1928, f.to Franco.
[7] Archivio Storico ministero Affari Esteri, Roma [ASMAE], AP 1919-1930, Dodecaneso, b. 993, Governo delle Isole Egee, Telespresso 5440, Rodi 21 marzo 1929, f.to Lago.
[8] GAK DOD IDD, 1929, fasc. 785, Nota per Lago.
[9] Messaggero Egiziano, 27 marzo 1929.
[10] GAK DOD IDD, 1929, fasc. 785, comunicato stampa f.to Alfredo Chiorando.
[11] 1935, fasc. 177, Propaganda per il Collegio rabbinico.
[12] 1932, fasc. 1175P, Grand Rabbinat d’Alexandrie, Prato a Lago, 9 dicembre 1932.
[13] Messaggero di Rodi, 29 ottobre 1936.
[14] Messaggero di Rodi, 2 novembre 1936.
[15] Israel, 25 novembre 1937.
Bibliografia
Carpi, Daniele, 1961, «Il problema ebraico nella politica italiana fra le due guerre mondiali», in Rivista di Studi Politici Internazionali, v. 28, n. 1.
Della Seta, Simonetta, 1998, «Gli ebrei del Mediterraneo nella strategia politica fascista fino al 1938: il caso di Rodi», in Nuova Storia Contemporanea, XVII, 6.
Doumanis, Nicholas, 2003, Una faccia, una razza. Le colonie italiane nell’Egeo, il Mulino, Bologna.
Fintz Menascé, Ester, 1992, Gli ebrei a Rodi. Storia di un’antica comunità annientata dai nazisti, Guerini e associati, Milano.
Pignataro, Luca, 2011, «Il collegio rabbinico di Rodi» in Nuova Storia Contemporanea, 15, n. 6.
Rodrigue, Aaron, 2019, «The Rabbinical Seminary in Italian Rhodes, 1928-38: An Italian Fascist Project», in Jewish Social Studies, v. 25, n. 1.
Sachar, Nathan, 2013, The lost worlds of Rhodes. Greeks, Italians, Jews and Turks between Tradition and Modernity, Sussex Academic press, Portland.
Giornali e riviste
Messaggero Egiziano, Alessandria, 27 marzo 1929.
Messaggero di Rodi, 29 ottobre 1936
Messaggero di Rodi, 2 novembre 1936
Giornale d’Oriente, 6 novembre 1936.
Israel, A. 23, n. 11, 25 novembre 1937
Fonti archivistiche
Archivio di Stato del Dodecaneso, Rodi [GAK DOD IDD]
1928, fasc. 411 P; 1928, fasc. 411 P; 1928, fasc. 125; 1929, fasc. 785; 1932, fasc. 1175P; 1935, fasc. 177.
Archivio storico del ministero Affari Esteri, Roma [ASMAE]
AP 1919-1930, Dodecaneso, b. 993; Archivio scuole 1929-1935, b. 796.
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