La presenza dei vampiri nella letteratura romena: da Eliade a Eminescu, un intreccio a ritroso

La mostra Vampiri.  Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte,a cura di Lidia Gallanti, Silvia Scaravaggi e Edoardo Fontana, promossa e prodotta dal Museo Civico di Crema e del Cremasco, in programma dal 19 ottobre 2024 al 12 gennaio 2025, indaga il fenomeno che prende corpo attorno alla figura del vampiro, dalla sua genesi in antichi miti e credenze fino alla icona pop della contemporaneità. L’esposizione intende mostrarne le implicazioni culturali e artistiche in oltre 200 opere, provenienti dal patrimonio di 20 biblioteche pubbliche italiane e di collezionisti privati, tra testi letterari e poetici, spesso illustrati, pubblicati in volume e su riviste, incisioni, fogli sciolti, edizioni originali e materiale iconografico.
È noto che nel 1897 Bram Stoker pubblicò a Londra Dracula, titolo suggeritogli dal soprannome affibbiato al principe Vlad III di Valacchia. In teca a Crema, alcune edizioni originali inglesi e americane, tra le quali spiccano quelle edite nel primo Novecento. Ad accompagnare queste, la rara anastatica del libretto xilografico che contiene il ritratto di Vlad III, alcune mappe della Transilvania e illustrazioni naturalistiche di pipistrelli, materiale che ispirò Stoker. Fu solo nel 1922 che Sonzogno pubblicò a Milano Dràcula. L’uomo della notte (Biblioteca Manfrediana). Questa traduzione parziale tenne banco in Italia per più di due decenni: la prima edizione integrale vide infatti la luce solo nel 1945 dai Fratelli Bocca (Biblioteca Manfrediana).
 Una donna vampiro è la protagonista del romanzo Signorina Christina di Mircea Eliadeesposto nella prima, rara, edizione romena, nella prima italiana e francese. All’interno del romanzo, Eliade cita Mihai Eminescupresente in mostra con la prima traduzione italiana della poesia Călin, e con la rivista «Convorbiri Literare», ove apparve la poesia Strigoi.
Pubblichiamo qui di seguito lo studio dedicato da Carla Caccia alla presenza dei vampiri nella letteratura romena.


«Ad ogni buon conto, la sparizione della signorina Christina è strana» riprese Nazarie. «La gente dice che sia diventata un vampiro…» (Mircea Eliade, Signorina Christina)

Nell’universo mitologico romeno, lo strigoi, al femminile strigoaică (dal latino strigosus, scarno, smunto, e strix, favoloso uccello notturno che succhia di notte il sangue dei bambini) è lo spirito non pacificato di un defunto che, tra le azioni malvagie che compie, esce di notte dalla tomba per recare danno ai vivi, nutrendosi anche del loro sangue. Lo strigoi può assumere qualsiasi forma ed è a tutti gli effetti uno spirito con le caratteristiche di un vampiro. Da qui la traduzione di strigoi in vampiro.
La credenza nei non morti è diffusa in tutta l’area indoeuropea. Nel ricco folklore romeno esistono due categorie di “non morti”: la prima comprende gli strigoi “in carne e ossa”, cioè persone umane viventi, con qualità infernali e demoniache; la seconda si riferisce ai morti usciti dalla tomba, ossia creature spettrali. Il non morto in romeno corrisponde anche al moroi, parola derivata da mora oppure mor, lo spirito venuto dal mondo delle tenebre, di origine slava. Secondo la tradizione folklorica, la predisposizione a diventare uno strigoi sarebbe innata, ma si può anche acquisire nel corso della vita attraverso certe relazioni con l’impuro, in seguito a una morte violenta o a un funerale in cui non è stato osservato il rituale tradizionale. I non morti continuano la loro attività demoniaca anche dopo la morte, uscendo dalla tomba nelle notti di luna o in giorni specifici dell’anno, come la notte di Sant’Andrea (30 novembre), chiamata anche “la notte dei vampiri”. In questa occasione lo strumento di protezione e difesa più noto è l’aglio, con cui si ungono porte e finestre. Il più impressionante processo magico di “destrigoizzazione”, che ha dato molto filo da torcere alla Chiesa fino a tutto l’Ottocento, è quello di conficcare un paletto di legno o di ferro nel corpo del defunto che si riteneva essere uno strigoi, in modo da ucciderlo per sempre.
Alla fine del Diciottesimo secolo, il mito del vampiro «abbandona la morente cultura folklorica, passa nella produzione letteraria per ritornare, un secolo dopo, con vesti e caratteri nuovi nella moderna cultura di massa» [1].
Una donna vampiro è la protagonista del romanzo Domnişoara Christina [2] di Mircea Eliade, scrittore prolifico romeno, più noto come storico delle religioni, filosofo e saggista, che si cimenta anche nella scrittura letteraria vera e propria, dal genere fantastico alla memorialistica. Signorina Christina è un lungo racconto costruito intorno all’attesa di qualcosa di terrificante, attraverso il progressivo avvicinamento e la materializzazione della vampira Christina. Come sostiene Sorin Alexandrescu nell’introduzione alla recente traduzione italiana dei Racconti fantastici di Eliade, in questo romanzo l’elemento fantastico non è generato dal dubbio, ma dalla certezza che il mondo dei morti e dei vampiri esiste davvero; questo elemento «consiste nella presenza familiare dell’altro mondo, nell’annullamento dell’intervallo che separa i vivi e i morti» [3].
Il conflitto principale all’interno della narrazione è quello tra due forze supreme, la Vita e la Morte. La Vita è rappresentata da Egor, il pittore che si innamora non solo di Sanda, una signorina viva e vegeta, ma anche di Christina, ovvero la signorina vampiro, zia di Sanda e deceduta una ventina di anni prima. La Morte è rappresentata in primis da Christina, seguita da una serie di personaggi altrettanto oscuri, come la nipote Simina, che da un lato è un’ingenua ragazzina, dall’altro è una sorta di alter ego della zia defunta, una sua variante vampiresca, più giovane e diurna. Il tema della “morta innamorata”, mossa dal desiderio d’amore non soddisfatto in vita, viene calato in un’atmosfera di malinconia e spossatezza diffusa. L’ambientazione storica è quella delle rivolte contadine contro le violenze padronali nella Romania di metà Ottocento. Nella finzione letteraria Christina, sanguinaria e insaziabile, sarebbe stata uccisa dal suo amante mentre si concedeva ai contadini in rivolta.
La scena culminante del romanzo è l’incontro amoroso tra Egor e Christina: «Tra le braccia di Christina Egor provava le gioie più empie, unite a una celeste dissipazione, una fusione completa e totale. Incesto, omicidio, follia − amante, sorella, angelo… Tutto si raccoglieva e si mescolava vicino a questa carne infuocata eppure senza vita…» [4]
Egor alla fine sceglierà di salvare Sanda e di rinunciare alla vita oltre la morte, sconfiggendo la donna vampiro e il suo doppio: infilza con un ferro il corpo dove era sepolta Christina, per colpirla al cuore e spezzarne il sortilegio, senza dimenticare di distruggere il quadro che la ritrae.
«Volse lo sguardo. Non c’era nessuno. Era rimasto solo, per sempre solo. Non l’avrebbe incontrata mai più, mai più l’avrebbe turbato il profumo delle violette e la sua bocca insanguinata non gli avrebbe più succhiato il respiro…» [5]

Nella prefazione alla prima edizione francese del suo romanzo fantastico, è lo stesso Eliade a chiarire al lettore di aver voluto riprendere un tema del folklore che mezzo secolo prima era stato trattato anche da Mihai Eminescu, ritenuto unanimamente il poeta nazionale romeno:
“Dans ce qui fut mon premier écrit de ce genre [fantastique], j’ai voulu reprendre un thème folklorique roumain qui, vers 1880, avait tenté également le grand poète Eminesco”.6All’interno del romanzo, Eliade inserisce una serie di citazioni di Eminescu tratte da due poemi: il più celebre Luceafărul e il meno noto Strigoii. Al capezzale della figlia Sanda, la signora Moscu recita a memoria alcuni versi di Luceafărul, replicando con enfasi la passione della sorella Christina, che tanto rinvigorisce la voce recitante quanto indebolisce Sanda: «Temeva la passione malsana di sua madre per alcuni poemi di Eminescu. Una volta, le aveva confessato che, sebbene fosse solo una ragazzina di otto-nove anni, Christina le declamava, nelle notti d’estate, versi di Eminescu» [7].
Non è un caso che il verso del poema su cui la signora Moscu si interrompe bruscamente sia: «Perchè io son viva, tu sei morto» [8].
Luceafărul narra l’amore impossibile fra la giovane Cătălina e Iperione, l’astro luminoso che dà il titolo al poema [9]. Per poterla amare, egli deve diventare umano, quindi mortale, ma il destino non glielo consente: rimarrà in eterno una divinità celeste. Tradotto in italiano con una nutrita serie di varianti fra cui Espero, Iperione, La stella del mattino, l’Astro, L’astro lucifero, Lucifero, L’ange déchu, il racconto si ispira a una fiaba romena, La fanciulla nel giardino d’oro, che Eminescu rielabora, tra il 1880 e il 1883, in cinque varianti, compresa una trascrizione in versi, arricchita di contenuti filosofici. Sul significato del poemetto, riportiamo una considerazione di Anghel Demetriescu accolta da Ramiro Ortiz, il filologo romanzo autore della prima traduzione italiana delle poesie di Eminescu:
«L’Astro rappresenta come dire l’epilogo amoroso di Eminescu, col quale il poeta prende commiato dall’amore terreno, per restare eternamente “immortale e freddo”. L’idea fondamentale di questo poemetto è che la vita dell’uomo volgare, colle sue aspirazioni e passioni, non ha alcuna importanza; che, al di sopra di quest’uomo, esiste una intelligenza superiore che non si turba, e considera con indifferenza ed anzi con una certa compassione le piccolezze di questa vita» [10].

Prima di tornare a occuparci di non morti, un tema assolutamente centrale in Strigoii, ci sembra opportuno introdurne brevemente l’autore, ancora poco conosciuto nel nostro Paese.
Scrittore precocissimo, di vastissima cultura, inquieto e geniale fin da bambino – fugge più volte da scuola, al seguito di compagnie teatrali, senza mai completare gli studi –, Eminescu è un giornalista infaticabile, che conduce una vita bohémienne viaggiando e scrivendo a lungo. Trascorre gli ultimi anni della sua vita ricoverato in ospedali o manicomi, dove muore a soli trentanove anni. Molti critici italiani lo hanno accostato a Leopardi: accomunati da una visione titanica e da una solitudine cosmica, sono considerati entrambi precursori dell’esistenzialismo. Per capirne il calibro, ci basti in questa sede una terna di definizioni che gli sono state attribuite da grandi esperti o conoscitori della sua opera. La prima è di Rosa Del Conte − una delle massime romeniste italiane − che definisce Eminescu un uomo «assetato di assoluto» [11].
La seconda è di Nicolae Iorga − grande storico, politico e letterato romeno −, che lo riconosce come l’espressione “integrale” dell’anima romena. La terza è del poeta Mario Luzi, che coglie in lui non solo la grandezza romantica, ma anche il ruolo di precursore:
«Per necessità naturale e per situazione geopolitica vissuta, Eminescu ha fatto ciò che nel secolo successivo al suo e anche oggi si tenta di fare per convinzione o per calcolo: una letteratura senza frontiere tra germanesimo e retaggio latino, tra Oriente e Occidente. Con questo respiro vivo, grande, spontaneo e conscio Eminescu ha dato freschezza e vigore al profondo “desiderio” romantico; e ha dato anche drammatica perspicuità all’accento della sua sconfitta, senza per questo compromettere o diminuire la sua energia creativa». [12]
Una delle difficoltà nell’affrontare lo studio di un gigante come Eminescu sta nel fatto che nel corso della sua breve vita egli non arrivi a pubblicare un’edizione definitiva delle sue opere – molte delle quali usciranno postume –, ma solo un’edizione parziale delle sue Poesie [13], avendo sempre rielaborato e perfezionato i suoi testi attraverso numerose varianti.
Il tema dei vampiri emerge in particolare all’interno di due poemetti di Eminescu, apparsi per la prima volta nel 1876, su due numeri consecutivi della rivista mensile Convorbiri literare: il primo è Călin (novembre 1876) [14]; il secondo il già citato Strigoii (dicembre 1876) [15].
Calin (pagine di leggenda) compare nella scelta antologica curata da Ramiro Ortiz che traduce per Sansoni una ottantina di poesie di Eminescu [16]. Si tratta di un poema in cinque strofe, per un totale di 258 versi, che nasce da un fiaba trascritta dallo stesso Eminescu, intitolata Călin nebunul (Călin il pazzo) e poi trasformata in poesia. Sull’origine del poemetto, è lo stesso Ortiz a precisare, nelle Note in calce alla sua traduzione, che il poeta si era recato presso il monastero di Agafton, nei pressi di Botoşani, in visita alla zia, Suor Fevronia Iuraşcu. «Questa una sera radunò a veglia a filar la lana le altre monache ed una di esse, Zenaide, raccontò la leggenda di Calino. Il poeta l’ascoltò, prese degli appunti e qualche tempo dopo la mise in versi» [17]. In una notte, al chiarore della luna, un eroe misterioso si insinua in un castello solitario, nell’alcova di una principessa; dopo averle lasciato le labbra «livide e succhiate» [18], la giovane sembra essersi narcisisticamente innamorata di se stessa. Dopo sette anni, il vampiro torna da lei e incontra Călin, il figlio nato dalla loro unione, che prende il nome del padre. Si celebrano le nozze, in un’atmosfera onirica e straniante, al cospetto del sole e della luna, alla presenza di un microcosmo di insetti laboriosi, invitati alla cerimonia.
La parola che più ci interessa nel poema è all’inizio della seconda strofa. Dopo l’incontro amoroso con l’eroe misterioso raccontato nella strofa d’apertura, la fanciulla si ammira allo specchio e pronuncia queste parole: «Zburător cu negre plete, vin’ la noapte de mă fură» [19]. Ortiz le traduce così: «Certo il Vampiro dai neri riccioli vien di notte a derubarmi» [20]. Decisamente più efficace la traduzione recente di Katia Stabile: «Demone alato dai capelli neri, vieni questa notte a rapirmi» [21]. Ci sembra interessante segnalare – come riportato in uno studio di Gisèle Vanhese – che nella prima versione del poema, il verso suonava così:«Zburător cu ochii negri, vin de-mi dă o mușcătură» [22], ovvero: «Demone alato dagli occhi neri, vieni a darmi un morso». E il riferimento al morso non può che condurci al mondo dei vampiri.
Lo Zburător è una figura chiave della mitologia popolare romena. Considerato uno dei miti fondatori della cultura romena, rappresenta un demone erotico che di nascosto tormenta il sonno delle ragazze o delle giovani spose; è uno spirito alato (a zbura in romeno significa “volare”) che appare in sogno con le fattezze della persona desiderata: una «creatura notturna che […] assume nel corso del Romanticismo i tratti di un vampiro» [23].
Questo demone alato può simboleggiare tutte le forme della sessualità femminile o, più nello specifico, una fissazione erotica patologica. In netto anticipo sulla psicanalisi, la saggezza popolare romena ritiene che, per liberarsi e guarire da questa ossessione, basti raccontare il proprio sogno a qualcuno. Il potere liberatorio della parola, si sa, può essere declinato anche nella scrittura – non solo autobiografica –, che permette di sfogare o liberare qualche mostro interiore.
Veniamo ora alla seconda poesia emineschiana, citata da Eliade, in cui il tema dei vampiri appare in tutta la sua evidenza a partire dal titolo: Strigoii, ovvero I Vampiri [24], tradotta per la prima volta in italiano da Giovanni Magliocco nel 2007.
Nel romanzo di Eliade, durante l’incontro passionale tra Egor e Christina, si replica la scena d’amore di una revenante che prende vita tra le braccia dell’amato. La scena ricalca quella descritta da Eminescu in Strigoii. Eliade non si sottrae al rimando letterario, anzi, lo esplicita e inserisce la citazione di un’intera strofa di Strigoii, in cui a parlare è la regina Maria, risvegliata dalla morte, tra le braccia di Araldo:
“A Egor parve di udire da qualche parte una voce sorda, melodiosa, che recitava vicino all’orecchio: «Araldo, la tua fronte sul mio seno non vuoi posare, | Tu, dio dagli occhi neri…! Oh! Gli occhi hai belli… | Lascia ch'io cinga il collo tuo coi biondi miei capelli… | Un paradiso hai fatto della mia vita, dei miei giorni novelli − | I tuoi occhi mortalmente dolci lasciami guardare!»” [25].
Il verso finale ci riporta, quindi, al tema di Eros e Thanatos.
Strigoii è un poema di 295 versi, scritto in strofe pentastiche e suddiviso in tre parti. Racconta l’amore disperato fra Araldo, re degli Avari, e Maria, regina danubiana. Il poema si apre con la descrizione di Maria che giace morta in una bara, mentre Araldo le sta accanto in ginocchio, disperato. Celebrato il rito funebre da vecchi sacerdoti di una «religione mistica» [26], «Araldo vola su un cavallo nero» [27], per raggiungere un vecchio mago che possa resuscitare l’amata dal regno dei morti: «O mago eterno, a te sono venuto | Ridammi colei che la morte mi ha rapito, | E da oggi la mia vita ai tuoi dei consacro» [28].
Oltrepassata una porta, Araldo e il vecchio mago raggiungono un tempio di marmo nelle viscere della terra, dove avviene la preghieraincantesimo. La sposa-fantasma, alzatasi dalla tomba, appare prima ad Araldo in una visione e poi gli si materializza tra le braccia, diventata ormai strigoaică: «Sempre più viva nelle sue braccia la sente | E sa che d’ora in poi sua sarà in eterno» [29].
Da allora Araldo porta sul cuore una macchia nera e nelle notti di luna piena parte a cavallo per incontrare la regina danubiana. I due cavalcano affiancati, abbandonandosi ad effusioni amorose e parlando del loro amore insaziabile, finché sopraggiunge minacciosa la luce dell’alba, ostile alle creature notturne, che li fa scappare terrorizzati: «Volano come ombre trasparenti uscite dall’inferno…» [30].
La cavalcata finale conduce i due amanti nel tempio, richiamati dal vecchio sacerdote. Vi arrivano ormai pietrificati e fidanzati dalla morte: «A cavallo entrano e le porte si richiudono; | Periscono per sempre nella notte del grandioso sepolcro | Con suoni ultimi penetra nella natura il canto | Che compiange la regina dal volto bello e santo | E Araldo, giovane re dei boschi d’abete» [31].
Come osserva Magliocco, l’autore «mira a ricreare, attraverso una modalità squisitamente “romantica”, un’epoca medievale leggendaria, nebulosa, incerta e proprio per questa ragione immensamente più poetica ed evocativa» [32]. Per la figura del vecchio mago, Eminescu si è ispirato al dio Odino; il personaggio − precisa Magliocco − «è costruito con elementi del folklore autoctono, essendo un sacerdote di Zamolxe […]. Come nel caso di Araldo, anch’egli è il centro di un profondo sincretismo ricco di reminiscenze mitiche e letterarie» [33].
Sono molti gli indizi che rivelano la natura vampirica dei due amanti: Maria appare fin dall’inizio di una bellezza angelica, pallida e statuaria; Araldo − come fa notare Gisèle Vanhese − [34] era un essere spettrale, un revenant, già prima di incontrare l’amata defunta, in particolare quando compie la prima cavalcata verso la montagna sacra. Se la cavalcata notturna rappresenta uno dei grandi miti romantici associati al mondo dei vampiri − si pensi a Lenore di Gottfried Bürger −, all’interno del poema Strigoii le cavalcate fantastiche sono addirittura due. La prima è quella compiuta dall’eroe in solitaria, su un cavallo nero, per raggiungere il vecchio sacerdote e chiedergli di far rinascere la regina. La seconda è la cavalcata finale degli amanti, che arriveranno a sprofondare nelle viscere della montagna, forse per sempre, come suggerisce la pietrificazione del vecchio mago pagano, «dimenticato dalla morte» [35] o forse in attesa di un ritorno, come quello dei vampiri e della luna, che ciclicamente appaiono. Sul mito dell’eterno ritorno si fonda uno dei saggi più importanti di Mircea Eliade, secondo cui nelle società arcaiche l’uomo era solidale con il cosmo e i suoi ritmi, aveva una concezione circolare del tempo e, attraverso i riti che ripeteva, rigenerava in maniera simbolica il cosmo e la società.
Nella cavalcata conclusiva si rivela la natura vampirica degli amanti. Se la morte li ha “fidanzati”, Maria e Araldo non sono altro che una coppia di spettri: gli Strigoii enunciati nel titolo del poema: «Quando giungono a cavallo uno accanto all’altra e pietrificati, | Con le ciglia abbandonate sugli occhi annebbiati − | Belli sono e dalla morte fidanzati −» [36].
Alcuni critici – Magliocco in particolare – si sono soffermati sulla coincidentia oppositorum che connota la regina Maria, riflessa nel cromatismo simbolico che la caratterizza. Il colore che meglio rappresenta la figura femminile è il bianco, sia nella variante mortale e rigida, come il marmo, la cera e la calce a cui viene paragonata da morta, sia nella variante angelica, «una dolce incarnazione di neve» [37], dopo che la fanciulla riemerge dalla tomba: «Fluttuando lentamente s’innalza la sua sposa, uno spettro… | Una dolce incarnazione di neve. | […] | Con le mani di cera accarezza le sue tempie | Ma il suo volto è bianco come la calce. | Viene attraverso il vento e la nebbia – e le nuvole si distendono | I fulmini si allontanano fuggendo, lasciandola passare, | La Luna si oscura ed il cielo si piega adagio | Le acque con sgomento si ritraggono dalla terra e inaridiscono − | Come se un angelo, nel sonno, l’inferno attraversasse» [38].
Il secondo colore della regina è il rosso, il rosso dei rubini fiammeggianti nei suoi capelli e il rosso delle labbra che sembrano insanguinate. In realtà, in lei prevale la natura angelica:
«Più che un sinistro vampiro ha l’aspetto di una creatura siderale, un angelo lunare e diafano che attraversa le fiamme plutoniche dell’inferno» [39].
Il nero è invece il colore del protagonista maschile. Il poeta in modo esplicito assimila Araldo a un vampiro, facendone uno dei personaggi più tenebrosi, notturni e plutonici di tutta l’opera emineschiana. Il verso più emblematico del poemetto, in cui si condensano l’elemento angelico e quello infernale, ci sembra essere il seguente: «Come se un angelo, nel sonno, l’inferno attraversasse» [40].
Non a caso è il verso collocato dallo stesso Magliocco in esergo alla sua puntuale analisi di Strigoii. Il titolo del suo studio, Tra angelismo lunare e vampirismo plutonico [41], a sua volta una coincidentia oppositorum, ci ha offerto la chiave di lettura del testo emineschiano.
La poesia di Eminescu, romantica nella struttura e nei temi, si apre a suggestioni decadenti che rendono la sua opera «una sorta di cerniera tra il romanticismo ed il simbolismo ed un grande riepilogo di tutta la poesia del XIX secolo» [42].
Rosa Del Conte osserva che «il preteso pessimismo di Eminescu è il rifiuto non ad “essere”, ma a “esistere”, cioè a “essere per la morte”» [43]. Ed è quello che accade ai vampiri e tutte le creature notturne e perturbanti che, mutuati dalla tradizione folklorica, pullulano nella letteratura romena, «una delle poche letterature al mondo in cui il fantastico non sia mai diventato grottesco, tragico, cupo, conservando la sua purezza lirica, di alternativa più buona e più bella al Reale» [44].
In una pagina autobiografica, Mircea Eliade dichiara la sua passione per la scrittura letteraria, che vive di vita propria rispetto ai suoi lavori di storico, filosofo e saggista:«In realtà […] scrivevo letteratura per il piacere (o l’esigenza) di scrivere liberamente, di inventare, di sognare, di pensare anche, ma senza la costrizione del pensiero sistematico. È probabile che tutta una serie di stupori, di misteri e di problemi che la mia attività teorica rifiutava chiedevano di essere soddisfatti nella libertà della scrittura letteraria» [45].
Ci piace pensare che queste parole di Eliade si possano adattare a Eminescu che forse, seppur inconsapevolmente, ha tentato di placare alcuni suoi stupori, misteri e problemi attraverso la scrittura, in direzione onirica e fantastica.


Carla Caccia
(n. 11, novembre 2024, anno XIV)


Lo studio di Carla Caccia, La presenza dei vampiri nella letteratura romena: da Eliade a Eminescu, un intreccio a ritroso, è stato pubblicato in Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte, a cura di Edoardo Fontana, Lidia Gallanti e Silvia Scaravaggi, catalogo della mostra al Museo Civico di Crema e del Cremasco, 19 ottobre 2024-12 gennaio 2025, Crema, Edizioni Museo Civico Crema, 2024, pp. 57-65.


NOTE

[1] Vito Teti, Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni, Roma, Donzelli Editore, 2018, p. 149.
[2] Mircea Eliade, Domnișoara Christina. Roman, București, Editura “Cultura Națională”, [1935].
[3] Sorin Alexandrescu, Un mondo incerto. La narrativa di Mircea Eliade, in Mircea Eliade, Racconti fantastici, a cura di Horia Corneliu Cicortaş e Igor Tavilla, Roma, Castelvecchi, 2023, vol. I, p. 12.
[4] Mircea Eliade, Signorina Christina, in Racconti fantastici, a cura di Horia Corneliu Cicortaş e Igor Tavilla, Roma, Castelvecchi, 2023, vol. I, p. 195.
[5] Ivi, p. 219.
[6] Mircea Eliade, Avant-propos de l’auteur, in Mademoiselle Christina, Paris, Éditions de l’Herne, 1978, p. 5.
[7] M. Eliade, Signorina Christina, 2023, cit., p. 134.
[8] Ivi, p. 135.
[9] Mihai Eminescu, Poesie, a cura di Rosa Del Conte, Modena, Mucchi Editore, 1989, pp. 96-121.
[10] Ramiro Ortiz, Note, in MIHAIL EMINESCU, Poesie. Prima versione italiana dal testo rumeno, con introduzione e note a cura di Ramiro Ortiz, Firenze, Sansoni Editore, 1927, pp. 155-156.
[11] Mihai Eminescu, Antologia critica, a cura di Doina Derer, Bucureşti, Editura Anima; Milano, Centro di Studi sull’Europa Orientale, 1993, p. 285.
[12] Mario Luzi, Omaggio a Eminescu, in Eminescu e il romanticismo europeo, a cura di Marin Mincu e Sauro Albisani, Roma, Bulzoni, 1990, p. 9.
[13] Mihai Eminescu, Poesii de Mihail Eminescu, Bucureşti, Socecu & Comp, 1884.
[14] Mihai Eminescu, Călin (file din poveste), in «Convorbiri literare», anno X, n. 8 (1 novembre 1876), pp. 309-313.
[15] Mihai Eminescu, Strigoii, in «Convorbiri Literare», anno X, n. 9 (1 dicembre 1876), pp. 339-343.
[16] M. Eminescu, Calin (pagine di leggenda), in Poesie, 1927, cit., pp. 34-43.
[17] R. Ortiz, Note, 1927, cit., p. 147.
[18] M. Eminescu, Calin, 1927, cit., p. 35, v. 44.
[19] M. Eminescu, Călin, 1876, cit., p. 310, v. 46.
[20] M. Eminescu, Calin, 1927, cit., p. 35, v. 46.
[21] Eminescu plutonico. Poetica del fantastico, a cura di Gisèle Vanhese, Cosenza, Centro Editoriale e Librario, Università della Calabria, 2007, pp. 264-265.
[22] Gisèle Vanhese, Sotto il segno della bellezza tenebrosa. Călin e e Luceafărul di Mihai Eminescu, in Eminescu plutonico, 2007, cit., p. 19.
[23] Giovanni Magliocco, Tra angelismo lunare e vampirismo plutonico. Strigoii di Mihai Eminescu, in Eminescu plutonico, 2007, cit., p. 53.
[24] Mihai Eminescu, Strigoii. I Vampiri, traduzione di Giovanni Magliocco, in Eminescu plutonico, 2007, cit., pp. 238-259.
[25] M. Eliade, Signorina Christina, 2023, cit., p. 194-195.
[26] M. Eminescu, Strigoii. I vampiri, 2007, cit., v. 77.
[27] Ivi, v. 81.
[28] Ivi, vv. 103-105.
[29] Ivi, vv. 179-180.
[30] Ivi, vv. 264-265; nell’originale romeno, la citazione occupa il verso 265 e l’inizio del verso successivo: «Ca umbre străvezie ieșite din infer | Ei zboară…». Il traduttore ha scelto di prolungare il verso 265 fino ai punti di sospensione, segnando più marcatamente la pausa sintattica.
[31] M. Eminescu, Strigoii. I vampiri, 2007, cit., vv. 281-285.
[32] G. Magliocco, Tra angelismo lunare e vampirismo plutonico, 2007, cit., p. 66.
[33] Ivi, p. 77.
[34] Gisèle Vanhese, Appartenir à la nuit. Strigoii d’Eminescu et Only Lovers Left Alive de Jim Jarmusch, in «Analele Universității București. Limba și literatura română», n. 70 (2021), pp. 111-131.
[35] M. Eminescu, Strigoii. I vampiri, 2007, cit., v. 93.
[36] Ivi, vv. 277-279.
[37] Ivi, v. 161.
[38] Ivi, vv. 160-170.
[39]  G. Magliocco, Tra angelismo lunare e vampirismo plutonico, 2007, cit., p. 64.
[40] M. Eminescu, Strigoii. I vampiri, 2007, cit., v. 170.
[41] G. Magliocco, Tra angelismo lunare e vampirismo plutonico, 2007, cit., pp. 49-101.
[42] Ivi, p. 96.
[43] Mihai Eminescu, Poesie, a cura di Rosa Del Conte, Modena, Mucchi Editore, 1989, p. X.
[44] Sorin Alexandrescu, Introduzione, in M. ELIADE, Racconti fantastici, 2023, cit., vol. I, p. 73.
[45] Mircea Eliade, Frammento autobiografico, in Le messi del solstizio. Memorie 2 (1937-1960), Milano, Jaca Book, 1995, p. 224.