«Tra inquietudine e fede»: ora in italiano l'epistolario di Emil Cioran e George Bălan

«Cercate la verità su un autore nella sua corrispondenza piuttosto che nella sua opera. L’opera è perlopiù una maschera», così suggeriva Emil Cioran in Manie épistolaire nell’ultima parte della sua vita. Proprio partendo da questa indicazione, gli studiosi del pensatore romeno si stanno impegnando, ormai da circa dieci anni, per far pubblicare in Italia i carteggi di Cioran tenuti con intellettuali, amici e familiari. In questa cornice, si inserisce la raccolta epistolare Tra inquietudine e fede. Corrispondenza (1967 -1992), carteggio tra il filosofo e George Bălan, curata da Antonio Di Gennaro ed edita da Mimesis. In un caldo pomeriggio di agosto del 1965, Bălan, musicologo che ha cercato per tutta la vita di far emergere le essenze metafisiche della musica, si imbatté casualmente in un libro sprovvisto di copertina. Folgorato da aforismi quali: «Se soltanto Dio avesse fatto il nostro mondo così perfetto come Bach ha fatto la sua musica divina» e «Sto cercando l’Adamo che ci avrebbe permesso di essere oggi in Paradiso», per tutta la notte lesse quelle pagine laceranti, che si riveleranno poi essere parte di Cartea amăgirilor (Il libro delle lusinghe, 1936, ancora inedito in lingua italiana). In seguito a quella scoperta, il musicologo decise che fosse giunta l’ora di valorizzare l’opera di Cioran nella loro terra, la Romania, un paese dove i testi del filosofo erano analizzati con sospetto a causa del noto saggio polemico Piccola teoria del destino (contenuto in La tentazione di esistere, Adelphi 1984), e, soprattutto, a causa di un regime sanguinario che reputava Cioran un pericoloso traditore. Dopo quelle ore indimenticabili trascorse a leggere nella città di Sibiu, in Bălan, nacque la necessità di scrivere un libro su quel pensatore che si annoverava fra i discepoli di Giobbe. Fu così che il 15 maggio 1967, ebbe inizio un lungo carteggio protrattosi fino al 1992; venticinque anni durante i quali un maestro atipico insegna l’arte del disinganno e della de-fascinazione a un allievo che, in fondo, non cercava altro che essere metafisicamente incenerito. Cioran accompagnerà Bălan nel corso della sua formazione, dall’inizio degli studi teologici fino alla fondazione della scuola di Musicosophia, non senza tuttavia esprimere perplessità per alcune delle sue decisioni.
Tra inquietudine e fede risuona come un’eco che ci riconduce alle tematiche centrali di molte delle opere cioraniane: la musica e Dio. Due argomenti, questi, uniti da un’estrema intimità, sebbene entrambi esulino dalla portata degli umani: «Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del paradiso». La musica è qui intesa come l’emanazione finale dell’universo, allo stesso modo di come Dio è l’emanazione ultima della musica. Riflessioni che ci ricordano dell’attualità di Lacrime e santi e ci ravvisano della necessità di portare al più presto in lingua italiana la versione integrale dell’opera, ovvero dello stesso testo che il musicologo aveva fra le mani.
Bălan si chiederà, inoltre, come «uno degli spiriti più religiosi del secolo» possa attaccare in maniera così forte il cielo, auspicandone persino la caduta. Cioran, dal canto suo, risponderà che ciò che gli interessa è soltanto indagare sul rapporto fra la fede e l’inquietudine: «Non dimentichi però che tutta la mia vita è stata una ricerca frenetica, accresciuta dalla paura di trovare. Tale anomalia prorompe soprattutto in ambito religioso. Sono certo di aver cercato Dio, ma sono ancora più certo di aver fatto di tutto per non incontrarlo. Un amico francese un giorno mi ha detto che sono come un Pascal che inventerebbe qualsiasi ragione per non credere». Una visione volutamente ossimorica, uno scetticismo radicale che non conosce soluzioni, se non quelle momentaneamente illusorie: del convento, del suicidio o di una grande depravazione (dezmățul).


Vincenzo Fiore
(novembre 2017, anno VII)