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Aurel Cosma Jr: «Tracce di vita italiana nel Banato» (III)
Il progetto interdisciplinare Presenza italiana nel Banato della nostra rivista, avviato da Afrodita Carmen Cionchin in collaborazione con lo storico Ionel Cionchin, continuia con la pubblicazione dell'ultima parte dello studio di Aurel Cosma Jr. intitolato Tracce di vita italiana nel Banato, edito nel 1939 dall’Istituto di Cultura Italiana in Romania, sezione di Timisoara.
Il principe Eugenio di Savoia
La rinascita del Banato
II trattato di Carlovitz non portò, però, la tranquillità sperata. I Turchi non volevano accettare la nuova situazione e cominciarono di nuovo la lotta. Essi furono definitivamente sconfitti e cacciati dal Banato solo nell’anno 1716, quando il principe Eugenio di Savoia li batte e mise in fuga, fino nei Balcani. La pace ratificata nel 1718, a Passarovitz, inaugura una nuova era nella vita del Banato. II vittorioso principe Sabaudo affidò poi al Conte Mercy la riorganizzazione e amministrazione della regione. A questo difficile lavoro di ricostruzione sopratutto economica, gli Italiani hanno dato anche loro concorso di lavoro e di sacrifici materiali. Gli architetti, gli industriali, i commercianti e i coloni italiani stabiliti nel Banato hanno creato in poco tempo, su questa terra di guerre infinite, una provincia prospera e ammirata da tutti. Forse, sono pochi quelli che sanno che la rinascita del Banato è dovuta in gran parte alle braccia instancabili e al genio italiano.
Dopo la partenza dei Turchi, lo stato della regione era disastroso. Tutto era deserto e devastato; di agricoltura e di commercio non si parlava più, salvo della manifattura casalinga e della piccola produzione agricola dei Romeni, che sono rimasti fedeli alla loro terra, sopportando tutte le illegalità, a cui erano già abituati, per l'esempio degli antenati.
I coloni italiani
La prima cura del Conte Mercy fu quella di assicurare la tranquillità della provincia dal punto di vista militare, poi, di passare alla realizzazione dei suoi grandi piani di ripopolamento dei villaggi abbandonati, di creare nuove sedi di comuni e di colonizzare il paese con Italiani, Tedeschi, Francesi e Spagnoli. Secondo una statistica di allora, pubblicata da Griselini, la popolazione della provincia comprendeva 183.450 Romeni, 78.780 Serbi, 8.683 Bulgari, 5.279 Tzigani, 363 Ebrei e 43.201 coloni dall’Alsazia e dall’Italia. II numero dei Romeni, in realtà, era molto più grande; perché essi stavano la maggior parte nascosti, per paura delle guerre secolari, nelle foreste e nelle regioni montane, dove le autorità non potevano penetrare per il censimento. Quanto ai Serbi, questi vennero nel Banato nel 1690 sotto il comando del loro patriarca Arsenie Cernovici, quando fuggirono dai Balcani, per paura dei Turchi. Non si può precisare il numero dei coloni secondo la loro origine. Generalmente gli Alsaziani, essendo agricoltori, si stabilirono in campagna, e gli Italiani, occupandosi di più dell’industria, e del commercio, si fermarono nelle città. Da questi Alsaziani si è formata la popolazione tedesca degli «Svabi» di oggi, e gli Italiani sono rimasti pochissimi, perché la maggior parte è partita allo scoppiare della nuova guerra turca, e alcuni di essi caddero vittime della peste e delle malattie provocate dal clima insalubre e dall'immensità degli stagni del Banato. Pochi superstiti si sono fusi colla popolazione indigena.
Una delle più imponenti colonie di Italiani era quella di Carani, che più tardi prese il nome del Conte Mercy. Altre colonie italiane furono fondate anche nei villaggi dei dintorni di Ciacova, poi, a Moldova, Ghiroda, Omor, Mehala, Freidorf ed altrove. Essi vennero soprattutto dal nord dell'Italia, collo scopo di introdurre nel Banato la coltura del baco da seta, e la coltivazione del riso.
L'industria della seta
Il centro delle industrie della seta era vicino alla città di Timişoara, nel quartiere chiamato oggi Fabric. L’attuale strada Mătăsari era molto tempo fa abitata da Italiani, che avevano piantato gelsi, e si occupavano intensamente della produzione dei bozzoli, per l’industria della seta, che essi fondarono sul modello di quelle del nord Italia.
L’abate Clemente Rossi, originario di Mantova, che è venuto qui con i primi coloni, ci informa su molte cose interessanti nei suoi libri De Italorum in Banato existentium origine et parochiae erectione narratio e Catalogus Italorum in Banatuo Habitantum. Egli non è stato solamente il fondatore del villaggio italiano di Carani e il suo primo parroco, ma sopratutto il direttore di tutte le industrie della seta, che avviava e controllava. I soddisfacenti risultati dei primi anni di produzione determinarono nuove colonizzazioni di Italiani, e l’estensione delle piantagioni di gelsi, lungo molti viali e strade, fino nei più estremi angoli della provincia. Il Conte Mercy diede un’importanza così grande a queste piantagioni, che introdusse anche la pena di morte, contro coloro che distruggessero i gelsi, e la fece applicare alcune volte, eseguendosi l’esecuzione capitale sul luogo stesso.
La seta fabbricata a Timişoara divenne presto molto rinomata, ed incominciò a essere venduta in diversi paesi lontani. L’imperatore stesso regalò a sua moglie Elisabetta-Cristiana seta del Banato per la confezione dei suoi vestiti. I primi prodotti erano però adoperati per scopi ecclesiastici.
Altre industrie e coltivazioni
Oltre a queste industrie furono fondati, nel quartiere Fabric, anche altri stabilimenti, come fabbriche tessili, laboratori per il lavoro della lana, un mulino per olio e una cartiera. Tutte quante, organizzate e condotte da specialisti italiani.
Molti artigiani italiani si sono stabiliti nei diversi centri, aggiungendosi agli artigiani romeni indigeni, che avevano nel Banato una tradizione corporativa, ancora dai tempi precedenti all’occupazione dei Turchi.
Nello stesso modo, si fecero numerose piantagioni di viti, sopratutto nella regione di Lugoj e di Vârşeţ, la popolazione indigena imparando dai coloni italiani i nuovi metodi di viticultura.
La più diffusa e intensiva occupazione dei coloni italiani era, però, la coltivazione del riso, che aveva preso una grande estensione. Si sono fatte seminagioni intorno a molti villaggi, e le risaie diventarono imprese molto produttive. Una simile risaia modello era quella di Ghiroda, fatta dai coltivatori milanesi.
Costruzioni e lavori pubblici
Oltre alle colonizzazioni propriamente dette, possiamo ricordare anche l'arrivo nel Banato di molti architetti e tecnici italiani, che realizzarono qui opere monumentali, il cui splendore e utilità sono ammirati e apprezzati ancora da tutti.
Cattedrali e chiese, caserme e ospedali, edifici pubblici per comandi militari e sedi delle autorità amministrative, podesterie e scuole, fondate in diverse città e villaggi del Banato, quasi tutti furono costruiti da ingegneri italiani.
La canalizzazione e l’alimentazione con acqua di Timişoara fu anch’essa fatta da loro per la prima volta. Nel quartiere Fabric, essi costruirono un mulino e un’istallazione meccanica per derivare e pulire le acque del fiume Bega, facendo canali sotterranei in tutte le direzioni della città. Nello stesso modo, introdussero la fognatura nella città, assicurando a Timişoara, con questi lavori, una vita più igienica.
Ma, le più importanti e grandi realizzazioni italiane sono state la canalizzazione e lo scavo di un nuovo letto del fiume Bega, trasformandolo in un mezzo di trasporto utile e di poca spesa, sopratutto per il legname da costruzione e da ardere che veniva dalle foreste del Banato. Altrettanto importanti erano i lavori degli ingegneri italiani per la bonifica e il prosciugamento dei campi, trasformati così in terre produttive, eliminando nello stesso tempo le cause principali dell’insalubrità del clima.
Non è qui il luogo di enumerate tutti gli sforzi fatti dal lavoro e dal genio italiano per far prosperare e progredire il Banato. Però, dall’esame dei frammenti della realizzazione rammentata, possiamo tirare la conclusione che il popolo italiano è stato un fattore determinante negli sforzi di rinascita e di progresso del Banato.
La partenza degli Italiani
Dopo due decenni di lavoro pacifico e fruttuoso, i segni della guerra si mostrarono di nuovo sull’orizzonte a causa dei piani di vendetta tessuti dai Turchi. Il Banato fu ancora minacciato, e i coloni spaventati delle prospettive pericolose di un’invasione nemica cominciarono a liquidare i loro affari. I Tedeschi che, come i Romeni, erano legati alla terra che essi lavoravano, non potevano fuggire in nessun luogo. Invece, i coloni italiani, per maggior parte ingegneri, industriali e commercianti, avevano più facilità di saldare i loro interessi e, perciò, potevano lasciare la regione. Così si spiega la partenza dei coloni italiani, di cui tracce di lavoro e di vita si vedono oggi ancora in tutto il Banato.
Nel 1738, l’armata del Sultano passava già il Danubio ed era sul cammino della riconquista. L’eroismo italiano fu confermato anche questa volta. Nel castello di Mehadia, le truppe sotto il comando del conte Piccolomini tennero fronte al nemico, e il suo maggiore Miseroni perdette la vita nella lotta per la difesa del forte Elisabet. Però, gli attacchi dei Turchi furono respinti dai reggimenti di cavalleria comandati dal Conte Filippi. Le ostilità continuarono più di un anno, fino a quando fu conclusa nel Settembre 1739 la pace di Belgrado che ricondusse un’epoca di tranquillità per il Banato.
Le industrie della seta ricominciarono i lavori sotto la guida dell’abate Rossi, e gli Italiani che avevano affrontato i pericoli della guerra ed erano rimasti sul luogo continuarono la loro attività in diversi rami economici. Molti di essi furono decimati dalla peste che colpì la provincia tra gli anni 1738-1740.
La ripresa della vita e lo sfruttamento delle miniere
Dopo tali avvenimenti e la fine delle malattie epidemiche, la gente riprese la vita normale. Oltre che per i campi di attività già conosciuti, si fecero venire altri operai italiani per lo sfruttamento delle miniere di ferro, di piombo, di rame e d’argento, che erano intatte, nel sottosuolo della regione di Oraviţa. I Romeni della provincia di Caraş, che lavorano oggi in diverse gallerie sotterranee, hanno imparato a scavare e lavorare i minerali, da questi minatori italiani, che sono venuti due secoli fa, per dare un nuovo impulso al risorgere economico del Banato. Il ricordo della loro vita vive oggi ancora nei racconti dei vecchi di questa zona.
A causa dello spavento provocato dalla peste, le autorità presero misure per la salubrità dell’aria. Furono continuati i lavori di eliminazione delle acque stagnanti e la famosa risaia di Ghiroda fu soppressa, perché l’aria dei dintorni di Timişoara non fosse più ammorbata dall'odore delle risaie. I vecchi coloni Italiani furono costretti a sloggiare di qui, al confine del villaggio Omor, dove continuarono la coltivazione del riso, che raggiunse un prezzo di produzione inferiore a quello dell’Italia.
Il barone Giuseppe di Brigido
Un nuovo periodo di prosperità e di partecipazione attiva degli Italiani al miglioramento delle cose nel Banato è cominciato solamente sotto il barone Giuseppe di Brigido, che fu chiamato a condurre la provincia dopo che l’Imperatore Giuseppe II si convinse in persona, nell’occasione del suo viaggio nel Banato, dell'utilità di alcune urgenti misure, per la fortificazione e il rifacimento del sud del suo impero.
Per noi, oltre lo zelo del barone di Brigido e dei suoi sforzi di elevare il Banato al rango di una provincia moderna e ben amministrata, ha ancora un’importanza molto grande il fatto ch’egli portò con se il veneziano Griselini, che, percorrendo nel corso degli anni tutta la superficie del Banato, e tutti i suoi villaggi, prese note e disegnò la prima carta geografica completa e particolareggiata di questa provincia. II lavoro di Griselini, scritto in lingua tedesca e italiana, con le sue numerosi incisioni e abbozzi illustrati, costituisce per noi un documento e una cronaca fedele di quei tempi, di cui altrimenti avremmo avuto poche informazioni.
Griselini parla del Banato
Griselini è dimorato nel Banato fra gli anni 1774-1777, essendo collaboratore intimo del suo amico di Brigido, durante il tempo in cui questi aveva la carica di governatore amministrativo della provincia. Nel corso delle sue ricerche, Griselini, come lo testimonia nel suo lavoro, è stato piacevolmente sorpreso di trovare nel Banato un popolo che parlava una lingua così simile all’italiano, e che traeva la sua origine dalla stessa antica Roma, come il popolo italiano. Lo hanno tanto appassionato la vita e le abitudini del nostro popolo, che ha studiato e commentato minuziosamente. Perciò, per i Romeni del Banato, i1 libro di Griselini non è solamente una cronaca autentica con dati storici ed etnografici, ma è anche un’impressionante affermazione del legame italo-romeno, manifestato in tutti i tempi.
La vita di Griselini
Griselini è più conosciuto nel Banato che nella sua propria patria, e gli abitanti di questa provincia gli conservano un culto pieno di venerazione. La sua vita è stata molto tormentata, e la sua morte fu tragica. Si potrebbe scrivere di lui un libro intero. Però, non ricorderò qui che poche cose, avendo l’intenzione di occuparmi in altra occasione della sua vita e della sua attività. Credo utile di fissare solamente alcuni dati biografici, perché non troviamo il suo nome nemmeno rammentato nella grande Enciclopedia italiana.
Francesco Griselini, nato a Venezia i1 12 Agosto 1717, era figlio di genitori poveri, borghesi, i quali furono costretti a mandarlo al Seminario, ove si accordavano più facilmente borse per gli studi teologici. Ma le qualità sue di buon disegnatore gli apersero altre vie e abbracciò la carriera di disegnatore di carte geografiche ricavandone un guadagno sufficiente.
Al tempo del doge Marco Foscarini ritoccò le vecchie carte geografiche del palazzo ducale. Fece poi anche il giornalista e pubblicò molti lavori e studi geografici, storici ed economici.
Era nello stesso tempo un esperto di scienze naturali ed un appassionato botanico. Diverse Accademie italiane e straniere lo accolsero nel loro seno. Più tardi, facendo conoscenza col Barone di Brigido, fu da questi convinto a seguirlo nel Banato. Così, giunto all’età di 60 anni, preparò l'importante suo lavoro concernente La storia politica e naturale del Banato Timişano, che stampò simultaneamente a Vienna in lingua tedesca e a Venezia in lingua italiana, nell’anno 1780. Quindi, ritornò in patria e si stabilì a Milano dove occupò un impiego di segretario in una società economica. Ma in breve intervallo ebbe la disgrazia d’impazzire e poi mori nell’ospizio Fate bene fratelli. Allora, il velo dell’oblio si depose sulla memoria di Griselini.
Chiusura
Non è necessario che io completi questo studio con altre particolarità della vita laboriosa degli Italiani nel Banato, poiché con quelle esposte risulta abbastanza che il legame fra il popolo nostro del Banato e l’italiano è esistito in ogni tempo e la cultura venuta dall’Italia ha trovato qui un terreno fecondo e propizio.
Oggi, svolgendo il filo della storia per fregiare in immagini le relazioni nostre nel passato, bisognerebbe che dessimo ad esse tutta l’entità e lo splendore, perché sul loro fondo s’imprima nuova unione di pensiero e di sentimento italo-romeno.
Aurel Cosma Jr.
(n. 12, dicembre 2012, anno II)
«Presenza italiana nel Banato», al via nuovo progetto. Aurel Cosma Jr.
Aurel Cosma Jr: «Tracce di vita italiana nel Banato» (II)
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