Romania: I Padri Fondatori (III). Nicolae Bălcescu e Mihail Kogălniceanu

Se esiste un esempio di uomo che dalle contrarietà e dalle sconfitte è uscito ogni volta ancor più determinato a conseguire gli obiettivi che si era prefissato, ebbene, lo troviamo riflesso nella vicenda umana di Nicolae Bălcescu.
Nicolae Petrescu nasce a Bucarest il 29 giugno 1819. Sua madre, Zinca Bălcescu, appartiene alla piccola nobiltà; affinché il cognome non si estingua, il principe Grigore Ghica concede che passi alla famiglia del marito.
Nicolae viene educato nel collegio San Sava, ma a causa della scarsità di mezzi economici non può recarsi all’estero per proseguire gli studi, che approfondirà da autodidatta. Arruolatosi nell’Esercito, nel 1838 chiede e ottiene dal principe Alexandru Ghica di istituire un corso per sottufficiali, subito soppresso per le pressioni della Russia, che pur essendosi ritirata dai Principati nel 1834 vi mantiene una forte influenza.
Due anni più tardi, nel 1840, Bălcescu è a fianco del boiaro valacco Dimitrie Filipescu, che organizza una cospirazione che ha come obiettivi l’indipendenza e la democratizzazione del Paese. La congiura viene scoperta, e Filipescu e Bălcescu vengono internati; il primo morirà in prigione, Bălcescu vi passerà più di due anni, uscendone con la salute gravemente compromessa.
Una volta libero, Bălcescu riprende l’impegno patriottico, e nel 1843, insieme a Ion Ghica (1817-1897) e Christian Tell (1808-1884) dà vita alla società segreta Frăția; saranno proprio gli esponenti di Frăția a elaborare le linee guida del Proclama di Islaz, il documento ispirato ai princìpi liberali che diventerà il manifesto dei moti valacchi del giugno 1848.
Nel 1845 Bălcescu fonda la rivista storica Magazin istoric pentru Dacia; ma le pubblicazioni che portano la sua firma alludono troppo scopertamente ai fatti politici del Paese, e nel 1846, per non finire di nuovo in prigione, il patriota fugge prima a Parigi e poi in Italia. È a quest’epoca che risalgono le prime ricerche relative all’opera che rappresenta il suo maggior merito nel campo della cultura, Românii supt Mihai-Voievod Viteazul (titolo originale).
Bălcescu era di nuovo a Parigi quando iniziarono i moti rivoluzionari del febbraio 1848; leggenda vuole che abbia tagliato un pezzo di stoffa del trono di Luigi Filippo d’Orleans, conservandolo come cimelio. Il 13 marzo la rivoluzione si estese a Vienna, e due giorni dopo in Ungheria; il 20 marzo Bălcescu convocò i moldavi e i valacchi presenti a Parigi, e si decise unanimemente di creare un movimento politico. Fu stilato subito un programma, che in gran parte ricalcava quello del 1840, ma che insisteva sulla necessità di concedere la terra ai contadini dietro pagamento di un indennizzo.
Rientrato in Patria, Bălcescu fu tra i promotori dei moti rivoluzionari, che iniziarono col Proclama di Islaz (Proclamația de la Islaz) del 9 giugno e due giorni dopo si estesero a Bucarest. Dopo l’abdicazione e l’abbandono del Paese da parte del principe Gheorghe Bibescu, il potere fu assunto da un Governo provvisorio, di cui Bălcescu fu ministro e segretario. Il grande problema, come è noto, si rivelò quello della riforma agraria, a causa della ferma resistenza dei latifondisti a concedere le terre ai contadini.
Sotto la minaccia di un’invasione russa, molti fra i rivoluzionari furono costretti a fare un passo indietro; non Bălcescu, che rimase favorevole a un’azione radicale. «Adesso – scrisse in quei giorni – abbiamo i mezzi per liberarci di tutti i reazionari. Dobbiamo mettere in moto un processo quanto più sbrigativo possibile. Deve essere istituita una commissione militare apposita, soprattutto se dovessimo vedere che chi complotta continua ad agire; allora non dovremmo farci scrupolo di proclamare, per questi, la legge marziale. In circostanze difficili, eccezionali, occorrono misure eccezionali. Non fate poesie e sentimentalismo, ma giustizia implacabile». 
Le bellicose intenzioni dei pașoptiști più intransigenti accelerarono la reazione russo-turca. Il 10 luglio i russi entrarono a Iași, e il 25 settembre le truppe ottomane spensero a Bucarest ogni resistenza. Bălcescu e altri patrioti, nel frattempo, avevano raggiunto Costantinopoli per chiedere il riconoscimento del Governo provvisorio da parte della Sublime Porta, che però ignorò la delegazione. È importante sottolineare il fondamento ideologico che guidava l’azione politica di Bălcescu, ovvero la priorità del problema della nazionalità, la convinzione che solo un popolo riunito in una Nazione avrebbe potuto lottare con successo per la libertà e la piena indipendenza.
Al ritorno, Bălcescu fu arrestato, ma a Semlin (ora Zemun, Serbia), riuscì a fuggire e riparò in Transilvania. Mai domo, avviò nuove trattative con i Turchi, poi, nel luglio 1849, raggiunse Budapest per tentare un accordo fra ungheresi e romeni. Le trattative fra Lajos Kossuth, Cezar Bolliac e Bălcescu condussero alla redazione di un Progetto di pacificazione (2-14 luglio 1849) contenente una serie di concessioni del Governo dei rivoluzionari magiari; la sconfitta di questi da parte dell’Austria (agosto 1849) segnò la sorte definitiva dei moti del 1848, e il ritorno ai sistemi statali dominati dalla Santa Alleanza.
Nonostante la disfatta, Bălcescu era consapevole che i moti avessero piantato il seme di ogni futura azione indipendentista e unitaria. La sollevazione romena, affermò più volte, non doveva essere intesa come una mera imitazione di quella francese, essendo fondata su questioni e rivendicazioni interne al Paese. Ecco le sue parole: «La rivoluzione romena del 1848 non è stato un fenomeno sregolato, di natura effimera, senza passato e senza futuro, senza altro movente che la volontà fortuita di una minoranza sulla scia di un movimento generale europeo. Questo movimento ne è stata l’occasione, non la causa. Causa che ha tratto origine dalle nostre condizioni presenti e passate».
Forte di questa convinzione, Bălcescu, come altri pașoptiști, iniziò un’intensa attività mirante a sensibilizzare l’opinione pubblica europea verso la causa romena. In questo senso, ebbe modo di distinguersi grazie a un’opera straordinaria, Question économique des Principautés danubiennes (1850), cruda denuncia delle tristi condizioni del mondo contadino e realistico resoconto degli anacronismi delle strutture economico-sociali dei Principati. Lo studio di Bălcescu è tuttora considerato il testo fondamentale del liberalismo economico romeno.
Costretto di nuovo ad abbandonare la sua terra, fu a Belgrado, Vienna e Parigi, finché, ammalatosi di tisi, raggiunse Napoli e poi Palermo, dove mori nel novembre 1852, a soli 33 anni.
Nonostante la brevissima vita, l’attività letteraria di Bălcescu è di tutto rispetto. La sua opera fondamentale è la già citata Istoria Românilor sub Mihai Vodă Viteazul, alla quale lavorò sino alla morte. Concepita come una monografia in sei libri, fu interrotta al capitolo 33 del quinto volume; pur rivelando intenti apologetici, resta uno dei capolavori della storiografia romantica romena. Non è affatto un caso che gli interessi culturali di Bălcescu – il cui amore per la storia fiorì quando era ancora un adolescente – si siano concentrati su un personaggio come Mihai Viteazul, che intorno al 1600 era riuscito a realizzare la prima unificazione delle terre di Valacchia, Moldavia e Transilvania.
Fervente nazionalista e cristiano, Bălcescu fu il più radicale e visionario fra i patrioti romeni; il suo esempio ha trovato molti luoghi della memoria, Italia inclusa. Già nel novembre 1952 il Comitato palermitano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento lo commemorava solennemente nella sede della Società Siciliana di Storia Patria; nel maggio 1961, nel Giardino Garibaldi della stessa Palermo, veniva scoperto un busto offerto dalla Patria al «grande patriota e storico romeno Nicola Balcescu».
Bălcescu non vide realizzato il sogno dell’unità del popolo romeno. Ma è grazie al suo esempio, e a quello di molti altri eroi delle cause nazionali, che le vecchie forze della politica apparvero inadeguate alle istanze che sfoceranno nella vittoria dei movimenti indipendentisti europei.

19 marzo 1840: vede la luce, a Iași, la rivista Dacia Literară. Ha un programma chiaro e ambizioso: gli scrittori devono ispirarsi alla storia, alle tradizioni e ai costumi nazionali. La letteratura, come la lingua, deve essere comune a tutti i romeni e arricchita dall’apporto specifico di ogni regione.
Anima della rivista è un moldavo di Iași, Mihail Kogălniceanu. Nato il 6 settembre 1817, sin da fanciullo mostra straordinarie doti intellettuali. Mandato a studiare in Francia e in Germania, diventa subito padrone delle due lingue, al punto di pubblicare, a soli vent’anni, una dissertazione in francese riguardante la storia e i costumi degli zingari, uno studio in tedesco sulla lingua e la letteratura delle terre romene, e ancora in francese una Storia della Valacchia, della Moldavia e della Valacchia transdanubiana.
Kogălniceanu ha l’aspetto di un intellettuale, un’espressione bonaria, modi diretti che ispirano un’istintiva simpatia; ma è capace, quando necessario, di una virile risolutezza. Con stupefatta ammirazione riassumiamo la prodigiosa attività culturale che intraprende quando è poco più che ventenne. 1838: Gheorghe Asachi gli affida la direzione della rivista letteraria Alăuta românească; 1839: promuove la pubblicazione della rivista agraria Foaia sătească (Il Giornale dei Contadini); 1840: fonda, insieme ad altri scrittori, Dacia Literară; 1840-1842: è autore di importanti contributi riguardanti ogni aspetto della vita sociale e culturale, fra i quali spiccano alcune novelle umoristiche (come Iluzii pierdute) sui costumi della società moldava; 1843: diventa titolare della cattedra di storia nazionale presso l’Accademia Mihăileană di Iași; 1844: pubblica la rivista letteraria Propășirea (Il Progresso). Ci fermiamo qui, osservando che la persona capace di tali imprese non ha ancora compiuto ventisette anni!
In questa incredibile fucina di iniziative, il posto di rilevo spetta a Dacia Literară. Avrà vita breve, perché non andrà oltre il terzo numero; e tuttavia la pubblicazione si rivelerà di un’importanza capitale per la cultura romena. Lo è già nel nome: Dacia rimanda alla storia, a una possibile unità pan-romena, che per Kogălniceanu va preparata attraverso una profonda attività culturale, estesa all’intero popolo di Romania; in questo senso, si adopera affinché le pagine della rivista ospitino non solo la migliore produzione moldava, ma tutto ciò che di buono e originale compare in altre riviste e giornali romeni.
Kogălniceanu vuole tenere lontano un solo ambito del sociale: la politica (la censura è sempre in agguato!). Tuttavia, come rileva Adrian Niculescu in La stampa romena dagli esordi al 1848, sa bene che indirizzare la letteratura verso la storia nazionale e la poesia popolare comporta necessariamente un’implicazione politica.
Come vedremo, trascorreranno pochi anni dalla fondazione di Dacia Literară e Kogălniceanu si troverà più che mai coinvolto nell’agone politico. Intanto però, opera incisivamente nella cultura della Romania. Credo che nessun romeno ignori le parole della celebre Introducție, datata 30 gennaio 1840, che precederà la pubblicazione di Dacia Literară: «La nostra storia ha gesta eroiche a sufficienza, i nostri paesi sono abbastanza belli, le nostre tradizioni sono abbastanza pittoresche e poetiche affinché si possano trovare anche da noi temi da svolgere senza aver bisogno di andare a chiederli in prestito ad altre Nazioni».
Occorre fare un’importante precisazione: Kogălniceanu non disconosce l’importanza delle opere letterarie straniere; vuole però reagire contro l’invadenza della letteratura «leggera» che arriva dalla Germania e soprattutto dalla Francia. Aveva molte ragioni per pensarla così: il compianto storico della letteratura Paul Cornea ha calcolato che tra il 1830 e il 1860, a fronte della limitata produzione letteraria autoctona, furono tradotte in romeno circa 130 opere straniere!
«Le traduzioni non fanno una letteratura»; è questo il monito di Kogălniceanu. Rădulescu, puntando su un criterio quantitativo entro il quale selezionare le cose migliori, aveva invitato i connazionali a «scrivere e scrivere». Kogălniceanu non è meno prolifico ed eclettico di Rădulescu (insieme a Costache Negruzzi scriverà un libro di cucina!); ma vuole il meglio della produzione romena, e punta soprattutto sulla qualità, in modo da creare «un repertorio generale della cultura romena».
Insieme all’eccezionale spinta impressa alla letteratura romena, è l’impegno sociale e politico a fare di Kogălniceanu un personaggio di assoluto rilievo nella storia romena. Le rivoluzioni europee del 1848, propagatesi in Romania, lo trovano in prima fila nella nativa Moldavia. Qui, tuttavia, i moti si risolvono praticamente in soli tre giorni (27-29 marzo 1848); il reggente Mihail Sturdza ignora il Proclama presentato dai rivoluzionari a Iași, e fa arrestare o esiliare i capi del movimento. Kogălniceanu ripara in Bucovina, e per niente scoraggiato redige un programma ancor più radicale di quello presentato a Iași! Intitolato Aspirazioni del Partito Nazionale in Moldavia, il manifesto di Kogălniceanu rivendica principalmente l’indipendenza amministrativa e legislativa, l’uguaglianza nei diritti civili, l’inviolabilità della persona e del suo domicilio, la libertà di stampa, l’istruzione gratuita, l’eliminazione dei secolari titoli e privilegi, l’assegnazione della terra ai contadini dietro indennizzo.
Represso il movimento rivoluzionario, sarà la Guerra di Crimea del 1855-56 a creare un nuovo ordine geopolitico in Europa. I Principati danubiani si trovarono svincolati dal giogo russo-turco e posti sotto il regime delle Potenze europee emergenti. Il trattato di pace di Parigi del 1856 aveva stabilito la consultazione dei cittadini di Valacchia e Moldavia; e fu il genio oratorio di Kogălniceanu a rifulgere durante il «Divano» moldavo che, nell’ottobre 1857, doveva pronunciarsi sull’unione dei Principati; come è noto, l’assemblea votò entusiasticamente e quasi unanimemente a favore dell’unificazione. Quando il colonnello Alexandru Ioan Cuza fu eletto Principe della Moldavia (17 gennaio 1859) e pochi giorni dopo gli unionisti di Valacchia si pronunciarono a favore dello stesso Cuza, Kogălniceanu vide concretizzarsi il primo dei suoi obiettivi politici. La conquista venne celebrata con un altro memorabile discorso, che il moldavo concluse in questo modo: «Altezza, sii buono, sii principe e cittadino. Porgi sempre l’orecchio alla voce della verità, e che esso respinga la menzogna e l’adulazione. Porti un nome bello e caro: quello di Alessandro il Buono. Possa tu dunque vivere molti anni come lui, e fa’, Signore, che per la giustizia dell’Europa, per lo sviluppo delle nostre istituzioni, per i tuoi sentimenti patriottici, possiamo ritornare a quei gloriosi tempi della nostra Nazione in cui Alessandro il Buono diceva agli ambasciatori dell’Imperatore di Bisanzio che la Romania non aveva altro protettore che Dio e la sua spada. Altezza, evviva!»
Nell’ambito della proclamata Unione, una delle questioni più difficili era rappresentata dalla necessità di elaborare una legge rurale per l’assegnazione di terre ai contadini. Aprendo i lavori il 25 maggio 1862, Kogălniceanu si rivolse ai boiari possidenti con parole indimenticabili: «Non lesinate la zolla di terra necessaria al cibo dei contadini. Pensate ai dolori, alle sofferenze, alle privazioni del loro passato. Pensate all’origine dei vostri averi; la maggior parte di essi la dovete al loro lavoro e al loro sudore. Dovete pensare che i loro padri hanno lottato insieme ai nostri padri per la salvezza della patria e dell’altare. Dovete pensare che domani, forse, l’ora del pericolo potrebbe suonare; che senza di loro non potreste difendere né la patria, né gli averi, né i vostri diritti e che, se il Paese cadesse, non diverreste che servi degli stranieri, mentre oggi siete al vertice della nazione, a capo di un Paese libero e autonomo».
Ma il grande disegno politico di Kogălniceanu doveva passare attraverso la sua stessa persona. Nel 1862 fu eletto Primo Ministro, e in tale veste fece approvare misure importantissime, fra le quali l’incameramento dei beni ecclesiastici, la creazione di una seconda camera e del Consiglio di Stato, la riforma agraria che vide la divisione di una parte dei latifondi tra le masse contadine, l’istituzione dell’Università di Bucarest.
Viene spontaneo pensare alla grande rivincita di un uomo che aveva visto spesso frustrate le sue lodevoli iniziative da parte di chi, detenendo il potere, non ammetteva né critiche né cambiamenti. Quando, nel 1843, fu affidata a Kogălniceanu la cattedra di Storia Nazionale presso l’Accademia Mihăileană di Iași, il suo discorso di insediamento non piacque al console russo, e dopo sole tre settimane il corso venne sospeso. L’anno seguente, Kogălniceanu fondò la rivista letteraria Propășirea; ebbene, essa venne censurata persino nel nome, che mutò in Foaie științifică și literară, e soppressa dopo soli dieci mesi. Il vertice delle disavventure toccate a chi aveva più a cuore il bene della Patria che il proprio, si verificò dopo i moti del 1848, quando su Kogălniceanu fu posta persino una taglia!
Il bene della Patria anteposto al suo, sempre… Nel 1840, su Dacia Literară, compare la rubrica Scene pitorești din obiceiurile poporului; è Kogălniceanu stesso a narrare le Scene pittoresche, utilizzando una prosa semplice e chiara, perché sia al servizio del popolo prima che dell’arte. Questi sono stati i Padri della Patria romeni!




Armando Santarelli
(n. 10, ottobre 2020, anno X)