La potenza della figura femminile nel romanzo «Dalla parte di lei» di Alba de Céspedes

Sebbene nella storia della letteratura sia indiscutibile la rilevanza di grandi personaggi femminili come Medea, Antigone, Didone nell’antichità, e più vicine a noi, Lady Macbeth, Mirandolina, Emma Bovary, Anna Karenina, che spesso hanno rappresentato il centro della produzione poetica di grandi autori, poche, invece, sono state le scrittici, soprattutto nella letteratura italiana; difatti, dobbiamo constatare che, se da un lato, nel corso dei secoli, sono emerse autrici di grande valore, dall’altro che, purtroppo, queste sono state figure isolate, spesso volutamente occultate da una certa critica letteraria e da alcuni storici della letteratura, come dimostra il fatto che, ancora oggi, raramente sono presenti nelle antologie scolastiche.
Dai primi del Novecento inizia, tuttavia, un graduale ma costante aumento della presenza delle donne nel panorama letterario italiano: scrittrici conosciute e apprezzate in tutto il mondo, come Sibilla Aleramo, Natalie Ginsburg ed Elsa Morante che, nella loro produzione, anche autobiografica, spesso hanno delineato figure di donne dalla psicologia complessa. Tra questi grandi nomi del Novecento, una posizione di rilevanza, per ecletticità e talento, spetta all’autrice italocubana Alba De Céspedes (1911-1997).
Una famiglia importante quella De Céspedes, il nonno paterno, Carlo Manuel de Céspedes y del Castillo, era stato il primo presidente di Cuba dopo la liberazione dal dominio spagnolo, e il padre, Carlos Manuel, ambasciatore in Italia e, a sua volta, presidente dell’Avana per alcuni mesi.
Nella vicenda biografica di Alba De Céspedes si intrecciano tutti i grandi eventi del XX secolo, la Seconda guerra mondiale, il difficile dopoguerra, la rivoluzione cubana di Fidel Castro, il boom economico, il maggio francese, la contestazione giovanile e, proprio in questo importante scenario storico, si svolgono le sue vicende private che ci restituiscono il profilo di una donna forte e all’avanguardia, segnata da particolari eventi biografici: un matrimonio appena quindicenne, il successivo divorzio, la fuga dall’occupazione nazista, la partecipazione attiva alla Resistenza [1], i difficili rapporti con il governo di Cuba e i continui viaggi tra l’isola caraibica e gli Stati Uniti (a Washington dove suo marito è primo Segretario dell’ambasciata d’Italia) e infine il definitivo trasferimento a Parigi, negli ultimi anni della sua vita.
Per Alba De Céspedes fin da bambina la scrittura si mostra come una necessità: «l’odore della stampa era per me più attraente di quello della pasticceria»[2] e con costanza ed entusiasmo, incoraggiata e sostenuta dai familiari, si dedica a una carriera letteraria, caratterizzata dalla lunga collaborazione con Arnoldo Mondadori, a cui era legata da una profonda amicizia.
Autrice poliedrica, ma soprattutto dotata di una personalità curiosa e vivace per natura, Alba sperimenta molti generi letterari, in primo luogo il romanzo, ma anche la poesia, la direzione di una importante rivista letteraria, il Mercurio (dal 1944 al 1948 per la quale si avvalse della collaborazione dei più grandi autori del periodo, tra questi Alberto Moravia, Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro) il giornalismo, la sceneggiatura [3] e infine la drammaturgia, con alcune riduzioni teatrali di sue opere.

Dalla parte di lei è il terzo e più famoso romanzo di Alba De Céspedes, edito per Mondadori nel 1949, quando era già una scrittrice affermata e amata dal pubblico; scritto tra 1945 e il 1948, negli anni cruciali della ricostruzione dell’Italia, gli anni di una rifondazione del Paese che portava avanti anche la nascente questione femminile, la scrittrice italocubana presenta, anticipandole, le rivendicazioni che esploderanno con tutta la loro forza dirompente solo venti anni più tardi.
Così scrive l’autrice nella Prefazione aggiunta molti anni più tardi nell’edizione del 1994:
«Questo libro è la storia di un grande amore e di un delitto. Quando lo scrissi io non sapevo come sarebbe andato a finire. Ma in quell’epoca io credevo assolutamente all’eternità dell’amore. Credevo anche in molte altre cose delle quali la realtà attorno mi ha appreso l’inconsistenza. Erano trascorsi solo quattro anni dalla fine della guerra e con altre italiane e italiani anche io avevo creduto che la soluzione di tutti i nostri problemi fosse nella fine del fascismo. […] Questo libro fu anche una mia presa di coscienza circa l’entusiasmo che mi aveva ingenuamente guidata nel combattimento per la libertà e nel convincimento che fosse possibile vivere l’amore come un’avventura senza limiti e senza ambiguità».[4]
Tra le pagine del romanzo emerge una spiccata analisi introspettiva di uno sguardo volto a soffermarsi sugli stati dell’animo femminile, cogliendone ogni aspetto del carattere. La complessa psicologia femminile, nella sua ricchezza di sfumature e di sentimenti, di fragilità ma anche di forza, che spesso diventa caparbietà, è la prospettiva da cui si disvela l’indagine sulla vita e sul comportamento delittuoso della protagonista e si snoda la storia, quella privata, ma anche quella con la S maiuscola.
L’opera, seguendo una struttura memoriale, è divisa in tre blocchi narrativi che raccontano le vicende di Alessandra Corteggiani, la sua infanzia romana vincolata dalla figura materna, la pausa abruzzese dominata dalla nonna paterna e la vita adulta, con l’esperienza della guerra, della Resistenza e infine della reclusione per l’assassinio del marito. Come afferma Marina Zancan: «Il dato che rinnova la forma romanzo in “Dalla parte di lei” è la disposizione del punto di vista dell’io narrante, esplicitamente dislocato nella sua memoria: una scelta confermata, e insieme esaltata, dall’adozione – più volte esibita nella trama narrativa – della tipologia di scrittura ad essa coerente. La collocazione autoriale dell’opera nel quadro della memorialistica – che in parte riflette il lungo confronto della scrittrice con la poetica del neorealismo – svela all’analisi del testo, la sua funzione metanarrativa».[5]

Nella sua forma diaristica, il romanzo rappresenta una memoria difensiva, una testimonianza di quanto la trascrizione degli eventi su carta sia l’unico mezzo che la protagonista ha per «spiegare ad altri certe mie azioni che altrimenti resterebbero chiare soltanto a me stessa» e perché altrimenti, scrive, «non si conoscerebbe nulla di me, del mio carattere e, insomma, di quello che sono io, se passassi sotto silenzio come vissi, ciò che sentii in quel tempo». [6] Alessandra ripercorre, quindi, la sua vicenda personale fino alla tanto sospirata libertà della democrazia conquistata, che però per lei si trasforma in una infinita tortura, da cui può uscire solo con un gesto estremo, difatti, come un tragico personaggio del teatro classico, non riesce ad accettare lo sgretolamento del rapporto coniugale che la tormenta e la priva di lucidità, e, costretta a esplorare le pieghe più nascoste dei propri sentimenti, cerca di guardare con coraggio il proprio stato di infelicità per provare a riscattarlo, non trovando altra soluzione che il delitto.
I luoghi nei quali si consuma il dramma, sono quelli cittadini di Roma che ci conducono lungo le rive del Tevere, nel quartiere dei Prati, sul Gianicolo, tra le ville lussuose e gli incantevoli tramonti, nelle campagne dell’Abruzzo, l’ancestrale terra dove vigono ancora leggi millenarie, e infine si chiude nel mondo claustrofobico dell’appartamento ai Parioli, luogo della solitudine, dell’angoscia e della follia omicida.
Subito, nelle prime pagine del romanzo, come un cattivo presagio, la protagonista ci svela il motivo del suo nome, quello che sembrerebbe essere la causa, o meglio ancora, il responsabile del lato oscuro della sua personalità: porta il nome del fratello morto annegato in un’ansa del Tevere, prima della sua nascita. Quasi a volersi giustificare con se stessa, Alessandra ammette: «Tuttavia alla spirituale presenza di mio fratello, […] io attribuivo un malefico potere. Non dubitavo che egli si fosse stabilito in me, ma - al contrario di quanto i miei genitori sostenevano - solo per suggerirmi azioni riprovevoli, cattivi pensieri, malsane voglie». [7]
Nella prima parte del racconto, attraverso il ricordo, è descritto il primo personaggio della genealogia femminile presente nel romanzo: la madre Eleonora, una donna eterea e ammaliante che irradia intorno a sé fascino e ammirazione  e che, pur sognando una vita diversa, come quella della madre Editta, famosa attrice austriaca (di cui conserva i ritratti di scena «nella grande scatola detta delle fotografie»), ha sposato un uomo ottuso, grigio e meschino, un piccolo borghese, impiegato ministeriale, e perciò si è arresa a una vita infelice, cercando di superare il trauma della morte del figlio e lo squallore della quotidianità  attraverso l’amore morboso per la figlia e per la musica.
Alessandra, bambina, vive di luce riflessa, difatti le sue giornate sono scandite dalle ore buie di assenza della madre, durante le quali attende alla finestra, insieme alla vecchia cameriera il ritorno a casa della donna dopo le lezioni di pianoforte, alle ore di luce abbagliante, quando la madre le è vicina e suona dolci melodie al pianoforte o legge ad alta voce versi di Shakespeare. Un piccolo idillio di donne, un nido in cui si avvicendano altri personaggi femminili: Lydia la vicina di casa e la figlia, Fulvia, coetanea di Alessandra. Questa infanzia, a suo modo felice per la sola presenza della figura materna, termina bruscamente quando Eleonora, innamoratasi di un altro uomo che le aveva restituito la gioia di vivere, decide di abbandonare il tetto coniugale portando con sé l’amata figlia ma, minacciata dal marito geloso, si suicida, gettandosi nel Tevere, nel punto esatto in cui era morto anni prima Alessandro.
L’episodio della morte della madre è il primo momento di svolta nel romanzo, che segna e determina la vicenda personale della protagonista, Alessandra, poco più che adolescente, comprende solo in quel momento i limiti imposti dalla società dell’epoca all’individualità femminile, come rileva Melania Mazzucco, attraverso «la storia particolare dell’amata madre, “suicida per amore”, vittima dell’illusoria “favola” romantica l’evoluzione psicologica di Alessandra acquista un valore universale, come una parabola esemplare di una rivolta di genere». [8] Così come nella sua forma diaristica la storia assume le sembianze di una cronaca capace di contenere nella visione della quotidianità «il senso di una vicenda collettiva». [9] Proprio come in un Bildungsroman dalla morale capovolta, Alessandra, una volta divenuta adulta, rifiutando di ripetere l’errore materno potrà sì decidere di non accettare l’infelicità, ma solo attraverso un gesto estremo.
Sconvolta e paralizzata dal dolore, la ragazza, è costretta a sottostare alla volontà del padre, che decide di inviarla in Abruzzo dalla sua famiglia di origine, poiché non è in grado di crescere una figlia con la quale non ha mai creato una relazione affettiva. Già nelle prime pagine Alessandra ricorda così la figura paterna: «Mio padre non differiva dal comune modello di marito piccolo borghese, mediocre padre di famiglia, mediocre impiegato […] La sua conversazione era sempre la stessa, scarsa dispettosa […] Anche il suo aspetto fisico era privo di spiritualità». [10]
L'impossibilità di comunicazione tra uomo e donna causata dalla «congenita diversità» [11], in questo caso tra padre e figlia, altro tema ricorrente in Dalla parte di lei, si palesa ora per la prima volta in modo prepotente in questo punto del racconto, ma in seguito, come successivamente si svelerà nell’evidente discriminazione dei colleghi a lavoro e nel difficile rapporto con il marito Francesco, diventerà fonte di una sofferenza profonda e insostenibile per Alessandra, poiché «suscita quella dolorosa incomprensione che  nulla riesce a colmare». [12]

Il secondo blocco narrativo ha per sfondo l’Abruzzo dai paesaggi mitologici,nei quali riecheggiano i versi dannunziani della Figlia di Jorio: «Nel bosco crescevano querce e aceri; le foglie degli aceri in autunno si tingevano del rosa dei coralli e poi del rosso del sangue. In quella completa solitudine io parlavo con gli alberi, mi chinavo a raccogliere un fiore sconosciuto e mi incantavo addirittura di fronte al delicato disegno di una foglia. Nessuno potrà comprendere mai attraverso la povertà di queste righe, quale entusiasmo mi cogliesse in quei momenti e quale partecipazione io prendessi alla vita e al lavoro della natura. […] Una volta, era di pomeriggio, m’addormentai tra le radici di una vecchia quercia come nel cavo di una spalla». [13]
Tuttavia l’Abruzzo è descritto anche come l’aspra terra contadina che ricorda i paesaggi rurali tratteggiati da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli: «Subito mi era piaciuto addentrarmi nei vicoli stretti che passavano dinanzi a quegli abituri. […] Le case erano tutte di pietra greggia, al vivo; e nessuna aveva per base la calma fidata del piano. L’una si sosteneva all’altra e i tetti formavano altrettanti scalini: così s’aggrappavano al fianco della montagna cercando riparo dal vento e dal freddo che nell’inverno era rigidissimo. Il caldo invece arroventava quelle pietre calcaree sì che nelle case gli abitanti cocevano, come il pane tra le pietre del forno».[14]
Con un chiaro riflesso biografico [15], attraverso lo sguardo della protagonista, l’autrice vuole svelarci gli aspetti più segreti della terra d’Abruzzo «penetrando nell’intimo delle montagne se ne scopre il più bello come indagando nella vita degli uomini di quella terra se ne comprende la poesia». [16] Tra quelle casupole addossate, con in lontananza la presenza della montagna «alta e prestigiosa»si stagliala gigantesca figura della nonna paterna: «La Nonna era una vecchia altissima, il suo viso era grande, il naso massiccio e il portamento di un grande animale. Il gesto col quale mi faceva cenno di avvicinarmi raccoglieva tutta l’aria della stanza […] le porte bastavano appena a contenerla e perciò mi parve naturale che il suo bicchiere fosse più grande degli altri, colmo di vino».[17]
Quel mondo antico è governato da regole ancestrali che con ritualità si ripetono da secoli: «Tutte le donne si inginocchiarono e io le imitai: solo la Nonna rimase seduta, come se tra lei e il Cielo vigesse un patto di uguaglianza. La sua voce intonò il rosario e io risposi con le altre»,[18]e di questa ristretta società familiare, di struttura rigidamente matriarcale, l’anziana donna ne rappresenta l’apice: «Al mattino mi alzavo presto, e già nel mezzo dell’orto scorgevo, in piedi, la Nonna. Aveva un lungo bastone in mano e con quello, per non spostarsi dirigeva le operazioni di raccolta». [19]Intorno all’imponente matriarca, si muovono intimoriti e ossequiosi gli altri familiari, solo Alessandra fin dal primo incontro, riesce a tener testa alla nonna e, se in un primo momento è spinta dal ricordo della madre, in seguito è mossa da una caparbietà tutta femminile che la nonna subito ravvisa in lei: «Lo sguardo acuto e severo della Nonna passava da Giuliano a me, misurandoci: adesso, a tanta distanza, oserei dire che ella si divertisse ad aizzarci come due galli, per vedere quale fosse il più forte. Io non risposi e mi parve che la Nonna segnasse un punto a mio favore. […] Tacevo ed ella mi guardava: io sostenevo il suo sguardo. Era uno sguardo duro e volitivo; tuttavia in quei momenti io comprendevo facilmente che la Nonna mi amava».[20]
La forza d’animo della nipote non passa inosservata all’anziana donna che, riconoscendola come un doppio di sé, spera di lasciarle il controllo del podere alla sua morte: «Sono tranquilla […] ho già pronta una tomba che guarda verso questa casa […] Ti vedrò. Devi alzarti presto, essere sempre la prima. La casa dorme, gli uomini dormono, sono pigri, aspettano che gli porti il caffè a letto. A quell’ora sei veramente la padrona. Giri le stanze, i corridoi, scendi nella dispensa, in cantina, quaggiù, apri e chiudi con le chiavi. Portale sempre alla vita. Quando ti corichi le metti sotto il guanciale. Io non potrei dormire se non sentissi le chiavi sotto il guanciale. Il giorno in cui morirò, sai dove trovarle».[21]
Con un'aspra fierezza contadina, la nonna esprime e rappresenta la comune opinione sulla funzione della donna nella società dell’epoca, alla quale la ragazza si oppone con tutto il suo giovane animo romantico: «Non è vero, Alessandra, […] hai torto quando giudichi che tua madre sia stata una donna straordinaria. Straordinarie sono le donne che non si lasciano travolgere […] che restano salde, insomma non si fanno sradicare dalla corrente come alberelli senza vigore […] Le donne vivono una vita contraria al loro carattere e alla loro natura, ai loro sentimenti e ai loro impulsi: perciò debbono essere molto forti».[22]
L’anziana matrona è consapevole di norme non scritte, valori e credenze tramandate da madre in figlia, attraverso una secolare saggezza domestica: «Aggiunse astiosa: “un uomo cade in guerra: è un eroe. Anche se il suo eroismo è stato inconsapevole. Ah!” fece la nonna battendo una mano sul bracciuolo della poltrona ed ergendosi nella sua maestà della sua statura: “Ma quante volte una donna deve consapevolmente morire, nella sua miserabile vita di ogni giorno?”
Disse questa frase con una voce terribile che a distanza di anni ancora ricordo».[23]
In questo sistema sociale è chiaro il ruolo della donna e anche il conseguente concetto dell’amore, difatti quando Alessandra rifiuta il fidanzamento con un giovane del luogo, perché ritiene che «l’amore sia un’altra cosa», le ribatte la Nonna: «Ti sbagli. Tutti gli uomini sono uguali, dicono le stesse parole, fanno gli stessi gesti. Sono uomini [...] tra breve avresti potuto avere un figlio. Quando s’aspetta un figlio s’è molto grate agli uomini. Allora ti senti veramente vivere, il tuo corpo si espande, un benessere generoso ti pervade  […] Non serbi più rancore verso gli uomini, anch’essi sono tuoi figli […] Temo tu abbia sbagliato tutto credendo che essi siano i padroni e affidando loro la tua felicità. Hai sbagliato. La casa è nostra, i figli sono nostri, siamo noi a portarli, nutrirli: dunque la vita è nostra».[24]
Tuttavia questo rituale passaggio di consegne tra generazioni, dalla nonna alla nipote, simboleggiato dal conferimento delle chiavi della dispensa, non si realizza a causa dello scoppio della guerra.

Nel terzo blocco narrativo gli eventi bellici e la politica si intrecciano in modo dirompente alle vicende personali della ragazza, che ritorna a vivere a Roma e qui conosce il futuro marito Francesco. La città devastata dalla guerra, gli abitanti intimoriti, i gruppi antifascisti, le rappresaglie nazifasciste, fanno da cornice alla storia in una «fame di realtà» [25] caratteristica del romanzo del periodo. Ricorda così Alessandra quell’epoca: «In quel tempo la città era piena di persone che non avrebbero mai avuto la possibilità di divenire eroi: eppure, tra noi tutti, circolava una solidarietà, così profonda che spesso raggiungeva l’eroismo, benché attraverso la paura». [26]
Siamo a metà della narrazione quando Alessandra scrive: «Ricordo tutto, da quel momento, ogni particolare di quella che fu poi la mia vita; e dirò tutto con spietata sincerità, con crudezza»;la scrittura memoriale, accentua la sua funzione di documentazione, quasi come una testimonianza giurata, una confessione veritiera di tutti gli accadimenti che porteranno la protagonista a compiere un delitto che sembra inspiegabile: «Forse solo da questo punto la storia incomincia ad essere veramente importante ai fini per cui è stata scritta». [27]
Dalla conoscenza alle prime frequentazioni, l’amore dei due giovani cresce con il corrispondente l’aumentare del buio e del pericolo: l’oscuramento, l’inizio dei bombardamenti e l’attività antifascista segreta di Francesco, fanno da sfondo al fiorire dei loro sentimenti. Così racconta Alessandra: «Da quel momento il mio amore per lui non si è più diviso da me, era un ospite che io avevo accolto con giocosa e commossa gratitudine e che, in breve, aveva colmato ogni cosa in me, sangue e spirito». [28] Il romanzo sembra quasi tramutarsi in un diario d’amore, che con una rapida evoluzione descrive l’innamoramento, il fidanzamento e il matrimonio; tuttavia già a partire dalla prima notte di nozze il rapporto coniugale inizia e sgretolarsi e pian piano si trasforma in una lenta e lunga agonia dell’amore, che pur avvolge i due amanti, ma non appaga, per la connaturata impossibilità di comprensione reciproca: Francesco, travolto dagli eventi politici e dall’impegno antifascista, di cui, in qualità, di uomo si sente l’unico protagonista, sente di dovervi parteciparvi attivamente ed è cieco difronte alle sempre più pressanti richieste di attenzioni della moglie. Ripetutamente Alessandra cerca un dialogo con il marito, un confronto sincero, che però rimane inascoltato: «Voglio parlarti con franchezza voglio dirti quelle cose che agli uomini non si dicono mai perché gli uomini rispondono in modo amaro, tagliente. Non rispondere così, ti prego lasciami parlare». [29] Con l’acuirsi degli eventi bellici, il tema dell’angustia fisica e psichica della casa diviene un vero e proprio leitmotiv della disperazione, da cui Alessandra riesce a sottrarsi solo decidendo di agire e di prender parte attivamente alle azioni svolte dal gruppo di compagni partigiani di Francesco, rischiando in prima persona. In seguito, dopo la Liberazione di Roma, le operazioni segrete e pericolose a cui aveva partecipato Alessandra, vengono però sminuite: «I compagni venivano a trovarci spesso, di sera [...] Poi illustravano le ormai famose avventure di mio marito. Io ero contenta che non accennassero alle modeste missioni che avevo io compiuto[...]. Tuttavia mi veniva fatto di sospettare che le bombe che avevo portato io fossero false: se solamente quelle che gli uomini avevano portato rappresentavano un pericolo; dubitato del contenuto dei manifesti [...] Ma, se anche fossero stati falsi, ciò non avrebbe avuto importanza; io li avevo portati con la stessa paura, avevo ugualmente accettato di correre quel rischio. E ora tutti eravamo qui, tutti ugualmente salvi, tutti scampati. Così intimidita spesso rimanevo in un canto, tacendo. Francesco, preso nei suoi discorsi e nel circolo di simpatia che si formava intorno a lui, talvolta, durante tutta la serata, mi si rivolgeva soltanto per chiede: Vuoi darci un po' di limonata, cara, per piacere?»[30]
Ancora una volta la donna si sente umiliata e incompresa dal mondo maschile e, nonostante tenti di aggrapparsi con ostinazione alla forza del proprio amore, il rapporto matrimoniale si rompe definitivamente quando il marito, inizia una intensa attività politica allontanandosi da lei sempre di più.
Siamo alla fine precipitosa e inaspettata della storia, la sera che precede la follia omicida, quando Alessandra rammenta: «Ecco, riconosco, che da quella sera i miei ricordi si fanno annebbiati, confusi. Le sensazioni sono rimaste in me nitide, nel loro esasperato groviglio, ma non saprei collocarle in un giorno né in un’ora precise, poiché esse tutte paiono disperdersi in una notte buia e interminabile».[31]
Nelle ultime pagine del romanzo, la narrazione si fa sempre più concitata e frammentaria, poiché attraverso i ricordi della protagonista si è coinvolti nella sua crescente perdita di lucidità e di memoria. Alessandra è costretta a ammettere a stessa quanto sia diversa la triste realtà della sua vita matrimoniale da quell’amore unico e totale che aveva sempre desiderato: «Gli avevo domandato in uno dei momenti di quella notte nebulosa “allora tu pensi che noi dovremmo rassegnarci, accettare il matrimonio?” Aspettavo, tremante: tutto nella mia vita dipendeva da quella risposta. Egli aveva alzato le spalle, sospirando e aveva detto: “È la più antica delle istituzioni”».[32]
In questa lunga e terribile notte, Alessandra ripensa ossessivamente alla risposta proferita una volta alla nonna: «Ero punta dalle parole della Nonna: “E se tu non riuscissi?”. “Se non riesco mi ammazzo” le rispondevo. “Mi ammazzo, mi ammazzo.” queste parole si ripetevano in me convulsamente, come in un disco inceppato». [33] Alla luce dell’alba la donna, stanca e disperata dalla profonda lotta interiore, «per non avvilire l’amore, uccide anziché uccidersi»[34]il marito con un colpo di pistola.
L’esperienza della reclusione, a cui è sottoposta la protagonista del romanzo e, realmente vissuta da Alba de Céspedes per undici mesi nell’istituto di pena femminile delle Mantellate nel 1935 con l’accusa di antifascismo, viene evocata dalla scrittrice mentre l’io narrante in un discorso metanarrativo, si incammina verso conclusione del romanzo:
«Del resto se la sentenza verrà confermata e io dovrò scontare intera la condanna, non mi rammarico di rimanere tanti anni chiusa in cella, benché la mia età sia ancora giovane. Questa cella per esempio, guarda ad un cortile dove al crepuscolo calano le rondini: a quell’ora le suore mi conducono a prendere aria e mi permettono di annaffiare i gerani. E ormai chi conosce queste pagine sa che restarmene in silenzio presso una finestra è, fin dai più remoti giorni dell’infanzia, una delle mie condizioni di felicità».[35]

Dalla parte di lei è sicuramente, un diario femminile, un racconto psicologico, una storia sentimentale, ma anche un romanzo familiare, che sottopone l’istituzione del matrimonio a un’indagine corrosiva; la vicenda di Alessandra adombra sì i moduli del romanzo di formazione ma ne determina il disfacimento; ed è infine un romanzo sociale, non solo perché denuncia i limiti imposti all’individualità femminile ma anche perché si fa critica della mediocrità piccolo borghese. Come nei romanzi dell’amica Maria Bellonci, i testi decespediani, delineano una galleria di personaggi femminili, dai forti connotati autobiografici [36], alla ricerca di una realizzazione ostacolata dall’ottusa mentalità maschilista, metafora di una società maldisposta verso ogni forma di emancipazione sociale ed etica della donna. Le protagoniste dei romanzi di Alba De Céspedes acquistano coscienza del loro valore, della loro forza, attraverso l’impegno, Alessandra attraverso la scrittura delle sue memorie difensive, in quanto forma espressiva altrimenti inascoltata, Valeria, in Quaderno proibito, il romanzo successivo, con  la stesura  di un diario segreto, ma se Valeria che alla fine brucia il diario e rientra nel suo ruolo di moglie e madre, rinunciando a se stessa, Alessandra oramai consapevole della sua forza e del suo destino di infelicità decide di porvi rimedio con l’omicidio dell’uomo che ne è la causa. Più volte la stessa autrice è intervenuta in merito al tragico finale, cercando di spiegare cosa abbia spinto Alessandra a commettere questo delitto: «L’uomo che la mia protagonista uccide, dagli estranei poteva anche essere giudicato un marito perfetto, ma al suo contegno indifferente, con la incomprensione dei sentimenti, degli stati d’animo delle aspirazioni [...] la uccideva giorno dopo giorno, uccidendo in lei le più care speranze, i più elevati ideali e compiva così, impunito e anzi difeso dalla legge, un lento delitto morale». [37]
Se nelle opere decespediane è dunque evidente la posizione di femminista ante litteram, in Dalla parte di lei l’autricesi schiera in modo netto dalla parte delle donne, per mostrare le vicende e le relazioni familiari dal punto di vista femminile. Ancora nella Prefazione del 1994 l’autrice scrive: «D’altronde l’insofferenza dei vincoli che rattenevano le donne dall’esprimere la loro volontà di azione, pesava vieppiù su di me. Tale insofferenza si era già espressa nel mio primo romanzo Nessuno torna indietro, ma non avevo più ventisette anni come all’epoca della pubblicazione di esso. L’esperienza della guerra e dell’impegno politico avevano reso ancor più intollerabili tali vincoli. L’eguaglianza della donna e dell’uomo di fronte al pericolo e alla morte era ormai divenuta palese per me. [...] Sapevo ormai che un uomo può tremare e una donna restare impavida durante un bombardamento di artiglieria. In seguito, la documentazione storica mi avrebbe reso edotta del supremo sacrificio compiuto da donne combattenti sia antifasciste che fasciste. Mi esasperava dunque con il ritorno alla normalità ritrovarmi nella condizione di subalterna che la società mi attribuiva in quanto donna». [38]
In conclusione, pur considerando Dalla parte di lei un romanzo dalle varie sfaccettature, nel quale sono riconoscibili diversi generi letterari come il racconto neorealista, nella rievocazione della Resistenza; il romanzo verista, nella descrizione di quadri di vita contadina e delle scene urbane di degrado sociale; la narrazione storica, nella ricostruzione degli avvenimenti dagli anni Venti al dopoguerra; il romanzo d’amore, nel racconto della storia di un’infelice relazione coniugale [39]; l’autobiografia, nei continui rimandi agli eventi della vita privata della scrittrice [40], la grandezza che conquista il lettore, è la forza e, al tempo stesso, la delicatezza di un grande romanzo psicologico, incentrato sull’introspezione della protagonista, che in conflitto con ruolo datole nella società, rivendica la propria affermazione personale. Come acutamente rileva Maria Bellonci all’amica Alba: «è nel finale così angosciosamente difficile [...] la vera tua nuova personalità, in questo arditissimo finale dove la figura della donna straziata e colpevole risulta così potentemente espressa da farci male, da darci lo spasimo della coscienza». [41]


Anna Maria Pignatiello
(n. 5, maggio 2024, anno XIV)





NOTE

[1] Nel settembre del 1943 Alba De Céspedes fugge da Roma, dopo essersi nascosta per un periodo in Abruzzo, attraversa le linee nemiche e giunge a Bari dove, con lo pseudonimo di Clorinda, collabora a Radio Bari, partecipando attivamente alla lotta antifascista.
[2] Intervista radiofonica di Alba De Céspedes del 1952. Il documento è conservato nel Fondo Alba De Céspedes presso la Fondazione Mondadori di Milano e collocato nella busta 42, fascicolo 2. pag. 11.
[3] Scrive la sceneggiatura per il film diretto da Michelangelo Antonioni Le amiche tratto dal romanzo Tra donne sole di Cesare Pavese.
[4] Alba De Céspedes, Dalla parte di lei, a cura di Marina Zancan, Milano, Oscar Mondadori Editore, 2021, p.  527.
[5] Alba De Céspedes, Romanzi, a cura di Marina Zancan, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011,  p. XXIII.
[6] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, op. cit, p.377.
[7] Ivi, p. 4
[8] Ivi, p. VI
[9] Fabrizio Scrivano, Diario e narrazione, Macerata, Quodlibet, 2014, p.77.
[10] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, op. cit, p. 11.
[11] Lettera di Alba De Céspedes ad Arnoldo Mondadori del 29 novembre del 1948, in Laura Di Nicola, a cura di, Dalla parte di lei in Alba de Céspedes, Romanzi, cit, p. 1638.
[12] Ibidem, p. 1638.
[13] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, op. cit., pp. 170-171.
[14] Ivi, p. 183.
[15] La permanenza Alba De Céspedes in Abruzzo nell’autunno del 1943 è annotata con precisione nei suoi Diari, nei quali, non solo descrive i luoghi visitati nella fuga, ma trascrive anche i nomi e le storie delle persone conosciute.
[16] Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, in EAD., Intellettuali italiane del Novecento, Roma, Pacini Editore, 2012,  p. 167.
[17] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, op. cit., p. 155. 
[18]  Ivi, p. 165.
[19] Ivi, p. 170.
[20] Ivi, pp. 167-171.
[21] Ivi,, p. 222.
[22] Ivi, p. 178.
[23] Ibidem, p. 178.
[24] Ivi, p. 235.
[25] Salvatore Guglielmino, Guida al novecento, Milano, G. Principato editore, 1971, p. 295.
[26] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, op. cit., p. 439.
[27] Ivi,, p. 274.
[28] Ivi, p. 283.
[29] Ivi, p. 361.
[30] Ivi, pp. 495-496.
[31] Ivi, p. 506.
[32] Ivi ,p. 512.
[33] Ivi, p. 514.
[34] Così scrive Goffredo Bellonci nella seconda di copertina della prima edizione del romanzo.
[35] Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, cit, p.534.  
[36] Laura di Nicola, in Intellettuali italiane del Novecento, riporta un articolo di «Epoca» del 6 dicembre 1952firmato da Alba De Céspedes.
[37] Scrive Maria Bellonci in una lettera ad Alba dopo la lettura del romanzo: «Alba mia, sono contenta e commossa del tuo libro. Quanti echi della nostra vita, in queste pagine, della tua vita vissuta e presentita.» La lettera è datata Roma, 5 ottobre 1949 (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Alba de Céspedes, coll. 147.29).
[38] Alba De Céspedes, Dalla parte di lei, cit, p. 538.
[39] Cfr. Alba De Céspedes, Romanzi, op. cit., p. XXII.
[40] Scrive Alba nel suo Diario del 19 gennaio 1947: «Alessandra è un personaggio affascinante. Sono io. È l’unico personaggio nel quale io mi sia espressa così compiutamente».
[41] Lettera di Maria Bellonci ad Alba De Céspedes datata Roma, 5 ottobre 1949 (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Alba de Céspedes).

Bibliografia
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Piera Carroli, Esperienza e narrazione nella scrittura di Alba de Céspedes, Ravenna, Longo Editore, 1993.
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Alba De Céspedes, Dalla parte di lei, a cura di Marina Zancan, Milano, Oscar Mondadori Editore, 2021.
Alba De Céspedes, Romanzi, a cura di Marina Zancan, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011.
Lucia De Crescenzio, La necessità della scrittura, Alba de Céspedes tra Radio Bari e «Mercurio», Bari, Stilo Editrice, 2015.
Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, in EAD., Intellettuali italiane del Novecento, Roma, Pacini Editore, 2012.
Salvatore Guglielmino, Guida al novecento, Milano, G. Principato editore, 1971.
Romano Luperini, Pietra Cataldi, Marianna Marrucci, Storia della letteratura italiana contemporanea, Palermo-Firenze, Palumbo & C. Editore, 2012.
Michela Monferrini,  Dalla parte di Alba, Milano, Adriano Salani Editore, 2023.
Fabrizio Scrivano, Diario e narrazione, Macerata, Quodlibet, 2014.
Lucinda Spera, “Dalla parte di lei” in alcune recensioni del biennio 1949-’50, in La letteratura italiana e le arti, Atti del XX Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Napoli, 7-10 settembre 2016), a cura di L. Battistini, V. Caputo, M. De Blasi, G. A. Liberti, P. Palomba, V. Panarella, A.Stabile, Roma, Adi editore, 2018.

Sitografia
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http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/alba-de-cespedes/[data consultazione: 15/01/2024]
https://lapresenzadierato.com/2020/05/05/alba-de-cespedes-unintellettuale-dimenticata-impegnata-e-poliedrica-di-maria-grazia-ferraris/[data consultazione: 19/12/2023]