Risorgimento italiano e Rigenerazione nazionale romena, caso unico di parallelismi sorprendenti I Romeni, questi fratelli lontani degli italiani, hanno dato prova di patriottismo ed un esempio di concordia che noi, italiani, siamo pronti a seguire (…). L’Unione dei Principati e la consultazione del voto del popolo è l’inizio di una nuova era nel sistema politico dell’Europa. Esse prepareranno, col loro trionfo, l’unione di tutti gli italiani in un solo corpo, giacchè oggi nessuno può più impedire che il meraviglioso atto compiutosi alle falde dei Carpazi non si realizzi anche ai piedi delle Alpi.[1] (Camillo Benso, conte di Cavour, a Vasile Alecsandri, Ministro degli Esteri della Moldavia, in visita a Torino - marzo 1859 - per notificare la duplice elezione, avvenuta il 24 gennaio 1859, di Alexandru Ioan CUZA, in Moldavia e Valacchia). Noi, romeni, dobbiamo sempre tener presente che, allor’quando il primo pianoforte fu portato in Valacchia, Mozart era morto da circa quarant’anni…(Octavian Paler, scrittore romeno, 1926-2007) Le due citazioni di cui sopra, prese a prestito come motto del nostro intervento, rappresentano, in modo simbolico, i due poli estremi del ragionamento‚ ed, insieme, della riflessione, che ci proponiamo. Poli asimmetrici, disuguali, certo, ma, ciò non di meno, che riassumono, in maniera assai plastica e suggestiva, i dati veri del problema, e che rispecchiano tristi realtà – mi riferisco, ovviamente, alla seconda componente della dicotomia – fatti, in principio, noti, ma, troppo spesso, dimenticati, sottaciuti, scartati, quando non, addirittura, volutamente, lasciati in disparte o, del tutto, passati sotto silenzio… Per un corretto ed equo quadro dei parallelismi, per una corretta ed equa analisi del paragone risorgimentale italo-romeno è doveroso, quindi, prendere in considerazione, e far emergere, tutti gli elementi, non uno escluso, anche quelli, a dir’ poco, più delicati e meno entusiasmanti, per noi, romeni… È, tuttavia, ormai, diventato, un luogo comune, fra gli studiosi del fenomeno risorgimentale nei due, rispettivi Paesi, Italia e Romania, di osservare le fortissime somiglianze, coincidenze, sincronie ecc., del paradigma risorgimentale. Comunque, esse sono di prima mano, di primaria importanza, prevalgono di gran’lunga ed hanno, sicuramente, precedenza… Non è, dunque, scorretto, insistere, portare avanti, mettere in rilievo, innanzitutto, questi aspetti, altamente, squisitamente, positivi… Ecco perché parlavo poc’anzi di „poli asimmetrici, disuguali”… Le due componenti del paragone sono lungi dall’avere lo stesso peso specifico. Visibilmente, primeggia la parte prima, positiva, il primo termine del paragone… Guai a perdere di vista, però, anche l’altra „faccia della luna”! Riepiloghiamo, quindi, il primo aspetto, quello delle similitudini, nelle sue tante sfumature e sfaccettature, senza nemmeno la pretesa di esaurire tutti i suoi, tanti, addentellati. 1821: le insurrezioni di Napoli e di Torino, la prima ri-esposizione del Tricolore, in Piemonte, dopo la caduta di Napoleone, i moti carbonari, hanno come corrispettivo, nel mondo romeno, il movimento rivoluzionario di Tudor Vladimirescu (accordato, inizialmente, con l’Eteria greca, partita dalla Russia, interessata a scardinare, con ogni mezzo – meglio se aiutando dei fuorusciti ortodossi! - l’obsoleto Impero Ottomano…), ma anche la cosiddetta Costituzione dei „Cărvunari”, i carbonari romeni (il nome dice tutto - o quasi secondo la famosa formula di Eugen Lovinescu, „l’eguaglianza di tutti, lanciata dalla Grande Rivoluzione Francese, diventa, presso i carbonari moldavi, solo l’eguaglianza di alcuni, cioè quella dei boiari di basso rango, con quelli del primo!”...)[2], in Moldavia, su diretto modello italiano. Tale Costituzione è opera di Ionică Tăutu, che aveva viaggiato in Italia, e venne applicata, ufficiosamente, dal primo principe autoctono („pămîntean”), dopo oltre cento anni di dominio dei principi greco-fanarioti, inviati direttamente dai sultani, Ion Ioniţă Sandu Sturdza, amico del Tăutu (entrambi, piccoli boiari!), dal 1822 al 1826. Sturdza è colui che aveva sostituito (con l’avvallo dei turchi, i quali, dal 1821, erano in rottura definitiva con i greci!) l’ultimo fanariota, Mihai Sutzu… Da notare che il mondo romeno navigava ancora, sostanzialmente, in „acque” pre-moderne (è proprio questo il maggior problema, appartenente all’altro „piatto della bilancia”) al punto che, personalmente, non sono del tutto certo se la rivolta di Tudor costituisca il primo passo verso la modernità e del „risveglio all’Occidente”, o l’ultimo atto di vecchio stampo… Dal linguaggio dei proclami di Tudor, dallo stile pesante dei suoi, molto rudimentali, „programmi”, dai riferimenti che ha, ecc., la seconda ipotesi mi sembra, purtroppo, più plausibile… Resta, tuttavia, che la rivolta di Tudor è il primo evento sincronico romeno con fatti coevi avvenuti nel resto d’Europa (i moti italiani e spagnoli, tipo Rafael Riego, l’insurrezione greca, ecc.) Una novità assoluta per lo spazio romeno. 1830: moti italiani, l’inizio delle azioni di Mazzini, Les trois glorieuses in Francia, e, con l’aiuto decisivo del grande Lafayette, l’avvento del regime orleanista, della monarchia tricolore (preferiremo, più suggestivamente, chiamarla monarchia di sintesi, fra valori monarchici e rivoluzionar-democratici, su modello inglese!) di Louis Philippe, indipendenza e Costituzione democratica in Belgio (modello della futura Costituzione romena del 1866), l’insurrezione polacca del 1831, ecc. Per il mondo romeno, la Pace di Adrianopoli (1829) - che vede sancita, sotto pressione dei russi, vincitori nella guerra contro gli ottomani del 1828-29, anche l’indipendenza della Grecia - segna l’ingresso, vero e proprio, nella modernità (sotto forma dell’esecrato protettorato russo, che ha avuto, però, anche notevoli vantaggi per via dell’avvio all’occidentalizzazione, anche se in veste zarista…). Altresì, segna la riconferma, finalmente, in senso moderno, dell’antica autonomia consuetudinaria concessa, fin dal XIV secolo, dai turchi e la fine del dominio ottomano tradizionale (lo stesso capita alla Serbia). La conseguenza più grave per i romeni rimane, però, l’inizio di 27 anni di duro protettorato russo (1829-1856, interrotto, solo in Valacchia, dai miracolosi tre mesi della Rivoluzione del 1848!). In Valacchia e Moldavia cambia tutto. L’obsoleta amministrazione tradizionale viene rinnovata da cima a fondo, o meglio, viene creata ex novo a livello centrale e locale. Nonostante la durezza del protettorato russo[3], si iniziano riforme fondamentali dell’ordinamento statale, a cominciare dall’introduzione di un embrione di regime „rappresentativo” (42 deputati eletti da circa 500 elettori in Valacchia, più popolosa, soli 35 deputati, per circa 400 elettori, in Moldavia!…)[4], dalla separazione dei poteri, e da una prima forma costituzionale ufficiale, detta Regolamento Organico, imposta dai russi, praticamente uguale in Valacchia e Moldavia - il che spianerà, col tempo, la via all’unificazione, paradossalmente non mal vista dai russi! – e la fine di ciò che rimaneva del monopolio commerciale ottomano (già parzialmente levato, grazie ai russi, nel 1774, alla pace di Kuciuk’Kainardji, che, infine, favorirà la nascita di una borghesia commerciale ed anche produttrice romena, dalla quale scaturirà, per esempio, Tudor Vladimirescu!), quindi di libero accesso al grande mercato internazionale. Senza questa tappa di europeizzazione (è questo il momento in cui entrerà in Valacchia il famoso “primo pianoforte”! Ma, già pochi anni dopo, nel 1844, qui verrà a concertare Franz Liszt, a comprova della straordinaria capacità di sincronizzazione e ricupero di cui fa prova la società romena, o almeno la sua striminzita élite), di ampia apertura all’Occidente, di introduzione, per opera, va detto, dei russi, della lingua e cultura francese (che l’aristocrazia russa possedeva meglio del russo!), senza questi enormi progressi, non sarebbe stato possibile lo sbocciare della generazione, praticamente spontanea (un’ulteriore elemento dell’”altro polo”, sul quale ritorneremo!), che farà la Rivoluzione del 1848, e la Rivoluzione stessa. 1848: l’annus mirabilis dell’Ottocento! Per l’Italia è anche la prima guerra di indipendenza, l’anno dello Statuto albertino, della repubblica romana di Mazzini, delle cinque giornate di Daniele Manin a Venezia. I parallelismi romeni con l’Italia sono lampanti. Fra quarantottini ci si conosce, ci si riconosce. La sorpresa è costituita, però, proprio dall’aggregazione al carro della Rivoluzione europea di una piccola provincia di tipo balcanico - ma desiderosa di scrollarsi di dosso l’ingombrante protettorato russo - di tradizione ortodossa (altro grosso handicap! Ritorneremo), dunque, molto più arretrata delle zone depresse site in aree cattoliche (il Meridione italiano, la Sicilia, la Spagna…) o protestanti (Scandinavia), e, praticamente, sconosciuta al mondo civile: la Valacchia. Dove élites microscopiche, formatesi in soli 15-16 anni, si riveleranno, tuttavia, capaci di smuovere, almeno in apparenza (altra questione dell’altro polo!) un intero popolo e di „sdoganare” tutto un Paese, per farlo entrare definitivamente in Europa. Va ricordato che Bucarest costituì‚ come dice Engels, la punta estrema, verso Est, della Rivoluzione del 1848 (in Moldavia ci furono solo dei moti, a marzo, 1848, subito soffocati), e che la Valacchia fu l’unica terra ortodossa ad aver avuto un Quarantotto vincente. Se il 1830 ed i Regolamenti organici si possono paragonare, per i romeni, all’avvio di un’aereo ed al suo rullare sulla pista, il 1848 ne rappresenta il decollo, vero e proprio5… Piccolo segreto della sorprendente vittoria della Rivoluzione, col suo magnifico Proclama d’Islaz, (migliore dello Statuto albertino!) base nobile, fino ad oggi, della democrazia romena (che funzionò, tre mesi, come dettame costituzionale: libertà assoluta della stampa, principe responsabile, eletto su cinque anni, ricercato in tutti i ceti - tipo repubblica - emancipazione degli ebrei, liberazione degli zingari, riforma agraria, abolizione della corvée, assemblea costituente per suffragio, de facto, universale, tasse per tutti, abrogazione della censura, abolizione della pena di morte e della tortura, eguaglianza dei cittadini, ecc.; tutto ciò, mentre venivano messi sul rogo, in piazza, i Regolamenti Organici, simbolo dell’oppressione zarista!), l’11 giugno 1848: non solo le nostre élites, poche ma di altissimo livello (C. A. Rosetti, Ion e Dumitru Brătianu, Ion Ghica, i quattro fratelli Golescu, più il cugino, detto Golescu-Negru, i fratelli Nicolae – morto a Palermo, nel 1852, ed a cui vi è, ivi, intitolata una strada – e Constantin Bălcescu, ecc.), e che riuscirono a legarsi a personalità come Lamartine, Gladstone, Mazzini o Garibaldi, o Nigra, ma anche, e soprattutto, la discreta, ma concreta, protezione ottomana, ovviamente, in chiave anti-russa… La Rivoluzione sarà, apparentemente sconfitta, come in Italia. In realtà, era stato compiuto qualcosa di irreversibile, come scriveva lo stesso, sovra-citato, Eugen Lovinescu. Le idee della Rivoluzione germogliarono e dettero frutti. Grazie alla Guerra di Crimea, gli ideali del 1848 incominciarono a realizzarsi a partire dal Congresso di Parigi, per culminare con l’elezione dei Divani ad hoc, che dovevano pronunciarsi sull’Unione, votati su basi assai democratiche (vengono eletti anche deputati contadini) – quasi una prima in Europa (ammirato, Cavour, sempre nel 1859, confiderà ad Alecsandri – anche a lui è intitolata una strada, a Torino, in ricordo del suo passaggio: „la consultazione della volontà del popolo romeno, segna l’inizio di una nuova era nel sistema politico dell’Europa”[6] – e con la „piccola Unione”, del 1859, mediante la doppia elezione di Cuza, a Iaşi e Bucarest. Nel mondo romeno, forse per la prima volta nella storia, incominciava a farsi sentire un buon profumo… 1856: la guerra di Crimea (1853-56), grande sconfitta dei russi – che, loro antico incubo, si ritrovano soli contro tutti – alla quale partecipa anche il Piemonte, cambia bruscamente i dati a favore dei diritti dei popoli e dei principi delle nazionalità, soprattutto nel mondo romeno. La Valacchia e la Moldavia si liberano del protettorato russo, e passano sotto la garanzia collettiva delle Sette Grandi Potenze, fra cui il Piemonte. Cavour, dal Congresso di Parigi in poi, appoggerà (tramite il suo console a Bucarest), con tutte le sue forze, lo sforzo di unità romena, anche come ottimo precedente per la propria unità nazionale, preconizzata a realizzarsi da lì a poco [7]. Sono gli anni di gloria dei filo-romeni, che, stimolati anche dall’esilio romeno post-rivoluzionario, anche nel contesto del Congresso di Parigi e successive, decisive, riunioni (tipo conferenza degli ambasciatori, 1858), scrivono molto sul tema, sia in Italia (Carlo Cattaneo, Vincenzo Monti, il mazziniano M. A. Canini, Vegezzi Ruscalla, deputato, che, nel 1863, diventerà, con l’aiuto di Cuza, il primo docente di romeno all’estero, segnatamente, all’Università di Torino, ecc.), che in Francia (Jules Michelet, Edgar Quinet, Paul Bataillard, Ubicini, ecc.) Va detto che, almeno in Francia, tali filoromeni erano da trovarsi quasi esclusivamente in un’unica corrente politica: a sinistra, fra i repubblicani, precipuamente grazie a Michelet e Quinet. Solo congiunturalmente, Napoleone III, ed altri bonapartisti (che non amavano i romeni, in quanto questi erano aiutati dagli avversari repubblicani: Ion Brătianu fu, addirittura, coinvolto in un attentato contro l’Imperatore, all’Ippodromo di Parigi, nel 1854, indi arrestato), per interessi della Francia, non per principi, aiuteranno i romeni. 1859: La duplice elezione di Cuza viene salvata dall’inizio della II Guerra di indipendenza italiana (marzo, 1859). Se Francia e Piemonte non attaccavano, gli Austriaci erano decisi ad occupare i Principati, freschissimamente Uniti. Vienna vedeva la Piccola Unione come uno scacco, a termine, nei confronti della Transilvania asburgica. Alecsandri, accompagnato da Parigi da C. Nigra, l’uomo di fiducia del Cavour a Parigi, visita, con tutti gli onori, Torino, incontrerà Cavour (v. citazione, supra) e sarà ricevuto dallo stesso re Vittorio Emanuele II [8]. Osservatori di Cuza (Ion Bălăceanu, futuro ministro degli esteri, alcuni ufficiali, ecc.) si troveranno a Magenta e Solferino. Un gruppo di sette ufficiali romeni, nel 1860, si fece onore nel corso dell’assedio di Gaeta, sì da venir citati all’ordine del giorno dal Generale Cialdini [9]. Il tradimento della Francia nei confronti dell’Italia, a Villafranca, allontanerà il Piemonte dal suo grande amico, la Francia. Questa, per paura non giustificata della Prussia, si alleerà all’Austria ed incominceranno assieme l’avventura in Messico (1864-67). La Romania, però, non ha mai subito torti dalla Francia (anche perché più lontana e senza confine comune), quindi i rapporti rimarranno ottimi. L’Italia, invece, si orienterà verso l’acerrimo nemico della Francia, la Prussia, che non la deluderà. Dopo decenni di legame idilliaco (Claudio Magris mi raccontò, una volta, che un suo antenato aveva una bandiera italiana risorgimentale sulla quale stava scritto: „Affinché anche l’Italia diventi Francia!”). il rapporto Francia-Italia è irrimediabilmente incrinato. Ma fino al momento Solferino-Villafranca possiamo dire che funzionava un autentico triangolo Parigi-Italia e Parigi-Bucarest, completato dai legami italo-romeni, basati anche sulle comuni amicizie francesi (v. Alecsandri a Torino, raccomandato da Parigi…). Sia la Romania che l’Italia si nutrivano al petto della Francia. Ma, già dopo l’invasione di „Napoleone il piccolo”, come lo definiva Victor Hugo, contro la Repubblica Romana di Mazzini, nel giugno-luglio 1849, questo rapporto scricchiolava. Va detto che a Solferino, nelle file austriache, combattevano molti romeni della Transilvania. Prova: un famoso personaggio del drammaturgo romeno I. L. Caragiale, Marius Chicoş Rostogan, canta, con inflessioni transilvane, un ritornello ricordando la battaglia dalla quale, per volere di Napoleone III, si salvarono tanti austriaci, specie della cavalleria: „La Solferino, ghe vale, trecea un general călare” („A Solferino, nella Valle, passava un generale a cavallo”). 1860: durante le campagne successive alla spedizione dei Mille, sono attestati alcuni romeni (specie transilvani), ma, come dimostra lo studioso Ştefan Delureanu, non nella spedizione principale, come, a volte, si sente dire [10]. Dopo che già il 23 marzo 1859, durante il famoso sopraccitato ricevimento di Alecsandri, Cavour aveva annunciato l’avvenuta nomina del cav. Annibale Strambio come console generale nei Principati Uniti, con residenza a Bucarest, nell’agosto 1860 la Camera di Iaşi aveva votato l’istituzione di un’Agenzia diplomatica romena a Torino (seconda dopo quella di Parigi - luglio 1860 - e prima della successiva, che sarà Belgrado - 1863). Correva voce, non veritiera (da Vegezzi Ruscalla), che vi fosse stato nominato a Torino C. A. Rosetti [11]. Da notare che, prosegue Isopescu, citando Xenopol, Cuza aveva proibito ai vescovi cattolici di Moldavia e Valacchia di dar lettura alla scomunica, nel 1860, di Vittorio Emanuele II, poiché questi era “re galante e di un sangue con noi”. 1861: 17 marzo, proclamazione del Regno d’Italia. I Principati Uniti riconoscono subito il nuovo stato amico, tramite lettera gratulatoria di Cuza recapitata dallo stesso Alecsandri, di ritorno a Torino. Nella lettera si diceva “essendo i romeni di stirpe italiana, più di ogni altra nazione si rallegrano di questo fatto. Da un’Italia forte e potente gli italiani dei Carpazi e del Danubio possono sperare appoggio, come ne meritano la benevolenza”. In risposta, Vittorio Emanuele conferisce a Cuza il Gran Cordone dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, e la commenda mauriziana a Kogălniceanu, Presidente del Consiglio Moldavo e ad altri statisti romeni [12]. Anche l’Unione di Cuza riceverà, lo stesso anno, finalmente, il riconoscimento ultimo, quello del Sultano (malgrado l’amicizia in chiave anti-russa, post 1812‚ da quando i russi presero la Bessarabia, ed i ruoli di protettore, rispettivamente di nemico, si rovesciarono‚ malgrado le recenti, grandi, convergenze del 1848, i turchi non avevano gradito l’Unione moldo-valacca, che, anzi, avevano cercato di impedire, compreso con brogli elettorali per il Divano ad-hoc moldavo, nel 1857 – situazione salvata solo da Napoleone III che convince, ad Osborne, la regina Vittoria, amica dei turchi, di ripetere le elezioni). Il 4 dicembre 1861, il sultano riconosce, mediante un firmano, l’Unione. Poche settimane dopo, il 24 gennaio 1862, al compimento di tre anni dalla doppia elezione, si ufficializza la fusione fra i due stati romeni – Non più due governi e due parlamenti, ma uno solo, a Bucarest! 1862-64: Scambi di lettere fra Garibaldi e C. A. Rosetti, il grande patriota romeno della sinistra liberale radicale (equipollente alla sinistra storica italiana, di Depretis, Coppino, ecc.), come pure fra Mazzini e Rosetti. Traspare una forte complicità fra i personaggi e molte interessanti interconnessioni. Risulterebbe, addirittura, che Garibaldi, ed i suoi amici, leggevano il romeno. 1866: III guerra d’Indipendenza dell’Italia. Battaglia di Sadova e di Lissa. L’Italia ricupera, grazie alla Prussia, il Veneto, Friuli compreso. Mentre imperversavano le battaglie, a maggio, Carlo I di Hohenzollern viaggiava, incognito, lungo il Danubio, su una nave austriaca – non c’era altro! – per occupare il suo trono, di principe, non ancora di re, a Bucarest. 1870: Breccia di Porta Pia, annessione di Roma, sgomberata dai francesi che difendevano il Papa (Pio IX), dal 1849, ma che erano dovuti convergere sul fronte prussiano, dove a Sedan si dava la battaglia finale. In Romania, un gruppo di liberali radicali, facente capo ad un giovane, Candiano-Popescu, futuro generale - e, ulteriormente, diventato, grazie al suo coraggio nella Guerra di Indipendenza, notata da Carlo I aiutante di campo, proprio del re! -, proclamano un’effimera repubblica a Ploieşti, nell’agosto, 1870, addirittura qualche giorno prima della proclamazione, il 4 settembre, della III Repubblica francese. Non era, come la si dipinge spesso, una storia d’operetta, presa in giro dal grande drammaturgo Caragiale. Dietro le quinte si trovavano gli infaticabili capi liberali Ion Brătianu e C. A. Rosetti. 1877: Guerra d’Indipendenza della Romania, costretta ad entrarvi a causa della volontà russa di fare guerra all’Impero Ottomano. Il dramma fu che i romeni temevano molto di più gli „alleati” russi, che non i „nemici” turchi. Fare la guerra accanto a falsi amici, contro falsi nemici… ecco un dramma… Un po’ di chance fu che i russi sottovalutarono i turchi ed ebbero bisogno impellentemente dei romeni… Così accettarono il coinvolgimento dei romeni, altrimenti negato. L’esercito romeno, guidato da Carlo I, si fece onore, e questi si conquistò la stima dei romeni, che fino ad allora gli era mancata. Ciò non impedì che gli “alleati” russi occupassero tacitamente la Romania, alla fine delle operazioni, nel 1878. Si dovette solo alla presenza di un Hohenzollern sul trono, tramite gli interventi di Bismarck, la salvezza dell’indipendenza romena che, paradossalmente, fu per prima riconosciuta proprio dai russi in virtù degli accordi russo-romeni. Durante la guerra, molti garibaldini (come il giornalista Luigi Cazzavillan, inizialmente corrispondente di guerra, fondatore, nel 1884, del più grande quotidiano storico romeno, Universul – prima addomesticato, poi soppresso dal regime comunista nel 1953 – su modello del Corriere della Sera) vollero accorrere per aiutare sul fronte la Romania. Una legione garibaldina, sotto il comando del colonnello Sgarellino, vecchio compagno del Generale, ed avente come vice proprio Cazzavillan, era pronta in Serbia, dove aveva agito contro i turchi, nel 1866. Rammaricandosi di non poter intervenire di persona perché “vecchio, ammalato ed immobilizzato”, Garibaldi scriveva a Sgarellino: “I tuoi volontari dicano ai fratelli romeni che, anche se lontano, il pensiero e l’anima di Garibaldi sono con essi”. Ma una spedizione organizzata delle camice rosse non si fece più. La legge romena vietava gli arruolamenti di volontari ... [20] Dicembre, 1879: in seguito alla Guerra d’Indipendenza, l’Italia riconosce, ufficialmente, prima fra le grandi potenze, la Romania, dopo che questa aveva risolto, almeno formalmente, mediante revisione costituzionale, l’abrogazione del famigerato art. 7 che impediva agli ebrei di ottenere la cittadinanza romena. Le altre Potenze avrebbero riconosciuto la Romania indipendente nel corso dell’anno successivo, 1880. 14 marzo 1881: La Romania si proclama Regno. Coincidenza di data, ad esatti vent’anni di distanza, dal momento del voto per il Regno, del Parlamento Italiano, nel 1861 (benché in Italia si festeggi la ratifica di tale voto, il 17 marzo)! 1882: In Italia, i collegi elettorali passano da quattro a tre. Una riforma simile sarà attuata anche in Romania, nel 1884. L’Italia aderisce alla Triplice Alleanza, trascinata dall’amica Germania, ma contro natura, dato il suo conflitto con l’Austria-Ungheria. La Romania, costretta dal crollo dell’alleato francese, ed impaurita dalla Russia, vi aderisce, però segretamente, poiché, anch’essa, si trovava nella Triplice contro natura. Italia e Romania si ritrovano, così, alleate, benché abbiano un nemico comune anche dentro la propria Alleanza: l’Austria-Ungheria. 1912: In Italia si introduce il voto universale maschile. In Romania, „Ionel” (Giovannino)‚ Bratiano, „il Giolitti romeno”, figlio del vecchio Ion, introdurrà la stessa riforma nel 1914, ma, per il sopravvento della Grande Guerra, non la attuerà che nel 1919 (quando, ironia della sorte, perderà le elezioni, benché avesse vinto la guerra!) 1914 - 1918: Prima Guerra Mondiale, detta, per l’Italia, anche „IV guerra d’Indipendenza”. La Romania guarda all’Italia, anch’essa, alleata contro natura, alla Triplice, durante la neutralità. Il 24 maggio 1915, l’Italia entra in guerra a fianco dell’Intesa, ma solo contro l’Austria. Ciò incoraggia la Romania a staccarsi anch’essa dalla Triplice. Il 15/27 agosto 1916 la Romania, finalmente, entra in guerra, assieme all’Intesa. L’Italia, prendendo spunto dal nuovo alleato, dichiara, lo stesso giorno, guerra anche alla Germania. Dopo alterne, terribili, vicende, le due Nazioni finiranno vittoriose ed attueranno il loro sogno di unità completa. L’Italia con Trento, Trieste, Gradisca, Gorizia, Zara ed Istria, la Romania con la Transilvania, la Bucovina ma anche, inaspettatamente, grazie al dramma della „defezione russa” per causa della Rivoluzione bolscevica, che ci fece sfiorare la catastrofe della sconfitta, con la Bessarabia! In Italia, fin dagli inizi del 1918, si era organizzata, in divise italiane, sotto bandiera italiana e romena, una Legione Romena, composta da prigionieri di guerra romeni dell’Esercito Austriaco e disertori che si consegnavano, per motivi patriottici, agli italiani. Dopo la guerra, la Romania diventa un Paese di 295.000 km quadrati, mentre l’Italia, uno di 310.000 circa, territori del tutto paragonabili. Un’ennesima coincidenza!… Per concludere: lungo tutto l’Ottocento, l’Italia e la Romania sono stati due Paesi divisi, parzialmente occupate da imperi rapaci, quale quello asburgico per entrambi (più direttamente la componente austriaca per l’Italia e quella ungherese, specie dopo il 1867, per la Romania), al quale si aggiunge l’Impero russo, solo per quanto riguarda la Romania, che possedeva, dal 1812, la Bessarabia. Esse riescono, faticosamente, al prezzo di mille sacrifici, sfruttando anche circostanze esterne, ad espletare la propria unità nazionale, ma anche a conquistarsi l’indipendenza. Lotta per l’unità e lotta per l’indipendenza andavano di pari passo. La Romania è stata costretta a fare guerra contro un falso nemico, i turchi, a fianco di un falso alleato, che le voleva ogni male - i russi (1877). L’Italia, invece, è stata obbligata a fare quattro guerre (1848-49, 1859, 1866, 1915-18, e due campagne, i Mille, 1860, e la Breccia di Porta Pia, 1870), contro un autentico, temibile, avversario, l’Austria, il nemico ereditario, onde strappargli, pezzo per pezzo, i territori italiani che occupava, lungo l’arco dei cento anni che vanno dal 1821 al 1918. E ci è anche riuscita, con l’aiuto di alleati forti quali, Francia, prima e Prussia, poi. La Romania, debole e piccola, com’era, non poteva invece mai sperare di strappare,con la forza, la Transilvania o la Bucovina a Vienna, come aveva fatto l’Italia con la Lombardia (1859) od il Veneto (1866), ed ancor meno di staccare la Bessarabia dalla “grande” Russia. Adrian Niculescu NOTE |