La cura come salvazione: voci dall'invisibile

Badante pentru totdeauna/Badante per sempre (Rediviva, 2015) di Ingrid Beatrice Coman è la storia di Magda – da Magdalena –, e inizia quando, da bambina, vede suo padre scomparire nelle maglie del regime comunista. Da quel momento, Magda risponderà a una sorta di chiamata divina e accetterà di buon grado di essere rivestita con i panni di colei che si prende cura. Le cure che si trova a offrire sono di diverso tipo: vanno dal raccontare storie per incantare i fratelli e le sorelle più giovani, fino all’arte maieutica con la quale permette a degli sconosciuti di ritrovare la retta via smarrita, passando per le cure fisiche agli anziani. Sì, perché Magda è badante da sempre, potremmo dire, oltre che, come dichiara il titolo, per sempre.
Dopo circa venticinque anni di attesa dal giorno della scomparsa di suo padre, Magda scoprirà che l’uomo era stato giustiziato meno di un paio di mesi dopo la cattura. In tutti quegli anni lei e sua madre avevano continuato a coltivare l’attesa, percependolo come fosse vivo. Il rapporto tra vita e morte è un nodo cruciale in questo romanzo di Coman, come in tutta la sua produzione letteraria, e viene trattato con la peculiare levità che caratterizza la prosa dell’autrice. La Magda badante accompagna gli anziani verso la fine, anche se ogni volta questa fine è descritta piuttosto come una continuazione, perché essere stati vivi vuol dire essere nel mondo per sempre. Magda è anche il nome della protagonista adolescente di un altro romanzo di Coman, Per chi crescono le rose. Entrambe hanno «la testa piena di sogni» (p. 15), poi la Magda di questo romanzo crescerà, affrontando prove difficili che testeranno la sua fede in questi sogni, senza riuscire a farle perdere di vista il sogno più grande, quello dell’amore universale come strumento di salvazione.
Tuttavia, le domande sulle varie declinazioni dell’amore sono sempre taglienti nella mente di Magda, che non teme di osservare questo amore al microscopio, chiedendosi persino se «l 'amore è un suddito del bisogno in noi». In generale nella sua produzione letteraria, Coman tende a intrecciare il sublime e l’immateriale con il concreto e il materico. Questa è la funzione dei tulipani e delle rose negli altri suoi romanzi La città dei tulipani (Tufani, 2005) e Per chi crescono le rose (Uroboros, 2011) così come avviene anche in Tè al samovar (L'Harmattan Italia, 2015), raccolta che probabilmente si ispira a I racconti della Kolyma (1^ ed. 1973) di Varlam Tichonovič Šalamov. Anche la narrazione in L’odore del pane nella raccolta di racconti Non spegnete la luce (2008) sembra ispirata a una fonte dotta, e cioè al rinvenimento del passato nella materia concreta della madeleine della Recherche di Proust.

Le norme redazionali delle riviste scientifiche spesso richiedono di usare il corsivo per le parole straniere non lessicalizzate, cioè per quelle che mantengono la loro estraneità alla lingua della cultura in cui si sta comunicando. Il romanzo di Coman, in edizione bilingue, usa tale termine in italiano nel titolo in romeno «Badante pentru totdeauna». La parola italiana badante è, come è giusto che sia, in corsivo, in quanto parola straniera. Coman avrebbe potuto tradurla, trovare una parola in lingua romena che descrivesse la connotazione che essa assume in Italia per gli italiani, avrebbe potuto provare a «dire quasi la stessa cosa», per citare Umberto Eco. E invece no, non poteva e non voleva farlo. Sia perché sarebbe stato impossibile rivestire con la lingua romena un concetto e un particolare stereotipo che non appartiene né alla cultura né alla storia romena. In base allo stereotipo, in Italia, la badante è romena, la colf è filippina, e così via. Brutto e violento da dire, ma occorre dirlo in questa sede per comprendere la portata del lavoro di Coman. Un’edizione bilingue mette in questione proprio il traducibile, nel senso di ciò che è possibile che un’altra cultura comprenda al punto da dirlo con una parola della propria lingua. Per questo, si parla spesso della necessità della localizzazione, cioè dell’adattamento culturale di un testo, oltre che prettamente linguistico. L’edizione bilingue ci dice invece che le lingue sono due, le culture sono due e segnala un limite ma allo stesso tempo una compresenza. Coman, con alle spalle già l’esperienza di Satul fără mămici. Il villaggio senza madri (Rediviva, 2013), sembra condividere con il poeta Gëzim Hajdari l’idea secondo la quale «con le edizioni bilingui, la scrittura acquista una doppia prospettiva, diventa una scrittura contemporanea avente due origini, in cui ognuna è anche l’altra conservando al contempo il primato dell’originale e rompendo i confini territoriali e nazionali» [1]. Infatti, se il lettore romeno è chiamato a percepire come altro da sé la parola badante e il suo referente, così come fanno il gendarme alla frontiera, l’amica e la famiglia stessa di Magda quando lei ritorna in Romania per la prima volta dopo due anni dalla partenza per l’Italia, dall’altra parte, anche il lettore italiano è chiamato a riflettere sulla stessa parola in modo nuovo, alternativo, estraniandola rispetto a come è abituato a intenderla e alle associazioni che essa porta alla sua mente. Infatti, anche nella versione italiana, la parola badante è sempre in corsivo. Coman sembra così voler accompagnare il lettore, sia quello romeno sia quello italiano, nella risignificazione del termine. Al senso di umiliazione e degrado che spesso accompagnano le esperienze solitarie di «quel nutrito e invisibile esercito di donne che, in un modo o nell’altro, modificava la geografia della vecchiaia in Italia» (p. 241), Coman affianca la semantica della cura e dell’amore che invece connotano positivamente altre figure che rivestono il ruolo di aiuto: maestre, psicologhe, mamme. L’origine etimologica di queste parole – di queste persone – è diversa, ma quella semantica è la stessa in Coman e cioè quella che richiama la figura mariana della madre di Dio, colei che angelicamente solleva l’essere umano dallo stato brutale della sofferenza e del bisogno per portarlo al livello della comunione con il creato. Del resto, Magda lo dichiara nell’incipit: «In realtà mi chiamo anche Maria, ma nessuno se lo ricorda più». L’amore in senso cristiano è un topos nella poetica di Coman, ma in generale nella letteratura romena transculturale. Un esempio tra tanti è La mattina di un miracolo di Bujor Nedelcovici, tradotto in italiano proprio da Coman. Possiamo pensare che la religione abbia svolto una funzione sovversiva e rivoluzionaria nel corso dei decenni bui del comunismo di Ceauşescu e che sia stata coltivata e mantenuta viva anche dopo, come baluardo nei confronti di quel «capitalismo selvaggio», che li avrebbe costretti «a ridefinire e riformulare le regole di sopravvivenza» (p. 170).
Una delle regole di sopravvivenza è imparare le lingue straniere, l’inglese e l’italiano, in particolare. E in effetti, ciò consente a Magda di poter partire per l’Italia, aprendo una porta che è difficile dire se per lei sia di ingresso o di uscita. Appena arrivata in Italia, Magda viene battezzata con un nuovo nome: Megy. La prima persona a cui fa da badante è Concetta ed è lei a darle questo nome, non riuscendo a pronunciare il nome Magda correttamente, o forse non volendo fare lo sforzo di provarci. A questo proposito, l’Avvertenza che troviamo in apertura al testo in italiano, che significativamente segue quello in romeno visto che Magda parla prima il romeno e poi l’italiano, fornisce indicazioni sulla pronuncia di alcuni fonemi che appartengono alla lingua romena e che non sono noti né usati in italiano. Si tratta di un tentativo per rendere la comunicazione tra queste due lingue e, nello specifico, tra i due testi, più vera. Si potrebbe dire che è un appello all’essere visti per quello che si è e non adattati alla cultura e lingua di arrivo, come appunto accade a Magda con Concetta. Anche la scelta di inserire qualche nota, come quella relativa alla festa che cade in marzo, la festa del mărtișor, si inserisce in questo progetto di rifiuto dell’adattamento perché alcune differenze tra le lingue e le culture sono irriducibili ed è giusto che vengano mantenute visibili. Lungi dall’essere una mera rivendicazione di un’appartenenza, Coman mostra così la via per una reale identità transculturale.
Da un punto di vista pratico, per un italiano che desidera imparare il romeno, queste Avvertenze tornano utilissime, così come in generale un’edizione bilingue è una grande ricchezza, oltre che una dichiarazione di riconoscenza a entrambe le lingue e le culture.

Nel corso del racconto, la trama cede spesso il passo alle riflessioni di Magda sulla vita, non tanto con il risultato di farne un memoir o una scrittura testimoniale, ma per dare voce e corpo a questa badante che spesso viene ignorata o resta invisibile nella società e, nondimeno, nella letteratura italiana. Pian piano, un’analisi dopo l’altra, Magda ci mostra sotto una nuova luce alcune dinamiche che vengono date troppo spesso per scontate. Forse il primo cortocircuito avviene proprio quando associa il termine badante all’idea di brava sorella che aiuta la madre vedova a prendersi cura di fratelli e sorelle.

Sono diventata, piano piano, una madre di scorta per i miei fratelli. Li lavavo, li vestivo, facevo le treccine ad Alina, stiravo i loro vestiti, facevo loro da mangiare, li portavo fuori a giocare in cortile, se capitava che la mamma, esausta, crollasse dalla stanchezza, per esempio dopo una notte al capezzale di Marinel, quando si ammalava. Li ho nutriti con le mie storie e ho imparato a scaldarli con le parole come in una coperta calda. La sera, prima di coricarmi, li trovavo tutti ad aspettarmi nel mio letto, gli occhi sbarrati dalla meraviglia e la bocca aperta, pronti a gustarsi una fiaba come un panino caldo.
E le mie storie non si esaurivano mai, la loro fonte pareva venire da lontano, come un’acqua dolce e risanatrice. Ho tenuto loro caldo con le mie parole. Ma, soprattutto, li ho tenuti al riparo con il mio amore. Questo erano, di fatto, i miei racconti: amore manifestato. Cominciavo già ad imparare a prendermi cura degli altri. Senza saperlo, ero diventata, quasi senza accorgermi, badante. (p.134)

Ma la trama è intessuta da Coman per dimostrare che «badante non è un mestiere, è un modo di essere al mondo», e infatti l’autrice sceglie di far vivere a Magda tutte le possibili situazioni stereotipate, capovolgendole di segno attraverso il filtro della sua esperienza. Così, vediamo che non c’è nulla di morboso nell’amore del vecchio professore universitario, scapolo impenitente per tutta la vita che si innamora platonicamente di una «straniera qualunque» (p. 247); non c’è nulla di degradante nella rabbia della novantenne Concetta, abbandonata a sé stessa dai figli, che inveisce contro Magda per liberarsi dal dolore; non c’è nulla di vergognoso nello scoprire che l’amore coniugale non ha retto alla distanza e Leonard, il marito di Magda, ama un’altra donna. È un susseguirsi di letture nuove di vicende di solito raccontate banalmente, intrise di retorica. Quello di Coman è un punto di vista nuovo sull’esperienza del badantato, che scardina ogni sentito dire, sollevando quel manto di miseria che copre la narrazione – e l’occultamento di essa – di un fenomeno sociale talmente radicato che risulta assurda la mancanza di esso all’interno della letteratura italiana. Tale vuoto e i relativi sparuti tentativi di colmarlo, spesso con esiti scomposti, sono in questo periodo oggetto di ricerca di alcune studiose che si occupano del binomio letteratura e lavoro, come Silvia Contarini [2]. Contarini ha fatto notare che nella letteratura italiana [3]

il personaggio della badante e il fenomeno del badantato, che pure è uno dei più significativi della realtà lavorativa dell’ultimo ventennio Italia, sono pressoché assenti nelle antologie del lavoro, il che è problematico se si considera che le antologie si configurano come narrazioni corali, plurali e collettive, in cui, quindi, la parola della badante è silenziata.
Peraltro, Contarini ha sottolineato bene come la narrazione su e di queste figure sia efficace e non viziata né pietista se proviene da autrici che assumono un punto di vista decentrato, come succede nei due racconti La badante di Vesna Stanić (2005) e Ana de Jesus di Christiana de Caldas Brito (1998).
Coman ricorre spesso nel romanzo all'immagine degli abiti strappati o troppo stretti o più larghi come metafora delle varie fasi esistenziali. Per esempio, viene scelta come simbolo del trapasso quando Leonard cerca di spiegare al piccolo Georgică cosa significhi che sua madre sia morta.

«Vedi, amico, la parte migliore di noi sta qui dentro» gli ha detto, mettendogli la mano sul costato. «È qui la magia».
«Cioè l anima?».
«Ehi, vedi che già lo sai? Il resto è solo un vestito che la copre e che può invecchiare o rompersi».
«E il vestito della mamma si è lotto?».
«Qualcosa del genere. Forse non era cucito bene e si è rotto. Se tu avessi addosso un abitino trasandato e rotto che non ti fa camminare bene, non vorresti togliertelo?».
«Beh sì...».
«Vedi?».
«A me pelò piaceva il suo vestito... Ela... bello...».
«Ne sono certo. Però, vedi, un vestito che ti si rompe addosso può far molto male, a volte, ed è meglio lasciarlo andare».
Georgică scuoteva la testa, pensieroso.
«E non poteva plendersi un altro vestito?».
«Si è presa un vestito di luce. Come le fatine delle fiabe. Un vestito che non si rompe e non fa male. Lungo e a maniche larghe che diventano ali quando si alza verso il cielo. E il suo nuovo abito è talmente ampio che c’è sempre posto anche per te».

Inoltre, il cambio d’abito è legato anche a un'altra fase di passaggio a cui si è già accennato, cioè la trasformazione di Magda in Megy non appena giunta in Italia.

«Come ti chiami?», mi ha chiesto.
«Magda».
«Madd... come si dice in italiano?».
Ho sorriso. «Non si dice. Ma viene da Magdalena. Maddalena, credo, in italiano».
«Va bene. Ti chiamerò Megy».
«Come desidera...», le ho detto, e da quel momento, come un battesimo del mio passaggio in quel mondo nuovo, sono entrata nel diminutivo Megy come in un abito appena cucito, non desiderato e un po’ stretto forse, ma che aggiungeva una nuova dimensione al mio essere.
Megy, badante.
Le sono grata. Dopotutto, Megy è riuscita là dove Magda aveva fallito e si sono tenute caldo a vicenda.

Restando nella metafora, possiamo concludere dicendo che è proprio rivestendo il termine badante con questi nuovi significati, che Coman restituisce, sia alla Romania che invia queste figure sia all’Italia che le richiede, un’immagine completamente nuova e finalmente umana, di persone con un’identità e una dignità ben precise, che va ben al di là del riduzionismo in cui il termine tende a ingabbiarle. Solo così, con questa nuova accezione, è accettabile e legittimo che la parola badante passi dal corsivo al tondo, finalmente adeguatamente lessicalizzata.






Serena Vinci
(n. 9, settembre 2023, anno XIII)


* Ingrid-Beatrice Coman-Prodan è scrittrice di lingua italiana, inglese e romena e anche traduttrice dalla letteratura romena. Ha finora tradotto sei libri romeni in italiano, pubblicati con il sostegno dell'Istituto Culturale Romeno di Bucarest o con il contributo diretto dell'editore italiano.


NOTE

[1] Cfr. Anastasija Gjurčinova, Intrecci linguistici e autotraduzione nelle opere degli autori migranti e bilingui, in Momenti di storia dell'autotraduzione, a cura di Gabriella Cartago e Jacopo Ferrari, Milano, LED, 2018, p. 107.
[2] Per ulteriori approfondimenti suggeriamo Silvia Contarini, Narrazioni invisibili: le badanti letterarie, in Storie condivise nell Italia contemporanea, a cura di Daniele Comberiati, Chiara Mengozzi, Carocci, 2023.
[3] S. Contarini, Le voci delle badanti, in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», 15 (2020), p.1.